lunedì 23 maggio 2022

Ecate


 Ecate è oggi riconosciuta come la dea delle arti magiche e della stregoneria, Il suo nome significa colei che colpisce da lontano.

Circe e Medea avevano appreso da Ecate la loro arte ed erano iniziate ai suoi misteri.

Anche questa figura mitologica ebbe inizialmente connotazioni positive in qualità di dea delle terre selvagge e del parto (assimilabili quindi alla dea madre), in seguito, quando iniziò la demonizzazione del femminile, divenne dea della stregoneria e il suo ruolo fu relegato a quello di “Regina degli Spettri”, tale attributo fu trasmesso alla cultura post-rinascimentale, dalla quale presero poi spunto gli inquisitori durante la loro opera di “pulizia religiosa”.

Era rappresentata con tre teste e un solo corpo o con tre corpi uniti per la schiena (trimorfa).

Per gli orfici era trimorfa non solo perché rappresentava le fasi lunari, ma anche per l’assimilazione al culto delle grandi divinità ctonie come Demetra, Persefone e Artemide.


Esistono due teorie circa la sua origine:

Una ritiene che fosse figlia di Zeus e della figlia di Eolo Ferea e che la sua rappresentazione infernale derivasse dall’ira di Era che, immergendola nell’Acheronte con lo scopo di purificarla, ne determinò la trasformazione in una divinità degli inferi. In qualità di dea degli inferi teneva per cento anni aldilà dello Stige le anime di coloro che erano morti senza sepoltura.


Secondo la Teogonia di Esiodo era invece figlia dei Titani Asteria e Perse:

E Asteria incinse, e a vita diede Ècate, cui sopra tutti Giove Croníde onorò, le die’ fulgidissimi doni:

parte le die’ della terra, del mare che mai non si miete:

ed anche ella ha potere nel cielo gremito di stelle,

e piú d’ogni altra, onore fra i Numi immortali riscuote.

Ed anche adesso, quando qualcuno degli uomini in terra fa sacrifizi, e placa, secondo le usanze, i Celesti,

Ècate invoca per nome. E onore accompagna un mortale, quando la Dea le sue preghiere benevole intende;

e gli concede prosperità: ché ben grande è sua possa.

Perché di quanti nacquer da Terra e da Uràno, ed onori ebbero, questa Dea parte ha degli onori d’ognuno;

perché duro con lei non fu Giove, né nulla le tolse di quanto ella avea già fra i Numi piú antichi, i Titani,

bensí tutta la parte che allor possedeva, possiede.

Né meno onor la Dea, perché figlia è unica, ottenne, non della terra parte minore, del cielo e del mare,

ma anzi assai di piú: ché molto l’onora il Croníde.

E sta presso a chi vuole proteggere, e molto gli giova.

Nell’assemblea, prevale fra gli uomini l’uom ch’ella brama: quando alla guerra, sterminio degli uomini, s’arman le genti,

Ecate qui, la Diva, si mostra, ed a quelli che vuole, volonterosa gloria concede, concede vittoria:

dove giustizia si parte, vicino ai re giusti ella siede: anche allorché negli agoni contendono gli uomini, giova:

ché anche presso a loro si reca la Diva e li assiste, e chi di gagliardia prevalse, di forza, il bel premio

agevolmente guadagna, ricopre i suoi figli di gloria.

Ai cavalieri anche sa, quando vuole, recare assistenza.

E a chi nel glauco mare travagli. , e tra l’ira dei flutti Ecate invoca, e l’Enosigèo che profondo rimbomba,

la celeberrima Dea, facilmente concede ogni preda, agevolmente, e, dopo scovata, se vuole, la toglie.

Moltiplicare il bestiame nei chiusi ella può con Ermète. Le mandre dei giovenchi, le greggi gremite di capre,

le mandrïe lanose di pecore, ov’essa lo voglia, da pochi a molti capi, da molti riduce a ben pochi.

Così costei, che fu di sua madre l’unica figlia, onor su tutti i Nomi che nacquer piú antichi, riscote.

E protettrice il Croníde dei pargoli tutti la fece che gli occhi dopo lei dischiusero ai raggi del sole:

così da prima fu tutrice onorata ai bambini


Nella tradizione più antica era probabilmente una divinità lunare della Tessaglia, più tardi confusa con l’aspetto invisibile di Artemide corrispondente alla luna nuova per la sua identificazione con Selene. Come Artemide non usciva mai dalle dimore sotterranee e vagava sulle montagne come la luna, ma proprio per questo motivo in seguito divenne la dea degli spettri e di ogni magia, le erano sacri i crocicchi e i trivi nelle strade (per cui   chiamata anche Trivia) e la sua presenza era annunciata dai latrati dei cani da battaglia.

Anche questo animale merita una breve riflessione perché nel corso dei secoli subì interpretazioni ora positive, ora negative, in relazione ai personaggi che affiancavano o che rappresentavano (si pensi all’iconografia domenicana). Si riteneva che i cani fossero in grado di salvaguardare gli uomini dai pericoli invisibili perché in grado di vedere gli spiriti, in relazione al dio Anubi, che prese la forma di un grande cane simile allo sciacallo, ebbero anche il ruolo di guidare le anime nell’aldilà, però durante l’azione repressiva intrapresa dall’Inquisizione, i cani neri entrarono a far parte del novero dei simboli demoniaci presenti nei diversi trattati di demonologia perché considerati accompagnatori demoniaci delle streghe o dei maghi.


