sabato 21 settembre 2019

Storie di janas: Sas janas


Tanto tempo fa nella nostra isola vivevano le fate, che in lingua sarda venivano chiamate janas (gianas). Queste erano davvero molto piccole e vivevano in quelle che ancora oggi chiamiamo domos de janas, ovvero case delle fate. Nei dintorni di Ghilarza le fate sarde anticamente vivevano nella zona di Trempu e in quella di Santu Giuanne.

Le janas erano molto belle e usavano vestirsi in maniera molto elegante, per lo più di rosso. Indossavano sempre un fazzoletto a fiori che portavano alla Santa Zita nonché preziose collane d’oro. Trascorrevano il tempo a cucire e a filare, e a lavorare nella loro terra. Le case delle janas, che si trovano sul monte, sono molto piccole, così come piccoli erano i loro arredi, mentre i loro piatti erano tutti a fiori.

Sas janas fuint piticheddeddas piticheddeddas e biviant in sas domus de sas janas in Trempu e in Santu Giuanne. Fuint meda bellas e si bestìant de rùgiu cun-d unu mucadore afroriau e postu a sa zitina e cun sas cannacas de oru, e cusiant e fillaiant e triballaiant in sa terra insoru. Sas domus de janas funtis in su monte, sos trastos fuint piticheddeddos cumente issas e totu sos pratos froriaos.

Il popolo delle janas viveva appartato, lontano dagli umani. Esse erano molte religiose e avevano una chiesa molto simile alla nostra. Siccome le janas erano davvero molto ricche, nel corso dei secoli, in quelle che una volta erano le loro proprietà, hanno trovato tantissimi tesori e cose di grande valore.

Custa zente biviant apartadas de sas àteras e fuìnt meda religiosas; sa crèsia insoru fuit comente dda tenimos nois. Sigomenti sas janas fuìnt meda ricas in su cunzau insoru ant agatau meda cosa valorosa.

Quando mia nonna era piccola ne vide una nella zona di Òrgono. La jana le si avvicinò e la toccò, quindi le chiese dove stesse andando e se volesse andare con lei. Mia nonna però si spaventò e le rispose che non l’avrebbe mai e poi mai seguita. Stiamo parlando di una cosa accaduta circa novanta anni fa. Ad ogni modo, quando in Sardegna sono arrivati i pisani, pian pianino le janas sono scomparse, ma le loro case sono ancora oggi ben visibili.

Candu igiàgia fuit pitica nd’aiat ‘istu una in Òrgono chi dd’aiat tocada e dd’aiat preguntadu a inui andaiat e si cheriat andare impari cun issa; issa at tèmiu e at nau chi no. Custu at esse noranta annos faet. Custa zente candu funtis bènnios sos pisanos, a pagu a pagu si funtis ispèrdias ma de sas domos insoro si nd’agatat ancoras.

Psychè il respiro dell'anima


    Psyché significa anima, farfalla e respiro allo stesso tempo. Ma cominciamo dal principio…

La lettera psi – Ψ appartiene all’alfabeto greco e viene usata anche come simbolo ed icona della psicologia. Per gli antichi greci la psyché (ψυχή) era l’anima ed il respiro. Il termine psyché indica, come è ovvio, la sfera psichica, ovvero un’anima sensibile e una mente riflessiva. Ma psyché significa anche respiro, il soffio vitale che dà la vita: è quindi il respiro a donare al corpo l’anima e la mente. Ma psyché significa anche farfalla.  Nella mitologia la farfalla è il simbolo dell’anima, della leggerezza e della volatilità dello spirito vitale. La farfalla è anche simbolo della fragilità, della bellezza ma anche della brevità della vita, della non permanenza ma anche della felicità. Psiché-farfalla è la personificazione del respiro dell’anima.

RESPIRAZIONE E DIAFRAMMA

Fin dall’antichità era conosciuta l’importanza della respirazione per l’armonia dell’intero organismo umano. Particolare attenzione era riservata a un fondamentale organo posto al centro del corpo, il diaframma, il muscolo che dà movimento ed energia all’onda respiratoria. Il diaframma per mezzo della sua struttura a cupola separa e allo stesso tempo congiunge la parte superiore e quella inferiore del corpo. Diaframma deriva dal latino diaphragma che contiene la parola phrasso (limitare, chiudere), termine che mette in evidenza una funzione primaria: quella di confine e di connessione tra la parte alta e quella bassa dell’organismo umano. Per gli antichi greci il diaframma era origine e centro del principio vitale. Lo designavano infatti col termine phrenes che significa letteralmente “mente”. Il diaframma-phrenes, anche questa volta indistintamente psiche e respiro, aveva secondo gli autori classici un ruolo essenziale nella regolazione dell’equilibrio tra la vita psichica e quella somatica.

PSICOLOGIA: I TRE REGNI DELL’ANIMA

Ma anche la moderna psicanalisi e, a maggior ragione, la psicoterapia corporea ritengono importanti il respiro e il diaframma. Secondo Georg Groddeck, fondatore della medicina psicosomatica e autore de Il linguaggio dell’Es (1933), nel corpo possiamo individuare aree in cui hanno sede i tre regni dell’anima: la testa, il torace e il ventre. Il collo, tra testa e torace, e il diaframma, tra torace e ventre, sono organi che separano e congiungono allo stesso tempo queste zone. Essi equivalgono a cerniere che possono facilitare o al contrario ostacolare la comunicazione fra i tre vitali e imprescindibili regni dell’anima. Groddeck porta l’esempio della schizofrenia, parola che contiene al suo interno il termine phrenes che come abbiamo visto significa mente. Schizofrenia: dal greco σχίζω (schizo, diviso) e φρήν (phren, psiche) significa “mente divisa”. Ciò indica che tra l’anima del ventre e l’anima del petto si è creata una barriera. Il luogo della scissione, allora, non è il cervello, non è nella sfera psiche-pensiero: è nel diaframma, il limes che chiude la comunicazione tra l’anima del ventre e le anime del petto e del capo.

L’ANGOSCIA E IL RESPIRO

Le persone trattengono il respiro quando vogliono mantenere l’anima del capo – l’attività cerebrale razionale e cosciente – indipendente e non condizionata dai sentimenti dell’anima del petto e dalle sensazioni dell’anima del ventre. Il termine angst, che in tedesco indica ansia, angoscia e paura, deriva dal verbo latino àngere (stringere, soffocare, angusto). Tra il fisiologico e il simbolico possiamo allora considerare l’angoscia un vero e proprio irrigidimento del diaframma che grava sull’addome e che soffoca il respiro. Un peso che opprime il petto: e quindi “angustia” il cuore. Possiamo quindi ritenere i disturbi psicologici che affliggono gli esseri umani (l’ansia, l’angoscia, il panico, la depressione…) sintomi di uno squilibrio che ha origine nella perduta armonia psico-corporea, effetti dell’infrangersi dell’unità primigenia di corpo e anima. L’inquietudine e il malessere diventano allora la metafora concreta e dolorosa dell’allontanamento inesorabile dell’anima dal corpo. Un progressivo separarsi ed estraniarsi della psyché-anima dalla psyché che significa respiro e soffio vitale. Un distacco che sta alla base della dicotomia mente-corpo che alimenta il pensiero occidentale, permea le nostre esistenze e condiziona il nostro piacere di vivere.

 L’ARMONIA CORPO MENTE

Dopo queste riflessioni tra scienza e filosofia si potrebbe facilmente – e inutilmente – indugiare su tristi pensieri e su grigi futuri. In verità non si propone qui una antropologia pessimistica che guarda con nostalgia ai bei tempi antichi. Il cammino dell’uomo è ancora in corso: la storia ha affrontato molte superstizioni e false credenze che tenevano gli esseri umani schiavi dell’ignoranza e in soggezione del fato. Esseri umani paurosi e ciechi che vivevano, come racconta Platone nel “mito della caverna”, nell’oscurità del sapere. Con spirito libero, curiosità e entusiasmo, per mezzo di un agire creativo e coraggioso rivolto a tutti i campi dell’esperienza umana (“con il lavoro, la conoscenza e l’amore” – per usare le parole di Wilhelm Reich) guardiamo alle generazioni future con l’augurio di una nuova, più profonda e consapevole integrazione di tutte le facoltà umane, un equilibrio di livello superiore, sapiente e gentile – ma anche ironico e giocoso – che superi la dicotomia tra corpo e mente. Che riconcili la mente e il corpo, che faccia danzare insieme l’anima e il respiro in una più grande e saggia psyché.

 IL RESPIRO PER LA CRESCITA PERSONALE

È il respiro ad unire corpo ed anima, semplicemente perché è la fonte di energia che dona la vita ad entrambi. La respirazione è l’unica funzione vitale dell’organismo ad essere allo stesso tempo involontaria e volontaria, un tramite tra sistema nervoso autonomo e sistema nervoso centrale, un ponte tra conscio ed inconscio, razionale e irrazionalità, veglia e sonno, volontà e spontaneità: in una parola tra corpo e mente. La respirazione è da sempre alla base di antichi riti e pratiche di meditazione e di preghiera. Ancor oggi è il centro pulsante dello yoga. Altre pratiche sono la Vegetoterapia di Wilhelm Reich (fondatore della psicoterapia corporea ed ideatore del concetto di identità funzionale di psiche e soma), la Bioenergetica di Alexander Lowen, la Respirazione olotropica di Stanislaw Grof fino al Rebirthing di Leonard Orr. Pratiche tutte meravigliose ed efficaci, diverse per qualità ma affini nelle mete: l’armonia corpo mente, la crescita personale e lo sviluppo del potenziale umano insito in ognuno di noi.

