“Cento bisavoli prima del bisavolo mio, nella Sardegna, raccontano gli antichi, sono venuti gli uomini del pianeta blu, a pelle blu e liscia che pareva di porcellana, con un corpo che pareva pieno di aria, ma non era di aria ma trasparente come una vetrina, che non era possibile toccarli se uno non voleva essere fulminato all’istante. Dicono gli antichi che erano uomini di alta statura, con la faccia uguale alle statue di bronzo e di pietra che ricordano questa venuta. Sulla testa portavano un corno come un vomere e sulla fronte un porro che lampeggiava. Si erano fatti vie di fuoco e in queste vie restava la polvere della vita e da questa polvere è nato ogni essere vivente, racconta il proverbio antico.”
sabato 7 maggio 2022
da I racconti della Nuragheologia di Raimondo De Muro
“Cento bisavoli prima del bisavolo mio, nella Sardegna, raccontano gli antichi, sono venuti gli uomini del pianeta blu, a pelle blu e liscia che pareva di porcellana, con un corpo che pareva pieno di aria, ma non era di aria ma trasparente come una vetrina, che non era possibile toccarli se uno non voleva essere fulminato all’istante. Dicono gli antichi che erano uomini di alta statura, con la faccia uguale alle statue di bronzo e di pietra che ricordano questa venuta. Sulla testa portavano un corno come un vomere e sulla fronte un porro che lampeggiava. Si erano fatti vie di fuoco e in queste vie restava la polvere della vita e da questa polvere è nato ogni essere vivente, racconta il proverbio antico.”
HSING NU, IL POPOLO DISCESO DALLE STELLE
Hsing Nu, il popolo adoratore delle stelleUn popolo enigmatico è quello degli Hsing Nu, dei quali pochissimo sappiamo tuttora, se non che praticavano una curiosa forma di religione astrale, per cui sono stati definiti «adoratori delle stelle». Di loro, e del mistero che li avvolge e che avvolge specialmente la loro fine, ha parlato, tra gli altri. anche il pioniere dell’archeologia spaziale in Italia, Peter Kolosimo, in uno dei suoi libri più famosi e intriganti, Terra senza tempo (Sugar Editore, Milano), nei seguenti termini:Gli Hsinhg Nu non erano certo contraddistinti da un alto livello civile, ma, per molti versi, le testimonianze indirettamente pervenuteci sui loro monumenti c’indurrebbero a pensare il contrario: ci troviamo di fronte , insomma, ad uno dei tanti inspiegabili contrasti propri alle antiche culture.Gli Hsing Nu abitavano una regione del Tibet settentrionale, a sud della grandiosa catena del Kun Lun, una zona ora desertica, in gran parte inesplorata. Non erano d’origine cinese: si pensa fossero arrivati laggiù dalla Persia o dalla Siria; i rinvenimenti effettuati, infatti, ci riportano ad Ugarit e, in particolare, alle raffigurazioni del dio Baal, dal lungo elmo conico e dal corpo ricoperto d’argento.Quando, nel 1725, l’esploratore francese padre Duparc scoprì le rovine della capitale degli Hsing Nu, quel popolo, annientato dai Cinesi, apparteneva già da secoli alla leggenda. Il monaco poté ammirare i ruderi d’una costruzione nel cui interno s’ergevano più di mille monoliti che dovevano un tempo essere rivestiti con lamine d’argento (qualcuna, dimenticata, dai predatori, era ancora visibile), una piramide a tre piani, la base d’una torre di porcellana azzurra ed il palazzo reale, i seggi del quale erano sormontati dalle immagini del Sole e della Luna. Duparc vide ancora la ‘pietra lunare’, un masso d’un bianco irreale, circondata da bassorilievi raffiguranti animali e fiori sconosciuti.Nel 1854 un altro francese, Latour, esplorò la zona, rinvenendo alcune tombe, armi, corazze, vasellame di rame e monili d’oro e d’argento ornati con svastiche e spirali. Le missioni scientifiche che, più tardi, si spinsero laggiù, reperirono soltanto qualche lastra scolpita, avendo la sabbia, nel frattempo, seppellito i resti della grande città. Fu nel 1952 che una spedizione sovietica tentò di portare alla luce almeno una parte dei ruderi.Gli avventurieri della scienza si sottoposero a un lungo, massacrante lavoro, senza poter contare su strumenti adeguati, il cui trasporto in quelle regioni appariva impossibile; purtroppo essi riuscirono soltanto a strappare al deserto l’estremità d’uno strano monolite aguzzo, che sembrava la copia identica di quello della città morta africana di Simbabwe, con alcuni graffiti.Dai monaci tibetani, però, gli studiosi russi appresero vita, morte e miracoli degli Hsing Nu. Furono loro mostrati antichissimi documenti in cui la piramide a tre piani era descritta sin nei minimi particolari. Dal baso