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giovedì 10 febbraio 2022

PANTÀSEMA: stregheria negli abruzzi (XV) – I nomi delle Streghe



La strega si manifesta sotto varie forme e assume nomi e caratteristiche differenti in base alle località in cui vive. Ogni regione d’Italia possiede un proprio folclore e conferisce alle streghe i nomi più disparati, contribuendo a creare per queste creature una famigliola popolosa e variegata.
Spesso per esorcizzare le nostre paure sentiamo il bisogno di rappresentarle, nella speranza che passino. Il mistero, ma anche l’ignoranza, che circonda questa immagine di donna-strega fa ancora molto discutere.
In passato tutte le negatività erano imputate alle streghe: per spaventare i bambini: “attenti alla strega!”; per gli uomini potenti: “sortilegio di strega!”. Non dimentichiamo, però che “la strega” è anche una donna, una donna volutamente raffigurata con sembianze repellenti…
Ma, in realtà, chi era la Strega?
In Calabria e in Basilicata incontriamo le Abitatrici dei campi che rapiscono i bambini dalle culle e li nascondono nei tronchi delle querce. La loro natura non è ben chiara e alcuni le definiscono Fate.
In Sicilia sono presenti le Animulari che hanno venduto la loro anima al diavolo; con opportuni unguenti e formule magiche passano attraverso le fessure di porte e finestre. Di notte volano azionando l’arcolaio. Il loro nome deriva dal termine dialettale anunulu, che significa arcolaio.
Le Bàzure sono nei dintorni di Savona: vengono chiamate anche streghe marinare, perché possono sia navigare durante le tempeste che scatenarle, rovinano la farina per il pane nei mulini, il vino nelle botti e rapiscono i neonati per succhiargli il sangue.
Le Bele butèle sono molto avvenenti quando si mostrano nell’aspetto umano. In realtà hanno zampe caprine o equine, braccia di scimmia e orecchie lunghe
Le Beate donnette sono popolari nelle province di Trento e Vicenza e talvolta vengono scambiate per le Fate traendo in inganno. Le Bele butèle, proprie della tradizione veneta (come le Beate donnette), hanno un nome che inganna gli incauti e sono molto avvenenti quando si mostrano nell’aspetto umano. In realtà la loro natura è ben diversa: hanno zampe caprine o equine, braccia di scimmia e orecchie lunghe. Le bele butèle vanno in cerca di uomini che si attardano la sera prima di rincasare, dopo l’Ave Maria. È in quell’ora che sono pericolose. Bambini e donne, quando in casa non sono presenti gli uomini, corrono un pericolo maggiore perché possono essere prelevati e scannati.
Le Genti beate è un altro nome delle streghe che trae in inganno. Sono diffuse nel veronese e qualcuno le ascrive alla famiglia delle Fate, più precisamente alle anguane¹. Vivono nelle grotte e si riuniscono la notte per tenere i loro concili. Vanno a caccia di serpenti, uccelli e caprioli, di cui si nutrono. Per qualcuno si tratta perfino di spiriti, che vivono nei pressi delle sorgenti.
Le Cogas sono streghe della tradizione sarda. Una coga è la settima figlia in una famiglia in cui sono nate sette femmine. La leggenda la vede volare a cavallo di una scopa e succhiare il sangue dei neonati. Può persino trasformasi in una mosca per entrare nelle case. Per combattere le cogas è sufficiente lasciare un abito rovesciato nella stanza in cui il bambino dorme. Nel caso si avvertisse l’arrivo della strega, simile al rumore della caldaia battuta, era sufficiente rovesciare un indumento e la coga cadeva a terra nuda. Ad Agosto, in provincia di Cagliari, viene celebrata una festa in suo onore, che dura tre giorni. Delle cogas esiste anche la versione maschile, i cogus.
Le Gatte masciare possono trasformarsi in gatti e girovagare per la città di notte operando i loro malefici.
Le Gatte masciare si trovano a Bari, possono trasformarsi in gatti e girovagare per la città di notte operando i loro malefici. Al tramonto, si dice, queste donne si ungono di olio masciaro, che permette loro di potersi gettare nel vuoto dai tetti delle case, e volare. Ecco dunque che ritorna l’unguento come uno degli strumenti magici delle streghe. Il termine masciaro sembra derivi dal latino megaera, da cui appunto proviene il nostro megera, che significa strega, maga. C’è un piccolo collegamento fra le gatte masciare pugliesi e le cogas sarde: se un uomo era convinto che un gatto fosse in realtà una strega, poteva recitare una formula magica e il gatto si sarebbe immediatamente trasformato in una donna nuda. I masciari erano coloro i quali si erano venduti al demonio e potevano così entrare in possesso di poteri straordinari.
Le Janare sonno terribili streghe della Campania, brutte e con lunghe zanne di cinghiale. Nei pressi di Caserta esiste il monte Ianaro, che da loro ha preso il nome. Vestono con un mantello nero macchiato di sangue. Diventando vento potevano penetrare nelle fessure delle finestre; si dice che rubassero asini e cavalli nelle stalle riportandoli all’alba stremati. Il nome probabilmente deriva da Dianare, le sacerdotesse di Diana.
L’elemento che accomuna queste creature è l’acqua.
Le Lavandaie hanno diverse appartenenze: possono essere fate, ma anche fantasmi. In alcuni casi si tratta però di streghe. L’elemento che accomuna queste creature è l’acqua. Sono donne viste nei pressi di una sorgente a lavare panni. Si fanno aiutare dai viandanti incauti, che sono così costretti a strizzare i panni finché si ritrovano spezzate le ossa delle braccia. Le streghe lavandaie possono anche rapire bambini dalle case e la loro sorte è in questo caso peggiore, perché le piccole vittime sono sbattute sulle rocce in continuazione, come fossero delle lenzuola. Questa leggenda è propria della penisola d’Istria.
Le Masche: la tribù di queste streghe è attiva in Piemonte, ma ve ne sono tracce anche in Lombardia e Liguria. Il termine sembra di origine celtica. Contro i malefici e le fatture delle masche si usavano diversi rimedi, come alcune gocce d’acqua nel latte o sale benedetto nel burro o foglie di ulivo benedetto nelle sorgenti.
La Missuia è una strega particolare, perché ha la facoltà di trasformarsi in scrofa. Con sé ha dodici maialini, uno per ogni mese dell’anno. È una strega che si trova in Svizzera, ma che può anche comparire in Italia. Si limita a fare baccano con la sua dozzina di figli e a cantare in coro.
tempestare
Le Tempestare controllano gli agenti atmosferici e sono proprie di tutta la nostra penisola.
Le Tempestare sono proprie di tutta la nostra penisola e si tratta di streghe e stregoni, che hanno ormai da tempo imparato a controllare gli agenti atmosferici. Possono procurare bufere, tempeste, grandinate e rovinare così i raccolti. Si dice che la bora, il ben conosciuto vento triestino, sia causata da streghe del luogo. Nella zona di Brescia due disastri, che hanno causato la perdita di centinaia di alberi, sono attribuiti all’azione di queste streghe. Nella provincia di Belluno impazza la Stria della Diassa, altrimenti detta “strega del ghiaccio“. Padrona degli elementi atmosferici invernali, può scatenare bufere di neve e valanghe. Nessuno ne conosce l’aspetto.
La Vecia barbantana: questa strega arriva dal Veneto e la sua caratteristica, molto temuta dai bambini, è di camminare in continuazione per i centri abitati, catturando i bambini sperduti e nutrendosene.
La Zöbia: si tratta di una tribù si streghe che vive in Lombardia. Il nome potrebbe significare giovedì, poiché è il giorno del loro sabba. Sono anche dette zöbiane o giubbane. Non sembra molto malefica, anzi si limita a entrare nelle case dai camini attendendo il risotto tradizionale, oppure fa sparire i vestiti delle donne, trasformandoli in gomitoli di refe², in modo che esse si ritrovino in strada quasi nude.
la_terza_madre
Infine le Madri: il nome, che non dovrebbe ricondurre a esseri demoniaci, si ricollega alle ben note tre madri³ della cinematografia, nei film di Dario Argento. Nel folclore della provincia di Trapani le madri sono streghe brutte, orribili, che hanno occhi gialli e pupille ovali, elemento caratteristico dei gatti. Sono in grado di lanciare malefici e sortilegi e conoscono le arti magiche. In Calabria queste streghe sono conosciute come magare e magarat.
Nomi di donne, nomi di streghe.
Paese che vai, strega che trovi. Nei precedenti articoli sulla Pantàsema, antica figura femminile legata ai riti agricoli della cultura pagana del centro Italia, ho cercato di fornire al lettore qualche notizia in più a completamento del semplice appellativo strega, il cui equivalente è donna saggia. Durante tutto il periodo dell’Inquisizione erano proprio le donne sagge, le donne di potere, che dovevano sparire, e così è stato.
Note:
¹Anguana: creatura legata all’acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa e tipica della mitologia alpina.
² Refe: Filo molto robusto, ottenuto dall’intreccio di più capi.
³Le Tre Madri: trilogia cinematografica horror italiana. E’ composta dai film: “Suspiria” (1977), “Inferno” (1980) e “La terza madre” (2007) diretti dal regista Dario Argento. Ciascun film tratta di una delle “Madri,” una triade di antiche e malvagie streghe che con i loro poteri possono manipolare gli eventi del mondo su scala globale.
Fonti: I nomi delle streghe sono tratte dall’articolo di Daniele Imperi pubblicato il 22/08/2012 “Stregoneria, streghe e stregheria: le origini, la storia, le tipologie” [divider]