giovedì 19 settembre 2019

Mabon, l'equinozio d'autunno


Con Settembre arriva l'Equinozio d'Autunno, Mabon, la prima delle Festività dell'oscurità, e uno dei temi dominanti di questa festa è la separazione (tra innamorati o quella tra madre e figlia).
Dopo aver sacrificato la propria essenza vitale alla Madre Terra, il Dio si trova ora alle soglie degli Inferi diventando il simbolo del passaggio dalla vita alla morte.
Sacrificandosi in lei, egli impregna il suo grembo della propria essenza e si trattiene dentro di lei come promessa, poiché egli è la vita.
Nell'antica tradizione, durante questo periodo di "incubazione" il Dio viene chiamato Mabon - figlio della Madre - dall'autunno sino alla Dodicesima Notte, ovvero il 6 di Gennaio.
Mabon ( "Grande Figlio" o "Figlio della Madre") era un grande cacciatore con un agile cavallo e uno splendido cane da caccia. Probabilmente è la mitologizzazione di un grande condottiero del tempo. Mabon fu rapito dalla madre, Modron ( Grande Madre ), quando aveva solo tre giorni, ma fu salvato da Re Artù ( altre leggende raccontano che fu salvato da un gufo, un aquila ed un salmone ). Però durante questo tempo, Mabon ha vissuto, prigioniero felice, nel mondo magico di Modron -- il suo grembo. Grazie a ciò egli può rinascere. La luce di Mabon è stata portata nel mondo, raccogliendo la forza e la saggezza, in maniera tale da trasformarsi in un nuovo seme.
In questo senso, Mabon è la controparte maschile di Persefone, il principio maschile fertilizzante. Modron invece corrisponde a Demetra.
Mabon è la festività dell'equinozio, il giorno che si trova a metà fra i due solstizi; è tempo di equilibrio, quando la luce e le tenebre sono uguali e dà inizio all'autunno.
È celebrato alla fine del periodo più faticoso dell'anno in cui viene effettuato il secondo raccolto;
Il ciclo produttivo e riproduttivo è concluso, le foglie cominciano ad ingiallire e gli animali iniziano a fare provviste in previsione dell'arrivo dei mesi freddi. Generalmente inizia il periodo della caccia.
Molte specie migratorie - come le rondini - avviano il loro lungo viaggio verso sud.
Il cigno è l'uccello dell'Equinozio in quanto simbolo dell'immortalità dell'anima e guida dei morti nell'aldilà.
E' tempo di bilanci; abbiamo sotto gli occhi ciò che abbiamo seminato l'anno passato, possiamo constatare che frutti abbiamo raccolto. In occasione di questo periodo e dell'aratura dei campi, erano effettuati un gran numero di riti locali e regionali con il comune denominatore del ringraziamento e della preghiera di una mite stagione in arrivo.
Il periodo dell'equinozio d'autunno veniva chiamato anche Michaelmas o Michael Supremo, il giorno dedicato all'arcangelo di fuoco e di luce alter ego di Lucifero.
Il mese di settembre era anche il periodo in cui si svolgevano i Grandi Misteri di Eleusi, basati sul simbolismo del grano.
Inoltre è il tempo per la fabbricazione del vino, dalla raccolta delle uve alla pigiatura e sino alla sua chiusura nel buio delle botti, con procedure che un tempo venivano accompagnate da rituali ben specifici, perché il processo della fermentazione delle uve era visto come simbolo della trasformazione spirituale che ha luogo durante le iniziazioni e i riti misterici, nel buio dei santuari sotterranei.
Mabon va vista in effetti come una festa iniziatica, rivolta alla ricerca di un nuovo livello di consapevolezza. E' tempo di volgersi all'interiorità: nella parte declinante della Ruota dell'Anno si viaggia dentro noi stessi, entriamo nel tempo del buio per riflettere sui misteri della trasformazione attraverso la morte.
È un periodo per porre fine ai vecchi progetti mentre ci prepariamo al periodo dell'anno di riposo, rilassamento e riflessione.
Mabon è considerato tempo dei misteri. È il momento di onorare le divinità anziane e lo Spirito. Le divinità vengono ringraziate per i loro doni, auspicando il futuro ritorno dell'abbondanza per gli anni successivi, ricordando di lasciare una parte del banchetto per la Terra e le sue creature: tutto ciò che di commestibile fosse sulla tavola di Mabon per adornarla e ciò che è avanzato dal banchetto,veniva portato all'aperto ed offerto ad animali ed uccelli in segno ulteriore di ringraziamento verso la Grande Madre Terra che ha elargito i suoi doni.
La Dea appare in veste di Madre dell'Abbondanza, Madre della Terra e Regina del raccolto. Il Dio è visto come il Padre del Cielo, Re del Grano e Signore del raccolto. Il Signore e la Signora regnano sulle celebrazioni del ringraziamento che inizia al tramonto e perdura per tutta la notte.
Il ciclo si è quasi chiuso, la natura si prepara alle brume invernali.
Il seme sepolto nel terreno ( a Mabon e Samhain ) muore e nasce la nuova pianta (a Yule) , che percorrerà tutto il suo cammino (a Imbolc, Oestara, Beltaine e al Solstizio d’Estate), e maturerà (a Lughsanad) per poi di nuovo generare il seme che cade nella terra e morire per dare inizio ad un nuovo ciclo.
Questo è il ciclo del Serpente che si svolge nell'arco di un anno solare, scandito dalle stagioni, e che comprende l'intera nostra vita.
Uscire da questi cicli significa elevarsi, come dicevano gli antichi, riscoprendo la propria dimensione divina ed immortale. Concetto alla base delle iniziazioni e dei misteri Eleusini.
La tavola, imbandita con tovaglia e tovaglioli di colori autunnali, con candele rosse o marroni, può essere decorata con erbe secche, castagne, noci, more, ghiande, mais, fiori di girasole e foglie autunnali. Non devono mancare biscotti di farina di avena, mandorle e vino per ringraziare gli antenati.
Pietanze tradizionali sono il pane di grano, i fagioli le patate e le zucchine al forno.
Il fuoco viene acceso con le foglie secche che si raccolgono in giardino.