NOTIZIE TRATTE DA:

Rosalba Mulas“Iconografia delle streghe dall’antichità all’età moderna e stregoneria in Sardegna”

in Salvatore Loi “Inquisizione, magia e stregoneria in Sardegna”

H. Biedermann “Enciclopedia dei simboli”

Esiodo “Teogonia,

sabato 21 maggio 2022

La Norma

 


Il termine Norna deriva dall'antico Norreno "Norn" (Nornir al plurale) che significa "[colei che] bisbiglia [un segreto]", esse vivono presso la fonte di Urðarbrunnr, ove tessono il filo del destino dei mortali.

Le Norne dimoravano presso l'Urðabrunnr, il Pozzo di Urd, descritto come bianchissimo e risplendente. Si racconta che presso tale fonte ci sia la piana dove gli Æsir tengono consiglio, detta Idavall. Esse avevano il compito di irrorare ogni giorno Yggdrasil con acqua e argilla per evitare che seccasse o marcisse, dove tessono l'arazzo del destino. La vita di ogni persona è un filo nel loro telaio e la sua lunghezza corrisponde alla lunghezza della vita dell'individuo.
Nell'Edda vengono descritte anche come intagliatrici di Rune, che incidono su assicelle e tavolette, forse per trascrivere le diverse vite delle creature dell'universo, infatti si dice che nella trama del destino sono tessute le Rune.
Al loro potere sul destino si fa risalire la ragione per cui sull'unghia della Norna sono incise le Rune ("segreti sussurrati").
Le Norne stabilivano il destino degli uomini, lo svolgimento della vita delle creature dell'universo, nessuno escluso: uomini, animali, piante, esseri sovrannaturali, persino le divinità erano sottoposte al criterio delle Norne, le uniche creature che veramente possono essere definite "eterne" nella cosmogonia dei popoli nordici. Peculiare della mentalità nordica era, infatti, che tutto avesse una fine, e che nulla fosse eterno, neanche gli dei che infatti sono destinati a perire nel Ragnarǫk. L'unica cosa eterna è il Destino, che era appunto gestito dall'operato delle tre Norne.
Delle Norne si parla sempre al plurale e compaiono molto spesso in diversi passi della poesia eddica e scaldica, prevalentemente nella loro figura di Norne ostili che stabiliscono un destino di sfortuna e morte, seppur non manchino riferimenti anche al loro lato positivo. Questo perché rappresentano le dee del destino, incarnazione di un fato superiore e ineluttabile che tutto sovrasta, uomini e dei che siano.
Nel "Dialogo di Fáfnir" si precisa come esse siano di diversa natura, alcune appartenenti agli Æsir, altre ai Vanir, altre ancora agli Elfi, poiché vengono descritte come un gruppo numeroso di divinità dal carattere indistinto. Solamente Snorri nella Völuspá ne definisce solo tre di suddetto gruppo, che dimorano presso l'Albero Cosmico, Yggdrasil, accanto alla fonte del destino, Urðarbrunnr. Queste tre Norne ricordano molto non solo le Parche romane, ma anche le Moire greche. Solo Urðr, il cui nome significa "destino", è la più anziana; Verðandi risulta essere infatti una figura ben più tarda e il suo nome deriva dal verbo "verða" "divenire". Skuld, definita da Snorri la più giovane, porta con sé il significato di "debito", "colpa" e viene nominata anche nella schiera delle Valchirie. Il legame tra le Norne e le Valchirie viene sottolineato anche in un passo del "Dialogo di Fáfnir", dove si dice che i lupi sono i "cani delle Norne" poiché pongono fine a molte vite; nello stesso passo si evince anche il legame tra le Norne e le Dísir.
La credenza nelle Norne era così fortemente radicata nel mondo e nella cultura nordici, che in alcune saghe la venerazione di esse viene indicata tra le consuetudini a cui doveva rinunciare chi si convertiva al cristianesimo.

surbiles o surtoras.


 Un giovane innamorato di una ragazza bella quanto misteriosa, che lavorava nella panetteria del suo paese, decise di indagare per scoprire come mai lei alla richiesta del ragazzo di un bacio rispondesse che non poteva essere toccata fino a quando non avesse risolto un problema.

