lunedì 31 dicembre 2018

Le Magare.

Puntando l'attenzione soltanto sul sud Italia, il prototipo di strega, seppur con lievi differenze etimologiche territoriali, è uno solo: la Magara.
Le Magare erano, per tutte le regioni del Meridione, delle profonde conoscitrici delle arti magiche, sia curative che malefiche. Esse erano quasi sempre donne libere, emarginate dalla società, temute.


Praticavano la magia bianca, attraverso il potere curativo delle erbe, mentre con una di esse in particolare, l'erba di San Giovanni, potevano addirittura evocare i demoni. A causa di tali segrete conoscenze, erano chiamate Zie o Comari, depositarie di una furbizia e un'intelligenza fuori dal normale, che ovviamente incuteva molta paura.

In alcuni paesi della provincia di Cosenza, come San Fili e Pittarella, dove il mito si è insediato con più convinzione, si credeva di vederle uscire di notte sottoforma di uccello per andare a caccia di giovani ragazze e fanciulli, forti del loro potere arcano, capaci di ammaliare, causare odio o amore, far ammalare e gettare il malocchio sul povero malcapitato di turno, con l'aiuto di formule e filtri magici. Nei casi più gravi, potevano sfruttare le loro conoscenze sul potere della luna per trasformare gli uomini in lupi mannari e condannarli per sempre ad una vita maledetta.

L'unico rimedio per difendersi da questi oscuri attacchi era quello di praticare gli scongiuri. Utilizzando il dialetto calabrese, tali scongiuri erano chiamati carmi, ed erano considerati miracolosi per “carmare” le persone gravemente ammalate, vittima di affascinu da parte delle magare, come era abitudine di credere. I carmi erano veri e propri riti plateali e misteriosi, accompagnati da frasi altrettanto criptiche, frutto di variazioni costanti man mano che esse venivano tramandate di generazione in generazione. E probabilmente non c'era niente di sensato in queste formule verbali, ma così tanta era la suggestione, che anche se non comprese erano considerati ugualmente magiche e curative. Ad accompagnare il rito, molto spesso erano presenti diversi oggettini o simboli ritenuti capaci di scacciare il malocchio, come il sale per terra o l'uso di ripetere per tre volte determinate azioni.
Com'è possibile, allora, che i nostri antenati abbiano dovuto lottare anticamente contro tali forze maligne?
In realtà, il mito delle magare, con le loro abilità di magia nera, non è stato altro che il frutto dell'odio sociale contro il diverso e ancor di più verso le donne, le quali, come la Storia religiosa ci insegna, sono sempre state accostate al demonio.
Ed è proprio in queste società chiuse, tipiche degli antichi villaggi rurali del sud Italia, dove la donna viveva in una condizione vulnerabile e sottomessa, che il mito delle magare ha attecchito con più forza. In questo clima di forte superstizione, paura e tanta ignoranza si faceva presto a demonizzare tutto ciò che non si riusciva pienamente a comprendere. La fantasia e il tempo, poi, avrebbero completato il quadro.

domenica 30 dicembre 2018

Streghe a Messina: la storia di Margherita Vitello


Messina è nel Cinquecento una città fiorente, tra le più ricche della Sicilia. Suo fiore all’occhiello sono la produzione e il commercio della seta, cui sovrintende dal 1520 il “Consolato dell’arte della seta”. Di questa importante attività oggi rimane traccia solo nel nome di una strada, Via dei Setaioli.

In questo quadro si sviluppa la storia di Pellegrina Vitello, napoletana residente a Messina, sposata a un setaiolo, presto abbandonata per un’altra donna e incolpata da alcune anziane donne di “magarìa”. Fatture, sortilegi, stato di trance mentre guarda una caraffa piena d’acqua, nella quale galleggiano strane cose nere che paiono demoni: queste sono le accuse che vengono rivolte alla giovane donna. Il processo si svolge intorno al 1550. La Corte è presieduta da  Monsignor Bartholomeo Sebastiàn, Vescovo di Patti, che dal 1546 al 1555 ricopre la carica d’Inquisitore Generale di Sicilia. Dopo 14 giorni di prigionia, durante i quali viene sottoposta alla terribile tortura della corda, la “domina nocturna” confessa in parte le sue “magarìe”. L’iniziale condanna al rogo viene commutata. Pellegrina verrà costretta ad essere fustigata mentre si muove in processione lungo le strade di Messina, con un cero in mano e una mitria in testa.