domenica 8 settembre 2019

DIAVOLO, ORIGINI E CULTURA DI UN “ESSERE” MALEFICO

di Renzo Paternoster -
Lungi dall’appartenere alla sfera dell’immaginario, il diavolo – soprattutto durante il Medioevo – fu percepito come una presenza reale e pericolosamente vicina agli uomini. Lo si rinviene praticamente in tutte le religioni e in tutte le culture.
Il Diavolo non è un’invenzione del Cristianesimo. I diavoli sono sempre esistiti nell’immaginario umano: la credenza in entità sovrannaturali malvagie è radicata quanto quella in entità benevole, poiché entrambe sono insite negli esseri umani. Entità malvagie, sotto varie forme, sono presenti in tutte le religioni e culture della storia, seppur non nella figura universalmente diffusa poi dal cristianesimo.
Alcune caratteristiche del diavolo sono riscontrabili in diverse divinità pagane, con relazioni che rispecchiano sia la raffigurazione iconografica sia la funzione oppositrice alle divinità buone. Infatti, in quasi tutti i grandi politeismi del mondo antico vi era la figura di un dio del Male, complementare a un dio del Bene. Questo perché le civiltà antiche consideravano il Bene e il Male come due facce della stessa medaglia: così a una divinità buona si contrapponeva una malvagia. A quest’ultima erano ricondotti tutti gli aspetti negativi dell’universo. Questo, ad esempio, si riscontra nei culti dell’antico Egitto, della Cananea (regione che comprendeva, approssimativamente, il territorio attuale di Libano, Israele e parti di Siria e Giordania), dell’antico Iran, delle prime civiltà dell’America centrale e meridionale.
In Egitto le divinità Horus e Seth erano rispettivamente il dio celeste, generalmente benigno, e il dio del caos, solitamente malvagio. Quest’ultimo era raffigurato come un uomo con testa di animale, talvolta identificato con lo sciacallo o con la capra.
Anche presso i Cananei, che precedettero gli Ebrei in Palestina, c’era una divinità buona che si contrapponeva a una malvagia, la prima era il dio Ba’al, signore dell’universo, la seconda Mot, fratello della prima e divinità del caos e del male.
I culti dell’antico Iran, principalmente quello di Zoroastro, furono fortemente caratterizzati da una visione dualistica del mondo, dove si scontrano Bene e Male, quindi un dio buono, Ahura Mazda, in diretto conflitto con un dio malvagio, Ahriman, entrambi domiciliati rispettivamente in un mondo celeste e in un inferno.
I Maya avevano la loro divinità malefica, Ah Puch, signore della Morte. Frequentemente associato al dio della guerra e del sacrificio umano, i suoi costanti compagni erano il cane, l’uccello Moan (una specie di sparviero considerato il demone delle nuvole) e la civetta, tutti considerati creature di cattivo augurio e di morte.
Presso gli aztechi c’erano due grandi divinità uguali e opposte, Tezcatlipōca e Quetzalcóatl, generalmente maligno il primo, benevolo il secondo. Tezcatlipōca, che vuol dire “specchio fumante”, era nella mitologia azteca il dio della notte e delle tentazioni, ed era l’antitesi e il rivale di Quetzalcóatl
Il diavolo lo ritroviamo nelle tre grandi religioni monoteiste (Cristianesimo, Ebraismo e Islam) e nelle religioni a queste collegate. Qui spesso è appellato con i sinonimi di demonio e satana. Tuttavia, inizialmente quest’ultime erano entità diverse e distinte sia dal diavolo sia tra loro. L’etimologia dei termini “diavolo”, “demonio” e “satana” spiega il loro corretto significato.
Diavolo deriva dal latino tardo diabŏlu(m) e dal greco di(ábolos) che a sua volta deriva dal verbo greco dia-bàllein che significa “caccio attraverso”, quindi in senso metaforico separare, disunire, porre barriera, porre frattura. Ecco il significato originale del termine: il diavolo è colui che crea, attraverso l’inganno e la menzogna, frattura tra uomo e Dio, tra uomo e uomo. Nell’Ottocento, il filologo Marco Antonio Canini, nel suo Etimologico dei vocaboli italiani di origine ellenica con raffronti ad altre lingue, aggiunge che sia Dio sia diavolo deriverebbero dalla stessa radice indoeuropea div-, diu-, che designa il risplendere, il rilucere (attributo del divino). Quest’ultima ipotesi è stata largamente rigettata [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Diavolo”].
Demonio, invece, proviene dal latino tardo daemonium e questo dal greco daimóniondaimónios, con il significato di “appartenente agli dèi”, quindi sovraumano, venerabile, il cui significato originario in lingua greca è quello di dèmone, ossia “essere divino” che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano, con la funzione quindi di intermediare tra queste due dimensioni [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Dèmone, Demònio”]. Nelle religioni politeistiche e nelle mitologie antiche i demoni sono esseri intermediari tra l’uomo e la divinità, e potevano essere di natura benigna o maligna, mentre nella visione iniziale dettata dalla religione ebraica, cristiana e islamica, sono entità appartenenti al mondo spirituale (e non solo) che influenzano negativamente o positivamente la vita degli uomini. In pratica sono dei servitori del Diavolo, spiriti maligni e delle tenebre che eccitano l’uomo a far male.
Satana è un vocabolo di origine ebraica, passato attraverso la Bibbia in altre lingue semitiche, siriaco ed europee. Il sostantivo ebraico sāṭān è una normale derivazione della radice s ṭ n, che ha il significato di “osteggiare”, “accusare” e “calunniare”. Secondo le antiche idee degli israeliti, esso partecipava al “Consiglio di Dio” con il compito di tentare gli umani. Il sostantivo passò poi al significato generico di avversario [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Sàtana”]. Satana, o meglio “il satana” compare per la prima volta nel Libro di Giobbe (Vecchio Testamento), testo stilato nel suo nucleo poetico centrale intorno all’XI-X secolo a.C. e redatto definitivamente verso il 575 a.C. Egli non è il diavolo, ma uno dei membri del “Consiglio di Dio” che agisce solo con il suo permesso per tentare le persone con molte prove e sofferenze. Satana, dunque, è un titolo, non un nome proprio e, soprattutto, non è il Diavolo. Il termine compare dopo la fase del nomadismo predone, quando gli Ebrei, già esuli a Babilonia, entrarono nell’area di influenza della Persia, dove esistevano semidivinità che anticipavano la figura di Satana [G. Semerano, Le origini della cultura europea, Vol. I, L.S. Olschki, Firenze 1994, pag. 148]. Satana è nominato diciotto volte nel Vecchio Testamento. Successivamente, ritroviamo Satana nominato 188 volte nel Nuovo Testamento, facendo assumere un certo rilievo alla sua figura, tanto da tentare Gesù il Cristo per ben tre volte. Quando gli Ebrei di Alessandria tradussero l’Antico Testamento, resero l’ebraico Satàn con il greco diabolos.
Nell’ebraismo e nel cristianesimo, un luogo comune vuole il diavolo presente nel Paradiso terrestre, materializzato in un serpente, che a sua volta tenta Adamo ed Eva. Tuttavia il Vecchio Testamento non sostiene assolutamente che il rettile fosse il Diavolo, ma lo definisce: «la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio» (Genesi 3, 1). Tant’è vero che prima di cacciare Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, Dio “condanna” il serpente non all’Inferno, ma a vivere sulla terra in modo umiliante: «sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita» (Genesi 3, 14).
Nel Libro di Enoch, testo apocrifo di origine giudaica accreditato al bisnonno di Noè, ma la cui redazione definitiva risale al I secolo a.C., si fa riferimento ad “angeli caduti”, “angeli ribelli” che trasgredirono gli ordini di Dio, sino ad accoppiarsi con le donne sulla terra e per questo condannati. La teologia cristiana, rigettò il testo considerandolo apocrifo, ma mantenne “l’idea” della “caduta degli angeli ribelli”, i “diavoli” appunto.
La teologia cristiana, rifacendosi a un passo del profeta Isaia, «Tu, portatore di luce, figlio dell’aurora, perché sei caduto dal cielo?» (14, 12), individua in Lucifero un “angelo caduto”, un diavolo. Lucifero significa letteralmente “portatore di luce”, in quanto tale denominazione deriva dall’equivalente latino lucifer, composto di lux (luce) e ferre (portare). Non solo. I primi cristiani individuano nel “sottoterra” il luogo in cui abitano i diavoli. Il termine Inferno deriva dal latino infernus, cioè “posto in basso”, “inferiore”. Qui, sotto gli influssi della cultura degli Esseni, che per primi formularono il concetto di Inferno come luogo di perdizione per i cattivi, e poi dell’antica Grecia, che credeva nell’esistenza dell’Ade come “mondo degli inferi”, i cristiani trasferirono i diavoli e tutte le persone da essi corrotte.
Anche il misericordioso Allah ha il suo diavolo: si chiama Iblis e fu creato da un fuoco senza fumo. Anche Iblis era un angelo, poi condannato per un peccato di orgoglio, perché non volle eseguire il comando di Dio di prostrarsi innanzi ad Abramo perché, a differenza sua, Dio lo aveva tratto dall’argilla [Corano, Sura del Limbo, 11-12]. Condannato da Dio divenne “angelo maligno tentatore”.
La fede islamica ha anche il suo Inferno, Jahannam in arabo. Esso è il luogo in cui c’è il fuoco, i serpenti, acqua bollente, ghiaccio e altre torture, con «sette porte, e ogni porta ha un suo gruppo di dannati», secondo i peccati commessi e con una punizione irrogata dai diavoli secondo la cosiddetta legge del contrappasso, (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) che impone l’espiazione dei peccati mediante punizioni simmetriche e contrarie ai peccati commessi, ma esponenzialmente amplificate.
Il Medioevo cristiano vede affermare più incisivamente la figura del diavolo. Anzi, l’Europa cristiana approda all’apice della maligna influenza del diavolo sul mondo.
I racconti medievali, ma anche in seguito quelli rinascimentali, portano a conoscenza dei cristiani la presenza attiva del diavolo attraverso reali incursioni fra gli uomini, specialmente santi e monaci. Ecco allora storie di apparizioni maligne a san Martino di Tours (316 o 317-397), disturbato quotidianamente nella sua cella da un diavolo armato di corno di toro; sant’Antonio abate (251-356 o 357) fisicamente aggredito e picchiato dal diavolo (una vulgata lo vuole sempre raffigurato con un maialino, animale visto come il diavolo che, sconfitto da Antonio, fu da Dio condannato a seguire il santo sotto questo aspetto); san Benedetto abate (480-550) che subì attacchi continui da parte del demonio; san Domenico (1170-1221) minacciato più volte dal diavolo che gli lanciò anche una grossa pietra dal soffitto della Chiesa di S. Sabina in Roma sfiorandolo; san Francesco d’Assisi (1182-1226) tentato più volte dal maligno in persona; San Nicola da Flue (1417-1487) vittima del diavolo che tentò anche di farlo rotolare in un burrone; e molti altri ancora.
Queste “incursioni” proseguiranno anche nella modernità e nell’epoca contemporanea, dove a essere “inseguiti” e a subire vessazioni dal diavolo in persona saranno molti altri santi e persone pie, tra cui santa Teresa d’Avila (1515-1582), san Giovanni della Croce (1542-1591), san Giuseppe da Copertino (1603-1663), san Paolo della Croce (1694-1775), la beata Anna Katharina Emmerich (1774-1824), san Giovanni Maria Vianney (più noto come il santo Curato d’Ars, 1786-1859), madre Speranza di Gesù (al secolo Marìa Josefa, 1893-1983), san Giovanni Bosco (1815-1888), suor Faustina Kowalska (1905-1938), san Pio da Pietralcina (1887-1968), Natuzza Evolo (1924-2009) e molti altri.
Ritorniamo nel Medioevo e nell’influenza che il Diavolo ebbe in questa età della storia.
In un periodo flagellato da carestie, guerre e morte, gli uomini e le donne medievali hanno affrontato il problema della sofferenza e del male comportandosi come i pagani di un tempo, addebitando a spiriti maligni le loro disgrazie. La Chiesa, dal canto suo, rende funzionale al suo programma politico queste credenze, trasformandole in uno strumento per il controllo dei movimenti ritenuti pericolosi, eversivi e devianti dall’ortodossia. Questa diverrà poi la base della demonizzazione degli ebrei, degli eretici, degli infedeli.
L’ossessione misogina della Chiesa nei confronti delle donne porta a considerare la donna un particolare strumento del diavolo per corrompere gli uomini. La donna, nella sua debolezza e attraverso il sesso, costituiva la tentazione più grande indotta dal diavolo. La ragione di questa visione sessuofobica risiede nel fatto che la donna, essendo nata dalla costola dell’uomo è al tempo stesso più carnale e più imperfetta. Ella, abbandonata alle adulazioni di Satana si trasforma spesso in strega. Ecco allora la Chiesa accendere i roghi per bruciare questi strumenti peccaminosi del diavolo.
La caccia alle streghe, considerate ancelle del diavolo, coincise con un periodo in cui il papato e la sua Chiesa stavano vivendo tensioni politiche, sociali e religiose senza precedenti.
Nella sua iconografia, il diavolo assume nel Medioevo aspetti molteplici, conformemente alla sua capacità di trasformarsi, di mascherarsi. Caratteristica comune di tutte le rappresentazioni del Diavolo è la mancanza delle ali di angelo, segno del dominio dell’aria, e le fattezze prive di bellezza e armonia corporea. Non a caso il diavolo è il rappresentante di un mondo infimo e peccaminoso. Tutte le rappresentazioni devono spaventare e indurre a una retta condotta.
A partire dall’arte paleocristiana fino a tutto il IX secolo, il diavolo ha prevalentemente fattezze umanoidi: è un essere piccolo, a volte vecchio, oppure deforme, spesso con naso lungo e ricurvo e piedi dotati di artigli. I suoi capelli sono inizialmente scuri, poi diventano serpentini; gli occhi, invece, sono di fuoco.
Dall’XI secolo compaiono le corna e i tratti cominciano a essere quelli di un animale o un mostro. La bestialità del diavolo è così rappresentata dalla presenza della coda, di orecchie appuntite, di barba caprina, di artigli e zampe posteriori da capro. Nella raffigurazione del diavolo si integrano ai testi biblici alcuni elementi pagani, tra cui quelli che si riferiscono alla divinità degli inferi etrusca Tuchulcha, rapinatore e carnefice delle anime, mezzo uomo e mezzo uccello rapace di tinta giallastra, con ali di avvoltoio o pipistrello, orecchie equine, un grande becco ricurvo e con serpenti nelle mani e sui capelli; oppure al greco Pan, divinità selvaggia dedito ai piaceri della carne, dotato di corna e zampe caprine. Quest’ultima divinità ha ispirato l’idea del demonio come “caprone”.
Secondo un’opinione comune che si tramanda da secoli il diavolo ha un suo numero, che poi è un nome in codice: il 666. Il “numero della bestia” compare in un passo del Nuovo Testamento, nell’Apocalisse di Giovanni, ed è riferito a una «bestia che sale dal mare e devasta la terra»: la bestia «faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. » [Apocalisse 13, 16-18]. Il 666 è dunque un nome, quello dell’Anticristo, per questo è stato assegnato al diavolo.
Ci sono diverse interpretazioni sul suo significato, ne citiamo due, le più diffuse. Alcuni dicono che derivi dalla somma delle lettere presenti nella frase Vicarivus filii Dei (“Vicario del figlio di Dio”), una sorta di Anticristo: V+I+C+I+V+I+L+I+I+D+I = 666. Un’altra possibile spiegazione è questa: il 3 è considerato il numero perfetto, mentre il numero 333 sarebbe la perfezione; se moltiplichiamo quest’ultimo numero per 3, si otterrebbe 999, ossia la perfezione assoluta, Dio; poiché il diavolo è il contrario di Dio, se ruotiamo quest’ultimo numero si ottiene il 666.
Il vento “riformista” di Martin Lutero diventa per la Chiesa di Roma la prova inconfutabile della presenza del diavolo. Ma anche Lutero e i “riformati” vedono in Roma la città infernale avvolta dal fumo di Satana.
In epoca romantica cambia l’approccio verso il diavolo: lo spirito di ribellione, l’individualismo esasperato, il gusto della profanazione trasformano il diavolo in eroe, perché visto come il primo che si ribellò all’autorità precostituita.
A partire dal XX secolo, la presenza del diavolo nella vita quotidiana si rivela attraverso le sette sataniche e luciferine, gruppi di persone che attraverso un morboso piacere di dissacrazione e di eversione attaccano la Chiesa e le sue credenze, arrivando finanche a pratiche ritualistiche di morte.
In un mondo secolarizzato com’è quello attuale, può stupire che la Chiesa continui a invocare il diavolo come il “principe di questa terra”. Eppure, come ammonisce il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 «La potenza di Satana non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura», tuttavia, egli «non può impedire l’edificazione del regno di Dio».
La Chiesa, così, non ha smesso di mettere in guardia il suo “gregge” dagli attacchi del maligno e dai suoi seguaci. Gli ultimi pontefici non solo hanno riesumato con vigore il tema dell’esistenza del diavolo che minaccia direttamente la Chiesa e gli uomini, ma qualcuno di essi ha praticato direttamente esorcismi per scacciarlo.
Il gesuita Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, conferma che papa Pacelli durante la Seconda guerra mondiale ogni mattina all’alba celebrasse un esorcismo diretto a liberare Adolf Hitler dal maligno.
Papa Paolo VI non solo conferma l’esistenza del diavolo (nell’udienza generale del 15 novembre 1972 affermò: «uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo demonio. Il demonio non è soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore») ma arriva a denunciare che «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato finanche nel tempio di Dio», riferendosi a quei sacerdoti e vescovi posseduti dalla vanagloria e dalla superbia del maligno.
Anche papa Giovanni Paolo II ritorna sulla presenza del diavolo sulla terra, praticando due esorcismi su due differenti ragazze (4 aprile 1982 e settembre 2000). Papa Francesco è ritornato sul tema della presenza del diavolo, ribadendo che il diavolo esiste, egli è il «padre dei bugiardi, il padre della menzogna» e noi «dobbiamo lottare contro di lui» con «l’armatura» della verità (Manila, 17 gennaio 2015).
Gli scettici ovviamente non credono nell’esistenza del diavolo, anzi lo considerano la giustificazione di Dio per la sofferenza e le ingiustizie che regnano sulla terra. Essi, tuttavia, per dirla con le parole del poeta e critico letterario italiano Arturo Graf (1848-1913), «hanno soppresso il diavolo dacché si sono accorti di poter fare senza il suo aiuto tutto il male che già credevano di fare col suo aiuto».
Per saperne di più
Cezzi F., Il diavolo nel Medioevo – Laterza, Roma-Bari 1999.
Cousté A., Breve storia del Diavolo. Antagonista e angelo ribelle nelle tradizioni di tutto il mondo – Castelvecchi, Roma 2014.
Giovannini F., Zatterin M. (a cura di), Il libro del diavolo. Le origini, la cultura, l’immagine – Dedalo, Bari 1986.
Gregory T., Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente – Laterza, Roma-Bari 2013.
Grillo R., Il principe di questo mondo. Il diavolo nella storia, nelle religioni, nei documenti, nelle testimonianze – Ares, Milano 2002.
Minois G., Piccola storia del diavolo – il Mulino, Bologna 1999.
Minois G., Piccola storia dell’inferno – il Mulino, Bologna 1995.
Semerano G., Le origini della cultura europea, vol. I – L. S. Olschki, Firenze 1994.

