mercoledì 27 maggio 2020

Il profumo nell'antica Roma

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Grandi estimatori dei profumi furono i romani, i quali dopo una breve fase di apprendimento, iniziarono a usare queste sostanze sia nei banchetti che per gusti personali. Il profumo stava diventando portatore di messaggi, d’identità e umore tanto che persino i soldati usavano essenze piu adatte a infondersi coraggio.
I più usati in epoca romana erano:
– mirtumlaurum, composto da lauro e mirto;
– lasminum, basato sul gelsomino;
– illirium, ottenuto con i gigli di Pompei.
– cyprinum, aggregato di olio d’oliva, cardamo, calamo, hennè, aspàlato e resina.

giovedì 21 maggio 2020

Aziza Mustafa Zadeh - Lachin


Orfeo ed Euridice (mito)

Nella Grecia antica, in un mondo di armonia e di, favolosa bellezza, viveva Orfeo, figlio della musa Calliope. Musicista e poeta sensibile accompagnava i suoi versi con il dolcissimo suono della lira. Tutti lo ascoltavano estasiati. Al suo canto le fiere uscivano dalle tane e diventavano mansuete e le forze devastatrici della natura perdevano la loro furia. Ma Orfeo non se ne vantava: riconoscente, ringraziava il dio Apollo.

Un giorno Orfeo vide una ninfa bellissima mentre era in giardino intenta a raccogliere fiori per farse ne una ghirlanda. Il cantore divino le si avvicinò e le parlò:
- Chi sei tu o soave fanciulla?
La ninfa gli rispose che il suo nome era Euridice. Orfeo, colpito dalla sua grazia, se ne innamorò perdutamente. Le chiese di sposarlo ed Euridice, commossa, accettò.
Le nozze si celebrarono in un bosco della Tracia, ma un triste presagio si verificò durante il rito nuziale: un denso fumo accompagnato da un sordo sfrigolio offuscò la luce delle fiaccole. La felicità dei due giovani era però tale che non vollero badare all'oscura predizione.
All'improvviso Euridice emise un urlo terribile e cadde a terra senza vita: una vipera velenosa l'aveva morsa. Orfeo accorse disperato, si chinò sulla sposa che giaceva esanime. La chiamò con tutte le sue forze, ma Euridice era morta.
Il giovane, come impazzito, andò a nascondersi nei boschi. Vagò senza meta per giorni e giorni. Pregò inutilmente le fiere affinché lo uccidessero. Cantò la sua angoscia agli alberi, agli uccelli, ma niente riuscì a placare il suo dolore. Fu allora che Orfeo decise di tentare un'impresa disperata. «Scenderò nell'Averno e pregherò le potenze infernali di restituirmi la mia dolce sposa».
La notte stessa il giovane iniziò il suo viaggio verso gli oscuri regni della morte.
Su un fianco del monte Olimpo c'era una caverna che, secondo gli antichi, era l'ingresso dell'oltretomba. Qui Orfeo cantò il suo inconsolabile dolore e ottenne dal tenebroso dio degli inferi di varcarne la soglia.
Camminò a lungo negli spazi proibiti; al suo canto non soltanto le anime dei defunti, ma anche le Furie provavano commozione. Giunse alfine in un luogo coperto da una fitta nebbia dove vide un unico punto luminoso: una sorgente, da cui nasceva un fiume che diventava sempre più ampio e melmoso, l'Acheronte. Sulle nere acque apparve una barca, guidata da un vecchio. Il suo volto era scuro, mentre gli occhi brillavano come carboni accesi. Era Caronte che conduceva le anime morte alla cupa reggia di Plutone, dio dell'oltretomba. Il vecchio rimproverò Orfeo di trovarsi in quel luogo. Ma, placato dalla sua musica melodiosa, lo condusse alla dimora del sovrano.
Al centro di una sala buia come la notte c'era il trono su cui sedeva il dio che aveva al suo fianco la bellissima regina Proserpina. A lei Orfeo rivolse la sua invocazione:
- O dolce regina che dal volto emani il chiarore della luna - cominciò - abbi pietà del mio dolore. Il fato crudele ha strappato alla vita la mia sposa diletta. Ho cercato di placare la mia disperazione, ma invano. Abbi pietà di me. Esaudiscimi, ti prego, rendimi Euridice oppure trattieni anche me' quaggiù. Preferisco morire piuttosto che vivere senza di lei.
L'invocazione del giovane impietosì la dea che pianse sommessamente, guardò per un istante il suo sposo, lo implorò in silenzio. Plutone l'amava moltissimo e non sapeva rifiutarle nulla. E anch'egli, intenerendosi, esclamò:
- Il tuo canto, Orfeo, ha commosso la regina e me.
Voglio accontentarti: Euridice tornerà con te sulla terra. Sarai tu stesso a condurla fuori dall'Averno. Ma bada: non dovrai né guardarla né toccarla finché non avrai raggiunto la luce del sole. Se ti volterai, la perderai per sempre.
Il poeta, col volto trasfigurato dalla felicità, si inchinò al sovrani e si avviò verso l'uscita.
Una forma di donna coperta da un velo si alzò dai piedi del trono e lo seguì silenziosamente. Camminarono a lungo, ma il pensiero di Orfeo era per lei che gli stava dietro. Con gli occhi fissi davanti a sé, lottava disperatamente con il desiderio di voltarsi a guardare il viso della sposa adorata. All'improvviso un dubbio atroce gli attanagliò il cuore: Euridice era lì che lo seguiva o Proserpina l'aveva ingannato?
E proprio quando la luce del sole cominciava a filtrare tra le tenebre, Orfeo non fu più capace di resistere. Si girò. La fanciulla gli stava di fronte e con le mani si tolse il velo che ancora la ricopriva. Era bella più che mai, ma gli occhi erano tristi. Fu un attimo. Una nebbia fitta e grigia avvolse la giovane che scomparve negli abissi per sempre.
Il dolore del giovane fu terribile; singhiozzò, supplicò ancora una volta gli dei infernali, trasse dalla sua lira le note più struggenti. Il re delle tenebre non s'impietosì una seconda volta e non gli concesse più la grazia.
Orfeo tornò sulla terra, vagò per mesi attraverso boschi e praterie. A poco a poco la sua profonda disperazione trovò conforto nella musica, di cui tracciò le note su una corteccia d'albero.
In Grecia non c'è cantore che non abbia una copia di quella magica musica che riuscì a lenire lo straziante dolore dello sposo infelice.

mercoledì 20 maggio 2020

Sati il crudele rogo delle vedove indiane bruciate vive
















Bruciate vive sulla pira funebre del proprio marito appena deceduto. Sono le donne indiane che preferiscono morire, piuttosto che condurre una vita da vedove in India.