all’alto, le piattaforme avrebbero rappresentato «la Terra Antica, quando gli uomini salirono alle stelle; la terra di Mezzo, quando gli uomini vennero dalle stelle; e la Terra Nuova, il mondo delle stelle lontane».Che cosa significano queste parole sibilline? Vogliono forse dirci che gli uomini raggiunsero chissà quale pianeta in un passato senza ricordo, che tornarono poi al loro globo d’origine e che, alfine, non ebbero più modo di comunicare attraverso lo spazio? Non lo sapremo probabilmente mai, ma i Tibetani pensano che sia in effetti così., affermano che quel popolo cercò nella religione il proseguimento dei viaggi cosmici, cullandosi nella credenza che le anime dei defunti salgano in cielo per trasformarsi in astri.Interessantissima è la descrizione dell’interno del tempio, che collima in parecchi punti con quella resa da padre Duparc. Su un altare – rivelano le vecchie cronache tibetane – era posta la «pietra portata dalla Luna» («portata», non «venuta»;non si sarebbe trattato, quindi, d’una meteorite), un frammento di roccia d’un bianco latteo, circondato da magnifici disegni rappresentanti la fauna e la flora della «stella degli dei». E dei monoliti a forma di fusi sottili, rivestiti d’argento. Sono animali e piante d’un pianeta colonizzato da cosmonauti preistorici, monumenti eretti a simboleggiare le loro astronavi?Prima d’un «cataclisma di fuoco», gli Hsing Nu sarebbero stati civilissimi ed avrebbero coltivato diverse straordinarie scienze, le stesse che sono ancor oggi vive fra i Tibetani: essi sarebbero stati non solo in grado di «parlarsi a distanza», ma addirittura di comunicare con il pensiero attraverso lo spazio. Gli individui sopravvissuti alla catastrofe sarebbero precipitati nella barbarie, non conservando dell’antica grandezza che il ricordo deformati dalla superstizione.Leggende, favole, superstizioni? Forse.Tuttavia, noi sappiamo che le leggende non nascono mai per caso: si tratta solo di avere l’umiltà e la perseveranza di continuare a scavare intorno ad esse, con mente sgombra da pregiudizi scientisti, per veder riemergere, poco alla volta, il fondo di verità da cui sono nate.
Un mistero diffuso in tutto il mondo: I Bambini dagli occhi neri
Si tratta di una fenomeno che ha una diffusione mondiale, dai paesi più industrializzati a i più poveri del terzo mondo provengono testimonianze sul loro avvistamento. La descrizione che ne viene fatta è sempre la stessa a prescindere dalle varie culture di origine; sono dei bambini di età compresa tra i 10 ed i 12 anni, hanno un pallore cadaverico gli occhi completamente neri senza la distinzione dell’iride e sono abbigliati in modo estremamente povero e strano, compaiono nella notte e girano per le città osservando attraverso le finestre gli abitanti, quasi a volerci studiare. Raramente entrano in contatto con le persone ma esistono anche dei casi inquietanti che raccontano tale circostanza… Quando hanno un contatto chiedono un passaggio oppure di entrare in casa terrorizzando i malcapitati. Ultimamente sembra che tali avvistamenti si siano intensificati ed in particolare abbiamo delle testimonianze nel sud Italia e precisamente un caso a Reggio Calabria ed uno a Messina, in entrambi i casi i bambini hanno cercato un contatto con delle persone del posto. Ciò che queste creature dicono per convincerci a farli entrare in casa è quasi senza senso, quasi come se non padroneggiassero perfettamente la nostra realtà, chiedono di entrare a fare una telefonata, oppure di poter giocare ad un videogame… Sembra quasi che ripetano un copione con poche variabili studiato in precedenza per ingannarci. Quello che è certo è che gli animali li temono, in una maniera esagerata. Nel caso dell’avvistamento di Reggio Calabria il malcapitato era accompagnato da un grosso pitbull che iniziò a ringhiare contro il bambino per poi essere colto da un terrore innaturale che perdurò per giorni. Una cosa è certa, queste creature non sono umane ed è meglio non aver nessun contatto con loro, se vi capitasse non fateli entrare in casa ed evitate di parlarci.
domenica 12 dicembre 2021
I wandjina
mercoledì 11 marzo 2020
“Adamo”: uno schiavo creato per obbedire agli Anunnaki

La Bibbia fa riferimento all’uomo appena creato chiamandolo “Adamo”, un termine generico. Non un uomo chiamato Adamo, bensì “il terrestre”. Infatti, proprio questo è il vero significato della parola Adamo, derivato dalla radice “Adamah”, ovvero “Terra”. Ma il termine è anche un gioco di parole e riflette il modo con cui Adamo venne creato.