sabato 7 settembre 2019

Il Malleus Maleficarum



Fra il 1227 e il 1235 una serie di decreti papali instaurò l’Inquisizione con lo scopo di reprimere le azioni malvagie di streghe ed eretici. La bolla "Ad extirpanda" del 1252 di Papa Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura per estorcere confessioni di stregoneria da parte delle persone "ragionevolmente sospettate".
Dal 1257 al 1816  l’Inquisizione torturò e uccise molte migliaia di persone (si pensa milioni) innocenti accusate di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate in base a confessioni estorte col terrore della tortura. Se confessavano erano dichiarate colpevoli, se invece non lo facevano erano considerate eretiche e passavano giorni atroci di continue torture finchè morivano o rimanevano invalide a vita. Spesso poi quelle che resistevano anche alla tortura venivano arse lo stesso sul rogo con un'altra accusa, solitamente di stregoneria. Era praticamente impossibile sfuggire alla propria sorte.
Si stima che nei tre secoli più attivi, dalla metà ‘400 al '700, furono sterminati 9 milioni di innocenti, e la cosa peggiore è per l’80% si trattava di donne e bambine. I loro beni venivano confiscati al momento dell’accusa e l’intera famiglia di riflesso veniva spodestata di ogni bene. 
Gran parte delle accuse erano dovute al desiderio di impossessarsi dei soldi di un proprietario terriero, oppure di eliminare una persona scomoda, o ancora per invidia. Le accuse erano le più disparate: stregoneria, provocare le tempeste e le carestie, essere indovini, essere guaritori manipolati del diavolo, praticare riti funerari non cristiani, ecc.. Ogni attività in contrasto con la Chiesa veniva utilizzata per accusare uno sventurato.
Il Malleus Maleficarum fu compilato e scritto da due monaci inquisitori domenicani, Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, che nel testo sostenevano di avere ricevuto poteri speciali per processare le streghe in Germania per ordine di Papa Innocenzo VIII con un decreto papale del 5 dicembre 1484.
I giudici di allora, con il manuale del Malleus davanti, incriminavano il sospettato secondo il principio per cui "il reo deve accusarsi da solo e se non lo fa volontariamente qualsiasi mezzo è lecito". Uno dei metodi più utilizzati per attuare i principi del manuale era buttare in acqua colui che era ritenuto colpevole con un masso legato al collo; se affogava (ma guarda un po’!) era connotazione di colpevolezza e di peccato, se restava a galla era un indemoniato e pertanto andava giustiziato sul rogo.
In quei tempi l’Inquisizione trasformò il Malleus Maleficarum in una vera arma nelle sue mani, istituendo un regno di terrore su tutto il territorio europeo.
Le regole erano molto semplici: ogni processo in cui avessero giurato due o più testimoni veniva considerato valido e giusto e non importava investigare se i testimoni erano effettivamente a conoscenza dei fatti o meno. Bastava semplicemente che affermassero qualcosa che conducesse a screditare malcapitato. Immaginate quindi come ci si procurava i testimoni al tempo: minacce, o più spesso indulgenze o ricompense in denaro; a volte addirittura erano loro stessi accusati, ma si dava loro quella come una via di salvezza, ovvero accusare un altro per salvarsi la pelle.
Le domande trabocchetto prosperavano in ogni interrogatorio, architettate allo scopo di ingannare il presunto reo e mettere in condizioni i testimoni di rispondere secondo prassi.
Per fare un esempio di questi trabocchetti pensate a domande del genere:

«Voi credete al demonio, alle fatture e alla possessione?»
«No, non ci credo!» (un sì avrebbe concluso il processo già qui)
«Dunque per voi le donne bruciate sono state condannate di stregoneria ingiustamente?»

La risposta che dava la sciagurata di turno a questo punto non aveva più nessun valore, perché la colpevolezza era stata accertata dalla prima replica, dal fatto che non credere nella stregoneria trasformava il tutto in vera eresia.
Quando una strega veniva riconosciuta e posta agli arresti venivano prese varie precauzioni affinchè non potesse più nuocere e i suoi poteri venissero azzerati:
- le veniva negato di calpestare il suolo terreno per non aver contatti con Satana, il cui regno era risaputo dimorare negli abissi della terra, e veniva posta in una cesta e sollevata da un’asse;

- quando ’ella era di fronte al Giudice supremo doveva essere presentata di spalle, così da evitare ogni possibile tentativo di contagio con gli occhi;

- i magistrati stessi ordinavano alle guardie di non avvicinarsi alle sospettate per non venire a contatto con la loro carne infetta;

- i giudici più superstiziosi portavano al collo dei sacchetti contenenti erbe benedette e sale consacrato nella domenica delle palme, il tutto sigillato con una speciale cera. 
La paura era il grande alleato degli inquisitori e in parecchie situazioni vanificava l’uso della tortura stessa. Il Malleus consigliava ai magistrati che l'accusato fosse denudato e, se femmina, che fosse condotta in galera e lì denudata da donne pure e illibate per ammansire la sua mente e imprimerle la consapevolezza dei suoi peccati.
Il Malleus Maleficarum è infatti stato scritto come un manuale dal duplice insegnamento:

- quello che conoscono tutti, ovvero metodi corporali per esortare il presunto eretico o presunta strega a confessare i suoi crimini (la tortura): normalmente bastavano questi "accorgimenti" a costringere un prigioniero a confessare qualunque reato gli si volesse imputare;

- quello psicologico, ovvero giocare sulla psiche del malcapitato e obbligarlo a confessare di sua spontanea volontà: nei primi decenni la tortura portò alla morte di moltissime persone, ma molte di queste fino alla fine rifiutarono di ammettere i peccati che non avevano commesso; la Chiesa sapeva bene che così facendo la sua dottrina sarebbe stata messa in discussione e le vittime sarebbero state viste come martiri. Ecco perchè nelle successive pubblicazioni del manuale si inserirono tecniche per incutere timore (in realtà vero e proprio terrore) nei prigionieri, giocando sui loro affetti, sulla loro credibilità, sui loro dubbi e soprattutto sulla loro ignoranza.

Caccia alle streghe...



Si stima che nei tre secoli più attivi, dalla metà del ‘400 al '700, furono sterminati 9 milioni di innocenti, e la cosa peggiore è per l’80% si trattava di donne e bambine. I loro beni venivano confiscati al momento dell’accusa e l’intera famiglia di riflesso veniva spodestata di ogni bene. 
Gran parte delle accuse erano dovute al desiderio di impossessarsi dei soldi di un proprietario terriero, oppure di eliminare una persona scomoda, o ancora per invidia. Le accuse erano le più disparate: stregoneria, provocare le tempeste e le carestie, essere indovini, essere guaritori manipolati del diavolo, praticare riti funerari non cristiani, ecc.. Ogni attività in contrasto con la Chiesa veniva utilizzata per accusare uno sventurato. Da qui viene l'enorme patrimonio immobiliare della Chiesa.

mercoledì 4 settembre 2019

Il mistero dei megaliti di Sacsayhuamán



Gli antichi Peruviani sapevano ammorbidire la roccia? 
Quando si osservano le gigantesche costruzioni megalitiche che l'impero Inca si è lasciato alle spalle, subito balza agli occhi l'incredibile precisione con la quale sono stati posizionati i blocchi di pietra, alcuni dei quali pesanti più di 150 tonnellate. Come ha potuto una civiltà tanto primitiva realizzare delle opere architettoniche così precise? Nella sierra sud del Perù, a più di 3400 metri di altitudine, si trova Cuzco, l’antica capitale dell’Impero Inca. Qui è possibile osservare una delle realizzazioni architettoniche più sconcertanti dell’archeologia sudamericana: la Calle Hatun Rumiyuq, la strada che va dalla piazza de Armas fino al Barrio de San Blas. La via è costeggiata da un’incredibile muraglia in pietra realizzata a secco, utilizzando una serie di massi accuratamente tagliati per combaciare perfettamente uno accanto all’altro. I massi corrispondono così perfettamente che nella fessura tra l’uno e l’altro non è possibile inserire nemmeno uno spillo ...
Nel muro è incastonata una pietra che più di tutte ha attirato da sempre l’attenzione dei ricercatori e dei turisti: è la famosa “pietra dei dodici angoli” (immagine in apertura), un masso di notevoli dimensioni perfettamente scolpito per combaciare con le pietre che lo circondano.
La precisione dell’assemblaggio è davvero sconcertante.
A circa 2 chilometri a nord di Cuzco, ad un’altitudine di 3700 metri, si trova Sacsayhuamán, un complesso fortificato realizzato in pietra che estende su un’area di 3 mila ettari.
Anche qui la tecnica di assemblaggio delle strutture in pietra mostra una precisione che non ha paragoni in America. Alcune delle rocce utilizzate dagli antichi costruttori raggiunge le 150 tonnellate, un peso che avremmo difficoltà a spostare anche con le moderne attrezzature a nostra disposizione.
La precisione con la quale i blocchi sono stati posizionati, combinata con gli angoli arrotondati di alcuni di essi, la varietà delle forme ad incastro e il modo in cui i muri sporgono verso l’interno, ha sconcertato gli scienziati per decenni.
Come hanno fatto gli Inca a realizzare opere così precise avendo a disposizione solo utensili in pietra?
Ad oggi, il metodo utilizzato dagli Inca per abbinare con precisione maniacale le incisioni tra i blocchi di pietra è ancora sconosciuto, soprattutto perchè nessun attrezzo è stato rinvenuto in prossimità del sito.
La spiegazione “ufficiale” è che gli Inca siano riusciti in qualche modo ad indovinare la forma da dare ai blocchi utilizzando semplici strumenti di pietra. Praticamente, posizionavano la pietra sul posto, osservavano la forma di quelle adiacenti e la mettevano giù per realizzarne la forma.
Poi la innalzavano nuovamente e se non corrispondeva ripetevano l’operazione fino a quando i blocchi non combaciavano perfettamente. Tutto questo sarebbe stato eseguito con massi che raggiungevano le 100 tonnellate. Ma è possibile immaginare una procedura tanto complessa e faticosa?
Considerando l’assoluta precisione dei tagli, che sarebbe stata ottenuta utilizzando utensili in pietra, e il reiterato innalzamento dei mastodontici blocchi senza l’utilizzo di gru meccaniche, l’intero processo appare straordinariamente improbabile.
Nei libri di storia si legge che Sacsayhuamán all’epoca dei conquistadores era occupata dagli Inca e che i lavori della sua costruzione siano stati completati nel 1508. Ma Garcilaso de la Vega, uno scrittore peruviano nato nel 1539 a Cuzco, affermava di non avere idea su come fossero state realizzate le strutture di Sacsayhuamán.
Inoltre, quando i conquistadores spagnoli arrivarono in Perù, appresero dagli stessi Inca che le strutture megalitiche erano lì da molto tempo prima di loro, costruite da un popolo diverso. Se i costruttori erano più antichi degli Inca, vorrebbe dire che è esistita una civiltà molto più avanzata di cui non sappiamo quasi nulla, tranne che avrebbe avuto la possibilità di creare una fortezza come quella di Sacsayhuamán

La sibilla cumana


L’antro della sibilla cumana è un luogo dove il mistero è palpabile, anche se sono passati più di duemila anni. Un mistero fatto di sussurri, intrighi, mezze verità che gli scienziati di mezzo mondo tentano di risolvere da centinaia di anni senza alcun successo. Scopriamo qualcosa in più sul mistero della sibilla cumana e sul luogo che la ospita, Cuma.
La storia di Cuma (Napoli) è legata a doppio filo – di quelli proprio che i nodi non si sciolgono mai – alla leggenda della Sibilla Cumana.