Questo è il sati, un’usanza nata nel Medioevo e dichiarata illegale nel lontano 1829, ma che ancora oggi viene praticata in alcuni piccoli villaggi asiatici.

E il perché una donna rimasta vedova, preferisca suicidarsi sulla pira del marito, è molto semplice.
Le comunità indiane legano il sati a una questione di devozione sconfinata per il proprio uomo, in realtà dentro le mura domestiche, si celano storie di violenza e vittimismo.

La donna viene considerata una proprietà, non ha potere decisionale, né diritto di parola né in casa e né fuori. La morte del marito però paradossalmente rappresenta una condizione ancora peggiore, quella in cui ella verrà estromessa dalla società, ostracizzata, isolata e considerata addirittura responsabile della morte del marito.

Sono le famiglie stesse a “consigliare” alle vedove di suicidarsi e le poche che decidono di non farlo, sono additate come portatrici di sventura perché hanno osato ribellarsi a un sistema patriarcale. Di certo, non possono continuare a vivere nel villaggio. La maggior parte, viene ghettizzata a Vrindavan dove le donne sono costrette ad indossare abiti bianchi in segno di lutto, a rasarsi la testa e a rimanere caste per tutta la loro esistenza.

Ecco perché a un inferno quotidiano, incorniciato da pregiudizi e stereotipi, le vedove preferiscono buttarsi vive nel fuoco. Dietro al loro gesto si nascondono storie di disperazione, di libertà negata, di dignità violata.

Immolarsi nel sati sancisce che in India la donna, senza un uomo, non vale nulla, allora meglio morire che essere un fantasma.

Il sati fa da contorno a storie già più volte raccontato, ovvero di femminicidi, vergogna per la nascita di figlie femmine, matrimoni di spose bambine con adulti.

Con tutto il sostegno della famiglia, la vedova decide “volontariamente” di suicidarsi per raggiungere il marito. Inizia quindi un controllo preliminare, perché chi è incinta o ha le mestruazioni, viene considerata impura e quindi non può essere bruciata viva.

Durante il sati gli uomini rendono omaggio al sacrificio. La vedova vestita con il sari di matrimonio pronuncia un rituale e si getta nel fuoco della pira funebre mentre attorno si marcia per ore assistendo alla lenta agonia del corpo in fiamme.

La donna ha il potere di lanciare maledizioni, può dar fuoco lei stessa alla pira oppure lo fa un fratello minore. I tamburi coprono le urla anche se secondo la tradizione, una sati non soffre nell’essere bruciata viva perché gettandosi nel fuoco si trasforma in una dea potente.

Capita (raramente) che le famiglie non siano d’accordo e gettino sul corpo acqua tinta con l’indago che è blu, il colore dei paria, ovvero degli intoccabili e quindi non sia più pura.

Se per questo motivo o per la pioggia il rito si interrompe, la vedova diventa una sati vivente e solo in quel caso, viene venerata dalla comunità.

Un rituale atroce e clandestino che trasforma la donna schiava in vita, in un’eroina da morta che si è sacrificata per stare vicina al proprio marito.

domenica 17 maggio 2020

Il tarassaco

Il tarassaco è noto fin dai tempi antichi per le sue proprietà depurative, tanto è vero che il suo nome deriva dal greco “tarakè” ossia “scompiglio, turbamento” e da “akos” che significa “rimedio”, da cui Taraxacum, nome datogli dagli Apotecari alla fine del Medioevo. Le foglie, facilmente riconoscibili nei prati con il loro profilo a grandi denti, sono ricche di vitamine del gruppo A, B, C e D mentre le radici hanno proprietà fortemente depurative per l’organismo. Attorno a questa pianta sono fioriti miti e leggende. Grazie al tipico “soffione”, che viene fatto volare via in un fiato, gli innamorati si scambiano promesse d’amore: se gli acheni, dopo il soffio, volavano via tutti, disperdendosi nel vento, i loro desideri, si dice, verranno realizzati. Il tarassaco viene anche definito scherzosamente “Piscialletto” per le sue forti azioni drenanti e depurative e perchè, ai bimbi viene raccontato che chi lo raccoglie, avrà problemini di incontinenza tutta la notte.Il tarassaco può essere utilizzato in cucina in svariati modi. Le foglie fresche possono essere aggiunte alle insalate (da mescolare ad altre a causa del loro gusto particolarmente amaro), o alle frittate (magari queste?), le foglie più grandi e coriacee, invece, sono ottime per minestre e zuppe. I boccioli dei fiori, messi sotto aceto e sale, sostituiscono i capperi e le radici tostate sono un buon surrogato del caffè (quello che si trova in vendita sotto il nome di “caffè di cicoria”). Con i fiori, infine, può essere realizzata un’ottima marmellata.

sabato 16 maggio 2020

Petra: gli scavi hanno rivelato un nuovo tesoro


I lavori serviranno per scoprire il cortile anteriore del Tesoro, la facciata dell'edificio più iconico della 

"città rosa"

