Molte civiltà mediterranee assegnano un posto di primaria importanza all'ulivo, che diventa cosi' simbolo anche di varie divinità, tra le quali Atena è forse l'esempio più noto.
Ma la prima divinità a cui è stato associato l'olio era il fenicio Melqart. I Fenici, come li chiamava Omero, o Cananei, come li identificava la Bibbia, furono tra i primi a conferire sacralità al prezioso unguento, utilizzato nei sacrifici a vari dèi, come appunto Melqart. Nel tempio di questa divinità a Tiro, infatti, campeggia un ulivo dalle fronde lussureggianti, che in altri templi dedicati a Melquart diventa un'ulivo di smeraldi.
Ma chi era Melqart? Si tratta senza dubbio di una divinità misteriosa, la cui natura originaria è praticamente sconosciuta. All'inizio probabilmente questo dio possedeva attributi solari e anche marini, e si configurò come protettore dei naviganti.
R. Dussaud ipotizza che Melqart fosse il frutto della fusione tra il dio marino Yam e Baal, la divinità più importante delle popolazioni cananee. Tuttavia tale affermazione è priva di fondamento, visto che nei testi poetici di Ugarit le due divinità appaiono in contrapposizione l'una con l'altra. Un'altra scuola di pensiero, capitanata da W. F. Albright, identifica Melqart con una divinità del mondo sotterraneo, Malku, il quale si accompagnava a Nergal, un altro dio mesopotamico (precisamente sumero) dell'oltretomba. Ma anche in questo caso si tratta di mere supposizioni che mancano di prove convincenti.
Quel che è certo è che Melqart era il dio poliade di Tiro, una delle città più importanti della Fenicia, e da lì il suo culto si diffuse in altre città puniche, come Cartagine e Gades (o Tartesso), l'antica Cadice. Il nome originario fenicio Milk-Qart significa infatti "re della città" e connette strettamente questa divinità all'istituzione della monarchia, che a Tiro assunse un'importanza peculiare rispetto ad altre città fenicie. Basti pensare che a Tiro si credeva che i bambini sacrificati (tra i Fenici vi era l'usanza di sacrificare infanti, definita moloch) assurgessero, dopo la morte, a una condizione divina e assumessero il titolo di "re".
Questa divinità assunse un'importanza sempre maggiore, tanto che il Gran Sacerdote di Melqart, a Tiro, era secondo solo al re. Divenne d'uso pronunciare il nome di Melqart durante la stipulazione dei contratti, il che rese il dio il nume tutelare dei mercanti i quali, per un popolo di naviganti e commercianti come i Fenici, rappresentavano la classe sociale principale. Per questo, si cominciò a costruire un tempio dedicato a Melqart in ogni colonia fenicia; uno dei più importanti si trova a Cadice, centro fondamentale del culto di Melqart. Perfino in alcuni nomi punici, come Amilcare e Bomilcare, si può notare la forte presenza di questa divinità tra il popolo fenicio.
Sembra che anche il grande condottiero cartaginese Annibale Barca, figlio di Amilcare Barca, fosse molto devoto a Melqart. Lo storico Livio ci narra la leggenda che vuole che prima di compiere la marcia verso l'Italia, Annibale si fosse recato in pellegrinaggio a Gades (l'attuale Cadice) e avesse offerto un sacrificio a Melqart. La notte prima della partenza, al condottiero apparve in sogno un bellissimo giovane, inviato da Melqart per mostrargli la via per l'Italia. Il giovane raccomandò ad Annibale di non voltarsi indietro durante il percorso, ma il Barcide non resistette e vide dietro di sé un enorme serpente che distruggeva ogni cosa che incontrasse sul suo cammino. Quando Annibale chiese al suo accompagnatore il significato di quella visione, Melqart stesso gli disse che ciò che aveva visto era la desolazione della terra d'Italia. Quindi, il dio intimò al condottiero di seguire la sua stella e di non indagare oltre riguardo ai disegni oscuri del cielo.
In seguito, in epoca ellenistica e romana, a causa dei suoi attributi solari, Melqart venne identificato con Eracle di Tiro (l'Ercole romano) e anche con Crono (Saturno per i Romani). Questo perché nelle relazioni dei loro viaggi, i geografi e gl storici antichi tendevano a riprodurre e a riportare entro i connotati della propria cultura di appartenenza le divinità e le usanze dei popoli stranieri. Ciò accadde anche a Melqart, che venne identificato totalmente con l'eroe che compì le dodici fatiche. Anche il tempio di Gades venne annotato da Strabone come "il più occidentale tempio dell'Eracle di Tiro" e le sue colonne erano ritenute (erroneamente, secondo lo storico greco) le autentiche colonne d'Ercole, che l'eroe aveva eretto come estremo confine occidentale del mondo.