sabato 11 luglio 2020

Ildegarda

Nonostante nel medioevo vi sia una fioritura di fenomeni mistici e di monaci e monache visitati da visioni, furono in realtà rarissimi i casi in cui tali visioni vennero accreditate come veritiere e profetiche, come per Ildegarda. Fra i criteri importanti, allora come ora, l'assenza di narcisismo: Ildegarda non si auto-nomina profetessa e non pubblica il contenuto delle sue visioni fino ai suoi 45 anni, quando le giunge l'ordine esplicito di farlo. Sottopone alle autorità ecclesiastiche le sue parole e attende di essere esaminata dalla commissione nominata dal papa per questo. Ricevuto l'assenso, inizia a dettare pagine e pagine su ogni aspetto dello scibile, dall'astronomia alla medicina, dalla fisica alla teologia, dalla filosofia alla cristalloterapia. In ogni campo, emerge l'aspetto dinamico delle visoni, che le si presentano innanzitutto come immagini in movimento.

Le visioni la accompagnano fin da piccolissima. Come racconta lei stessa:
"Nel mio quinto anno di vita vidi una luce così grande che la mia anima ne fu scossa, però, per la mia tenera età, non potei parlarne...

sabato 25 aprile 2020

Gostanza da Libbiano Diocesi di Lucca 1535 - c. post. 1594

Nel XVI secolo in Toscana l’uso del cognome era ancora limitato alle famiglie dell’élite. Per identificare tutti gli altri si aggiungeva al nome proprio il nome del padre o quello del paese d’origine. Ma nel caso di Gostanza, filatrice, levatrice, guaritrice, indovina e presunta strega vissuta nella Toscana del secondo Cinquecento, seguiremo l’uso dell’unica fonte che ci informa delle sue vicende biografiche, il processo verbale dell’inchiesta inquisitoriale per stregoneria alla quale Gostanza fu sottoposta a San Miniato, nel Ducato di Firenze facente parte della diocesi di Lucca, nel novembre del 1594. «Monna Gostanza da Libbiano» in realtà non era nata a Libbiano e non vi risiedeva al momento dell’arresto. La scelta da parte degli inquisitori di questa località per identificare la donna non fu casuale. Libbiano era infatti il paese nel quale Gostanza si era trasferita una volta rimasta vedova, nel quale aveva cominciato la sua attività di levatrice e guaritrice, conquistandosi una certa nomea. Non è neppure casuale che Gostanza abbia iniziato a dedicarsi in modo “professionale” a questa attività dopo la morte del marito, un evento traumatico che esponeva spesso le vedove a una condizione di solitudine e fragilità economica, premesse dell’emarginazione sociale.
Le ragioni che portarono Gostanza di fronte all’Inquisizione devono infatti essere cercate nella situazione contraddittoria in cui veniva a trovarsi una figura come la sua; nella mescolanza di disprezzo, timore e sospetto con cui veniva considerata dai compaesani e dalle autorità. Gostanza, come molte altre vetulae che assistevano le donne al parto e si dedicavano alla medicina popolare, era una donna sola, marginale, ma tuttavia dotata di un certo potere e di un certo ambiguo prestigio che le derivava delle sue vere o presunte capacità taumaturgiche. Una donna alla quale molti erano spinti a rivolgersi nei momenti di maggiore necessità, come i parti o le malattie. D’altro canto, proprio in virtù di questi poteri, naturali o soprannaturali (la distinzione era all’epoca meno ovvia di quanto oggi non apparirebbe) queste dominae herbarum, erano temute e spesso odiate. Chi sa curare in fondo sa anche far ammalare – “guastare”, come si diceva bambini, uomini, bestie e raccolti – e persino uccidere. Un parto finito male, una malattia che la donna non fosse riuscita a guarire, lasciavano uno strascico di risentimenti e il bisogno di trovare un capro espiatorio.
Inoltre, dal tardo medioevo ma ancor più nell’età della Controriforma e dello sforzo della Chiesa cattolica per sradicare quelle credenze popolari, la guaritrice, prima tacitamente tollerata, era diventata una figura sospetta e l’origine dei suoi poteri veniva attribuita a un patto con il demonio. Anche per la gente comune, dunque, i confini fra conoscenza empirica dei rimedi vegetali, magia bianca e magia demoniaca si facevano fluidi, e il giudizio dell’opinione pubblica su queste donne pericolosamente incerto. Nel corso del processo, ad esempio, il ciabattino Mastro Pasquino dichiarò inizialmente di «conoscere detta monna Gostanza per donna da bene» ma che quando era «ito per sua negotii a Bagno, ha inteso dire che l’è una strega et maliarda». Chi aveva invece le idee chiarissime in materia era il giovane inquisitore francescano Mario Porcacchi, che dalla letteratura sulla stregoneria aveva ricavato un’immagine per lui chiara della natura demoniaca e dei delitti che le streghe commettevano per istigazione del loro signore.
E quest’immagine Mario Porcacchi riuscì ad imporla, anche tramite il ricorso alla tortura, alla sua vittima: la povera Gostanza confessò quindi la partecipazione al Sabba, con le inevitabili sregolatezze alimentari e sessuali, fino al congiungimento carnale con il “Gran Diavolo” e ovviamente i malefici contro compaesani ostili. Un racconto, quello di Gostanza che assomiglia a migliaia di altri in Italia e in Europa, ma con alcuni interessanti scostamenti. Innanzitutto il suo è un Sabba urbano, che non si svolge in remote località di campagna ma in una città «più bella di Firenze, dove ogni cosa è messa a oro». Gostanza vive dopotutto in una delle regioni più ricche e urbanizzate d’Europa. Inoltre, pur ammettendo i connubi con il demonio e i malefici, Gostanza ebbe l’accortezza di non confessare mai quella che per gli inquisitori era la colpa più grave, ovvero l’apostasia, il rinnegare esplicitamente la fede.
A salvarla – perché la sua è stata fortunatamente una storia a lieto fine – contribuì forse anche questo elemento, ma soprattutto il crescente scetticismo e la crescente prudenza della Chiesa cattolica nei confronti della stregoneria. Di questo orientamento, nella nostra vicenda si fece interprete l’inquisitore di Firenze, Dionigi di Costacciaro, intervenuto in un secondo tempo nel processo, che imporrà al suo giovane e intransigente collega di rimettere in libertà Gostanza perché «alla fine s’è veduto che cotesta povera vecchia tutto a detto per tormenti e non è vero niente».
(in foto Liliana Castagnola, attrice)

sabato 7 dicembre 2019

Dal Malleus Malleficarum


Una delle tecniche di tortura in voga presso Santa Romana Chiesa, nel periodo che va dal 1480 al 1650, inflitte alle streghe ed agli eretici, consisteva nel prendere un topo vivo e di inserirlo nella vagina o nell’ano con la testa rivolta verso gli organi interni della vittima e spesso, l’apertura veniva cucita. La bestiola, cercando affannosamente una via d’uscita, graffiava e rodeva le carni e gli organi dei suppliziati.