Petra sarà oggetto di nuovi scavi archeologici. I lavori serviranno per scoprire il cortile anteriore del Tesoro, la facciata dell’edificio più iconico della “città rosa”. della Giordania dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1985.
Lo scavo contribuirà a scoprire gli elementi architettonici della parte inferiore del Tesoro, oltre a completare il lavoro archeologico del 2003, che ha portato alla luce alcune tombe e facciate antistanti il Tesoro. Inoltre, lo scavo dovrebbe estendersi dal cantiere del Tesoro fino alla fine del Siq verso l’Anfiteatro nabateo.
Questo progetto mira a identificare l’effettivo utilizzo delle strutture archeologiche vicino al Tesoro e a scoprire il resto del sistema idrico e dei canali su cui l’antica città faceva affidamento in passato per drenare l’acqua piovana.
L’Autorità regionale per lo sviluppo e il turismo di Petra ha annunciato l’inizio dei nuovi scavi, che saranno finanziati dall’Autorità stessa in collaborazione con il Dipartimento delle Antichità, ha dichiarato Chief Commissioner del PDTRA Suleiman Farajat. Un team archeologico accademico dell’Università Hussein Bin Talal prenderà parte al progetto.
Secondo Farajat, il progetto ha anche lo scopo di aiutare a spiegare le ragioni della costruzione della facciata del Tesoro, in quanto vi sono più teorie sulla sua storia.Il lavoro sarà anche volto a eliminare i detriti delle alluvioni accumulati negli ultimi anni, che coprono parte del corridoio e l’area vicino al Tesoro.Gli scavi saranno accompagnati da un piano d’azione designato per riorganizzare i servizi forniti dal sito, i segnali di orientamento e le strutture pubbliche in conformità con i risultati del progetto.
Ancora oggi, infatti, Petra ha ancora molto da svelare. Solo pochi anni fa un altro scavo aveva riportato alla luce una clamorosa scoperta archeologica, quella dei  magnifici giardini da Mille e una Notte, con fontane e una grandissima piscina, che 2mila anni fa rendevano questa città nel deserto una vera e propria oasi. La Capitale dei Nabatei, infatti, era un vero paradiso in cui, anche in mezzo al deserto, era possibile coltivare piante e alberi, grazie a un sofisticato sistema di irrigazione e di stoccaggio dell’acqua. Una realtà rimasta ignorata per secoli fino alla scoperta.
petra-scavi-lockdown
Petra, la “città rosa” @123rf

martedì 12 maggio 2020

Intensa anomalia magnetica in Antartico crea vortice temporale nel passato?



Un team di scienziati britannici ed americani si sono imbattuti accidentalmente in un evento alquanto misterioso e bizzarro mentre lavoravano su un progetto comune riguardante lo studio dei fenomeni metereologici. Il fisico americano Mariann McLein ed i suoi colleghi scienziati hanno confermato la comparsa di uno strano "vortice nebbioso" formatosi al di sopra della zona in cui stavano operando.Inizialmente il team ha pensato si trattasse di una casuale tempesta polare ma il vortice a spirale formatosi non si disperdeva anzi;nonostante le raffiche di vento che spostano le nuvole tutt'intorno, il vortice nebbioso rimaneva stazionario.Così gli scienziati hanno deciso di indagare sullo strano fenomeno; il gruppo dopo aver preso uno dei suoi palloni metereologici attaccandovi uno o più strumenti metereologici in modo da rilevare pressioni barometriche, velocità del vento, umidità e un cronometro scientifico per registrare i tempi delle letture ed aver assicurato l'altra estremità del pallone ad un argano l'ha rilasciato del vortice che lo ha letteralmente risucchiato al suo interno facendolo scomparire.
Dopo qualche minuto hanno deciso di recuperare il pallone e nonostante qualche difficoltà con l'argano sono riusciti a portarlo a terra e controllare gli strumenti. McLein e compagni rimasero sbalorditi da quello che avevano osservato;il cronometro segnava la data riferita esattamente a dieci anni prima, cioè 27 gennaio 1965 anzichè 27 gennaio 1975.L'esperimento fu ripetuto più volte ma il risultato fu identico.L'episodio fu riferito in un secondo tempo ai servizi segreti militari e l'informazione fu trasferita alla casa bianca. Presumibilmente lo strano vortice, è in realtà un tunnel magnetico spazio-temporale, del quale i militari dell'intelligence sono a conoscienza.Esso infatti è soprannominato in codice "The time gate", ovvero la porta del tempo.

E' curioso che lo strano fenomeno sia avvenuto proprio in prossimità della zona in cui fu scoperta una costruzione artificiale nell'aprile del 2001, attraverso alcuni scavi effettuati sotto il ghiaccio ad una profondità di 2 miglia da parte dei militari americani.In seguito a questa scoperta gli stessi militari cercarono di impedire che questa notizia trapelasse ma in realtà non fu così;infatti nonostante fu intimato ai media il silenzio stampa, la notizia secondo cui erano iniziati degli scavi in gran segreto in Antartide arrivò all'Europa, che protestò in maniera formale contro l'azione intrapresa dai militari americani e dal loro governo. "Se è qualcosa che l'esercito americano ha costruito lì, allora stanno violando il Trattato Antartico internazionale", ha detto un assistente di Nicole Fontaine, al tempo in cui era presidente del Parlamento europeo. "Se non è così, allora è qualcosa che si trova in quel luogo da almeno 12.000 anni.Il che renderebbe la struttura la più antica della storia dell'uomo sulla terra. Al Pentagono dovrebbero ascoltare le richieste del Congresso e informarlo su qualsiasi cosa si nasconda in quel luogo ".

Tutto ciò fa credere seriamente che i due elementi siano correlati.Infatti se il vortice osservato appare e scompare sopra l'antartide e se il fenomeno non è naturale, è lecito credere che esso sia generato da una tecnologia sconosciuta in profondità sotto la calotta glaciale, che sia in grado di controllare il passato, con implicazioni anche per il futuro.Se tutto ciò fosse vero, non c'è da meravigliarsi che i militari si interessino affinchè non si parli della questione.

Fonte:eutimes.net - evidenzaliena


da: Antikitera

sabato 9 maggio 2020

La Funzione del Mito, del Culto e della Meditazione

Nella sua attuale professione o forma, l’individuo è soltanto una frazione ed una deformazione dell’immagine completa dell’uomo.