Cuma era una città della Magna Grecia fondata nei primi del 700 a.C. dove la Sibilla aveva stabilito il suo dominio. Famosa per le sue profezie scritte su foglie di palma ed affidate alla brezza del mare che spira su questo luogo, la sibilla ha dato tremori a generali in battaglia ed ansia ai piccoli contadini del luogo. Una figura che ha generato un indotto turistico fin dalla pacifica invasione greca, fatta di cultura e di tradizioni, fino ai giorni nostri dove la magia ed il mistero della Sibilla Cumana attira ancora i più coraggiosi.

Le migrazioni che dalla Grecia portavano gli elleni nelle terre del Sud Italia, furono precedute da una visita dell’ecista, condottiero scelto da un gruppo di cittadini per essere guidati alla conquista delle nuove terre. Quello di Cuma – narra la leggenda – consultò l’oracolo di Delfi in persona per trovare il sito da utilizzare per fondare la nuova colonia greca.

Cuma si trova tra Bacoli e Pozzuoli, vicino al lago d’Averno, la bocca dell’inferno secondo Dante. La città era protetta da un promontorio che calava a mare e dalle paludi che oggi sono il lago Fusaro e i suoi acquitrini. Di fronte a Pitecusa (Ischia) e di fianco a Dikaiarchea (Pozzuoli), Cuma era una cittadina florida governata da una piccola democrazia ed aveva in dotazione un altrettanto ridotto esercito, ma ben addestrato stando alle cronache locali.

domenica 1 settembre 2019

Strandzha E La Tomba Di Bastet



Le misteriose storie che circolano in alcune zona balcaniche della Bulgaria, Romania e Serbia hanno un fascino particolare e presentano strane similitudini. Questi racconti sono così fantasiosi da sembrare trame di film di fantascienza; ciò che li contraddistingue però è la presenza di  riscontri e prove tangibili che dimostrano un fondo di verità. In tutti questi racconti si intrecciano archeologia, servizi segreti, fantascienza e paranormale. Strandzha è una località ai confini della Turchia anticamente abitata dai Traci che erano secondo Erodoto un popolo numerosissimo e potente. I dintorni di Strandzha sono ricchissimi di reperti archeologici che in gran parte non sono ancora stati riportati alla luce. “Tra i miti e le leggende di cui sono piene le montagne di Strandzha, forse la più misteriosa è la storia di una necropoli della dea Egiziana Bastet. La tradizione dice che chiunque disturbi la pace della Dea sarà colpito dalla sua maledizione.”  Si racconta nel libro di Mutafchiev  “Homo sapiens le origini dell’homo sapiens”.
Malko Tarnovo è l’unica città nella parte Bulgara delle montagne Strandzha; conta più o meno 3000 abitanti e si trova a 10 km dal confine turco. In questo luogo sembra di essere in un universo parallelo. In Strandzha il tempo pare seguire regole diverse. Le antiche credenze pagane non sono mai state completamente superate e la cristianità  non è riuscita a fare breccia completamente nei cuori degli abitanti locali, così a Malko Tarnovo si trova una chiesa ortodossa una cattolica e alcune protestanti. In questa miscellanea di religioni, c’è  chi continua a credere alla leggenda che sulle pendici del monte sia nascosto un sarcofago egizio recanti incisi importati segreti che riguardano il genere umano. Si tratterebbe della misteriosa tomba della dea egiziana Bastet che secondo la tradizione porterebbe con se addirittura dei messaggi alieni e chissà cosa ancora.

Misteriosi scavi a Strandja nel 1981

Era  l’anno 1981 e Todor Zhivkov era a capo indiscusso della nazione Bulgara; sua figlia ricopriva la duplice carica di ministro della cultura e membro del più alto organo del partito: il politburo. In quello stesso anno erano in corso le celebrazioni per commemorare il 1300° anniversario dello Stato bulgaro ed erano state stanziate ingenti somme per le celebrazioni con organizzazioni di fastosi eventi. Nella primavera dello stesso anno vicino alle recinzioni che delimitavano il confine con la Turchia, nei pressi di Malko Tarnovo  ebbe inizio una spedizione segreta e misteriosa allo scopo di ricercare la tomba della Dea Bastet e delle sue immense ricchezze. Secondo alcuni tutto era partito da un misterioso ricercatore di tesori, un “archeologo nero” di nome Mustafà che era entrato in possesso di una specie di  mappa scritta su una pelle di animale. Su di essa erano raffigurati disegni incomprensibili, forme geometriche e caratteri sconosciuti. Il proprietario della pergamena aveva interpretato queste raffigurazioni come la rappresentazione del tesoro nascosto sulle montagne Strandzha, che si sarebbe trovato nella tomba di Bastet, la dea egiziana con la testa di gatto.
(ndr La dea Bastet, il cui nome significa “Signora delle bende”, è fra le più importanti deità delle antiche religioni ed è stata raffigurata originariamente da un corpo femminile con la testa di gatto e nei secoli seguenti, con la sua diffusione geografica semplicemente come un gatta. Nella sua definizione religiosa la dea ha un aspetto luminoso che irraggia un benefico calore ed è venerata per la sua potenza, bellezza e agilità. In Egitto dove probabilmente ebbe origine questo mito la dea Bastet era considerata anche l’occhio che il dio Ra usava per sterminare i nemici in battaglia, successivamente e nel tempo la devozione a Bastet dall’Egitto si estese seppur con molte traformazioni e nomi diversi in Grecia, a Roma e appunto nell’area balcanica). Egli iniziò a cercare qualcuno che potesse aiutarlo a  decifrare la scrittura sconosciuta sulla mappa, e la sua ricerca lo portò a interfacciarsi  con  l’Accademia Nazionale. Da li il documento arrivò a Lyudmila Zhivkova che ne rimase molto colpita.  Secondo Krusty bastetbulgaria4Mutafchiev consigliere di Lyudmila, nessuno era in grado di leggere quell’antica scrittura. Così si cercò aiuto presso la famosa veggente e profetessa cieca Vanga. C’è chi invece sostiene che Lyudmila Zhikova durante i suoi studi di specializzazione ad Oxford negli anni 70, abbia avuto contatti con un alto rappresentante dei servizi segreti britannici, che l’avrebbe informata di alcuni rilevamenti fatti con sistemi ad onde sul territorio bulgaro. Questi studi avevano portato alla scoperta di una vera e propria cavità aperta di origine naturale  in Strandzha. Tornata in Bulgaria Lyudmila avrebbe incaricato il capo dei beni culturali Krusty Mutafchiev di organizzare una spedizione a Strandzha per trovare quel posto misterioso. Nel frattempo Mustafa aveva consegnato la misteriosa pergamena a Vanga per chiedere il suo parere. La mappa era poi arrivata nelle mani della nipote di Vanga, Krasimira Stoyanova, che l’avrebbe consegnata a Lyudmila Zhivkova raccontandole una storia misteriosa che in parte coincideva con quanto sostenuto dal rappresentante del Mi6.
Indipendentemente da quale sia la versione più attendibile, dopo che Vanga venne  a contatto con la mappa, raccontò questa strana storia. “La mappa indica la posizione della città nella quale si trova  la tomba di una donna che tiene in mano uno scettro di materiale extraterrestre. Intorno ad esso sono sparse immense ricchezze: oro, oggetti e armi. Molto molto tempo fa esseri magri e alti con i capelli neri arrivarono dalle acque dell’Egitto, schiavi, soldati e  comandanti. Con loro portarono il sarcofago di granite nero che  portava iscrizioni in un linguaggio incomprensibile. Una notte di buio e silenzio totale, la bara fu sotterrata nella terra e riempita con una grande quantità di terra.  E gli schiavi e tutti quelli che presero parte alla sepoltura del sarcofago furono uccisi per  preservare il segreto di dove si trovava la tomba, fino a che fosse arrivato il tempo perché il segreto della tomba potesse  essere svelato alle persone. Questo  messaggio millenario per l’umanità  ha un  valore inestimabile. Il principale valore non è il sarcofago ma quello che esso dice. Esso descrive la storia del mondo e copre duemila anni nel passato fino ai giorni nostri e il futuro dei prossimi duemila anni.”

Secondo la leggenda, il sarcofago conterrebbe i resti di Bastet; una principessa Tracia locale, una semidea  con la testa da gatto per metà umana  che era finita nell’antico Egitto.

La sua ultima volontà fu di essere seppellita nella sua città natale. La tomba fu costruita nel VIII d.C., fu seppellita a 6 mt. di profondità  e poi riempita di tonnellate di terra  e rocce per nasconderla. Vanga disse  che la dea seppellita teneva nelle sue mani incrociate sul petto  lo scettro che irradiava nello spazio un invisibile raggio di energia. La veggente avvisò Zhivkov circa il pericolo del disturbare la dea, inoltre disse che ogni anno alla notte del 5 maggio, quando cade nel terreno il primo raggio  del sole e la prima luce della luna sul sito della sepoltura avvenivano fenomeni miracolosi. Secondo Vanga nella zona della sepoltura c’era una strada che passava vicino al santuario del tempio, la veggente tramite le sue visioni lesse simbolo dopo simbolo per cercare di trovare le indicazioni che permettevano di arrivare fisicamente alla tomba. Il primo era una roccia sul quale era scolpito un cane un’aquila e le quattro direzioni del mondo (assi universali?).

Tutta questa misteriosa storia raccontata da Vanga è riportata  in dettaglio nel libro “L’origine dell’Homo sapiens” di Krystju Mutafchiev. Per quanto riguarda la pergamena, Krystju Mutafchiev pensava che si trattasse di una mappa del cielo nella costellazione di Cepheus. Era sicuro che la vera tomba si trovasse nello spazio e che a Strandja esistesse solo una controparte speculare terrestre. Secondo il documento era costituita da una  stanza segreta, una stanza regolare con un’entrata ellittica.

Gli avvertimenti di Vanga però ebbero il solo effetto di eccitare la curiosità di Lyudmila Zhivoka. Lyudmila era abbastanza conosciuta per la sua passione per l’occulto e i misteri, fu molto affascinata da tutte quelle storie e decise comunque di organizzare una spedizione alla misteriosa Strandja, una zona pattugliata pesantemente dalle truppe di confine, scarsamente  popolata.  Non poteva  mettere a conoscenza ne il ministro dell’interno Dimitar Stoyanov ne i servizi segreti. Il suo uomo di fiducia Krastev Mutafchieva organizzò immediatamente una spedizione composta da cinque membri  per fare delle ricerche nell’area. Del team facevano parte la nipote di Vanga Krasimira Stoyanova, (che divenne poi dipendente della commissione cultura) l’archeologa Ilya Prokpov (che divenne poi direttore del NIM) il giornalista investigativo Tseko Etropolski e il pilota Ivan Nikolov. Si dice che ci fosse un sesto uomo chiamato Geroge Пантов ingegnere capo della miniera “Mladenovo”  nei pressi di Malko Tarnovo.
La spedizione fu preparata in completa segretezza, aiutati dal fatto che l’area di ricerca si trovava in una zona di confine con accesso limitato. La spedizione arrivò nella città di Malko Tarnovo il 4 aprile, esattamente a 6 km da Malko Tarnovo e a 1,5 km dal posto di blocco doganale con la Turchia. Nei pressi della zona pesantemente  fortificata di confine bulgaro turco.  Nonostante la pioggia torrenziale i ricercatori raggiunsero  il dirupo mostrato nella vecchia mappa e accesero il fuoco per asciugarsi e aspettare il sorgere del sole. All’alba il sole non era ancora apparso sul dirupo. Essi videro una roccia con tre “cerchi solari” scolpiti su essa disposti in forma di triangolo rovesciato, la pietra era in piedi su un prato dell’altopiano.