Il giovane se pur discretamente riuscì a scoprire quanto gli occorreva.
La ragazza era la settima figlia femmina consecutiva della sua famiglia e in quanto tale una coga. Le cogas sono riconoscibili perché hanno una minuscola coda oppure una piccola croce pelosa sulla schiena. Erano conosciute anche con i nomi di surbiles o surtoras.
Considerate streghe e vampire poiché dedite a succhiare il sangue umano soprattutto quello dei neonati non ancora battezzati, is cogas erano temute anche per il loro potere di trasformarsi in animali, di rendersi invisibili o di spostarsi velocemente a cavalcioni su delle scope.
Si dice che bastasse rivoltare un indumento, anche indossato in quel momento, per vedersele all’improvviso di fronte, senza abiti e coperte solo dai lunghi capelli e peli. Il giovane però non si rassegnò a questa notizia e, convinto di poterla salvare, attese con pazienza la notte in cui sua sorella partorì.
Nel cortile della casa di sua sorella appese ad un albero una camiciola del nascituro girata al contrario, appoggiò per terra un treppiede rovesciato e attese l’arrivo de is cogas.
Il giovane non dovette aspettare molto, le streghe si presentarono tutte senza abiti ricoperte solo dai loro capelli a da peli. Tra loro c’era anche la giovane e bella amata, la quale cercò di ritrarsi non appena riconobbe il giovane.
A questo punto lui la afferrò, la trascinò sino alla cantina della casa promettendole che non le avrebbe fatto del male.
Il giovane corse nella vicina chiesa a chiedere l’intervento del parroco, il quale prese un crocifisso e una icona rappresentante un santo in veste di esorcista, e seguì il giovane.
Con grande sorpresa di entrambi nella cantina chiusa a chiave dall’esterno non trovarono nessuno, tranne un moscone che cercava la via d’uscita.
Il parroco fece accendere una candela benedetta al giovane mentre lui pronunciava delle preghiere.
Mentre la luce cominciava lentamente a rischiarare l’ambiente, il moscone aumentava di dimensioni sino a cadere per terra dal peso.
Il giovane che aveva tenuto gli occhi chiusi durante il rito, li riaprì in quel momento e vide che per terra c’era il corpo della sua amata adagiato come se dormisse.
La portarono in chiesa dove si svegliò e dove non ricordava più nulla.
Con l’aiuto del giovane e del parroco la ragazza si era liberata dal suo problema, non era più una strega

Crono e Filira

 


Un mito greco racconta che la ninfa Filira, figlia di Oceano, viveva nell’isola del Ponto Eusino che porta il suo nome. Un giorno Crono si unì a lei ma, sorpreso dalla moglie Rea, si trasformò in uno stallone e si allontanò al galoppo. Dall’unione fra Crono e Filira nacque Chirone, una strana creatura, mezzo uomo e mezzo cavallo. Filira provò un tale dispiacere per il figlio mostruoso che chiese al padre Oceano di trasformarla in un albero: il Tiglio, che infatti in greco porta il nome della ninfa. Chirone divenne un celebre guaritore, anche grazie al potere ereditato dalla madre, albero dalle numerose virtù medicinali.

lunedì 16 maggio 2022

FESTIVITA’ CELTICHE E CALCOLO DEL TEMPO



Il tempo era scandito secondo atavici rituali e regolato sulla base delle fasi del sole e di quelle della luna, che i Celti consideravano patrona della fecondità della terra e delle donne. L’anno era così contraddistinto a mezzo di due tipi di croci, che simboleggiavano i cicli solari e lunari; mentre il ciclo solare era associato ad una croce a bracci ortogonali, quello lunare era rappresentato dalla croce di S. Andrea. Le festività solari erano legate allo scorrere delle stagioni (solstizio d’inverno, equinozio di primavera, solstizio d’estate, equinozio d’autunno), quelle lunari erano collegate al mondo bucolico e pastorale. Ed è qui che si compie il meglio della tradizione celtica. L’anno celtico era diviso in due metà, quella invernale e quella estiva, ciascuna delle quali era caratterizzata da due festività principali, le antiche Sahmain (che cadeva tra 31 ottobre e 1° novembre) e Beltaine (30 aprile/1° maggio), che erano le più importanti anche perché, oltre che scandire la divisione dell’anno in due parti, segnavano la divisione tra la metà oscura e quella luminosa (inverno ed estate). Le festività legate ai cicli della natura e delle sue stagioni erano Sahmain, Imbolc, Beltaine e Luchnasadh, tutte celebrate a partire dal tramonto del sole poiché i Celti ritenevano che il giorno iniziasse al tramonto del sole. Il Sahmain, conosciuto anche come Capodanno Celtico, segnava l’inizio dell’anno nel calendario celtico e il tempo della fine dell’estate, quello della semina e quello in cui cominciava la metà oscura dell’anno. Si tramanda che a Sahmain si aprissero le porte di collegamento tra il mondo terreno e l’Altromondo, l’aldilà fatato in cui risiedevano i defunti. Era proprio durante la notte del Sahmain che le barriere cadevano e vivi e morti potevano passare dall’uno all’altro dei regni. Imbolc, che per tradizione si celebra tra 31 gennaio e 1° febbraio, segnava l’arrivo della primavera. Detta anche “festa del latte”, poiché la celebrazione coincideva con il primo fiorire del latte, questa festività segnava il ritorno della fertilità, il rifiorire della vita sulla terra e, quindi, la necessità di avviare un nuovo ciclo di attività. Beltaine, tra 30 aprile e 1° maggio, scandiva il tempo della fine dell’inverno e l’inizio della metà luminosa dell’anno; durante il Beltaine, festività dedicata ai riti di fertilità, venivano spenti tutti i fuochi dentro le case, fuochi che venivano riaccesi grazie alla fiamma del grande falò rituale che era preparato per l’occasione. Il Lughnasad, infine, si celebrava tra il 31 luglio e il 1° agosto ed era l’ultima grande festività a chiudere il ciclo del calendario celtico. Festa di ringraziamento per il raccolto, il Lughnasad era chiamato anche “festa del grano” perché questo era il periodo di raccolta dei cereali per i Paesi celtici del nord Europa.