Egli è limitato sia come maschio che come femmina. Nei diversi periodi della sua esistenza è limitato sia come bambino che come giovane, adulto o vecchio, mentre nella sua attività è necessariamente specializzato come artigiano, commerciante, servitore, ladro, prete, capo, moglie, suora, o prostituta, egli non può essere tutto.
Di conseguenza, la totalità – la pienezza dell’uomo – non è nel singolo membro, ma nel corpo della società. L’individuo può soltanto essere un organo che svolge una funzione nel suo gruppo, dal quale egli ha attinto le sue tecniche di vita: la lingua nella quale pensa, le idee per le quali prospera, le finalità che egli si prefigge, tutte acquisizioni che gli giungono attraverso il passato.
Dalla sua società di appartenenza o di formazione discendono i geni che formarono il suo corpo. Se egli tentasse di isolarsi nella sua azione come nel suo pensiero o nel suo sentimento, spezzerebbe soltanto il collegamento con le fonti della sua propria esistenza.
I riti delle tribù per la nascita, l’iniziazione, il matrimonio, l’insediamento, servono a tradurre in forme impersonali, classiche, riconosciute e condivise anche dal suo gruppo, le crisi e le azioni della vita dell’individuo.
Esse lo svelano a se stesso, non come questa o quella persona, ma come la persona o l’idea che egli si è formato e che attraverso il rito viene riconosciuta e accettata, se il rituale viene compiuto nei modi e nei termini omologati dalla società stessa. Ecco che allora egli, grazie alla sua conoscenza e interpretazione del ruolo che egli si è dato, può divenire il guerriero, la sposa, la vedova, il prete, il condottiero, e nel contempo egli ripete anche per il resto della comunità l’antica lezione degli stadi archetipi.
Tutti partecipano al rito secondo il loro rango e le loro funzioni.
Tutta la società diventa visibile a se stessa come un’unità vivente e imperitura. Generazioni di individui passano come cellule anonime di un corpo vivente, ma la forma eterna che le sostiene rimane.
Con l’estendersi della sua visione tesa ad abbracciare la società, questo membro tende a divenire il super-individuo e ciascuno scopre se stesso ingrandito, arricchito, sostenuto ed esaltato. Il suo ruolo, per quanto poco importante possa essere, gli appare intrinseco e omologo alla bella immagine gloriosa dell’uomo nello splendore del suo adempimento o riuscita, dimenticando o superando quella sua immagine potenziale, eppur necessariamente inibita, che coltivava dentro se stesso.

I riti dell’iniziazione e dell’insediamento, quindi, insegnano e imprimono la lezione dell’essenziale identità dell’individuo e del gruppo. Le feste stagionali aprono un orizzonte ancora più vasto. Come l’individuo è un organo della società, così la tribù o la città – e l’umanità intera, sono solo una fase del potente organismo del cosmo.

In genere, le feste stagionali dei cosiddetti indigeni sono state descritte come sforzi per controllare la natura. È una interpretazione errata. V’è una grande volontà di controllo in ogni atto dell’uomo, e specialmente in quelle cerimonie magiche che si crede portino la pioggia, curino le malattie, o tengano lontane le inondazioni. Malgrado ciò, il motivo dominante di tutte le cerimonie veramente religiose (opposte alla magia nera) è quello della sottomissione all’inevitabilità del destino – e nelle feste stagionali questo motivo è particolarmente evidente.
Non si conosce finora alcun rito tribale che miri ad impedire la venuta dell’inverno; al contrario, tutti i riti preparano la comunità a sopportare, con il resto della natura, la stagione del freddo intenso. E in primavera, i riti non cercano di costringere la natura a far spuntare immediatamente il grano, i fagioli e le zucche per la misera comunità; al contrario, i riti consacrano tutti i suoi membri al lavoro stagionale. Il meraviglioso ciclo dell’anno con le sue difficoltà e i suoi periodi di gioia, viene celebrato, delineato e rappresentato come continuativo nel ciclo vitale del gruppo umano.

Il mondo della comunità mitologicamente istruita è pieno di molte altre figurazioni simboliche di questa continuità. Per esempio, i clan delle tribù di cacciatori americane, si consideravano in genere come discendenti da antenati metà-animale e metà-uomo. Questi antenati diedero origine non solo agli uomini del clan, ma anche agli animali dai quali il clan prende il nome; così i membri del clan “castoro”, erano cugini di sangue dei castori, protettori della specie e a loro volta protetti dalla saggezza animale degli abitanti del bosco.
Un altro esempio: l’abitazione, o la capanna di fango, dei Navaho del Nuovo Messico e dell’Arizona.
È costruita sullo schema dell’immagine navahica del cosmo, dove l’ingresso è rivolto a oriente. Gli otto lati rappresentano le quattro direzioni e i suoi punti intermedi indicano la sua mente e i suoi sentimenti, presi dalle circostanze esterne e dalle emozioni.
Ogni trave e ogni puntello corrispondono a un elemento del grande edificio che tutto abbraccia: terra e cielo.
E poiché l’anima stessa dell’uomo è considerata identica nella forma all’universo, la capanna di fango è una rappresentazione dell’armonia fondamentale dell’uomo e del mondo, e una evocazione del misterioso cammino sulla via della perfezione.
Ma vi è un altra via, diametralmente opposta a quella del dovere sociale e del culto popolare, la via di colui che vive per scelta o per emarginazione, in esilio al fuori dalla sua comunità e dalla quale egli è visto come ’un nulla’.
Dall’altro punto di vista, quello dell’esiliato o emarginato o escluso, tuttavia, questo esilio è il primo passo della sua nuova ricerca.
Ciascuno reca in se stesso il tutto che può essere ricercato e trovato dentro di sé.
Le differenze di sesso, età e occupazione non sono essenziali al nostro carattere, ma semplici costumi che indossiamo per un certo tempo sulla scena del mondo.
L’immagine intima dell’uomo non deve essere confusa con i vestiti. Noi ci consideriamo europei o americani o africani o figli del ventesimo o ventunesimo secolo, occidentali, civili e cristiani. Siamo virtuosi o peccatori.
Queste definizioni, però, non dicono cos’è essere un uomo, esse indicano solo i dati accidentali della nascita della provenienza e del ceto.