Il termine sumero per indicare l’uomo, è “LU”. Ma il suo significato profondo non è “essere umano”, bensì “lavoratore, servo”, mentre come componente di nomi di animali, significa “addomesticato”. L’accadico – la più antica lingua semitica, parlata da Assiri e Babilonesi – in cui è stato scritto l’ “Atrahasis” (il “Poema di Atraḫasis”, la versione paleo-babilonese in lingua accadica del mito del Diluvio Universale, risalente al XVII sec. a.C.), chiamava l’essere appena creato “lulu”, che significa, come in sumero, “uomo”, ma che suggerisce anche il concetto di “mischiare”.

La parola “lulu” dunque, nella sua accezione più profonda, significa “colui che è mischiato”, con una chiara allusione al modo in cui Adamo venne creato. Adamo, “il terrestre” o anche “Colui che è del sangue”.In tutti i testi della creazione ritrovati in Mesopotamia, si evoca un procedimento nel quale un elemento divino viene mescolato con uno umano. L’elemento divino viene descritto come “un’essenza” derivata dal sangue divino e l’elemento terrestre come “argilla” o “fango”: la miscelazione dei geni “divini” degli Anunnaki con i geni “terrestri” dell’uomo scimmia, avviene fecondando l’ovulo di una donna scimmia.Si trattò, quindi, di una fecondazione in vitro, in provette di vetro e Adamo fu il primo bambino nato in provetta… Chiamato al compito di “creare dei servi per gli dèi”, Enki dette a Ninti le seguenti istruzioni: “Prendi un po’ d’argilla dal cuore della Terra, appena sopra l’Abzu, e dalle forma di una noce. Io fornirò giovani dèi, bravi ed esperti che porteranno quell’argilla alla giusta condizione”.
L’elemento terreno nella procedura era l’ovulo di una donna scimmia. Ninti faceva affidamento su Enki, affinché fornisse l’elemento terreno, questo ovulo di una donna scimmia dell’Abzu, nell’Africa sud-orientale. La collocazione geografica è molto precisa: non si tratta dell’area dove ci sono le miniere (Zimbabwe), bensì un luogo “sopra di esso”, più a nord.Il compito di ottenere gli elementi divini era di Ninti.
Erano necessarie due essenze estratte da un giovane dio Anunnaki, accuratamente selezionato per lo scopo. Enki ordinò a Ninti di prelevare il sangue e lo “shiru” del dio e di ricavarne le “essenze” attraverso immersioni in un “bagno purificatore”. Ciò che doveva essere ottenuto dal sangue veniva chiamato “TE.E.MA”, tradotto come “personalità”, ovvero ciò che rende una persona diversa da un’altra. Ma la traduzione di “personalità” non esprime la precisione scientifica del termine originale che, in sumero, significa: “Quello che contiene ciò che lega la memoria”. Oggi lo chiamiamo gene.L’altro elemento per il quale era stato selezionato il giovane Anunnaki, lo “shiru”, è tradotto comunemente come “carne”. Col trascorrere del tempo, il termine ha assunto anche questo significato, ma nella prima accezione sumera faceva riferimento al sesso o agli organi riproduttivi; la sua radice significava “legare” o “quello che lega”. In altri testi in cui si parla di discendenza degli “dèi” non Anunnaki, l’estratto dello “shirru” è chiamato “kirsu”, che viene dal membro maschile, quindi significa lo sperma maschile.Ninti doveva mescolare bene questi due estratti divini in un bagno purificatore, ed è certo che l’epiteto “lulu” per il Lavoratore Primitivo (colui che è stato mischiato), derivava proprio da questo procedimento.

Il luogo dove venivano eseguite queste procedure era una struttura speciale, chiamata in accadico “Bit Shimti” che, derivando dal sumero “SHI.IM.TI”, significava letteralmente “Casa dove viene soffiato il vento della vita” – la fonte, senza dubbio, dell’affermazione divina secondo la quale, dopo aver plasmato Adamo dall’argilla, Elohim “gli soffiò dalle narici un alito di vita”.
Il termine biblico, a volte tradotto come “anima” anziché “alito di vita, è “Nephesh”. Lo stesso identico termine appare nel racconto accadico degli eventi che si verificarono nella “casa dove viene soffiato il vento della vita” dopo che erano state completate le procedure di purificazione e di estrazione: “Il dio che purifica il Napishtu, Enki, parlò. Seduto davanti a Ninti… la incitava. Dopo che essa ebbe recitato le formule di rito, si sporse per toccare l’argilla”.