martedì 26 novembre 2019

L'acqua Tofana

«L'uomo uccide con la forza
e la lama è la sua arma,
la donna uccide con astuzia
e il veleno è il suo espediente»
Il veleno è da sempre l'arma di difesa e offesa di moltissimi animali e piante, ma l'uomo ha saputo estrarlo ed usarlo per uccidere i propri simili per poter affermare e continuare il proprio albero genealogico.
In passato si usava dire che il veleno era l'arma preferita dalla donne perché procura una morte invisibile, atroce e molte volte senza lasciare tracce. In realtà il veleno è ed è stato largamente usato anche dagli uomini, che ne hanno fatto il mezzo più adatto per sviare i sospetti e simulare una morte naturale.
Anche in Italia abbiamo avuto alchimisti e erboristi che hanno estratto e sperimentato veleni mortali, ma uno dei più letali è sicuramente "l'acqua tofana", conosciuta anche come acqua perugina, acqua di Napoli o Manna di San Nicola.
Tra il XVII e il XIX secolo l'acqua tofana venne ampiamente utilizzata da Roma in giù, specialmente dalle donne che, insoddisfatte dei propri mariti (o smaniose di denaro), volevano diventare vedove il prima possibile.
La scoperta (o meglio la prima fabbricazione) viene attribuita a Giulia Tofana, una cortigiana originaria di Palermo che nel 1640 elaborò la ricetta della pozione mortale. Incolore, insapore e inodore, era un'arma micidiale con cui eliminare una persona senza destare alcun sospetto, anche perché l'effetto era ritardato di giorni e nessuno riusciva a ricondurre la morte ad altro che un attacco di cuore.
Giulia Tofana con la sua acqua divenne ricchissima e le richieste erano talmente numerose che dovette comprare una distilleria per poter far fronte a tutti. La donna assunse la nomea di "fattucchiera", ma nonostante questo ogni giorno alla sua porta si presentavano persone di ogni età e casta a comprare il suo veleno. Eri insoddisfatto del coniuge? Il tuo vicino ti rubava il raccolto? Un giovanotto faceva smanceria a tua figlia? Il tuo rivale politico ti metteva in ridicolo? Nessun problema: gli si offriva da bere e tutto finiva nel migliore dei modi, ovviamente non per chi beveva…
L’acqua tofana aveva la stessa consistenza dell'acqua e poteva essere tranquillamente diluita in ogni bevanda senza creare reazioni sospette. Secondo gli scritti del tempo per crearla bisognava seguire alla lettere la ricetta originale stilata da Giulia Tofana, che era più o meno questa:
Si metteva dell'acqua in una pentola e si aggiungeva arsenico macinato e limatura di piombo o di antimonio e si metteva il tutto a bollire premurandosi di coprire la pentola in modo che l'acqua non evaporasse. Quando l'acqua tornava limpida e incolore la pozione era pronta e poteva essere imbottigliata. E' probabile che la mistura contenesse anche belladonna, ma non venne mai dimostrato. In ogni caso ne risultava una soluzione di sali di arsenico e piombo ad altissimo tasso di tossicità che bastava versare nel vino o in una minestra.
In genere provocava vomito e dopo qualche giorno sopraggiungeva la febbre; la morte per avvelenamento avveniva qualche giorno dopo, a seconda della dose ingerita dalla vittima.
Per celare il reale scopo della sua acqua Giulia Tofana la vendeva come cosmetico o come acqua benedetta di san Nicola (più tardi addirittura la si imbottigliò in fialette recanti l'immagine del santo) e in pochi anni, solo a Roma, le morti sospette legate a quell'intruglio furono centinaia.
A svelare il veleno mortale fu una donna pentita di aver ucciso il suo consorte che si andò a confessare e fece anche i nomi dei fornitori e delle comari che lo avevano utilizzato.
Lo scandalo culminò nel famoso “processo dei veleni” del 1659 in cui vennero imputate 46 donne. Nessuna di loro ricevette la grazia e, per monito alla gente, alcune furono impiccate nel Campo de’ Fiori, altre furono murate vive nelle carceri dell’Inquisizione.
Una variante dell'acqua tofana era già in voga nel 1630 e veniva chiamato "liquore mortifero". Lo scopo era lo stesso (eliminare una persona scomoda), ma in realtà era acqua in cui venivano messi a mollo topi morti di peste o presi dalle fogne. Si diceva che poche gocce bastassero per essere contagiati dal terribile morbo.
La paura del contagio portò ad una vera e propria isteria di massa, e a Roma si diffuse l'idea che alcuni uomini scellerati usassero il liquore mortifero per versarlo in fontane, pozzi e in ogni luogo dove vi fosse dell'acqua. perfino le acquasantiere delle chiese. Quella credenza scatenò il sospetto in chiunque si immettesse in luoghi comuni come taverne o il mercato e a volte nascevano risse o discussioni per le cose più frivole. La leggenda vuole che nessuno entrando in chiesa osasse più bagnarsi la mano con l’acqua benedetta e un giorno, quando il sacrestano della chiesa di S. Lorenzo Damaso vide un poveretto intingere le dita per farsi il segno della croce, cominciò a gridare all'untore provocando nella basilica un fuggi fuggi generale

sabato 7 settembre 2019

Il Malleus Maleficarum



Fra il 1227 e il 1235 una serie di decreti papali instaurò l’Inquisizione con lo scopo di reprimere le azioni malvagie di streghe ed eretici. La bolla "Ad extirpanda" del 1252 di Papa Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura per estorcere confessioni di stregoneria da parte delle persone "ragionevolmente sospettate".
Dal 1257 al 1816  l’Inquisizione torturò e uccise molte migliaia di persone (si pensa milioni) innocenti accusate di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate in base a confessioni estorte col terrore della tortura. Se confessavano erano dichiarate colpevoli, se invece non lo facevano erano considerate eretiche e passavano giorni atroci di continue torture finchè morivano o rimanevano invalide a vita. Spesso poi quelle che resistevano anche alla tortura venivano arse lo stesso sul rogo con un'altra accusa, solitamente di stregoneria. Era praticamente impossibile sfuggire alla propria sorte.
Si stima che nei tre secoli più attivi, dalla metà ‘400 al '700, furono sterminati 9 milioni di innocenti, e la cosa peggiore è per l’80% si trattava di donne e bambine. I loro beni venivano confiscati al momento dell’accusa e l’intera famiglia di riflesso veniva spodestata di ogni bene. 
Gran parte delle accuse erano dovute al desiderio di impossessarsi dei soldi di un proprietario terriero, oppure di eliminare una persona scomoda, o ancora per invidia. Le accuse erano le più disparate: stregoneria, provocare le tempeste e le carestie, essere indovini, essere guaritori manipolati del diavolo, praticare riti funerari non cristiani, ecc.. Ogni attività in contrasto con la Chiesa veniva utilizzata per accusare uno sventurato.
Il Malleus Maleficarum fu compilato e scritto da due monaci inquisitori domenicani, Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, che nel testo sostenevano di avere ricevuto poteri speciali per processare le streghe in Germania per ordine di Papa Innocenzo VIII con un decreto papale del 5 dicembre 1484.
I giudici di allora, con il manuale del Malleus davanti, incriminavano il sospettato secondo il principio per cui "il reo deve accusarsi da solo e se non lo fa volontariamente qualsiasi mezzo è lecito". Uno dei metodi più utilizzati per attuare i principi del manuale era buttare in acqua colui che era ritenuto colpevole con un masso legato al collo; se affogava (ma guarda un po’!) era connotazione di colpevolezza e di peccato, se restava a galla era un indemoniato e pertanto andava giustiziato sul rogo.
In quei tempi l’Inquisizione trasformò il Malleus Maleficarum in una vera arma nelle sue mani, istituendo un regno di terrore su tutto il territorio europeo.
Le regole erano molto semplici: ogni processo in cui avessero giurato due o più testimoni veniva considerato valido e giusto e non importava investigare se i testimoni erano effettivamente a conoscenza dei fatti o meno. Bastava semplicemente che affermassero qualcosa che conducesse a screditare malcapitato. Immaginate quindi come ci si procurava i testimoni al tempo: minacce, o più spesso indulgenze o ricompense in denaro; a volte addirittura erano loro stessi accusati, ma si dava loro quella come una via di salvezza, ovvero accusare un altro per salvarsi la pelle.
Le domande trabocchetto prosperavano in ogni interrogatorio, architettate allo scopo di ingannare il presunto reo e mettere in condizioni i testimoni di rispondere secondo prassi.
Per fare un esempio di questi trabocchetti pensate a domande del genere:

«Voi credete al demonio, alle fatture e alla possessione?»
«No, non ci credo!» (un sì avrebbe concluso il processo già qui)
«Dunque per voi le donne bruciate sono state condannate di stregoneria ingiustamente?»