Quando il primo raggio di sole iniziò a muoversi giù  dalla cima del dirupo e allo stesso tempo da sinistra a destra, sequenzialmente si illuminarono i circoli solari descrivendo un triangolo di luce. Andò avanti così per una ventina di minuti dopo i quali l’intera roccia fu bagnata dal sole. I membri della spedizione furono eccitati tutto il giorno per l’accaduto e discussero su quanto avevano visto provando a determinare se si fosse trattato di un fenomeno casuale o meno. Ed erano in attesa di vedere se la notte presentava una ulteriore sorpresa  con l’apparire  della luna, la sorella del sole.
Venne la sera e ancora prima dell’arrivo del buio iniziò una forte pioggia. Non appena fece buio i ricercatori si ritrovarono ancora una volta in piedi davanti alla roccia. Il cielo si schiarì gradualmente e attorno alle nove iniziò lo spettacolo. Non si sa come ma sulla roccia era arrivato il raggio di luna e come il sole sempre dall’alto verso il basso e da sinistra a destra nei circoli della roccia tutta scavata e scomparve. I membri della spedizione rimasero immobili a fissare chiedendosi cosa potesse significare. Poi cominciò l’incredibile. La parete di roccia di fronte alla quale si trovavano i ricercatori improvvisamente  si illuminò, l’interno divenne come lo schermo in bianco e nero di una tv  e apparve l’immagine di due figure. Uno era un uomo anziano vestito in una lunga tunica. Nella mano destra tesa il vecchio teneva un oggetto rotondo. Più in altro alla destra sopra di lui c’era la figura dome di un faraone come viene comunemente raffigurato, un giovane uomo seduto su un trono.  Per più di venti minuti i partecipanti alla spedizioni rimasero incantati da quella visione che poi a poco a poco sbiadì e tutto tornò buio. (ndr Krasimira Stoyanova sosteneva che non fosse stato il 10 aprile bensi  il 5 maggio). Mutafchiev disse che lui e i suoi colleghi rabbrividirono di terrore e furono incapaci di muoversi  finchè  le immagini non sparirono. Poi tornarono in fretta alla città vicino al confine. Quando ritornarono da Vanga e gli raccontarono l’avvenuto lei li rassicurò che erano solo delle proiezioni olografiche, grandi uomini di un’altra civilizzazione distanti anni luce da noi. Qualche cosa appariva sempre alla notte o in certi specifici giorni durante l‘anno.

Lliya PetkovIl primo segretario del partito comunista di Obk nel Malko Tarnovo, aiutò con la parte organizzativa e logisctica, fornendo le macchine per movimento terra e gli alloggi, ma gli fu detto di stare in disparte e non discutere delle ragioni della spedizione. L’intera operazione fu condotta in tale segretezza che il noto archeologo Alexander Fol che si trovava poco distante lavorando con i suoi studenti agli scavi della tomba Tracia a Mishkova Niva, venne a sapere cosa era successo solo anni dopo.
Secondo lui e la moglie Valeria Fol, quello che avvenne  a Malko Tarnovo era molto di più che una spedizione alla ricerca di un tesoro. Essi si aspettavano di trovare degli artefatti da poter dare a terzi per essere venduti.

La settimana seguente al misterioso avvistamento, i ricercatori ritornarono sulla collina per iniziare gli scavi, equipaggiati con tutta la tecnologia e i mezzi necessari. Ma essi non si consultarono con Vanga e fecero detonare l’entrata della caverna. Qualsiasi cosa fosse la distrussero. C’era una iscrizione dentro che fu anch’essa distrutta. Secondo una versione non confermata dopo l’esplosione dell’entrata, si trovarono in un’altra caverna più profonda, chiusa da una elaborata pietra rettangolare. Nel tunnel furono trovate  delle maniglie di ferro arrugginite degli strumenti e una puleggia. A parte questo il gruppo trovò un cancello che conduceva ad un profondo tunnel scavato nella montagna. Trovarono due pietre di granito nero sulle quali erano scolpiti  profili di uomini, e un poliedro di 12 lati. Gli archeologi  ritenevano che si trattasse di materiale di valore e che fosse una specie di sistema per memorizzare dei dati come al giorno d’oggi possono essere i microchip. I reperti furono immediatamente inviati alla ex DDR per essere analizzati, che fine fecero e quale fu il risultato dello studio non è chiaro visto che tutti i documenti di quel tempo furono strettamente classificati. Il gruppo continuò a scendere e trovò un’altra cosa interessante. Circa due metri dopo l’entrata  trovarono un buco a forma di cerchio nel pavimento, era una specie di pozzo riempito con pietrisco. Sulle rocce del Monte Gradiste essi trovarono strane frecce che indicavano direzioni e segni che sembravano indicazioni in un’antica scrittura identiche a quelle che erano riportate nella vecchia  carta pergamena. Oggi si crede che in Strandja furono trovati dei resti  e altri manufatti che sono conservati in grande segreto da qualche parte ma che difficilmente torneranno alla luce.

Nonostante la segretezza del progetto, qualche  informazione sugli strani ritrovamenti arrivarono alle orecchie del servizio di sicurezza dello stato e essi presero gli oggetti sotto il loro controllo. Per molto tempo l’area fu transennata dai militari e un ufficiale di frontiera aveva il compito di scrivere una relazione su quella spedizione così avvolta nel mistero. Secondo lui come sosteneva il professore Fol, la spedizione stava cercando dei tesori. Alla ricerca aveva partecipato anche una vettura con targa austriaca che sarebbe servita per l’esportazione dei reperti antichi, dato che l’Austria era rimasta neutrale durante la guerra fredda. E’ interessante come una macchina con la targa straniera avesse raggiunto quel luogo remoto e ben pattugliato senza che nessuno ne venisse a conoscenza, dato che prima del 1989 quella era una delle zone più gelosamente custodita in Bulgaria. La spedizione in sè durò circa tre mesi con le interruzioni. Durante questo periodo i partecipanti furono alloggiati in un motel vicino a Malko Tarnovo o dormirono negli accampamenti vicino al sito. Ciò che fu trovato e sottratto non si sa. Anche se si dice che tra le altre cose sia stato trovato un calendario globale scritto su tavolette di pietra. Naturalmente questo non può essere confermato da nessuno. Si sa che raggiunsero una profondità di quattro metri. Krasimira Stoyanova stessa affermò che la caverna fu successivamente distrutta  assieme alla mappa del tesoro.

Malko sositene  che da quel luogo partirono camion sigillati pieni d’oro,  ma questi sono solo voci perché nessuno ha visto nulla.  I lavoratori locali che furono coinvolti come guardie o come uomini di fatica per  spostare i detriti, non hanno condiviso nulla di quello che hanno visto. Probabilmente hanno firmato qualche forma di dichiarazione di segretezza. Le stesse versioni di Krystju Mutafchieve e Krasimira Stoyanova  su quello che  è successo sono in contraddizione tra di loro. Secondo Mutafchiev furono trovati reperti di inestimabile valore di origine extraterrestre. E’ stato lui a dire che la tomba della dea Bastet si trovava in questo luogo, come ha scritto nella sua pubblicazione denominata “Conundrum”. Secondo Kasimira Stoyanova non c’è nessuna possibilità che ci fosse questa tomba o manufatti alieni. Lei assicura che fu scavato solo un buco e la verità su quello che è nascosto profondamente nel sottosuolo verrà alla luce solo quando le persone saranno disponibili ad accettare questa informazione. Quello che effettivamente fu trovato e scoperto  nella mistica Strandhza rimane un mistero. Al giorno d’oggi non siamo in grado di trovare delle prove.

Ai primi di luglio la spedizione ritornò alla capitale, per analizzare i manufatti trovati, ma appena prima di poter ripartire per gli scavi, il 21 luglio, improvvisamente Lyudmila Zhivkova fu trovata morta.  Sono state fatte le più selvagge speculazioni per collegare la sua morte agli scavi. La sua morte mise fine alla misteriosa missione. Gli scavi non terminarono immediatamente. Per poter estendere le ricerche la nipote di Vanga Krasimira Stoyanova ricorse al ministro delle risorse minerarie Ing. Stamen Stamenov. Chiese persone e attrezzature promettendo di raggiungere “l’arca dell’alleanza”. Il 26 agosto il gruppo tornò a Malko Tarnovo. Appena arrivati in città Llia Petkov li informò che  l’Ing. Stamenov era morto lo stesso giorno. Ai primi di settembre le forze di sicurezza bloccarono gli scavi e l’accesso all’area. Probabilmente  per cancellare l’apertura e terminare gli studi spedirono delle persone che fecero brillare l’entrata  e bloccarono permanentemente la strada per evitare che si potesse scoprire il segreto.  A  seguito dell’esplosione rimane solo un dirupo alla cui base  si vede il tunnel, ma questo non va da nessuna parte perché nel corso degli anni la cavità si è allagata ed è rimasta completamente bloccata.
Molti dei partecipanti al complotto segreto morirono subito dopo la spedizione. Probabilmente sono stati  raggiunti dalla maledizione di Bastet.

Oltre alla figlia del primo ministro diversi viceministri associati a questa spedizione morirono, mentre altri furono afflitti da varie disgrazie. Il cacciatore di tesori che aveva portato la mappa venne catturato dalla polizia interrogato e picchiato. Successivamente la sua salute si deteriorò e morì Un altro partecipante George  dopo lo scavo è stato arrestato ed ha passato un pò di tempo nelle carceri di Razvigor. Dopo la missione Krystju Muftafchiev fu anch’esso imprigionato per uso improprio dei fondi per le celebrazioni dell’anniversario bulgaro. Fu condannato a 15 anni di carcere di cui otto trascorsi in prigione Pazrdzhik. Gli abitanti locali dicono che dopo la prigione ha visitato ancora una volta il luogo sacro. Comunque vedendo il danno dell’esplosione disse che i segnali erano persi per sempre e la strada per la tomba coperta per sempre. Subito dopo il suo rilascio dal carcere morì  di cancro. Tutta la storia  fu classificata top secret e i partecipanti che non finirono in prigione tacquero per sempre. Krasimira Stoyanova nel 1991 violò il voto di silenzio nel suo libro su Vanga. Un anno piu tardi Krystju Mutafchiev scrisse un libro. Comparando  le versioni di questi due partecipati alla spedizione segreta mostra che entrambi non hanno parlato di fatti importanti della storia, e anche se c’erano alcune piccole deviazioni avevano una tesi comune.

Gli storici, gli archeologi e gli uomini di scienza non sono convinti che in Strandia vi sia  la tomba di una dea Egizia.  Ritengono che la Dea non sia stata realmente seppellita ma che vi siano solo dei templi. Tutto il resto sono solo speculazioni. Secondo loro Lyudmila Zhivkova è stata fuorviata da chi le stava vicino e non è chiaro cosa essa si aspettasse. Per loro tutto quello che riguarda questo caso è una completa fabbricazione. Ricercatori stranieri comunque la vedono diversamente e ogni anno fanno migliaia di chilometri per andare a Strandja.