Perche la Chiesa fa suonare ancora le campane, oggi?



IL BANANA EXPERIMENT

Ci sono condizionamenti che sappiamo di avere e possono anche essere positivi, ad esempio ci fermiamo col semaforo rosso.

Altri, sono condizionamenti pericolosi che non sappiamo di avere.

Nel 1967, alcuni scienziati misero delle scimmie in una gabbia con una scala con in cima delle banane. Quando una scimmia saliva per prendere il cibo, un getto di acqua fredda la scoraggiava a proseguire. 
Le scimmie, a turno, provarono più e più volte. Ma l'acqua fredda, che arrivava appena salivano sulla scala, le portò a desistere anche quando il getto d'acqua fu fermato e avrebbero potuto prendere le banane. Oramai si erano abituate, avevano associato il salire la scala alla punizione dell'acqua, il condizionamento si era installato.

Ma la cosa più sorprendente è cosa successe dopo...

Furono introdotte nuove scimmie nella gabbia. Esse non erano condizionate, per cui tentarono di salire sulla scala ma, ad ogni tentativo, furono fermate e picchiate dalle scimmie condizionate in precedenza.

A distanza di tempo furono introdotte nuove scimmie, anch'esse vennero picchiate al tentativo di prendere le banane. La cosa interessante fu che le scimmie in precedenza picchiate senza aver subito la doccia, picchiarono anch'esse le nuove arrivate.

Poi, vennero tolte dalla gabbia alcune delle scimmie iniziali, quelle della doccia fredda. Alla lunga, restarono solamente le scimmie che non avevano mai subito la doccia, ma picchiarono le nuove arrivate senza sapere neppure il perché. Non sapevano dell'acqua fredda, ma avevano acquisito il condizionamento del picchiare chi si avvicinasse alla scala. Facevano così, perché a loro era stato fatto così...

Acquisiamo diversi condizionamenti sin da quando siamo piccoli, senza accorgercene li mettiamo in pratica quotidianamente tramite le abitudini e li diffondiamo intorno a noi.
Ci sono condizionamenti positivi, ma quelli pericolosi sono quelli che non sappiamo di avere, proprio come nel caso delle scimmie.

LA CONCLUSIONE DELL’ ESPERIMENTO

La procedura della sostituzione delle scimmie viene ripetuta finché nella gabbia sono presenti solo scimmie “nuove”, che non sono mai state spruzzate con l’acqua.
L’ultima arrivata tenta naturalmente di avvicinarsi alle banane ma tutte le altre glielo impediscono: nessuna di esse però conosce il motivo del divieto!

Stephenson descrive l’atteggiamento inquisitore dell’ultima scimmia arrivata, come se cercasse di capire il perché del divieto di mangiare quella banana così invitante. Nel suo racconto le altre scimmie si sono guardate tra loro, quasi a cercare questa risposta. Il problema è che nessuna delle scimmie presenti la conosceva, perché nessuna era stata punita dallo sperimentatore per averci provato, era stato il gruppo a opporsi.
Una nuova regola era stata tramandata alla generazione successiva, ma le sue motivazioni erano scomparse con la scomparsa del gruppo che l’aveva appresa.

Se fosse stato possibile chiedere alle scimmie perché picchiavano le compagne che provavano a salire sulla scala, la risposta sarebbe stata più o meno questa: ” Non lo so, è così che si fa da queste parti!” Suona familiare?

Non smettere di indagare, di chiedere, di trovare nuovi paradigmi. Spesso il nostro modo di agire è solo il frutto di azioni che ripetiamo perché l’abbiamo visto fare da altri, senza sapere bene il perché. Cambiate le vostre abitudini. Non abbiate paura. Sfuggite al più grande esperimento sociale mai visto nella storia, quello di consumare quello che altri (gli sperimentatori) vogliono che consumiamo, quello di evitare che ci poniamo domande, che troviamo nuove soluzioni per vecchi problemi.