Sati, il crudele rogo delle vedove indiane bruciate vive



Bruciate vive sulla pira funebre del proprio marito appena deceduto. Sono le donne indiane che preferiscono morire, piuttosto che condurre una vita da vedove in India.
Questo è il sati, un’usanza nata nel Medioevo e dichiarata illegale nel lontano 1829, ma che ancora oggi viene praticata in alcuni piccoli villaggi asiatici.
E il perché una donna rimasta vedova, preferisca suicidarsi sulla pira del marito, è molto semplice.
Le comunità indiane legano il sati a una questione di devozione sconfinata per il proprio uomo, in realtà dentro le mura domestiche, si celano storie di violenza e vittimismo.
La donna viene considerata una proprietà, non ha potere decisionale, né diritto di parola né in casa e né fuori. La morte del marito però paradossalmente rappresenta una condizione ancora peggiore, quella in cui ella verrà estromessa dalla società, ostracizzata, isolata e considerata addirittura responsabile della morte del marito.
Sono le famiglie stesse a “consigliare” alle vedove di suicidarsi e le poche che decidono di non farlo, sono additate come portatrici di sventura perché hanno osato ribellarsi a un sistema patriarcale. Di certo, non possono continuare a vivere nel villaggio. La maggior parte, viene ghettizzata a Vrindavan dove le donne sono costrette ad indossare abiti bianchi in segno di lutto, a rasarsi la testa e a rimanere caste per tutta la loro esistenza.
Ecco perché a un inferno quotidiano, incorniciato da pregiudizi e stereotipi, le vedove preferiscono buttarsi vive nel fuoco. Dietro al loro gesto si nascondono storie di disperazione, di libertà negata, di dignità violata.
Immolarsi nel sati sancisce che in India la donna, senza un uomo, non vale nulla, allora meglio morire che essere un fantasma.
Il sati fa da contorno a storie già più volte raccontato, ovvero di femminicidi, vergogna per la nascita di figlie femmine, matrimoni di spose bambine con adulti.
Con tutto il sostegno della famiglia, la vedova decide “volontariamente” di suicidarsi per raggiungere il marito. Inizia quindi un controllo preliminare, perché chi è incinta o ha le mestruazioni, viene considerata impura e quindi non può essere bruciata viva.
Durante il sati gli uomini rendono omaggio al sacrificio. La vedova vestita con il sari di matrimonio pronuncia un rituale e si getta nel fuoco della pira funebre mentre attorno si marcia per ore assistendo alla lenta agonia del corpo in fiamme.
La donna ha il potere di lanciare maledizioni, può dar fuoco lei stessa alla pira oppure lo fa un fratello minore. I tamburi coprono le urla anche se secondo la tradizione, una sati non soffre nell’essere bruciata viva perché gettandosi nel fuoco si trasforma in una dea potente.
Capita (raramente) che le famiglie non siano d’accordo e gettino sul corpo acqua tinta con l’indago che è blu, il colore dei paria, ovvero degli intoccabili e quindi non sia più pura.
Se per questo motivo o per la pioggia il rito si interrompe, la vedova diventa una sati vivente e solo in quel caso, viene venerata dalla comunità.
Un rituale atroce e clandestino che trasforma la donna schiava in vita, in un’eroina da morta che si è sacrificata per stare vicina al proprio marito.

Il villaggio dell’apocalisse in Messico


Tra i tanti effetti della “profezia dei Maya” ce ne è anche uno che sta incuriosendo tutto il mondo ed ha un’origine italiana: il villaggio dell’apocalisse.