Cos’è la parte più intima di noi?
Cos’è la caratteristica fondamentale del nostro essere?
L’ascetismo dei santi del Medioevo e degli yoghi dell India, i misteri ellenistici le antiche filosofie orientali e occidentali, sono tecniche per spostare l’attenzione della coscienza dell’individuo dalla sua veste esterna a una visione intima personale e rispondente alle innate caratteristiche dell’individuo.
Le meditazioni iniziali dell’aspirante a questo solitario percorso staccano la sua mente e i suoi sentimenti dalle circostanze esterne della vita e lo guidano verso la sua parte più intima.
Egli medita: “Io non sono questo: né questo, né mia madre, né il figlio appena morto; il mio corpo, che è malato o vecchio; il mio braccio, l’occhio, la testa; né tutte queste cose messe insieme. Io non sono i miei sentimenti, né la mia mente, né il mio potere di intuizione.”
Da queste meditazioni egli è portato verso la propria profondità, raggiunge, alla fine, realizzazioni impenetrabili.
Nessuno può tornare da simili esercizi e considerare seriamente se stesso come il signor Tal dei Tali, della tale città in Europa o in qualunque altro circoscritto luogo del mondo.
La società e i doveri spariscono.
Il signor Tal dei Tali, che ha scoperto in se stesso la piena umanità, diventa chiuso e indifferente..

Questo è lo stadio di Narciso che si specchia nello stagno, del Buddha che siede in contemplazione sotto l’albero, ma non è lo scopo finale; è un passo necessario, ma non la meta.
Lo scopo non è di vedere, ma di capire ciò che effettivamente è questa essenza.
Solo allora si è liberi di vagare nel mondo proprio come l’essenza che abbiamo immaginato, cercato, voluto, realizzato e compreso. Qui si scopre che anche il mondo è permeato da questa essenza.
Quando si comprende che essenza propria ed essenza del mondo sono una cosa sola, la separazione, il ritiro, non sono più necessari.

Dovunque l’uomo, il viaggiatore, lo sciamano, il ricercatore o l’eroe si rechi, qualunque cosa faccia, è sempre in presenza della propria essenza, o meglio, intima consapevolezza fra sé e il mondo, poiché i suoi occhi adesso sono in grado di vedere. Non vi è più separazione.
E come la via della partecipazione sociale può condurre, alla fine, a una realizzazione del tutto nell’individuo, così la via dell’esilio porta l’eroe all’Io in tutto.
Inquadrata in tal modo, le questioni dell’egoismo o dell’altruismo scompaiono. L’individuo si è perso nella legge, ed è rinato nell’identità con la sua personale comprensione del significato totale dell’universo.
Per Lui, e solo per mezzo suo, il mondo è stato fatto, o meglio realizzato da lui stesso.
“O Maometto,” disse Iddio, “se tu non fossi esistito, non avrei creato il cielo”.

Ma qual è il compito e il fine del viaggio dell’eroe?
Oggi l’uomo non si riconosce più nel gruppo di appartenenza. Il proprio ego infantile viene trasposto in idea nazionale e imposto come bandiera che divide e non unisce, non si riflette e non si trova dentro le grandi religioni o mitologie del passato, che per mantenere il loro controllo su di lui si sono basate su imposizioni o congetture superate oggi dalla scienza e dalla storia.

L’impresa che l’eroe oggi deve compiere non è più quella del secolo di Galileo, dove allora v’era tenebra oggi vi è luce, dove era luce oggi vi è tenebra.
L’eroe moderno deve cercare di riportare alla luce La sua Atlantide, o sogno perduto, che è sepolto nei miti del genere umano.
Ma oggi anche questi miti e questi misteri; i loro simboli non interessano più la nostra psiche.
La conoscenza di una legge cosmica, che serve tutta l’esistenza e alla quale l’uomo stesso deve sottomettersi ha oramai da tempo superato gli stadi mistici iniziali rappresentati dall’antica astrologia, ed e’ ora semplicemente accettata in termini meccanici come cosa naturale….
Non il mondo animale, né quello vegetale e neppure il miracolo delle armonie delle sfere, bensì l’uomo stesso è ora il mistero cruciale!
L’uomo è quella presenza estranea con la quale le forze dell’egoismo devono venire a patti e per mezzo della quale l’io deve essere crocifisso e resuscitato, per fare di lui un immagine che società stessa possa utilizzare come simbolo di proprio rinnovamento.
L’uomo , inteso tuttavia, non come “Io”, ma come “Tu”: perché gli ideali e le istituzioni temporali di nessuna tribù, razza, continente, classe sociale o secolo, possono costituire la misura di quella meravigliosa esistenza inesauribile, che e’ la vita in tutti noi.
Non e’ la società che deve guidare e salvare l’Eroe, ma precisamente il contrario.
E cosi’ ognuno di noi partecipa alla prova suprema -porta la croce del redentore- non nei momenti gloriosi delle grandi vittorie della sua tribù, ma nei silenzi della sua disperazione.