Bibliografia

Stephenson, G. R. (1967). Cultural acquisition of a specific learned response among rhesus monkeys. In: Starek, D., Schneider, R., and Kuhn, H. J. (eds.), Progress in Primatology, Stuttgart: Fischer, pp. 279-288.

Il destino dei gatti neri

Il gatto fu utilizzato nella caccia ai topi e ad altri animali molesti fin da tempi antichissimi e fu venerato da tantissime civiltà. Il periodo buio per i gatti (e non solo per loro) in Europa inizia nel Medioevo quando il Cristianesimo decise di estirpare tutte le religioni pagane. Il culto della dea-gatta Iside (per gli Egizi), Artemide (per i Greci) e Diana (per i Romani) era ancora molto diffuso e aveva numerosi seguaci in tutta Europa.Ad essere perseguiti come eretici erano in prevalenza gli uomini, in gran parte liberi pensatori che non si volevano sottomettere ai dettami della chiesa cattolica ma anche omosessuali e handicappati. Per le donne, invece, l’accusa era spesso quella di stregoneria.
Il destino dei gatti neri, dal medioevo fino al 1700-1800 circa, fu legato al destino delle donne ritenute streghe.
Nel 1233 papa Gregorio IX emanò la bolla Vox in Rama che è il primo documento ecclesiastico ufficiale che condanna il gatto nero come incarnazione di Satana e dava l’avvallo della chiesa di Roma allo sterminio dei gatti e delle loro padrone,con essa autorizzava lo sterminio, a nome di Dio, di tutti i gatti neri e non. Così facendo, ogni “vero cristiano” poteva torturare e uccidere qualsiasi gatto gli capitasse fra le mani. Gli venivano inflitte le torture più terribili: scorticati, bastonati, bruciati vivi, addirittura crocifissi o buttati giù dai campanili delle chiese durante le festività sacre.Papa Innocenzo VIII (1484-1492) scomunicò ufficialmente tutti i gatti. Nella sua bolla papale Summis desiderantes, emanata nel 1484, istigò misure molto severe nei confronti di maghi e streghe in Germania,si dichiarò aperta aperta la caccia alle streghe e, a quei tempi, ogni persona che veniva vista in compagnia di un gatto o nutrire un gatto era accusata di tale crimine. Moltissime persone persero la vita e vennero orrendamente bruciate e condannate per crimini che non avevano commesso. Tempi duri per gli amanti dei gatti. I principi da lui enunciati vennero in seguito incorporati nel famoso Malleus Maleficarum (noto anche con il nome di Martello delle Streghe), il libro più ignobile utilizzato dalla Santa Inquisizione. Pubblicato per la prima volta nel 1486 in esso vi erano elencati tutti i sintomi e le caratteristiche che bastavano per far sospettare una donna di stregoneria.
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Il prendersi cura di uno o più gatti neri era motivo sufficiente per finire sul rogo. Anche il possesso di scope era fortemente sospetto perchè la pulizia era considerata disdicevole per l’epoca (da qui l’iconografia classica della strega con la scopa). Durante il Medioevo, infatti, furono distrutte tutte le strutture sanitarie pubbliche costruite dai Romani e molti medici finirono sul rogo perchè vi si opposero. Venne abolita l’usanza di fare il bagno e di lavarsi, le case e le città diventarono delle fogne a cielo aperto.Pare che questo odio per la pulizia e per il gatto sia stato favorito dall’atteggiamento cristiano verso l’Islam. Infatti i musulmani avevano molti riti legati ai bagni (dovevano fare le abluzioni, cioè lavare parti del corpo, prima di entrare nella moschea) e rispettavano e amavano il gatto. Il gatto, inoltre, è notoriamente un animale che passa molto tempo a pulirsi. Queste qualità, o almeno considerate tali al giorno d’oggi, furono invece demonizzate.La notte di San Giovanni venivano arsi vivi nelle pubbliche piazze di ogni città, centinaia di gatti chiusi in ceste di paglia. Tutto ciò accadeva in tutta l’Europa che si riconosceva nel cristianesimo.San Francesco, uno dei più grandi Santi che annovera la chiesa, agì in contrapposizione rivalutando il creato e gli animali viventi senza distinzione, ma rimase un caso isolato.Perchè il gatto nero veniva considerato così sinistro? Il gatto è un animale che ama girare di notte e un gatto nero di notte era praticamente invisibile: si vedevano solo gli occhi gialli che brillavano al buio. Il gatto è capace di vedere anche in ambienti poco illuminati da sembrare bui all’occhio umano. La potenza visiva del gatto è favorita anche dall’estrema adattabilità delle sue pupille, che sono circolari quando si aprono al massimo nella penombra, per ridursi a due sottili fessure verticali in piena luce. Si scoprì molto più tardi che gli occhi del gatto, i più grandi fra tutti i mammiferi, riflettono la luce grazie al tapetum lucidum, una struttura cristallina organica situata dietro la retina. Inoltre, grazie al suo finissimo udito ed alla sensibilità tattile delle sue vibrisse, esso è capace di muoversi con assoluta sicurezza anche nel buio più completo. ll nero, poi, era considerato il colore delle tenebre, delle forze infernali, dell’occulto e del lato oscuro.L’orecchio del gatto è in grado di percepire i cambiamenti nell’aria di umidità e di pressione e quindi il gatto ha sostanzialmente la capacità di prevedere i cambiamenti climatici strofinandosi l’orecchio con la zampa. Questa sua abilità, che andava al di là dei cinque sensi, era conosciuta e sfruttata dai contadini ma divenne un’altra caratteristica che faceva associare il gatto a Satana. Infatti uno degli appellativi di