Vivono blindati in una fortezza in un’antica località Maya dello Yucatan in attesa dell’Apocalisse.
Si tratta di 38 famiglie di persone facoltose italiane che sono entrate in un’associazione, “Quinta Essencia”, dalle forti connotazioni esoteriche. Sarebbe più corretto parlare di una setta, ma essendo illegali le sette religiose non ufficializzate in Messico, si autodefiniscono così.
L’associazione ha dato nome di Las Águilas al suo villaggio e ribattezzato dai media la nuova Arca di Noè, visto che sembrerebbe essere stata costruita per “resistere ai disastri naturali che dovrà affrontare il pianeta l’anno prossimo”.
La cittadina fortificata situata su un’area di 800 ettari in una zona chiamata Xul, tra Merida e Campeche, nel sud dello Yucatan, che, secondo gli antichi Maya, significa “la fine, finale, muore, limitare o alla fine”, per ciò molti ritengono che la struttura sia stata realizzata proprio per fronteggiare la fine del mondo.
L’insediamento è stato costruito in un ex ranch di bestiame a 7 km dalla città di abitata da 1.500 persone, lungo la strada per Yaxachén, nel comune di Oxkutzcab.
Tunnel e rifugi sotterranei con porte antipanico, negozi di alimentari, generatori di energia solare, un laboratorio e aree di coltivazione, oltre a villette con 20 camere ciascuna e muri spessi 60 centimetri. Ci sono voluti circa due anni per costruire il complesso che ha dato lavoro a molti dei 500 abitanti della vicina Xul. Sorpresi dalla stranezza delle costruzioni e dalla riservatezza dei proprietari della struttura, tanti hanno richiesto l’intervento delle autorità locali per una verifica sulla regolarità dell’operazione.
Ufficialmente, Quinta Essencia dovrebbe essere una comunità volta a ‘preservare l’equilibrio ecologico’ o a creare un resort molto esclusivo e elitario.
Invero, il villaggio è inespugnabile, un luogo nel quale nessuno (eccetto i membri della comunità) può accedere.
Così, vari sopralluoghi aerei (l’unico modo per vedere qualcosa) hanno evidenziato diverse strade che legano le villette fra di loro, un lago artificiale e una statua della dea greca Atena, che si trova proprio al centro del complesso circondato da arbusti e alberi rari, in via di estinzione.
MA COME E’ NATO IL PROGETTO?
La leggenda vuole che, una donna, un giorno, sognò un “essere di luce” che la invitava a costruire un luogo nuovo, vicino ad un piccolo villaggio dello Yucatan chiamato Xul, sulle colline, dentro la foresta, in un punto vicino a Kiuic, un antico insediamento Maya. Questa è la storia raccontata dalle persone che circondano il progetto.
LE TESTIMONIANZE
Secondo la gente del posto, le case degli italiani sarebbero in grado di sopportare anche i terremoti in quanto edificate con doppia parete, il che le fa apparire come una fortezza. Il nucleo centrale, inoltre, ha dimensioni più grandi.
L’architetto del progetto, Karina Pérez Valle, ha detto che nessuno è autorizzato ad entrare nel villaggio.
“Gli italiani non stanno pensando che ci sarà la fine del mondo, solo che ci saranno molti disastri naturali, temperature elevate, tra i 45 e i 50 gradi centigradi, inondazioni come quelle recentemente occorse a Nuevo León, motivo per cui stanno creando il loro spazio dove vivere e proteggersi”, Karina ha dichiarato ai giornali.
L’architetto ha aggiunto che uno psicologo ed un ricercatore di origine italiana sono i responsabili del progetto, ma che, attualmente, si trovano a Veracruz in “totale meditazione” per un po’ per poi tornare nella nuova casa nei prossimi mesi.
CONCLUSIONI
Il villaggio dell’Apocalisse è una realtà oscura che, sicuramente, racchiude aspetti esoterici ma, molti sostengono anche che ci possa essere la collusione di importanti politici italiani, il che potrebbe suggerire interprestazioni molto diverse ai fatti.

Gli Gnomi


 Quando noi umani pensiamo agli Gnomi inevitabilmente ci viene in mente l’immagine di un piccolo uomo vestito un po’ all’antica con una lunga barba ed un cappello rosso in testa. Questo stereotipo non è del tutto erroneo, ma sicuramente non rende giustizia alle diverse peculiarità che caratterizzano le razze gnomiche. Allora, chi sono gli Gnomi?

Ma chi sono gli Gnomi? Se vogliamo studiare seriamente questo affascinante popolo, la cosa migliore da fare è capire le differenze che li contraddistinguono. Prima di iniziare però, è meglio far luce su alcune caratteristiche di base. Gli Gnomi si distinguono in due sessi, quello maschile e quello femminile. Uno Gnomo maschio, senza problemi di salute, arriva a vivere, mediamente, fino ai 900-950 anni. Gli Gnomi femmina, invece, sono più longeve: ci sono infatti attendibili testimonianza di Gnomi femmina che hanno superato i mille anni di età.
Uno Gnomo maschio raggiunge la maturità intorno ai 300 anni: questo è il sospirato momento in cui la barba, cresciuta intorno agli 80 anni, gli diventa grigia.
La barba è un elemento fondamentale per ogni gnomo maschio: è simbolo di maturità e affidabilità. Uno gnomo non riesce infatti a concepire se stesso senza la barba: quando questo Piccolo Popolo ha scoperto tra le usanze dell’uomo moderno quella di radersi quotidianamente la barba, si è diffuso tra i maschi un senso di indignazione, che ben presto si è trasformato in ilarità… “Ma come può essere affidabile uno che si rade?” Questa è la frase più ricorrente tra gli gnomi quando si parla degli umani maschi.

sabato 7 maggio 2022

Il rito di Beltane (il Maggio della tradizione contadina)




Il rito di Beltane (il Maggio della tradizione contadina) è la festa più importante dopo Samonios, poiché determina l’inizio della metà luminosa dell’anno, dedicata al Dio maschile: è il trionfo dell’amore sessuale, della fecondità, della luce e del conscio.

Tutta la natura è ormai in fiore, impegnata nella fecondazione e nella proliferazione. Il rito, che prevede l’accensione di uno o più falò, è incentrato ovviamente intorno al potere trasformante del fuoco e ruota intorno alla figura mitica della Fanciulla dei Fiori. Ella accoglie il Maponos, il Fanciullo Divino incarnazione della giovane virilità maschile che con Lei si accoppia per assicurare abbondanza materiale e spirituale alla tribù (lui) insieme alla Terra (lei). Si rinnova il matrimonio sacro. Altri temi collegati sono la sconfitta del Gigante Biancospino, rappresentante le forze caotiche e distruttive della natura, e il potere di guarigione del fuoco (maschile) nell’acqua (femminile).