La sola cosa che può essere vista oggi è una pietra mezza rovinata  che sembra ricordare la testa di un gatto.

Le misteriose storie che circolano in alcune zona balcaniche della Bulgaria, Romania e Serbia hanno un fascino particolare e presentano strane similitudini. Questi racconti sono così fantasiosi da sembrare trame di film di fantascienza; ciò che li contraddistingue però è la presenza di  riscontri e prove tangibili che dimostrano un fondo di verità. In tutti questi racconti si intrecciano archeologia, servizi segreti, fantascienza e paranormale. Ci sarebbe abbastanza materiale per una serie di puntate di X files. Personalmente ho già scritto del caso Tsarichina in Bulgaria e, per chi desidera, in rete si possono trovare  informazioni su strani accadimenti nei Monti Bucegi (Romania). In questo articolo tratterò della misteriosa area  di Strandzha in Bulgaria. Ciò che riporterò in questo documento è il risultato di molte ricerche e devo dire che ho incontrato molte difficoltà in particolare per il fatto che quasi tutto il materiale è redatto in Bulgaro e solo in parte in un inglese molto approssimativo, mi auguro di avere interpretato correttamente il materiale consultato.

Strandzha è una località ai confini della Turchia anticamente abitata dai Traci che erano secondo Erodoto un popolo numerosissimo e potente. I dintorni di Strandzha sono ricchissimi di reperti archeologici che in gran parte non sono ancora stati riportati alla luce. “Tra i miti e le leggende di cui sono piene le montagne di Strandzha, forse la più misteriosa è la storia di una necropoli della dea Egiziana Bastet. La tradizione dice che chiunque disturbi la pace della Dea sarà colpito dalla sua maledizione.”  Si racconta nel libro di Mutafchiev  “Homo sapiens le origini dell’homo sapiens”.

Malko Tarnovo è l’unica città nella parte Bulgara delle montagne Strandzha; conta più o meno 3000 abitanti e si trova a 10 km dal confine turco. In questo luogo sembra di essere in un universo parallelo. In Strandzha il tempo pare seguire regole diverse. Le antiche credenze pagane non sono mai state completamente superate e la cristianità  non è riuscita a fare breccia completamente nei cuori degli abitanti locali, così a Malko Tarnovo si trova una chiesa ortodossa una cattolica e alcune protestanti. In questa miscellanea di religioni, c’è  chi continua a credere alla leggenda che sulle pendici del monte sia nascosto un sarcofago egizio recanti incisi importati segreti che riguardano il genere umano. Si tratterebbe della misteriosa tomba della dea egiziana Bastet che secondo la tradizione porterebbe con se addirittura dei messaggi alieni e chissà cosa ancora.

Misteriosi scavi a Strandja nel 1981

La cima di Glyamo Gradishte che si dice sembri una piramide
La cima di Glyamo Gradishte che si dice sembri una piramide
Era  l’anno 1981 e Todor Zhivkov era a capo indiscusso della nazione Bulgara; sua figlia ricopriva la duplice carica di ministro della cultura e membro del più alto organo del partito: il politburo. In quello stesso anno erano in corso le celebrazioni per commemorare il 1300° anniversario dello Stato bulgaro ed erano state stanziate ingenti somme per le celebrazioni con organizzazioni di fastosi eventi. Nella primavera dello stesso anno vicino alle recinzioni che delimitavano il confine con la Turchia, nei pressi di Malko Tarnovo  ebbe inizio una spedizione segreta e misteriosa allo scopo di ricercare la tomba della Dea Bastet e delle sue immense ricchezze. Secondo alcuni tutto era partito da un misterioso ricercatore di tesori, un “archeologo nero” di nome Mustafà che era entrato in possesso di una specie di  mappa scritta su una pelle di animale. Su di essa erano raffigurati disegni incomprensibili, forme geometriche e caratteri sconosciuti. Il proprietario della pergamena aveva interpretato queste raffigurazioni come la rappresentazione del tesoro nascosto sulle montagne Strandzha, che si sarebbe trovato nella tomba di Bastet, la dea egiziana con la testa di gatto.
(ndr La dea Bastet, il cui nome significa “Signora delle bende”, è fra le più importanti deità delle antiche religioni ed è stata raffigurata originariamente da un corpo femminile con la testa di gatto e nei secoli seguenti, con la sua diffusione geografica semplicemente come un gatta. Nella sua definizione religiosa la dea ha un aspetto luminoso che irraggia un benefico calore ed è venerata per la sua potenza, bellezza e agilità. In Egitto dove probabilmente ebbe origine questo mito la dea Bastet era considerata anche l’occhio che il dio Ra usava per sterminare i nemici in battaglia, successivamente e nel tempo la devozione a Bastet dall’Egitto si estese seppur con molte traformazioni e nomi diversi in Grecia, a Roma e appunto nell’area balcanica). Egli iniziò a cercare qualcuno che potesse aiutarlo a  decifrare la scrittura sconosciuta sulla mappa, e la sua ricerca lo portò a interfacciarsi  con  l’Accademia Nazionale. Da li il documento arrivò a Lyudmila Zhivkova che ne rimase molto colpita.  Secondo Krusty bastetbulgaria4Mutafchiev consigliere di Lyudmila, nessuno era in grado di leggere quell’antica scrittura. Così si cercò aiuto presso la famosa veggente e profetessa cieca Vanga. C’è chi invece sostiene che Lyudmila Zhikova durante i suoi studi di specializzazione ad Oxford negli anni 70, abbia avuto contatti con un alto rappresentante dei servizi segreti britannici, che l’avrebbe informata di alcuni rilevamenti fatti con sistemi ad onde sul territorio bulgaro. Questi studi avevano portato alla scoperta di una vera e propria cavità aperta di origine naturale  in Strandzha. Tornata in Bulgaria Lyudmila avrebbe incaricato il capo dei beni culturali Krusty Mutafchiev di organizzare una spedizione a Strandzha per trovare quel posto misterioso. Nel frattempo Mustafa aveva consegnato la misteriosa pergamena a Vanga per chiedere il suo parere. La mappa era poi arrivata nelle mani della nipote di Vanga, Krasimira Stoyanova, che l’avrebbe consegnata a Lyudmila Zhivkova raccontandole una storia misteriosa che in parte coincideva con quanto sostenuto dal rappresentante del Mi6.
Indipendentemente da quale sia la versione più attendibile, dopo che Vanga venne  a contatto con la mappa, raccontò questa strana storia. “La mappa indica la posizione della città nella quale si trova  la tomba di una donna che tiene in mano uno scettro di materiale extraterrestre. Intorno ad esso sono sparse immense ricchezze: oro, oggetti e armi. Molto molto tempo fa esseri magri e alti con i capelli neri arrivarono dalle acque dell’Egitto, schiavi, soldati e  comandanti. Con loro portarono il sarcofago di granite nero che  portava iscrizioni in un linguaggio incomprensibile. Una notte di buio e silenzio totale, la bara fu sotterrata nella terra e riempita con una grande quantità di terra.  E gli schiavi e tutti quelli che presero parte alla sepoltura del sarcofago furono uccisi per  preservare il segreto di dove si trovava la tomba, fino a che fosse arrivato il tempo perché il segreto della tomba potesse  essere svelato alle persone. Questo  messaggio millenario per l’umanità  ha un  valore inestimabile. Il principale valore non è il sarcofago ma quello che esso dice. Esso descrive la storia del mondo e copre duemila anni nel passato fino ai giorni nostri e il futuro dei prossimi duemila anni.”

Secondo la leggenda, il sarcofago conterrebbe i resti di Bastet; una principessa Tracia locale, una semidea  con la testa da gatto per metà umana  che era finita nell’antico Egitto.

La sua ultima volontà fu di essere seppellita nella sua città natale. La tomba fu costruita nel VIII d.C., fu seppellita a 6 mt. di profondità  e poi riempita di tonnellate di terra  e rocce per nasconderla. Vanga disse  che la dea seppellita teneva nelle sue mani incrociate sul petto  lo scettro che irradiava nello spazio un invisibile raggio di energia. La veggente avvisò Zhivkov circa il pericolo del disturbare la dea, inoltre disse che ogni anno alla notte del 5 maggio, quando cade nel terreno il primo raggio  del sole e la prima luce della luna sul sito della sepoltura avvenivano fenomeni miracolosi. Secondo Vanga nella zona della sepoltura c’era una strada che passava vicino al santuario del tempio, la veggente tramite le sue visioni lesse simbolo dopo simbolo per cercare di trovare le indicazioni che permettevano di arrivare fisicamente alla tomba. Il primo era una roccia sul quale era scolpito un cane un’aquila e le quattro direzioni del mondo (assi universali?).

Tutta questa misteriosa storia raccontata da Vanga è riportata  in dettaglio nel libro “L’origine dell’Homo sapiens” di Krystju Mutafchiev. Per quanto riguarda la pergamena, Krystju Mutafchiev pensava che si trattasse di una mappa del cielo nella costellazione di Cepheus. Era sicuro che la vera tomba si trovasse nello spazio e che a Strandja esistesse solo una controparte speculare terrestre. Secondo il documento era costituita da una  stanza segreta, una stanza regolare con un’entrata ellittica.
Gli avvertimenti di Vanga però ebbero il solo effetto di eccitare la curiosità di Lyudmila Zhivoka. Lyudmila era abbastanza conosciuta per la sua passione per l’occulto e i misteri, fu molto affascinata da tutte quelle storie e decise comunque di organizzare una spedizione alla misteriosa Strandja, una zona pattugliata pesantemente dalle truppe di confine, scarsamente  popolata.  Non poteva  mettere a conoscenza ne il ministro dell’interno Dimitar Stoyanov ne i servizi segreti. Il suo uomo di fiducia Krastev Mutafchieva organizzò immediatamente una spedizione composta da cinque membri  per fare delle ricerche nell’area. Del team facevano parte la nipote di Vanga Krasimira Stoyanova, (che divenne poi dipendente della commissione cultura) l’archeologa Ilya Prokpov (che divenne poi direttore del NIM) il giornalista investigativo Tseko Etropolski e il pilota Ivan Nikolov. Si dice che ci fosse un sesto uomo chiamato Geroge Пантов ingegnere capo della miniera “Mladenovo”  nei pressi di Malko Tarnovo.

La spedizione fu preparata in completa segretezza, aiutati dal fatto che l’area di ricerca si trovava in una zona di confine con accesso limitato. La spedizione arrivò nella città di Malko Tarnovo il 4 aprile, esattamente a 6 km da Malko Tarnovo e a 1,5 km dal posto di blocco doganale con la Turchia. Nei pressi della zona pesantemente  fortificata di confine bulgaro turco.  Nonostante la pioggia torrenziale i ricercatori raggiunsero  il dirupo mostrato nella vecchia mappa e accesero il fuoco per asciugarsi e aspettare il sorgere del sole. All’alba il sole non era ancora apparso sul dirupo. Essi videro una roccia con tre “cerchi solari” scolpiti su essa disposti in forma di triangolo rovesciato, la pietra era in piedi su un prato dell’altopiano.

Quando il primo raggio di sole iniziò a muoversi giù  dalla cima del dirupo e allo stesso tempo da sinistra a destra, sequenzialmente si illuminarono i circoli solari descrivendo un triangolo di luce. Andò avanti così per una ventina di minuti dopo i quali l’intera roccia fu bagnata dal sole. I membri della spedizione furono eccitati tutto il giorno per l’accaduto e discussero su quanto avevano visto provando a determinare se si fosse trattato di un fenomeno casuale o meno. Ed erano in attesa di vedere se la notte presentava una ulteriore sorpresa  con l’apparire  della luna, la sorella del sole.