quest’ultimo è Principe dell’Aria.Il pelo del gatto, inoltre, assorbe molta energia e emana una notevole carica elettrostatica (il pelo di colore nero soprattutto). Il gatto inoltre può rizzare il pelo azionando dei muscoli che provocano la contrazione dei bulbi piliferi. Quando l’animale è arrabbiato gonfia la coda e inarca la schiena rizzando il pelo, così da apparire più grosso di quanto in realtà non sia; il tutto accompagnato da soffi, fischi e miagolii. Fa paura!Infine, quel suo sguardo magnetico e intelligente che ci affascina tanto oggi, era considerato di natura soprannaturale e sicuramente anche il suo temperamento indipendente e libero non era ben visto a quell’epoca. Il gatto era considerato il diavolo in persona. Si credeva che esso apparisse quando donne e uomini che svolgevano riti pagani in onore di Iside lo evocavano. Anche i templari e i catari furono accusati di essere adoratori di gatti. Già nel XII secolo, dalle autorità ecclesiastiche il gatto nero era ritenuto il simbolo del potere satanico. Nei felini, soprattutto quelli neri, prendevano dimora Satana e altri spiriti demoniaci, e si pensava anzi che il diavolo prendesse in prestito da un gatto il suo nero mantello. San Domenico (1170-1221) identificava il gatto nero con Satana….
Una leggenda molto strana narra che il diavolo costruì un ponte e chiese per sé la prima creatura che lo avesse attraversato, ma un santo, San Cadoco, riuscì ad ingannarlo, dandogli un gatto nero anziché l’essere umano che il demonio avrebbe desiderato possedere.
Un’altra assurda superstizione di quell’epoca sosteneva che, seppellendo o murando vivo un gatto sotto la porta di una casa, ci si assicurava la solidità delle sue mura (Numerosi gatti sono stati murati vivi anche sotto la Chiesa di Cristo e la Torre di Londra, in Inghilterra); oppure un’altra diceva che uccidere un gatto dopo la mietitura era il sistema migliore per assicurarsi un buon raccolto. Oppure, per salvaguardare il proprio gregge o bestiame dalle malattie, si doveva bruciare vivo un gatto e far passare gli animali sul fumo prodotto. La cenere dei gatti bruciati vivi sulle piazze veniva conservata come portafortuna.Nel XIV secolo, in una piccola cittadina francese, molte persone vennero colpite da una malattia del sistema nervoso nota come “Ballo di San Vito”. Le cause dell’epidemia vennero attribuite ai gatti, e così, tutti quelli che furono trovati in paese vennero arsi vivi nella piazza principale. Da quell’episodio nacque la macabra tradizione di ardere vivi i gatti, che durò fino alla seconda metà del XVIII secolo. Questa tradizione consisteva nel chiudere in gabbiette di ferro, annualmente, tredici gatti e bruciarli vivi, per tutelare la popolazione dalle malattie.Si pensava anche che, se sulla pelle dei gattini appena nati non veniva incisa una croce, quando sarebbero cresciuti si sarebbero trasformati in streghe, si pensava anche che le donne anziane, di notte, prendessero le sembianze di gatti neri per succhiare il sangue del bestiame.I gatti, come già accennato prima con le streghe, venivano condannati nei modi più crudeli: sospesi dentro canestri di vimini sulle fiamme, buttati dalle torri.Nella cittadina di Ypres, addirittura, una festa annuale consisteva nel gettare vivi gatti da una torre; questa tradizione sopravvive ancora oggi, soltanto che, per fortuna, i gatti sono finti. Con simili follie da parte dell’uomo, è incredibile che i gatti, in Europa, non si siano estinti, anche se probabilmente andarono molto vicino all’estinzione. Riuscirono a sopravvivere soltanto grazie alla loro prolificità e all’aiuto dei contadini, poiché le assurde tradizioni di cui abbiamo parlato prima erano diffuse principalmente nelle città. In campagna i gatti godevano ancora della stima di un tempo, perchè continuavano a cacciare topi e altri parassiti proteggendo i raccolti.
Già nella seconda metà del quarto e nella prima del quinto secolo, le gerarchie cristiane avevano dato il via al processo di demonizzazione del colore nero; può darsi che, almeno in parte, il movente vada individuato in una reazione a Iside e al colore a lei sacro, soprattutto in Egitto. (Donald Engels, Storia del gatto, p. 239)
I gatti e le donne vennero perseguitati per secoli (dal 1000 al 1700), subirono torture e sevizie di ogni tipo. Milioni di gatti e centinaia di migliaia di donne vennero brutalmente uccisi in tutta l’Europa occidentale. L’ultimo gatto giustiziato in Inghilterra per stregoneria morì nel 1712. Pochissimi gatti completamente neri sopravvissero al massacro. Oggigiorno, In Europa occidentale, è difficile trovare un gatto che sia completamente nero mentre sono comuni nelle zone del Mediterraneo orientale dove nessuna crociata fu mai lanciata contro di loro.
Con l’Illuminismo le donne e i gatti cessarono di essere perseguitati e l’epoca buia si dissolse.
 Nel corso del 1800, grazie a Pasteur e ad altri studiosi, fu rivalutata la figura del gatto:
Non è un caso che Louis Pasteur ammirasse il gatto e ne proponesse l’abitudine alla pulizia come un esempio per l’umanità che desiderasse davvero evitare malattie. Quando finalmente gli europei si resero conto che la sporcizia era un male e la pulizia un bene, e non viceversa, come si riteneva un tempo, i gatti cominciarono a riconquistare il loro legittimo posto di guardiani e protettori della casa contro i parassiti e la cattiva sorte. (Donald Engels, Storia del gatto, p. 262)