La risposta che dava la sciagurata di turno a questo punto non aveva più nessun valore, perché la colpevolezza era stata accertata dalla prima replica, dal fatto che non credere nella stregoneria trasformava il tutto in vera eresia.
Quando una strega veniva riconosciuta e posta agli arresti venivano prese varie precauzioni affinchè non potesse più nuocere e i suoi poteri venissero azzerati:
- le veniva negato di calpestare il suolo terreno per non aver contatti con Satana, il cui regno era risaputo dimorare negli abissi della terra, e veniva posta in una cesta e sollevata da un’asse;

- quando ’ella era di fronte al Giudice supremo doveva essere presentata di spalle, così da evitare ogni possibile tentativo di contagio con gli occhi;

- i magistrati stessi ordinavano alle guardie di non avvicinarsi alle sospettate per non venire a contatto con la loro carne infetta;

- i giudici più superstiziosi portavano al collo dei sacchetti contenenti erbe benedette e sale consacrato nella domenica delle palme, il tutto sigillato con una speciale cera. 
La paura era il grande alleato degli inquisitori e in parecchie situazioni vanificava l’uso della tortura stessa. Il Malleus consigliava ai magistrati che l'accusato fosse denudato e, se femmina, che fosse condotta in galera e lì denudata da donne pure e illibate per ammansire la sua mente e imprimerle la consapevolezza dei suoi peccati.
Il Malleus Maleficarum è infatti stato scritto come un manuale dal duplice insegnamento:

- quello che conoscono tutti, ovvero metodi corporali per esortare il presunto eretico o presunta strega a confessare i suoi crimini (la tortura): normalmente bastavano questi "accorgimenti" a costringere un prigioniero a confessare qualunque reato gli si volesse imputare;

- quello psicologico, ovvero giocare sulla psiche del malcapitato e obbligarlo a confessare di sua spontanea volontà: nei primi decenni la tortura portò alla morte di moltissime persone, ma molte di queste fino alla fine rifiutarono di ammettere i peccati che non avevano commesso; la Chiesa sapeva bene che così facendo la sua dottrina sarebbe stata messa in discussione e le vittime sarebbero state viste come martiri. Ecco perchè nelle successive pubblicazioni del manuale si inserirono tecniche per incutere timore (in realtà vero e proprio terrore) nei prigionieri, giocando sui loro affetti, sulla loro credibilità, sui loro dubbi e soprattutto sulla loro ignoranza.

Caccia alle streghe...



Si stima che nei tre secoli più attivi, dalla metà del ‘400 al '700, furono sterminati 9 milioni di innocenti, e la cosa peggiore è per l’80% si trattava di donne e bambine. I loro beni venivano confiscati al momento dell’accusa e l’intera famiglia di riflesso veniva spodestata di ogni bene. 
Gran parte delle accuse erano dovute al desiderio di impossessarsi dei soldi di un proprietario terriero, oppure di eliminare una persona scomoda, o ancora per invidia. Le accuse erano le più disparate: stregoneria, provocare le tempeste e le carestie, essere indovini, essere guaritori manipolati del diavolo, praticare riti funerari non cristiani, ecc.. Ogni attività in contrasto con la Chiesa veniva utilizzata per accusare uno sventurato. Da qui viene l'enorme patrimonio immobiliare della Chiesa.

domenica 19 maggio 2019

La bolla papale "Ad extirpanda": torturare è lecito.


Il15 maggio 1252 papa Innocenzo IV, nell' ambito della lotta ai movimenti ereticali che furoreggiavano in quel XIII secolo (come per esempio quello della mistica protofemminista Guglielma la Boema, che predicava in Milano),  emana la bolla "Ad extirpanda". Con questa bolla il papa autorizza il ricorso alla tortura per estorcere confessioni ai sospetti di eresia, categoria che includeva non solo gli eretici in senso stretto, ma anche coloro che seguivano altre fedi o tradizioni: gente come i catari od i valdesi ma anche streghe, guaritrici, herbane...
Il nome della bolla viene da uno dei suoi passaggi iniziali, dove si legge 《Ad extirpanda de medio populi christiani haereticae pravitatis zizania...》ovvero 《Per estirpare la diffusione nel popolo cristiano della maligna perversione eretica...》 e la sua emanazione segue di poco  e non casualmente l'assassinio dell' inquisitore generale di Milano Pietro da Verona, che il 6 aprile era stato ucciso a roncolate in testa nel bosco di Farge a Seveso (Milano) da cittadini comuni e catari esasperati dalla sua spietatezza - per divenire poi santo taumaturgo contro l'emicrania. Era insomma in corso quasi una guerra e non sarebbe del tutto sbagliato dire che le radici della nostra cultura sono cristiane perché se ne avevi altre le bruciavano

(In foto dal web: raffigurazione della diffusissima tortura detta "del tratto di corda" e considerata (dagli inquisitori) lievissima: le braccia venivano legate dietro la schiena ed ai polsi era collegata una fune tesa da una ruota, girando la quale il malcapitato veniva sollevato da terra con conseguente immediata lussazione delle spalle. Ulteriore aggiunta potevano essere i "tratti" ovvero lasciar andare all' improvviso un tratto di corda cosicché la vittima, precipitando ma senza toccare terra, subisse ulteriori dolorisissimi strappi, resi ancora peggiori dall'aggiunta di pesi ai piedi)

lunedì 18 febbraio 2019

Paese che vai, Strega che trovi.