Stefano Paoletti
Per Mythos & Logos
www.mythoselogos.it

venerdì 8 maggio 2020

I Nuraghi erano trasmettitori per entrare in contatto con gli Extraterrestri


Una legenda Sarda molto antica, di circa 3 mila anni addietro, racconta una storia che a dir poco che sembrerebbe fantascienza, ma che, se preceduta dalla dichiarazione che un grande scienziato Italiano fece, si direbbe che è solo la narrativa di una storia avvenuta e vissuta qualche migliaio di anni fa dagli abitanti dell’isola, ovvero un contatto con esseri di altri mondi..
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Gli abitanti di altri mondi in contatto con i protosardi
“Quanto agli “uomini blu”, con tale denominazione venivano chiamati gli abitanti di altri mondi in contatto con i protosardi, secondo un rituale che presentava diverse varianti.
In altre parole, certi protosardi comunicavano con gli extraterrestri mettendosi sopra i nuraghi o in un altro luogo dove regnava il silenzio, stesi col corpo nudo su una pietra levigata, in linea con le stesse che emanano micro onde cosmiche capaci di essere ricevute dai recettori umani. Oltre a ciò occorreva una grande concentrazione che consentiva di ricevere questi suoni muti.”
Raimondo De Muro nasce a Siurgus Donigala nel 1916, scrittore e organizzatore culturale, ha dedicato la sua vita alla conoscenza e alla promozione delle tradizioni del suo paese natio e della Sardegna, ma sempre con grande curiosità e apertura per le cose del mondo.
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Nibiru nei racconti dei grandi padri della Sardegna
I racconti della Nuragheologia sono stati scritti da Raimondo de Muro, nell’arco di oltre trent’anni. L’opera completa consta di cinque romanzi, più un sesto libro che è una sorta di compendio di quelle che egli definisce “le norme di vita della Nuragheologia”. Cosa sia la Nuragheologia, non è facile da spiegare. De-Muro sostiene che, in Sardegna è esistita, e forse in qualche modo sopravvive ancora, una sorta di “organizzazione comunitaria”, diffusa soprattutto nel mondo agro-pastorale, con proprie leggi e norme di condotta; un ordinamento sociale che, correndo parallelo alle vicende storiche ”ufficiali” dell’isola, affonda le sue radici nei millenni, risalendo fino all’epoca nuragica. I racconti furono pubblicati nei primi anni ottanta da una piccola casa editrice, ora non più attiva, e ormai sono in circolazione poche copie; nonostante ciò La memoria della Nuragheologia è ancora viva, non solo in Sardegna. Nei racconti leggiamo che i grandi padri della Sardegna hanno tramandato che un corpo celeste (Nibiru?) centrò la terra e questa si incurvò dalla parte orientale. Perciò le antenne dei Nuraghi persero per sempre la loro finalità di comunicazione con gli abitanti degli altri mondi. Ma come avvenne questa comunicazione? L’uomo sarebbe dotato di orecchie nascoste (i recettori magnetici) in grado di captare le voci di mondi lontani, a patto che questi organi di senso vengano esercitati. Ma se non si conosce l’alfabeto di questi segnali non si comprendono i messaggi.
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Lo stesso Raimondo De Muro, nei “Racconti della Nuragheologia” scriveva:
“Cento bisavoli prima del bisavolo mio, nella Sardegna, raccontano gli antichi, sono venuti gli uomini del pianeta blu, a pelle blu e liscia che pareva di porcellana, con un corpo che pareva pieno di aria, ma non era di aria ma trasparente come una vetrina, che non era possibile toccarli se uno non voleva essere fulminato all’istante. Dicono gli antichi che erano uomini di alta statura, con la faccia uguale alle statue di bronzo e di pietra che ricordano questa venuta. Sulla testa portavano un corno come un vomere e sulla fronte un porro che lampeggiava. Si erano fatti vie di fuoco e in queste vie restava la polvere della vita e da questa polvere è nato ogni essere vivente, racconta il proverbio antico.
Si tratta di una spiegazione, questa della nuragheologia, piuttosto avventurosa, ma che dimostra, ancora oggi, la sua validità, posto che non si possano essere certezze in materia. In realtà non sappiamo che cosa sia realmente la vita. Sappiamo solo che alcuni suoi ingredienti di base come l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il carbonio esistono un po’ dappertutto e che questi, aggregandosi, servono come materiali della struttura vivente. Ma, scoperti i mattoni della vita, il resto è buio completo! Resta solo questo racconto della nuragheologia, che non è racconto mitologico ma una esperienza vissuta da lontani progenitori, che può essere e non può essere!”
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Poi De Muro scrive anche sulla Grotta del Bue Marino:
“Sicché, quando i giovani saranno i vecchi e i vecchi saranno i giovani l’avvenimento ricordato con quella scrittura figurata, nella parte della grotta del Bue Marino e non solo in quella ma in mille altre grotte marine e terrestri dell’isola, se queste fossero state lasciate intatte con la loro storica narrazione, si ripeterà, cioè, l’incontro avvenuto nell’isola tra i Sardi che avevano esperienze di galazzoni e quindi a conoscenza dell’esistenza, non solo di altre infinite umanità più o meno a somiglianza della nostra, ma anche di infiniti altri pianeti, più o meno consimili alla terra, coi quali è possibile, un incontro, come quello già avvenuto circa tremila anni fa.
Si dirà che questo è fantascienza, ma non lo è affatto, perché un simile avvenimento è scientificamente probabile che sia avvenuto, perché, oggi, siamo in grado di provare che a quell’epoca, un gruppo di pianeti della Via Lattea e precisamente quelli della costellazione di Sino si trovavano dalla terra, per via dell’eterno spostarsi nell’universo, a circa cinquanta anni luce di distanza (la galassia è un disco di centomila anni luce). A quella distanza era possibile «incontrarsi», perché, i Sardi e quindi gli extra terrestri ancora di più, i loro «messaggi» li trasmettevano con la percezione sensoriale (oggi purtroppo un esercizio impossibile per l’uomo non più addestrato da sessanta generazioni) il che permetteva loro di ricevere e trasmettere col pensiero, ad una velocità di gran lunga superiore ai trecentomila chilometri al minuto secondo.”
C’è un fatto testimoniale incontrovertibile, che nessuno può negare, ed è che in Sardegna, nelle sue grotte e anche nelle grotte di altri popoli, esistono ancora e sono alla vista di tutti, delle incisioni o figurazioni schematiche antropomorfe che raccontano questo incontro.
“Non è pensabile che questi esseri umani abbiano perso il tempo a fare ciò per gioco – racconta De Muro – se lo hanno fatto vuol dire che hanno trovato bisogno di eternare e far sapere ai posteri questo straordinario avvenimento. Avvenimento che si ripeterà, ed è questo forse il motivo che li ha indotti a fare quelle iscrizioni in ogni grotta, perché lo capissero e lo sapessero tutti e tutti si preparassero, quando i giovani saranno i vecchi e i vecchi saranno i giovani. Ma quando? Quando quel pianeta si ritroverà nella medesima distanza di quella epoca? Questo è il punto, quando avverrà ciò?
In qualunque tempo avvenga questo ritorno degli uomini blu è un problema che riguarderà le generazioni future, a noi, oggi, ci serve, prendere atto che gli antichi ci hanno lasciato una «notizia», in cui ci dicono che altri esseri umani di altri mondi, sono venuti qui su questo pianeta e che torneranno. Prendiamo atto di questa «documentazione»”
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UOMINI DI ALTRI MONDI DALLA PELLE BLU, RICORDANDO I W56 DEL CASO AMICIZIA
Da sempre gli extraterrestri ci bombardano di notizie, solo che noi non le sentiamo e non le comprendiamo: L’uomo avrebbe perduto tante capacità che lo rendevano simile agli abitanti di altri mondi, allontanandolo da un tipo di vita che asseconda la natura umana. Ma quando questa possibilità di comunicazione era attiva, ecco come avveniva, secondo i precetti di un tempo codificati in sardo, che De Muro ha reso così in lingua italiana:
“Se vuoi avere le orecchie accese, mettiti in testa il casco con le orecchie riceventi, come facevano gli antichi, quando andavano al nuraghe per ascoltare le voci dei pianeti. Narra la storia antica che il casco con le antenne (fatto di sottili fili di rame e pelle di daino), come la protuberanza carnosa (fatta di sensibili organi riceventi) che ha la forma di un vomere, degli uomini blu, sono stati ricordati con le statue di bronzo nascoste in luogo sicuro e che gli stranieri hanno interpretato per un elmo cornuto e un copricapo di ferro”.
Secondo questa antica testimonianza, gli elmi di certi bronzetti sarebbero sormontati da antenne sofisticate, non da corna di animale. Quanto agli “uomini blu”, con tale denominazione venivano chiamati gli abitanti di altri mondi in contatto con i protosardi, secondo un rituale che presentava diverse varianti. Questi esseri somigliano molto alla storia dei W56, si, il Caso Amicizia!!
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In altre parole, certi protosardi comunicavano con gli extraterrestri mettendosi sopra i nuraghi o in un altro luogo dove regnava il silenzio, stesi col corpo nudo su una pietra levigata, in linea con le stesse che emanano energie cosmiche capaci di essere ricevute dai recettori umani. Oltre a ciò occorreva una grande concentrazione che consentiva di ricevere questi suoni muti.
De Muro tratta l’argomento con molta perizia e lo tratta in maniera scientifica segnalando e argomentando su ciascuna fase di quella che fu un esperienza senza pari. I nomi dei 170 Nuraghi, così ben studiati e usati per un fine celeste, la grafia, i petroglifi, le norme di comportamento della nuraghia, i brebus, i precetti salmodiati col tono di voce bassa, i diccius, i racconti popolari, rendono l’idea a chiunque voglia accostarsi e comprendere. Questo materiale, andrebbe preso sul serio, non solo affinché possiate conoscere, ma anche affinché possiate seriamente sperimentare di persona cosa significhi tutto ciò.
di Massimo Fratini