Si dimostrò scientificamente che non solo il gatto non trasmetteva malattie all’uomo ma che il topo, che aveva proliferato per secoli, data la quasi totale estinzione del suo più acerrimo nemico, era portatore di circa 35 malattie pericolose per l’uomo tra le quali il tifo e la peste bubbonica.
Probabilmente una delle principale cause di diffusione delle grosse epidemie di peste che per secoli hanno decimato l’Europa (malattie veicolate da topi e ratti uccisero oltre un miliardo di persone) fu proprio l’avere ucciso il principale predatore dei topi.Viene in mente la favola delPifferaio Magico. La stupidità e l’ignoranza sono il vero flagello dell’umanità!
Dal 1800 il gatto si introdusse nei salotti bene dell’aristocrazia e borghesia e da allora non ha più cessato di diffondersi, e di essere di nuovo amato e vezzeggiato.
E’ innegabile che sono le donne ad amare e ad essere amate maggiormente dal gatto. Fin dall’inizio il gatto era il compagno del focolare e passava più tempo in casa vicino alla donna, a differenza del cane e del cavallo che seguivano l’uomo nella caccia o in altri lavori. Probabilmente è proprio per aver sempre condiviso la stessa sorte nel bene e nel male che si è formata questa maggior complicità e affiatamento reciproco.