Fantasmi e ultrasuoni

Una nuova teoria sostiene che i fantasmi, gli spiriti che infestano edifici e terrorizzano centinaia di persone non siano altro che illusioni ottiche prodotte dagli ultrasuoni sui nostri occhi e la paura che ne consegue sia, a sua volta, un effetto dei suoni che il nostro udito non riesce a percepire.
Gli infrasuoni sono onde o vibrazioni con una frequenza di sotto la soglia di udibilità dell’orecchio umano (20 Hz a 22 kHz).
Benchè noi non siamo in grado di sentirli, usiamo gli ultrasuoni per alcune terapie mediche ma è stato dimostrato che, in alcune persone, sono in grado di generare una serie di effetti, inclusa l’ansia, forte dolore nonchè i brividi di paura.
“Gli infrasuoni forti, nella gamma da 0,5 a 10 Hz, sono sufficienti per attivare il sistema vestibolare, ossia di influire sull’equilibrio, nell’orecchio interno.”
L’Infrasuoni Aka Soundless Musick è stato un esperimento psicologico, sotto forma di un concerto molto insolito in quanto alcune delle musiche date da ascoltare ai partecipanti erano accompagnate da infrasuoni (con frequenza inferiore a 20Hz).
Fino a poco tempo fa, si pensava che gli infrasuoni non avessero nessun tipo di effetto sugli esseri umani, ma durante il “concerto” i ricercatori hanno notato che i presenti, durante i brani accompagnati da infrasuoni mostravano evidenti segni di nervosismo, ansia e paura.
Di qui l’idea che possa essere qui il segreto del motivo che spinge la gente a vedere i fantasmi.
L’ipotesi è, dunque, la seguente: quando qualcuno si trova in una vecchia casa che, muovendosi lentamente, genera delle vibrazioni a bassa frequenza (infrasuoni), inizia ad avere paura e, quindi, il suo cervello crea fantasmi di ombre per giustificare la paura stessa.
“Alcuni scienziati hanno suggerito che questi tipi di suoni possono essere presenti in alcuni siti presumibilmente infestati dai fantasmi e quindi indurre la gente ad avere strane sensazioni che essi attribuiscono a un fantasma. I nostri risultati supportano queste idee”, spiega Richard Wiseman, psicologo presso l’Università di Hertfordshire, nel sud dell’Inghilterra.
Nel primo esperimento sugli infrasuoni, Wiseman ed il collega Lord hanno fatto ascoltare quattro opere di musica contemporanea dal vivo in una sala da concerti di Londra. Alcuni brani erano accompagnati da infrasuoni. Poi hanno chiesto al pubblico di descrivere le loro reazioni alla musica.
Il pubblico non sapeva in quali brani ci fossero anche infrasuoni, ma il 22 per cento ha riferito di avere compiuto esperienze più insolite, quando c’era anche la base musicale di infrasuoni.
Tra le loro esperienze insolite c’erano sensazioni di disagio o tristezza, brividi lungo la schiena e sentimenti di repulsione nervosa o paura.
“Questi risultati suggeriscono che i suoni a bassa frequenza possono indurre la gente a fare esperienze insolite, anche se non sono in grado di rilevare coscientemente infrasuoni”, commenta Wiseman.
Nel 1998, Vic Tandy, dell’Università di Coventry, e Tony Lawrence del dipartimento di psicologia hanno scritto articolo intitolato “Ghosts in the Machine” per la rivista della Società per la Ricerca Psichica.
Nel saggio hanno citato gli infrasuoni come la causa delle apparizioni viste in un cosiddetto laboratorio infestato di fantasmi a Warwick.
Diversi anni prima, Tandy stava lavorando proprio nel laboratorio “infestato” Warwick quando vide una forma grigia venirgli incontro.
“Mi si sono rizzati i capelli dalla paura”, racconta. “Quella cosa, quell’ombra sembrava essere tra me e la porta, così l’unica cosa che potevo fare era girarmi e affrontarla. Ma poi è scomparsa”.
L’apparizione si è ripresentata, in forma diversa, il giorno dopo, mentre Tandy stava utilizzando il suo fioretto.
“Ho appoggiato il fioretto sul banco di lavoro con il manico bloccato da una morsa, ma la lama ha iniziato vibrare in modo molto evidente”.
Quindi Tandy si è domandato perché la lama vibrasse solo in quel punto della stanza e non altrove.
Ha cercato la risposta ed ha scoperto che una cappa aspirante produceva infrasuoni.
“Quando l’abbiamo finalmente spenta, era come se mi fosse stato tolto un peso enorme. Il che mi ha fatto pensare che una delle applicazioni di questa ricerca in corso potrebbe essere anche di trovare un legame tra gli infrasuoni e le varie sensazioni negative o patologie collegate agli spazi nei quali viviamo, e, quindi contribuire alla cura della sick-building syndrome.”
Quando Tandy ha misurato il livello di infrasuoni nel laboratorio, ha trovato che a 18,98 hertz l’occhio umano inizia ad avere una risonanza.
Quindi ha concluso che le onde sonore hanno fatto risuonare i suoi occhi i quali, a loro volta, hanno prodotto un’illusione ottica dandogli l’impressione di vedere una figura inesistente, un fantasma.
Gli infrasuoni sono particolarmente pericolosi, a causa delle forti vibrazioni o oscillazioni che generano. Le onde di infrasuoni coprono lunghe distanze senza perdere forza e sono inarrestabili. E possono produrre effetti anche molto negativi nel corpo umano. Anche l’esposizione a lievi infrasuoni richiede parecchie ore o anche giorni, per invertire i sintomi.
Nella nostra quotidianità ci possono essere infrasuoni naturali ed artificiali, ma manifestazioni estreme ed il loro contatto con gli esseri umani non sono frequenti.
Molti fenomeni, nel mondo che ci circonda, possono essere spiegati dalla scienza e molti restano ancora incomprensibili e generano superstizioni, leggende metropolitane, fobie.
A noi credere che i fantasmi esistano davvero, che si tratti semplicemnte di illusioni ottiche conseguenti agli infrasuoni, che ci sia una parte di verità in entrambe le versioni, o che le spiegazioni siano altre ancora!
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Donne yoruba