Venne la sera e ancora prima dell’arrivo del buio iniziò una forte pioggia. Non appena fece buio i ricercatori si ritrovarono ancora una volta in piedi davanti alla roccia. Il cielo si schiarì gradualmente e attorno alle nove iniziò lo spettacolo. Non si sa come ma sulla roccia era arrivato il raggio di luna e come il sole sempre dall’alto verso il basso e da sinistra a destra nei circoli della roccia tutta scavata e scomparve. I membri della spedizione rimasero immobili a fissare chiedendosi cosa potesse significare. Poi cominciò l’incredibile. La parete di roccia di fronte alla quale si trovavano i ricercatori improvvisamente  si illuminò, l’interno divenne come lo schermo in bianco e nero di una tv  e apparve l’immagine di due figure. Uno era un uomo anziano vestito in una lunga tunica. Nella mano destra tesa il vecchio teneva un oggetto rotondo. Più in altro alla destra sopra di lui c’era la figura dome di un faraone come viene comunemente raffigurato, un giovane uomo seduto su un trono.  Per più di venti minuti i partecipanti alla spedizioni rimasero incantati da quella visione che poi a poco a poco sbiadì e tutto tornò buio. (ndr Krasimira Stoyanova sosteneva che non fosse stato il 10 aprile bensi  il 5 maggio). Mutafchiev disse che lui e i suoi colleghi rabbrividirono di terrore e furono incapaci di muoversi  finchè  le immagini non sparirono. Poi tornarono in fretta alla città vicino al confine. Quando ritornarono da Vanga e gli raccontarono l’avvenuto lei li rassicurò che erano solo delle proiezioni olografiche, grandi uomini di un’altra civilizzazione distanti anni luce da noi. Qualche cosa appariva sempre alla notte o in certi specifici giorni durante l‘anno.

Lliya PetkovIl primo segretario del partito comunista di Obk nel Malko Tarnovo, aiutò con la parte organizzativa e logisctica, fornendo le macchine per movimento terra e gli alloggi, ma gli fu detto di stare in disparte e non discutere delle ragioni della spedizione. L’intera operazione fu condotta in tale segretezza che il noto archeologo Alexander Fol che si trovava poco distante lavorando con i suoi studenti agli scavi della tomba Tracia a Mishkova Niva, venne a sapere cosa era successo solo anni dopo.

Secondo lui e la moglie Valeria Fol, quello che avvenne  a Malko Tarnovo era molto di più che una spedizione alla ricerca di un tesoro. Essi si aspettavano di trovare degli artefatti da poter dare a terzi per essere venduti.

La settimana seguente al misterioso avvistamento, i ricercatori ritornarono sulla collina per iniziare gli scavi, equipaggiati con tutta la tecnologia e i mezzi necessari. Ma essi non si consultarono con Vanga e fecero detonare l’entrata della caverna. Qualsiasi cosa fosse la distrussero. C’era una iscrizione dentro che fu anch’essa distrutta. Secondo una versione non confermata dopo l’esplosione dell’entrata, si trovarono in un’altra caverna più profonda, chiusa da una elaborata pietra rettangolare. Nel tunnel furono trovate  delle maniglie di ferro arrugginite degli strumenti e una puleggia. A parte questo il gruppo trovò un cancello che conduceva ad un profondo tunnel scavato nella montagna. Trovarono due pietre di granito nero sulle quali erano scolpiti  profili di uomini, e un poliedro di 12 lati. Gli archeologi  ritenevano che si trattasse di materiale di valore e che fosse una specie di sistema per memorizzare dei dati come al giorno d’oggi possono essere i microchip. I reperti furono immediatamente inviati alla ex DDR per essere analizzati, che fine fecero e quale fu il risultato dello studio non è chiaro visto che tutti i documenti di quel tempo furono strettamente classificati. Il gruppo continuò a scendere e trovò un’altra cosa interessante. Circa due metri dopo l’entrata  trovarono un buco a forma di cerchio nel pavimento, era una specie di pozzo riempito con pietrisco. Sulle rocce del Monte Gradiste essi trovarono strane frecce che indicavano direzioni e segni che sembravano indicazioni in un’antica scrittura identiche a quelle che erano riportate nella vecchia  carta pergamena. Oggi si crede che in Strandja furono trovati dei resti  e altri manufatti che sono conservati in grande segreto da qualche parte ma che difficilmente torneranno alla luce.

Nonostante la segretezza del progetto, qualche  informazione sugli strani ritrovamenti arrivarono alle orecchie del servizio di sicurezza dello stato e essi presero gli oggetti sotto il loro controllo. Per molto tempo l’area fu transennata dai militari e un ufficiale di frontiera aveva il compito di scrivere una relazione su quella spedizione così avvolta nel mistero. Secondo lui come sosteneva il professore Fol, la spedizione stava cercando dei tesori. Alla ricerca aveva partecipato anche una vettura con targa austriaca che sarebbe servita per l’esportazione dei reperti antichi, dato che l’Austria era rimasta neutrale durante la guerra fredda. E’ interessante come una macchina con la targa straniera avesse raggiunto quel luogo remoto e ben pattugliato senza che nessuno ne venisse a conoscenza, dato che prima del 1989 quella era una delle zone più gelosamente custodita in Bulgaria. La spedizione in sè durò circa tre mesi con le interruzioni. Durante questo periodo i partecipanti furono alloggiati in un motel vicino a Malko Tarnovo o dormirono negli accampamenti vicino al sito. Ciò che fu trovato e sottratto non si sa. Anche se si dice che tra le altre cose sia stato trovato un calendario globale scritto su tavolette di pietra. Naturalmente questo non può essere confermato da nessuno. Si sa che raggiunsero una profondità di quattro metri. Krasimira Stoyanova stessa affermò che la caverna fu successivamente distrutta  assieme alla mappa del tesoro.

Malko sositene  che da quel luogo partirono camion sigillati pieni d’oro,  ma questi sono solo voci perché nessuno ha visto nulla.  I lavoratori locali che furono coinvolti come guardie o come uomini di fatica per  spostare i detriti, non hanno condiviso nulla di quello che hanno visto. Probabilmente hanno firmato qualche forma di dichiarazione di segretezza. Le stesse versioni di Krystju Mutafchieve e Krasimira Stoyanova  su quello che  è successo sono in contraddizione tra di loro. Secondo Mutafchiev furono trovati reperti di inestimabile valore di origine extraterrestre. E’ stato lui a dire che la tomba della dea Bastet si trovava in questo luogo, come ha scritto nella sua pubblicazione denominata “Conundrum”. Secondo Kasimira Stoyanova non c’è nessuna possibilità che ci fosse questa tomba o manufatti alieni. Lei assicura che fu scavato solo un buco e la verità su quello che è nascosto profondamente nel sottosuolo verrà alla luce solo quando le persone saranno disponibili ad accettare questa informazione. Quello che effettivamente fu trovato e scoperto  nella mistica Strandhza rimane un mistero. Al giorno d’oggi non siamo in grado di trovare delle prove.

Ai primi di luglio la spedizione ritornò alla capitale, per analizzare i manufatti trovati, ma appena prima di poter ripartire per gli scavi, il 21 luglio, improvvisamente Lyudmila Zhivkova fu trovata morta.  Sono state fatte le più selvagge speculazioni per collegare la sua morte agli scavi. La sua morte mise fine alla misteriosa missione. Gli scavi non terminarono immediatamente. Per poter estendere le ricerche la nipote di Vanga Krasimira Stoyanova ricorse al ministro delle risorse minerarie Ing. Stamen Stamenov. Chiese persone e attrezzature promettendo di raggiungere “l’arca dell’alleanza”. Il 26 agosto il gruppo tornò a Malko Tarnovo. Appena arrivati in città Llia Petkov li informò che  l’Ing. Stamenov era morto lo stesso giorno. Ai primi di settembre le forze di sicurezza bloccarono gli scavi e l’accesso all’area. Probabilmente  per cancellare l’apertura e terminare gli studi spedirono delle persone che fecero brillare l’entrata  e bloccarono permanentemente la strada per evitare che si potesse scoprire il segreto.  A  seguito dell’esplosione rimane solo un dirupo alla cui base  si vede il tunnel, ma questo non va da nessuna parte perché nel corso degli anni la cavità si è allagata ed è rimasta completamente bloccata.

I resti dell’entrata del tunnel completamente allagata rendono impossibile l’accesso.
Molti dei partecipanti al complotto segreto morirono subito dopo la spedizione. Probabilmente sono stati  raggiunti dalla maledizione di Bastet.

Oltre alla figlia del primo ministro diversi viceministri associati a questa spedizione morirono, mentre altri furono afflitti da varie disgrazie. Il cacciatore di tesori che aveva portato la mappa venne catturato dalla polizia interrogato e picchiato. Successivamente la sua salute si deteriorò e morì Un altro partecipante George  dopo lo scavo è stato arrestato ed ha passato un pò di tempo nelle carceri di Razvigor. Dopo la missione Krystju Muftafchiev fu anch’esso imprigionato per uso improprio dei fondi per le celebrazioni dell’anniversario bulgaro. Fu condannato a 15 anni di carcere di cui otto trascorsi in prigione Pazrdzhik. Gli abitanti locali dicono che dopo la prigione ha visitato ancora una volta il luogo sacro. Comunque vedendo il danno dell’esplosione disse che i segnali erano persi per sempre e la strada per la tomba coperta per sempre. Subito dopo il suo rilascio dal carcere morì  di cancro. Tutta la storia  fu classificata top secret e i partecipanti che non finirono in prigione tacquero per sempre. Krasimira Stoyanova nel 1991 violò il voto di silenzio nel suo libro su Vanga. Un anno piu tardi Krystju Mutafchiev scrisse un libro. Comparando  le versioni di questi due partecipati alla spedizione segreta mostra che entrambi non hanno parlato di fatti importanti della storia, e anche se c’erano alcune piccole deviazioni avevano una tesi comune.

Gli storici, gli archeologi e gli uomini di scienza non sono convinti che in Strandia vi sia  la tomba di una dea Egizia.  Ritengono che la Dea non sia stata realmente seppellita ma che vi siano solo dei templi. Tutto il resto sono solo speculazioni. Secondo loro Lyudmila Zhivkova è stata fuorviata da chi le stava vicino e non è chiaro cosa essa si aspettasse. Per loro tutto quello che riguarda questo caso è una completa fabbricazione. Ricercatori stranieri comunque la vedono diversamente e ogni anno fanno migliaia di chilometri per andare a Strandja.

La sola cosa che può essere vista oggi è una pietra mezza rovinata  che sembra ricordare la testa di un gatto.

Ancora si possono vedere le rocce e le gallerie scavate durante  lo studio. Gli abitanti del posto sostengono che vicino al luogo si sente ancora la radiazione di energia molto negativa. L’inspiegabile energia veniva rilevata con apparecchiature speciali dal team di ricerca di Lyudmila Zhivkova. Secondo questi studi le radiazioni provenivano dall’interno della punta della Gradiste. La radiazione di questa energia è abbastanza vasta sul terreno da impedire in una forma simmetrica che spunti l’erba. Anche se il terreno è fertile l’area rimane brulla. C’è qualcosa in Strandja che ad oggi rimane un mistero. Quello che giace  vicino al monte Gradiste può essere capito solo dopo un grande lavoro archeologico che avrebbe bisogno di un sacco di soldi ma nessuno intende spendere per  teorie  non provate, miti e  leggende.
FONTE: ALTROGIORNALE