La strega si manifesta sotto varie forme e assume nomi e caratteristiche differenti in base alle località in cui vive. Ogni regione d’Italia possiede un proprio folclore e conferisce alle streghe i nomi più disparati, contribuendo a creare per queste creature una famigliola popolosa e variegata. Spesso per esorcizzare le nostre paure sentiamo il bisogno di rappresentarle, nella speranza che passino. Il mistero, ma anche l’ignoranza, che circonda questa immagine di donna-strega fa ancora molto discutere. In passato tutte le negatività erano imputate alle streghe: per spaventare i bambini: “attenti alla strega!”; per gli uomini potenti: “sortilegio di strega!”. Non dimentichiamo, però che “la strega” è anche una donna, una donna volutamente raffigurata con sembianze repellenti… Ma, in realtà, chi era la Strega? In Calabria e in Basilicata incontriamo le Abitatrici dei campi che rapiscono i bambini dalle culle e li nascondono nei tronchi delle querce. La loro natura non è ben chiara e alcuni le definiscono Fate. In Sicilia sono presenti le Animulari che hanno venduto la loro anima al diavolo; con opportuni unguenti e formule magiche passano attraverso le fessure di porte e finestre. Di notte volano azionando l’arcolaio. Il loro nome deriva dal termine dialettale anunulu, che significa arcolaio. Le Bàzure sono nei dintorni di Savona: vengono chiamate anche streghe marinare, perché possono sia navigare durante le tempeste che scatenarle, rovinano la farina per il pane nei mulini, il vino nelle botti e rapiscono i neonati per succhiargli il sangue. Le Bele butèle sono molto avvenenti quando si mostrano nell’aspetto umano. In realtà hanno zampe caprine o equine, braccia di scimmia e orecchie lunghe Le Beate donnette sono popolari nelle province di Trento e Vicenza e talvolta vengono scambiate per le Fate traendo in inganno. Le Bele butèle, proprie della tradizione veneta (come le Beate donnette), hanno un nome che inganna gli incauti e sono molto avvenenti quando si mostrano nell’aspetto umano. In realtà la loro natura è ben diversa: hanno zampe caprine o equine, braccia di scimmia e orecchie lunghe. Le bele butèle vanno in cerca di uomini che si attardano la sera prima di rincasare, dopo l’Ave Maria. È in quell’ora che sono pericolose. Bambini e donne, quando in casa non sono presenti gli uomini, corrono un pericolo maggiore perché possono essere prelevati e scannati. Le Genti beate è un altro nome delle streghe che trae in inganno. Sono diffuse nel veronese e qualcuno le ascrive alla famiglia delle Fate, più precisamente alle anguane¹. Vivono nelle grotte e si riuniscono la notte per tenere i loro concili. Vanno a caccia di serpenti, uccelli e caprioli, di cui si nutrono. Per qualcuno si tratta perfino di spiriti, che vivono nei pressi delle sorgenti. Le Cogas sono streghe della tradizione sarda. Una coga è la settima figlia in una famiglia in cui sono nate sette femmine. La leggenda la vede volare a cavallo di una scopa e succhiare il sangue dei neonati. Può persino trasformasi in una mosca per entrare nelle case. Per combattere le cogas è sufficiente lasciare un abito rovesciato nella stanza in cui il bambino dorme. Nel caso si avvertisse l’arrivo della strega, simile al rumore della caldaia battuta, era sufficiente rovesciare un indumento e la coga cadeva a terra nuda. Ad Agosto, in provincia di Cagliari, viene celebrata una festa in suo onore, che dura tre giorni. Delle cogas esiste anche la versione maschile, i cogus. Le Gatte masciare possono trasformarsi in gatti e girovagare per la città di notte operando i loro malefici. Le Gatte masciare si trovano a Bari, possono trasformarsi in gatti e girovagare per la città di notte operando i loro malefici. Al tramonto, si dice, queste donne si ungono di olio masciaro, che permette loro di potersi gettare nel vuoto dai tetti delle case, e volare. Ecco dunque che ritorna l’unguento come uno degli strumenti magici delle streghe. Il termine masciaro sembra derivi dal latino megaera, da cui appunto proviene il nostro megera, che significa strega, maga. C’è un piccolo collegamento fra le gatte masciare pugliesi e le cogas sarde: se un uomo era convinto che un gatto fosse in realtà una strega, poteva recitare una formula magica e il gatto si sarebbe immediatamente trasformato in una donna nuda. I masciari erano coloro i quali si erano venduti al demonio e potevano così entrare in possesso di poteri straordinari. Le Janare sonno terribili streghe della Campania, brutte e con lunghe zanne di cinghiale. Nei pressi di Caserta esiste il monte Ianaro, che da loro ha preso il nome. Vestono con un mantello nero macchiato di sangue. Diventando vento potevano penetrare nelle fessure delle finestre; si dice che rubassero asini e cavalli nelle stalle riportandoli all’alba stremati. Il nome probabilmente deriva da Dianare, le sacerdotesse di Diana. L’elemento che accomuna queste creature è l’acqua. Le Lavandaie hanno diverse appartenenze: possono essere fate, ma anche fantasmi. In alcuni casi si tratta però di streghe. L’elemento che accomuna queste creature è l’acqua. Sono donne viste nei pressi di una sorgente a lavare panni. Si fanno aiutare dai viandanti incauti, che sono così costretti a strizzare i panni finché si ritrovano spezzate le ossa delle braccia. Le streghe lavandaie possono anche rapire bambini dalle case e la loro sorte è in questo caso peggiore, perché le piccole vittime sono sbattute sulle rocce in continuazione, come fossero delle lenzuola. Questa leggenda è propria della penisola d’Istria. Le Masche: la tribù di queste streghe è attiva in Piemonte, ma ve ne sono tracce anche in Lombardia e Liguria. Il termine sembra di origine celtica. Contro i malefici e le fatture delle masche si usavano diversi rimedi, come alcune gocce d’acqua nel latte o sale benedetto nel burro o foglie di ulivo benedetto nelle sorgenti. La Missuia è una strega particolare, perché ha la facoltà di trasformarsi in scrofa. Con sé ha dodici maialini, uno per ogni mese dell’anno. È una strega che si trova in Svizzera, ma che può anche comparire in Italia. Si limita a fare baccano con la sua dozzina di figli e a cantare in coro. Le Tempestare controllano gli agenti atmosferici e sono proprie di tutta la nostra penisola. Le Tempestare sono proprie di tutta la nostra penisola e si tratta di streghe e stregoni, che hanno ormai da tempo imparato a controllare gli agenti atmosferici. Possono procurare bufere, tempeste, grandinate e rovinare così i raccolti. Si dice che la bora, il ben conosciuto vento triestino, sia causata da streghe del luogo. Nella zona di Brescia due disastri, che hanno causato la perdita di centinaia di alberi, sono attribuiti all’azione di queste streghe. Nella provincia di Belluno impazza la Stria della Diassa, altrimenti detta “strega del ghiaccio“. Padrona degli elementi atmosferici invernali, può scatenare bufere di neve e valanghe. Nessuno ne conosce l’aspetto. La Vecia barbantana: questa strega arriva dal Veneto e la sua caratteristica, molto temuta dai bambini, è di camminare in continuazione per i centri abitati, catturando i bambini sperduti e nutrendosene. La Zöbia: si tratta di una tribù si streghe che vive in Lombardia. Il nome potrebbe significare giovedì, poiché è il giorno del loro sabba. Sono anche dette zöbiane o giubbane. Non sembra molto malefica, anzi si limita a entrare nelle case dai camini attendendo il risotto tradizionale, oppure fa sparire i vestiti delle donne, trasformandoli in gomitoli di refe², in modo che esse si ritrovino in strada quasi nude. Infine le Madri: il nome, che non dovrebbe ricondurre a esseri demoniaci, si ricollega alle ben note tre madri³ della cinematografia, nei film di Dario Argento. Nel folclore della provincia di Trapani le madri sono streghe brutte, orribili, che hanno occhi gialli e pupille ovali, elemento caratteristico dei gatti. Sono in grado di lanciare malefici e sortilegi e conoscono le arti magiche. In Calabria queste streghe sono conosciute come magare e magarat. Nomi di donne, nomi di streghe. Paese che vai, strega che trovi. Fonti: I nomi delle streghe sono tratte dall’articolo di Daniele Imperi pubblicato il 22/08/2012 “Stregoneria, streghe e stregheria: le origini, la storia, le tipologie”

mercoledì 16 gennaio 2019

I sabba di Benevento



Nel VI e VII secolo i Longobardi costituirono il Ducato di Benevento e portarono con loro la tradizioni di riunirsi fuori dalle città, intorno ad un albero sacro, albero di noce, da cui pendeva una pelle di caprone; qui si avevano corse e balli sfrenati. La cosa fu sempre considerata demoniaca dai Cristiani tanto da far abbattere l’albero. Più tardi ai guerrieri longobardi si sostituirono delle donne che venivano considerate malefiche.

Non sappiamo cosa avvenisse realmente durante questi incontri, ma è probabile che il Cristianesimo, per una ragione o per un’altra, vi abbia visto il diavolo in questi “riti”.

Quel che sappiamo è che a Benevento, ancora nel Medioevo, si celebravano riti risalenti al periodo dei Longobardi. Vicino all’albero di noci, che quell’antico popolo utilizzava per i lori riti pagani, le streghe medievali svolgevano i loro sabba. Esse affluivano qui da ogni regione, ognuna accompagnate dal proprio demone.

La Fossa delle Streghe di Cerreto Sannita, dove vennero cacciati i diavoli dopo essere stati sconfitti da San Michele, streghe e demoni si incontravano ogni venerdì; e ogni venerdì notte, le streghe si incontravano anche nel centro del rione Mercatello. Esse continuarono a riunirsi e a celebrare le loro feste attorno ad altri alberi, almeno fino al XVII secolo.

D’altronde, la città fu sempre legata in qualche modo alla magia tant’è che il suo nome in origine era Maleventum (forse da “malìa”, ovvero ,”magia”). Furono i Romani a ribattezzarla Beneventum, in seguito alla loro vittoria contro re Pirro, nel 275 a.C.

A Benevento le streghe inquisite furono centinaia, molte di queste vennero condannate a morte

Esodo 22,17 << Non lascerai vivere una strega >>


Esodo 22,17 << Non lascerai vivere una strega >>

in origine in realtà era: << Non lascerai vivere chi opera nell'oscurità e mormora cose >>

Basta questo a far comprendere l'accanimento che la Chiesa adottò verso le streghe che, pur essendo una loro ideazione per come oggi le conosciamo, dovevano esistere per tutta la popolazione, terrorizzandola, la "caccia alle streghe" era una vera politica del terrore! Andava non solo architettata la figura, ma anche le gesta che queste donne spregevoli compivano.