Cuori di gallo nella grappa, spiriti malvagi e tagli sulla pelle. Sono alcuni dei riti usati dai trafficanti di esseri umani nigeriani per soggiogare psicologicamente le loro vittime.
Il grande rispetto che hanno per queste tradizioni le donne Yoruba - che vivono principalmente nello stato di Edo, nel sud-ovest della Nigeria - fornisce ai trafficanti uno strumento di controllo ideale. "La forte fede che hanno negli spiriti e il desiderio di uscire dalla povertà e migliorare la propria condizione sociale sono gli ingredienti che costituiscono un terreno molto fertile per il proliferare della tratta di esseri umani e della riduzione in schiavitù,"La piazzola cosparsa di preservativi dove Rita aspetta i clienti è molto distante da quell'Europa che immaginava cinque anni prima, quando i trafficanti la avvicinarono ad Edo (uno degli stati nigeriani). «Ero molto felice di andare in Europa per dar da mangiare alla mia famiglia», spiega Rita, 27 anni. «Non sapevo che sarebbe stato così». Lei ora dorme con circa 10 uomini al giorno, sette giorni a settimana, per 20 euro alla volta. Deve lavorare anche quando è malata, quando ha le mestruazioni, anche se è stata picchiata in passato. Rita dice di non avere scelta se non quella di continuare a lavorare. Prima di partire dalla Nigeria, fece un giuramento di fedeltà ai suoi trafficanti in un rituale religioso tradizionale. Promise di restituire il costo del suo trasporto in Europa offrendo la sua anima come garanzia. Quando è arrivata in Italia, era debitrice verso i suoi trafficanti di 50.000 euro, ai quali si aggiungevano 300 euro mensili come “affitto” per il diritto di stare sulla strada. «Non posso scappare da questo a meno che non paghi», dice. «Gli africani hanno incantesimi così forti da poter distruggere qualcuno in un batter d'occhio». I trafficanti di esseri umani nigeriani usano la magia nera per intrappolare migliaia di donne come Rita in una vita da schiave del sesso in Europa. Le bande dell'Europa dell'Est usano la violenza per costringere le donne che trasportano, ma le catene usate dalle “madame” a capo del traffico proveniente dalla Nigeria non richiede muscoli – loro hanno il juju dalla loro parte. É un modo per ritualizzare le estorsioni che permette alle donne nigeriane di essere sia carnefici che vittime dello sfruttamento. Un antico rituale africanoPoco si sa in merito alle origini del juju – una tradizione dell'Africa occidentale che rcomprende una serie di rituali ed entità sovrannaturali partendo da aure, spiriti e fantasmi per arrivare alla credenza che gli oggetti possano avere proprietà magicheNon è raro per i nigeriani di ogni estrazione sociale portare amuleti per allontanare spiriti maligni e sfortuna. Ma si crede anche che il potere del juju possa essere convocato ed usato solo da uno stregone. Contrariamente alla credenza popolare, juju non ha alcuna relazione con i rituali voodoo.I credenti affermano che lo juju può essere usato per “buoni” propositi come curare i malanni, ma lo juju “cattivo” può anche essere usato per infliggere una serie di disgrazie, come la pazzia, malattie o la morte. Calameonti essiccati e polli sono spesso usati durante i rituali.

Donne Ainu


All’inizio del periodo fertile, alla ragazza Ainu venivano tatuate le labbra ed il dorso delle mani: con pietre affilate o piccole lame si incideva e si alzava la pelle che veniva energicamente frizionata con le ceneri coloranti della betulla. Il tatuaggio veniva ripetuto quando la donna raggiungeva il quarantesimo anno di età: si riteneva propiziatorio contro le irregolarità mestruali, la sterilità delle giovani, la salute fisica e psicologica delle donne adulte.

da I racconti della Nuragheologia di Raimondo De Muro






 “Cento bisavoli prima del bisavolo mio, nella Sardegna, raccontano gli antichi, sono venuti gli uomini del pianeta blu, a pelle blu e liscia che pareva di porcellana, con un corpo che pareva pieno di aria, ma non era di aria ma trasparente come una vetrina, che non era possibile toccarli se uno non voleva essere fulminato all’istante. Dicono gli antichi che erano uomini di alta statura, con la faccia uguale alle statue di bronzo e di pietra che ricordano questa venuta. Sulla testa portavano un corno come un vomere e sulla fronte un porro che lampeggiava. Si erano fatti vie di fuoco e in queste vie restava la polvere della vita e da questa polvere è nato ogni essere vivente, racconta il proverbio antico.”