Nefertiti l'Atlantidea

Edgar Cayce è considerato da molti studiosi come uno dei più grandi psichici del ventesimo secolo. Recentemente, è apparso in diversi programmi TV annunciando al mondo che le sue profezie starebbero per avverarsi così come da lui preannunciato . Sorprendentemente, tutte le sue precognizioni le ha ottenute durante uno dei suoi stati di dormiveglia. Il profeta dormiente ha previsto anche che le prove in grado di confutare una volta per tutte l'esistenza del mitico continente perduto di Atlantide e la tecnologia utilizzata dagli antichi terrestri devono essere cercate proprio sotto le monumentali strutture piramidali edificate nella piana di Giza. Ciò che è stato individuato all'interno di una di queste enormi strutture potrebbe rappresentare una scoperta rivoluzionaria e quindi gettare nuova luce sul lignaggio reale della famiglia regnante di Amarna.
La nuova scoperta archeologica sembra dimostrare una certa connessione tra il faraone Akhenaton, la regina Nefertiti e il mitico continente scomparso di Atlantide, un nuovo passo in avanti nel campo dell'archeologia grazie alla scoperta di alcuni antichi manufatti risalenti a 10.000 anni aC!
Carmen Boulter spiega che le sue nuove scoperte ottenute all'interno di un remoto sito in Turchia contenente un gran numero di manufatti egizi, potrebbero rivelare un antico legame tra i popoli mediorientali e il mitico continente di Atlantide. L'evidenza dimostrata dalla scoperta di quella che doveva essere una principessa di Atlantide custodita tra i resti di un'antica tomba apre una serie di interrogativi affinché giungere ad una  corretta datazione dei vari manufatti appartenenti all'Antico Egitto così come quella della civiltà scomparsa di Atlantide. Come spiega Dr.Boulter, la scoperta di alcuni manufatti potrebbe cambiare per sempre ciò che sapevamo dell'umanità antica e l'improvvisa comparsa di  avanzate civiltà! 
La teoria dell'esistenza del continente scomparso di Atlantide, è stata spesso disprezzata dagli accademici che hanno preferito considerarla come un mito senza fondamento. Ciò verrebbe smentito dagli antichi resoconti redatti dal filosofo greco Platone secondo il quale, da qualche parte nell'Atlantico, si celerebbero i resti di un'antica civiltà collassata per via di uno stile di vita perverso e in contrapposizione dei valori spirituali trasmessi dai loro antichissimi rappresentanti. La sorprendente scoperta in Turchia di un'antica tomba nascosta all'interno di una montagna non ha fatto altro che innescare una serie di accesi dibattiti e polemiche soprattutto tra gli esperti di antiche reliquie. 
Boulter è considerato da molti per essere un affermato ed esperto egittologo grazie anche alle sue scoperte riportate nel suo libro 'Il Codice della Piramide' il cui contenuto potrebbe cambiare definitivamente il nostro modo di guardare il livello di sviluppo tecnologico e spirituale dei popoli antichi. 
Il suo profondo coinvolgimento in questa sorprendente scoperta non solo ha dato grande credibilità alla teoria atlantidea, ma ha anche permesso agli esperti di condurre  rigorosi test scientifici su alcuni antichi reperti rinvenuti all'interno delle tombe egizie. I primi sorprendenti risultati hanno dimostrato che tali oggetti sembrano risalire al 10.000 aC ancor prima della comparsa dei classici manufatti dinastici dell'antico Egitto  Tali antichissimi reperti sembrano precedere di molto la civiltà egizia,almeno di 8.000 anni!
Questo lignaggio reale includeva Akhenaton, Amenhotep, Nefertiti, Hatshepsut e Tutankhamon. La scoperta di una presunta principessa Atlantidea potrebbe far sollevare importanti interrogativi sulla vera storia dell'umanità.
Probabilmente la stirpe dinastica di Amarna potrebbe essere un patrimonio di sangue trasferito agli adepti dell'antico Egitto da alcuni reali Atlantidei dai quali avrebbero ottenuto elevate conoscenze spirituali e delle capacità psichiche del tutto straordinarie.