Come nasce il sabba delle streghe.

Nulla viene inventato, quelle che erano radicate tradizioni popolari vengono manipolate ed ecco che " Il Gioco di Diana ", festa che fino al Medioevo indentificava il gruppo di Sacerdotesse che si riuniva a cantare, ballare, propiziando abbondanza e protezione per la comunità e apprendendo l'Arte , assumerà nuovi ed inquietanti connotati.

Nel XII secolo tale festa, non più tollerata dalla Chiesa, venne bollata come demoniaca, nascerà il Sabba, nome formatosi dall'alterazione del termine ebraico Shabbat, tale espressione compare per la prima volta in un processo del 1446 in Francia.

Non è ancora chiaro agli storici moderni come il copione esatto del Sabba si sia man mano stabilito, nei processi vengono infatti registrate testimonianze identiche, o quasi, difficile resta stabilire se tali particolari venissero confessati spontaneamente dalle poverette convinte di averli vissuti, magari sotto allucinogeni, o se queste non confermassero sotto tortura semplicemente quello che loro veniva messo in bocca dalle domande incalzanti degli inquisitori.

Il Sabba si svolgeva prettamente nella notte tra il Sabato e la Domenica.

Le streghe vi giungerebbero nude volando a cavallo di scope o animali dopo essersi cosparse di unguento. Giunte sul luogo prestabilito, in Italia luoghi famosi di tali ritrovi sono Triora o il Noce di Benevento, ad attenderle troverebbero il Diavolo!

La sceneggiatura rigidamente stabilita prevedeva a questo punto che le streghe baciassero il sedere o i genitali di Satana che presiederà poi la riunione seduto su di un trono intagliato nel legno. Per prima cosa le adepte rinnegheranno la loro precedente religione, calpestando ostie consacrate e crocifissi, bestemmiando ed adorando Satana, in cambio queste riceverebbero il suo Marchio, simbolo che gli inquisitori cercano poi ossessivamente durante i processi.

Non mancava poi l'orgia, ricca di particolari in cui si arrivava persino a descrivere il seme di Satana freddo come il ghiaccio! Prima di concludere il tutto con un ballo sfrenato era previsto un banchetto.

Al canto del gallo il Diavolo distribuiva i poteri ai partecipanti così che, tornando a casa, potessero operare malefici tra le loro genti. Purtroppo ancora oggi questo si crede essere la realtà della stregoneria, le origini dell'Antico Culto sono state spazzate via da un buio Medioevo.

Nel Malleus, che gli inquisitori consultavano, si trova scritto:

 << Tutta la stregoneria deriva dalla lussuria della carne, che nelle donne è insaziabile >>

 In tali affermazioni ed ossessioni per le donne si intravede oggi una proiezione della colpevolezza di una Chiesa allora all'apice della corruzione. Il clero fornicatore, dedito al peccato dell'incontinenza sessuale, moralmente debole ed ossessionato dal peccato, scagliava contro le streghe tutte le sue colpe e vergogne.

Matteuccia Di Francesco

Uno dei primissimi processi è quello svoltosi a Todi, nel 20 Marzo 1428 nei confronti di Matteuccia di Francesco, processata perché reputata per pubblica fama una maliarda, definita con il termine incantrix e accusata di ben 30 capi d’accusa. A lei si rivolgevano, secondo il dossier, cittadini provenienti da tutto il contado, da Todi, Orvieto, Spoleto, in particolare per ottenere elisir d’amore o per impedire o favorire una gravidanza.

“…una certa donna di nome Catarina del Castello della Pieve per averne un rimedio per non rimanere incinta, non essendo ancora sposata ed avendo coabitato varie volte con un certo presbitero…e temeva che poteva verificarsi il caso di rimanere incinta…la detta Matteuccia disse di prendere un’unghia di mula, di bruciarla e ridurla in polvere e di bere detta polvere mescolata al vino, dicendo queste parole, cioè: io te piglio nel nome del peccato, et del demonio maiure, che non possa mai appicciare più…” Negli incartamenti si narra di come la donna, attraverso l’uso di particolari unguenti, potesse trasformarsi in gatta, la “masipula conversa”, dal termine latino musio poi erroneamente tradotto dal Mammoli, che ne riscopre il documento, con il termine di mosca. La trasformazione in gatto non è casuale, l’animale è infatti il famiglio delle streghe per eccellenza.  Molti sono i racconti popolari che narrano di ferite inferte da contadini ai gatti notturni poi ritrovate, il giorno successivo, sul corpo di alcune donne del paese.
Ma soprattutto appare per la prima volta il tema del volo al noce di Benevento, una storia che tristemente diventerà un punto fisso delle confessioni da tortura, Matteuccia sarà la prima strega ad esser condannata per il volo stregonesco corporalier “unguento unguento, mandame ala noce de Benevento, supra acqua et supra vento, et supra omne maltempo”. Anche in questo caso tra gli scritti del processo traspare la voce della corda, e stranamente, dalle accuse di magie e fatture si passa a quello che diventerà lo stereotipo della strega, ecco che “…molte volte andò a Stregato devastando bambini, il sangue degli stessi lattanti succhiando in molti e diversi luoghi…” come quando si recò al castello di Montefalco ove “…sugò e percosse suo figlio [il bambino della castellana Andreuccia n.d.A.] per il qual fatto il bambino si ammolò e si consunse…” e lo stesso fece ai neonati del castello di Canale e di Andria di Perugina.

domenica 30 dicembre 2018

Streghe a Messina: la storia di Margherita Vitello


Messina è nel Cinquecento una città fiorente, tra le più ricche della Sicilia. Suo fiore all’occhiello sono la produzione e il commercio della seta, cui sovrintende dal 1520 il “Consolato dell’arte della seta”. Di questa importante attività oggi rimane traccia solo nel nome di una strada, Via dei Setaioli.

In questo quadro si sviluppa la storia di Pellegrina Vitello, napoletana residente a Messina, sposata a un setaiolo, presto abbandonata per un’altra donna e incolpata da alcune anziane donne di “magarìa”. Fatture, sortilegi, stato di trance mentre guarda una caraffa piena d’acqua, nella quale galleggiano strane cose nere che paiono demoni: queste sono le accuse che vengono rivolte alla giovane donna. Il processo si svolge intorno al 1550. La Corte è presieduta da  Monsignor Bartholomeo Sebastiàn, Vescovo di Patti, che dal 1546 al 1555 ricopre la carica d’Inquisitore Generale di Sicilia. Dopo 14 giorni di prigionia, durante i quali viene sottoposta alla terribile tortura della corda, la “domina nocturna” confessa in parte le sue “magarìe”. L’iniziale condanna al rogo viene commutata. Pellegrina verrà costretta ad essere fustigata mentre si muove in processione lungo le strade di Messina, con un cero in mano e una mitria in testa.