HSING NU, IL POPOLO DISCESO DALLE STELLE

Hsing Nu, il popolo adoratore delle stelleUn popolo enigmatico è quello degli Hsing Nu, dei quali pochissimo sappiamo tuttora, se non che praticavano una curiosa forma di religione astrale, per cui sono stati definiti «adoratori delle stelle». Di loro, e del mistero che li avvolge e che avvolge specialmente la loro fine, ha parlato, tra gli altri. anche il pioniere dell’archeologia spaziale in Italia, Peter Kolosimo, in uno dei suoi libri più famosi e intriganti, Terra senza tempo (Sugar Editore, Milano), nei seguenti termini:Gli Hsinhg Nu non erano certo contraddistinti da un alto livello civile, ma, per molti versi, le testimonianze indirettamente pervenuteci sui loro monumenti c’indurrebbero a pensare il contrario: ci troviamo di fronte , insomma, ad uno dei tanti inspiegabili contrasti propri alle antiche culture.Gli Hsing Nu abitavano una regione del Tibet settentrionale, a sud della grandiosa catena del Kun Lun, una zona ora desertica, in gran parte inesplorata. Non erano d’origine cinese: si pensa fossero arrivati laggiù dalla Persia o dalla Siria; i rinvenimenti effettuati, infatti, ci riportano ad Ugarit e, in particolare, alle raffigurazioni del dio Baal, dal lungo elmo conico e dal corpo ricoperto d’argento.Quando, nel 1725, l’esploratore francese padre Duparc scoprì le rovine della capitale degli Hsing Nu, quel popolo, annientato dai Cinesi, apparteneva già da secoli alla leggenda. Il monaco poté ammirare i ruderi d’una costruzione nel cui interno s’ergevano più di mille monoliti che dovevano un tempo essere rivestiti con lamine d’argento (qualcuna, dimenticata, dai predatori, era ancora visibile), una piramide a tre piani, la base d’una torre di porcellana azzurra ed il palazzo reale, i seggi del quale erano sormontati dalle immagini del Sole e della Luna. Duparc vide ancora la ‘pietra lunare’, un masso d’un bianco irreale, circondata da bassorilievi raffiguranti animali e fiori sconosciuti.Nel 1854 un altro francese, Latour, esplorò la zona, rinvenendo alcune tombe, armi, corazze, vasellame di rame e monili d’oro e d’argento ornati con svastiche e spirali. Le missioni scientifiche che, più tardi, si spinsero laggiù, reperirono soltanto qualche lastra scolpita, avendo la sabbia, nel frattempo, seppellito i resti della grande città. Fu nel 1952 che una spedizione sovietica tentò di portare alla luce almeno una parte dei ruderi.Gli avventurieri della scienza si sottoposero a un lungo, massacrante lavoro, senza poter contare su strumenti adeguati, il cui trasporto in quelle regioni appariva impossibile; purtroppo essi riuscirono soltanto a strappare al deserto l’estremità d’uno strano monolite aguzzo, che sembrava la copia identica di quello della città morta africana di Simbabwe, con alcuni graffiti.Dai monaci tibetani, però, gli studiosi russi appresero vita, morte e miracoli degli Hsing Nu. Furono loro mostrati antichissimi documenti in cui la piramide a tre piani era descritta sin nei minimi particolari. Dal baso all’alto, le piattaforme avrebbero rappresentato «la Terra Antica, quando gli uomini salirono alle stelle; la terra di Mezzo, quando gli uomini vennero dalle stelle; e la Terra Nuova, il mondo delle stelle lontane».Che cosa significano queste parole sibilline? Vogliono forse dirci che gli uomini raggiunsero chissà quale pianeta in un passato senza ricordo, che tornarono poi al loro globo d’origine e che, alfine, non ebbero più modo di comunicare attraverso lo spazio? Non lo sapremo probabilmente mai, ma i Tibetani pensano che sia in effetti così., affermano che quel popolo cercò nella religione il proseguimento dei viaggi cosmici, cullandosi nella credenza che le anime dei defunti salgano in cielo per trasformarsi in astri.Interessantissima è la descrizione dell’interno del tempio, che collima in parecchi punti con quella resa da padre Duparc. Su un altare – rivelano le vecchie cronache tibetane – era posta la «pietra portata dalla Luna» («portata», non «venuta»;non si sarebbe trattato, quindi, d’una meteorite), un frammento di roccia d’un bianco latteo, circondato da magnifici disegni rappresentanti la fauna e la flora della «stella degli dei». E dei monoliti a forma di fusi sottili, rivestiti d’argento. Sono animali e piante d’un pianeta colonizzato da cosmonauti preistorici, monumenti eretti a simboleggiare le loro astronavi?Prima d’un «cataclisma di fuoco», gli Hsing Nu sarebbero stati civilissimi ed avrebbero coltivato diverse straordinarie scienze, le stesse che sono ancor oggi vive fra i Tibetani: essi sarebbero stati non solo in grado di «parlarsi a distanza», ma addirittura di comunicare con il pensiero attraverso lo spazio. Gli individui sopravvissuti alla catastrofe sarebbero precipitati nella barbarie, non conservando dell’antica grandezza che il ricordo deformati dalla superstizione.Leggende, favole, superstizioni? Forse.Tuttavia, noi sappiamo che le leggende non nascono mai per caso: si tratta solo di avere l’umiltà e la perseveranza di continuare a scavare intorno ad esse, con mente sgombra da pregiudizi scientisti, per veder riemergere, poco alla volta, il fondo di verità da cui sono nate.

Potrebbe essere un cartone raffigurante 3 persone e attività all'aperto
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