mercoledì 6 maggio 2020

Sant’Antioco: Il cavaliere fantasma di Grutti Acqua

Si dice che nell’intorno del sito di Grutti Acqua gli anziani raccomandassero i giovani di non sostare la notte nei sentieri ed il motivo è presto chiaro. Il signore che mi ha raccontato la storia è stato testimone dei fatti quando una notte durante un’escursione insieme ad alcuni amici ed il padre di uno di loro si accamparono nella zona rocciosa circostante il sito di grutti acqua andando a fermarsi proprio su un sentiero.

Durante la notte furono svegliati dal suono emesso da un cavallo al galoppo che sembrava avvicinarsi a loro per poi sparire del tutto quando sembrava arrivato al loro bivacco. Dal momento che i ragazzi non videro nulla pensarono che si trattasse di qualcuno passato li vicino e di aver confuso le distanze a causa del brusco risveglio; ma appena qualche minuto dopo sentirono nuovamente il suono degli zoccoli al galoppo, sempre nella stessa maniera e con la stessa intensità. A questo punto erano già svegli e non riuscirono tuttavia a vedere nulla.

L’anziano del gruppo capì la situazione e ricordando le leggende del posto invitò i ragazzi a spostarsi dal sentiero e poco tempo dopo udirono ancora il cavallo al galoppo che questa volta continuò la sua corsa oltrepassando il bivacco ed allontanandosi senza tuttavia che si vedesse nulla.

La leggenda racconta, infatti, che un cavaliere fantasma percorra la zona sul suo destriero e che sostare sui sentieri impedisca allo spettro di terminare la sua corsa eterna. Anche in questo caso la zona è facilmente raggiungibile a piedi dallo stesso parcheggio di Grutti Acqua.

Olox - Xarystaa (Save)

The musical content of the creative union Andreas Jones and Zarina Kopyrina blows the mind. Olox is fusion of stylish heart rhythms with deep nature voice. The song Xarystaa was dedicated to nature preserving. The video was made by increadible operator who visited a year ago Said lake in Siberia. This place is magic, full of mystics and deep energy. Download a good quality ÙS DOJDU album of Olox: Itunes: https://itunes.apple.com/ru/album/ùs-... Spotify: https://open.spotify.com/album/4JTz6T... Amazon: https://www.amazon.com/gp/product/B07...

I Biloko del Congo



In Congo vi è una leggenda che narra di alcuni nani malvagi chiamati Biloko, dall’aspetto terrificante, vengono descritti come esseri con lunghi artigli e denti affilati, e pare riescano ad aprire talmente tanto la bocca da riuscire ad ingoiare un essere umano in un sol boccone, sul loro corpo cresce erba e vivono nei tronchi degli alberi, inoltre si narra che lancino incantesimi mediante l’uso di campane stregate con le quali ipnotizzano le loro vittime. Biloko
Secondo la leggenda i Biloko sono spiriti malvagi di persone che sono morte odiando la vita, vivono nelle foreste pluviali del Congo centrale e il loro compito è fare la guardia alle foreste.
Le popolazioni locali si proteggono da queste creature indossando amuleti o esponendo feticci in grado di annientare i loro incantesimi.
Molte sono le storie che circolano sui Biloko, noti anche come Eloko o Singeloko, una delle più note narra di un cacciatore che portò la moglie nella foresta per controllare alcune trappole per animali, dovendosi allontanare per poco, avvertì la moglie dicendogli di fermarsi e non muoversi per nessuna ragione se avesse udito il suono di una campana, altrimenti sarebbe morta.
Qualche minuto dopo, la donna udì il suono di una campana e la voce soave di un bambino che la chiamava, e contravvenendo a quanto dettogli dal marito, si incamminò in direzione del suono, incontrando ad un certo punto un Biloko.
L’essere terrificante disse alla donna di avere molta fame e lei, praticamente ipnotizzata sotto l’effetto di un incantesimo, dapprima gli offrì il suo pasto consistente in banane e pesce fritto, ma il Biloko rifiutò dicendo alla donna che lui mangiava solo carne umana e che non mangiava da molto tempo, a quel punto allora la donna gli offrì il suo braccio…dopo ore di ricerca il marito ritrovò solo le ossa della donna.
Può sembrarvi assurdo ma questa credenza è molto radicata in Congo e chissà magari in quelle foreste impervie e selvagge qualcosa di sovrannaturale e sinistro si nasconde per davvero.