Il destino dei gatti neri

Il gatto fu utilizzato nella caccia ai topi e ad altri animali molesti fin da tempi antichissimi e fu venerato da tantissime civiltà. Il periodo buio per i gatti (e non solo per loro) in Europa inizia nel Medioevo quando il Cristianesimo decise di estirpare tutte le religioni pagane. Il culto della dea-gatta Iside (per gli Egizi), Artemide (per i Greci) e Diana (per i Romani) era ancora molto diffuso e aveva numerosi seguaci in tutta Europa.Ad essere perseguiti come eretici erano in prevalenza gli uomini, in gran parte liberi pensatori che non si volevano sottomettere ai dettami della chiesa cattolica ma anche omosessuali e handicappati. Per le donne, invece, l’accusa era spesso quella di stregoneria.
Il destino dei gatti neri, dal medioevo fino al 1700-1800 circa, fu legato al destino delle donne ritenute streghe.
Nel 1233 papa Gregorio IX emanò la bolla Vox in Rama che è il primo documento ecclesiastico ufficiale che condanna il gatto nero come incarnazione di Satana e dava l’avvallo della chiesa di Roma allo sterminio dei gatti e delle loro padrone,con essa autorizzava lo sterminio, a nome di Dio, di tutti i gatti neri e non. Così facendo, ogni “vero cristiano” poteva torturare e uccidere qualsiasi gatto gli capitasse fra le mani. Gli venivano inflitte le torture più terribili: scorticati, bastonati, bruciati vivi, addirittura crocifissi o buttati giù dai campanili delle chiese durante le festività sacre.Papa Innocenzo VIII (1484-1492) scomunicò ufficialmente tutti i gatti. Nella sua bolla papale Summis desiderantes, emanata nel 1484, istigò misure molto severe nei confronti di maghi e streghe in Germania,si dichiarò aperta aperta la caccia alle streghe e, a quei tempi, ogni persona che veniva vista in compagnia di un gatto o nutrire un gatto era accusata di tale crimine. Moltissime persone persero la vita e vennero orrendamente bruciate e condannate per crimini che non avevano commesso. Tempi duri per gli amanti dei gatti. I principi da lui enunciati vennero in seguito incorporati nel famoso Malleus Maleficarum (noto anche con il nome di Martello delle Streghe), il libro più ignobile utilizzato dalla Santa Inquisizione. Pubblicato per la prima volta nel 1486 in esso vi erano elencati tutti i sintomi e le caratteristiche che bastavano per far sospettare una donna di stregoneria.
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Il prendersi cura di uno o più gatti neri era motivo sufficiente per finire sul rogo. Anche il possesso di scope era fortemente sospetto perchè la pulizia era considerata disdicevole per l’epoca (da qui l’iconografia classica della strega con la scopa). Durante il Medioevo, infatti, furono distrutte tutte le strutture sanitarie pubbliche costruite dai Romani e molti medici finirono sul rogo perchè vi si opposero. Venne abolita l’usanza di fare il bagno e di lavarsi, le case e le città diventarono delle fogne a cielo aperto.Pare che questo odio per la pulizia e per il gatto sia stato favorito dall’atteggiamento cristiano verso l’Islam. Infatti i musulmani avevano molti riti legati ai bagni (dovevano fare le abluzioni, cioè lavare parti del corpo, prima di entrare nella moschea) e rispettavano e amavano il gatto. Il gatto, inoltre, è notoriamente un animale che passa molto tempo a pulirsi. Queste qualità, o almeno considerate tali al giorno d’oggi, furono invece demonizzate.La notte di San Giovanni venivano arsi vivi nelle pubbliche piazze di ogni città, centinaia di gatti chiusi in ceste di paglia. Tutto ciò accadeva in tutta l’Europa che si riconosceva nel cristianesimo.San Francesco, uno dei più grandi Santi che annovera la chiesa, agì in contrapposizione rivalutando il creato e gli animali viventi senza distinzione, ma rimase un caso isolato.Perchè il gatto nero veniva considerato così sinistro? Il gatto è un animale che ama girare di notte e un gatto nero di notte era praticamente invisibile: si vedevano solo gli occhi gialli che brillavano al buio. Il gatto è capace di vedere anche in ambienti poco illuminati da sembrare bui all’occhio umano. La potenza visiva del gatto è favorita anche dall’estrema adattabilità delle sue pupille, che sono circolari quando si aprono al massimo nella penombra, per ridursi a due sottili fessure verticali in piena luce. Si scoprì molto più tardi che gli occhi del gatto, i più grandi fra tutti i mammiferi, riflettono la luce grazie al tapetum lucidum, una struttura cristallina organica situata dietro la retina. Inoltre, grazie al suo finissimo udito ed alla sensibilità tattile delle sue vibrisse, esso è capace di muoversi con assoluta sicurezza anche nel buio più completo. ll nero, poi, era considerato il colore delle tenebre, delle forze infernali, dell’occulto e del lato oscuro.L’orecchio del gatto è in grado di percepire i cambiamenti nell’aria di umidità e di pressione e quindi il gatto ha sostanzialmente la capacità di prevedere i cambiamenti climatici strofinandosi l’orecchio con la zampa. Questa sua abilità, che andava al di là dei cinque sensi, era conosciuta e sfruttata dai contadini ma divenne un’altra caratteristica che faceva associare il gatto a Satana. Infatti uno degli appellativi di quest’ultimo è Principe dell’Aria.Il pelo del gatto, inoltre, assorbe molta energia e emana una notevole carica elettrostatica (il pelo di colore nero soprattutto). Il gatto inoltre può rizzare il pelo azionando dei muscoli che provocano la contrazione dei bulbi piliferi. Quando l’animale è arrabbiato gonfia la coda e inarca la schiena rizzando il pelo, così da apparire più grosso di quanto in realtà non sia; il tutto accompagnato da soffi, fischi e miagolii. Fa paura!Infine, quel suo sguardo magnetico e intelligente che ci affascina tanto oggi, era considerato di natura soprannaturale e sicuramente anche il suo temperamento indipendente e libero non era ben visto a quell’epoca. Il gatto era considerato il diavolo in persona. Si credeva che esso apparisse quando donne e uomini che svolgevano riti pagani in onore di Iside lo evocavano. Anche i templari e i catari furono accusati di essere adoratori di gatti. Già nel XII secolo, dalle autorità ecclesiastiche il gatto nero era ritenuto il simbolo del potere satanico. Nei felini, soprattutto quelli neri, prendevano dimora Satana e altri spiriti demoniaci, e si pensava anzi che il diavolo prendesse in prestito da un gatto il suo nero mantello. San Domenico (1170-1221) identificava il gatto nero con Satana….
Una leggenda molto strana narra che il diavolo costruì un ponte e chiese per sé la prima creatura che lo avesse attraversato, ma un santo, San Cadoco, riuscì ad ingannarlo, dandogli un gatto nero anziché l’essere umano che il demonio avrebbe desiderato possedere.
Un’altra assurda superstizione di quell’epoca sosteneva che, seppellendo o murando vivo un gatto sotto la porta di una casa, ci si assicurava la solidità delle sue mura (Numerosi gatti sono stati murati vivi anche sotto la Chiesa di Cristo e la Torre di Londra, in Inghilterra); oppure un’altra diceva che uccidere un gatto dopo la mietitura era il sistema migliore per assicurarsi un buon raccolto. Oppure, per salvaguardare il proprio gregge o bestiame dalle malattie, si doveva bruciare vivo un gatto e far passare gli animali sul fumo prodotto. La cenere dei gatti bruciati vivi sulle piazze veniva conservata come portafortuna.Nel XIV secolo, in una piccola cittadina francese, molte persone vennero colpite da una malattia del sistema nervoso nota come “Ballo di San Vito”. Le cause dell’epidemia vennero attribuite ai gatti, e così, tutti quelli che furono trovati in paese vennero arsi vivi nella piazza principale. Da quell’episodio nacque la macabra tradizione di ardere vivi i gatti, che durò fino alla seconda metà del XVIII secolo. Questa tradizione consisteva nel chiudere in gabbiette di ferro, annualmente, tredici gatti e bruciarli vivi, per tutelare la popolazione dalle malattie.Si pensava anche che, se sulla pelle dei gattini appena nati non veniva incisa una croce, quando sarebbero cresciuti si sarebbero trasformati in streghe, si pensava anche che le donne anziane, di notte, prendessero le sembianze di gatti neri per succhiare il sangue del bestiame.I gatti, come già accennato prima con le streghe, venivano condannati nei modi più crudeli: sospesi dentro canestri di vimini sulle fiamme, buttati dalle torri.Nella cittadina di Ypres, addirittura, una festa annuale consisteva nel gettare vivi gatti da una torre; questa tradizione sopravvive ancora oggi, soltanto che, per fortuna, i gatti sono finti. Con simili follie da parte dell’uomo, è incredibile che i gatti, in Europa, non si siano estinti, anche se probabilmente andarono molto vicino all’estinzione. Riuscirono a sopravvivere soltanto grazie alla loro prolificità e all’aiuto dei contadini, poiché le assurde tradizioni di cui abbiamo parlato prima erano diffuse principalmente nelle città. In campagna i gatti godevano ancora della stima di un tempo, perchè continuavano a cacciare topi e altri parassiti proteggendo i raccolti.
Già nella seconda metà del quarto e nella prima del quinto secolo, le gerarchie cristiane avevano dato il via al processo di demonizzazione del colore nero; può darsi che, almeno in parte, il movente vada individuato in una reazione a Iside e al colore a lei sacro, soprattutto in Egitto. (Donald Engels, Storia del gatto, p. 239)
I gatti e le donne vennero perseguitati per secoli (dal 1000 al 1700), subirono torture e sevizie di ogni tipo. Milioni di gatti e centinaia di migliaia di donne vennero brutalmente uccisi in tutta l’Europa occidentale. L’ultimo gatto giustiziato in Inghilterra per stregoneria morì nel 1712. Pochissimi gatti completamente neri sopravvissero al massacro. Oggigiorno, In Europa occidentale, è difficile trovare un gatto che sia completamente nero mentre sono comuni nelle zone del Mediterraneo orientale dove nessuna crociata fu mai lanciata contro di loro.
Con l’Illuminismo le donne e i gatti cessarono di essere perseguitati e l’epoca buia si dissolse.
 Nel corso del 1800, grazie a Pasteur e ad altri studiosi, fu rivalutata la figura del gatto:
Non è un caso che Louis Pasteur ammirasse il gatto e ne proponesse l’abitudine alla pulizia come un esempio per l’umanità che desiderasse davvero evitare malattie. Quando finalmente gli europei si resero conto che la sporcizia era un male e la pulizia un bene, e non viceversa, come si riteneva un tempo, i gatti cominciarono a riconquistare il loro legittimo posto di guardiani e protettori della casa contro i parassiti e la cattiva sorte. (Donald Engels, Storia del gatto, p. 262)