L’ovulo della donna scimmia fecondato nei “bagni purificatori” con lo sperma e i geni del giovane dio, veniva poi depositato in uno “stampo” dove sarebbe stato completato il “legame”. L’uovo fecondato e plasmato doveva essere poi reimpiantato nel grembo di una donna, ma non in quello della donna scimmia: in quello di una dea femmina Anunnaki. (per questo compito venne scelta Ninki, la sposa di Enki).
La creazione dell’uomo fu complicata da un ritardo della nascita, tant’è che si dovette intervenire chirurgicamente. Ninti “coprì la testa” e con uno strumento, la cui descrizione è, purtroppo, danneggiata nella tavoletta, “praticò un’apertura e ciò che era nel grembo uscì”. Afferrando il neonato esultò di gioia. Lo sollevò affinché tutti potessero vederlo e getto un grido trionfante: “Sono stata io a crearlo! Le mie mani l’hanno fatto!” Era nato il primo Adamo!
Fonte: https://www.universo7p.it/adamo-uno-schiavo-creato-per-obbedire-agli-anunnaki/anunnaki-antichi-astronauti/
martedì 25 febbraio 2020
2001 Odissea nello Spazio
Kubrik, grande conoscitore del simbolismo massone, esprime l'idea che un'intelligenza sovrumana sia intervenuta nell'evoluzione dell'umanità, e la rappresenta come un monolite nero, la stessa figura del cubo nero della Mecca, cioè Saturno, il pianeta dell'eclisse.
La storia continua con la scoperta sulla Luna del monolite che una volta dissotterrato inizia a emettere un segnale in direzione di Giove.
giovedì 2 gennaio 2020
Le streghe di YAHVEH
La ricercatrice Gabriella Vai Taboni spiega il significato del suo libro. Quali segreti nasconde la Valcamonica? Quali connessioni ci sono fra le Streghe, gli Elohim e gli Alieni? Cos'è la Mitologia dell'Inquisizione? Tutto questo e molti altri misteri sono racchiusi fra le pagine del libro "Le streghe di Yahveh".
venerdì 16 agosto 2019
Antichi astronauti - documentario tv Svizzera 1997
Documentario Italiano Antichi Astronauti ( TV Svizzera 1997 )
Antichi Astronauti
sabato 5 gennaio 2019
La porta del Sole
Secondo l'interpretazione ufficiale, la "Porta del Sole" rappresenterebbe un elaborato modello cosmologico, ma le figure decorative raccontano anche la leggenda, o forse la storia, della creazione dell'umanità, citata nei documenti di Garcilaso de la Vega, storiografo della Conquista. "Nell'era terziaria - scrive de la Vega - circa cinque milioni di anni fa, quando nessun essere umano esisteva e il nostro pianeta era popolato da animali fantastici, un'aeronave brillante come l'oro venne a posarsi sull'isola del Sole del lago Titicaca. Da essa discese un essere simile alle donne terrestri, ma con la testa conica, grandi orecchie e mani palmate, a quattro dita. Il suo nome era 'Orejona' (grandi orecchie) e proveniva dal pianeta Venere, le sue mani palmate deriverebbero dall'ambiente del pianeta, ricco d'acqua. Orejona camminava eretta come noi, era dotata d'intelligenza ed aveva il compito di creare l'umanità terrestre, mettendo al mondo settanta figli. Un giorno, creata la razza terrestre e compiuta la sua missione, o forse stanca della Terra e desiderosa di tornare su Venere, Orejona riprese il volo sull'astronave. I suoi figli, in seguito, procrearono a loro volta e la tribù sul lago Titicaca, rimasta fedele alla sua memoria, conservò i suoi riti religiosi e rappresentò il punto di partenza delle civiltà preincaiche. Ecco ciò che è scritto sulla porta del Sole a Tiahuanaco".
Nella leggenda di Orejona, chiamata "La Progenitrice", ricorre il mito, comune a molte culture, dell'umanità quale civiltà di origine cosmica. La descrizione morfologica di Orejona è associabile a quella degli uomini pesce, già raffigurati nel Kalasasaya della stessa Tiahuanaco e nelle leggende mesopotamiche degli Oannes, dei Kappas giapponesi e dei Dogon africani. Il particolare delle grandi orecchie è inoltre presente nei Moai dell'Isola di Pasqua, e nel Buddha dell'India, tutti idoli rappresentanti deità celesti. Sui bassorilievi in pietra e nei disegni rupestri di Tiahuanaco sono inoltre raffigurate creature a quattro dita e, proprio sulla Porta del Sole, Orejona è rappresentata nell'atto di discendere e creare le stirpi terrene.