Si dimostrò scientificamente che non solo il gatto non trasmetteva malattie all’uomo ma che il topo, che aveva proliferato per secoli, data la quasi totale estinzione del suo più acerrimo nemico, era portatore di circa 35 malattie pericolose per l’uomo tra le quali il tifo e la peste bubbonica.
Probabilmente una delle principale cause di diffusione delle grosse epidemie di peste che per secoli hanno decimato l’Europa (malattie veicolate da topi e ratti uccisero oltre un miliardo di persone) fu proprio l’avere ucciso il principale predatore dei topi.Viene in mente la favola delPifferaio Magico. La stupidità e l’ignoranza sono il vero flagello dell’umanità!
Dal 1800 il gatto si introdusse nei salotti bene dell’aristocrazia e borghesia e da allora non ha più cessato di diffondersi, e di essere di nuovo amato e vezzeggiato.
E’ innegabile che sono le donne ad amare e ad essere amate maggiormente dal gatto. Fin dall’inizio il gatto era il compagno del focolare e passava più tempo in casa vicino alla donna, a differenza del cane e del cavallo che seguivano l’uomo nella caccia o in altri lavori. Probabilmente è proprio per aver sempre condiviso la stessa sorte nel bene e nel male che si è formata questa maggior complicità e affiatamento reciproco.

martedì 25 dicembre 2018

Il volo della strega

..."Quindi il volo delle streghe avveniva unicamente nelle loro menti, mentre il corpo giaceva in un sonno agitato dalle allucinazioni causate dalle piante allucinogene - "

La Mandragora - Mandragora sp. Come molti membri della famiglia delle Solanacee, tutte le specie di Mandragora contengono una moltitudine di alcaloidi biologicamente attivi come atropina, apoatropine, belladonnine, cuscohygrine, iosciamina, scopolamina...rapporti clinici sugli effetti del consumo di piante descritte come Mandragora autumnalis (Mandragora offinarum sl) comprendono gravi sintomi simili a quelli di avvelenamento da atropina, tra cui visione offuscata, dilatazione delle pupille, secchezza delle fauci, difficoltà a urinare, vertigini, mal di testa, vomito, arrossendo e una rapida frequenza cardiaca (tachicardia). Iperattività e allucinazioni sono verificate anche nella maggior parte dei pazienti (Jiménez-Mejías, et al.1990-11-24) (Piccillo et aL, 2002).
Bere una pozione costituita da tali ingredienti poteva portare alla morte, ma le streghe erboriste sapevano che ci sono altri modi per assorbire i principi attivi delle piante, e molto meno pericolosi: uno di questo è l'assorbimento di un unguento a base delle piante indicate tramite pelle e mucose, come la zona delle ascelle, la zona vaginale e l'ano. Dalle registrazioni del frate Giordano da Bergamo, 15° secolo, veniamo a sapere che il volgo credeva e le streghe confessavano di passarsi sul corpo un attrezzo con il quale si cospargevano di unguento, e in particolare lo passavano tra le gambe...per questo probabilmente le streghe sono spesso rappresentate nude e a cavallo di una "scopa".

E perché un manico di scopa e non un altro oggetto? Una spiegazione potrebbe essere che le preparazioni di questi unguenti venissero effettuati in piccoli pestelli simili alle zangole per montare la panna, una volta fatte bollire le erbe nel grasso, quindi il bastone che veniva utilizzato per mescolare l'unguento venisse poi utilizzato per cospargerlo, e, data la sua forma, non andrebbero trascurati i benefit derivanti da tale operazione: il piacere sessuale procurato in questo modo, il fatto che queste donne si masturbassero e decidessero di fare ciò che desideravano col proprio corpo, la volontà di reprimere la sessualità femminile ed il suo potere, sono stati tra i motivi principali della repressione femminile da parte della chiesa.
Una volta cosparse dell'unguento, iniziava "il volo", che secondo una descrizione dei 1966 da Gustav Schenk si svolge così: "Ogni parte del mio corpo sembrava andare per conto suo, ed ero preso dalla paura di cadere a pezzi. Allo stesso tempo, ho provato una sensazione inebriante di volare. [...] Sono salito in alto mentre le mie allucinazioni di nuvole, di cieli bassi, mandrie di animali, [...] fiumi di metallo fuso - mi vorticavano attorno..."
Quindi il volo delle streghe avveniva unicamente nelle loro menti, mentre il corpo giaceva in un sonno agitato dalle allucinazioni causate dalle piante allucinogene - "... altro non è che un potentissimo narcotico, il quale lega altamente i sensi e gli sepelisce in un profondissimo sonno." - Tartarotti. Al risveglio, il viaggiatore non aveva dubbi sul fatto che ciò che aveva vissuto fosse reale. Mi domando se facendo l'esperienza insieme, durante un sabba, o la notte di San Giovanni, alla fine le loro esperienze fossero talmente simili da divenire un sentire ed un ricordo comune e condiviso.

Questi rituali e procedimenti erboristici sono molto simili a quelli dello sciamanesimo dei popoli nativi di ogni parte del mondo e prima in Europa, poi nel resto delle colonie, furono utilizzate come buona scusa per la l'uccisione e la conversione dei miscredenti, mettendo in relazione le religioni naturali con il demonio e la stregoneria.

Sabba delle streghe

Il famoso “Sabba delle streghe” era il ritrovo che avveniva tra le streghe tra le notte del sabato, solitamente di luna piena, dove queste donne si ritrovavano in foreste e prati, lontane da occhi indiscreti e in cui tutte assieme si immergevano nel volo magico.

Un modo antico per “fuggire” dalla durezza della vita quotidiana di quell’epoca che però non piaceva agli occhi maligni degli inquisitori cristiani e qui trovarono il vero motivo per accusarle e portarle a morte atroce e torture, accusandole di incontrare il Diavolo tramite i loro voli magici…

Insomma la caccia alle streghe da parte della santa inquisizione non è altro che è uno dei tanti tristi capitoli della nostra storia, immersi nell’ignoranza e perversione della mente umana, cui ieri come oggi la popolazione contribuiva alla complicità, accusando spesso le proprie mogli e le proprie figlie..

giovedì 20 dicembre 2018

In nome di santa romana chiesa s.p.a.

Si stima che nei tre secoli più attivi, dalla metà del ‘400 al '700, furono sterminati 9 milioni di innocenti, e la cosa peggiore è per l’80% si trattava di donne e bambine. I loro beni venivano confiscati al momento dell’accusa e l’intera famiglia di riflesso veniva spodestata di ogni bene. 
Gran parte delle accuse erano dovute al desiderio di impossessarsi dei soldi di un proprietario terriero, oppure di eliminare una persona scomoda, o ancora per invidia. Le accuse erano le più disparate: stregoneria, provocare le tempeste e le carestie, essere indovini, essere guaritori manipolati del diavolo, praticare riti funerari non cristiani, ecc.. Ogni attività in contrasto con la Chiesa veniva utilizzata per accusare uno sventurato. Da qui viene l'enorme patrimonio immobiliare della Chiesa.