Stranieri sulla Terra


Per molti versi, l’uomo moderno (Homo sapiens), è una specie di straniero sulla Terra. Da quando Charles Darwin presentò al mondo la sua teoria sull’evoluzione, per la vita sulla Terra è stato tracciato un percorso storico che, culminando nell’uomo, passa attraverso i primati, i mammiferi, i vertebrati e, ancora più indietro, attraverso forme di vita progressivamente inferiori, fino al punto in cui, miliardi di anni fa, si presume che sia cominciata la vita.Gli studiosi hanno cominciato a intravedere la possibilità di altre forme di vita in qualche altra parte del nostro sistema solare o addirittura al di fuori di esso, ed è qui che si sono fatti strada i primi dubbi circa la vita sulla Terra. Sembra infatti che qualcosa non quadri: se tutto è cominciato con una serie di reazioni chimiche spontanee, come mai la vita sulla Terra ha una sola e unica fonte, e non una serie di fonti dettate dal caso? E perché tutta la materia vivente contiene così poco degli elementi chimici che abbondano sulla Terra e così tanto di quelli che invece sono rari sul nostro pianeta? Non potrebbe essere che la vita sia stata importata sulla Terra da qualche altro luogo? La posizione dell’uomo nella catena evolutiva ha ulteriormente complicato il problema. Sulla base di reperti ossei ritrovati in luoghi diversi, gli studiosi credettero in un primo tempo che l’uomo avesse avuto origine in Asia circa 500.000 anni fa. Ma quando vennero rinvenuti fossili più antichi, risultò chiaro che il cammino dell’evoluzione aveva richiesto molto, molto più tempo. I primati antenati dell’uomo vengono ora datati approssimativamente a 25 milioni di anni fa. Da reperti ritrovati nell’Africa orientale riusciamo a collocare la transizione verso primati più simili all’uomo (ominidi) a circa 14 milioni di anni fa, mentre solo 11 milioni di anni più tardi sarebbe apparso il primo uomo-scimmia classificabile come Homo. Il primo essere con fattezze decisamente umane,"Australopithecus avanzato",visse in quella stessa parte del mondo circa 2 milioni di anni fa, ma ci volle un altro milione di anni prima che comparisse l’Homo erectus. Infine, dopo altri 900.000 anni, apparve quello che si considera il primo Uomo primitivo: l’Uomo di Neanderthal, dal nome della località dove i suoi resti vennero rinvenuti per la prima volta. Sebbene siano passati più di 2 milioni di anni tra l’Australopithecus avanzato e l’Uomo di Neanderthal, gli arnesi che i due gruppi utilizzavano, pietre appuntite,erano piuttosto simili, e anche le loro fattezze, per quello che ne sappiamo, non erano poi tanto diverse. Poi, improvvisamente e inesplicabilmente, circa 35.000 anni fa un nuovo tipo di uomo,Homo sapiens ("Uomo pensante"),apparve come dal niente e cancellò l’Uomo di Neanderthal dalla faccia della Terra. l’ipotesi che l’uomo moderno sia comparso 700.000 anni dopo l’Homo erectus e 200.000 anni prima dell’Uomo di Neanderthal non è assolutamente plausibile. Inoltre l’Homo sapiens sembra discostarsi nettamente dal lento processo dell’evoluzione, tanto che molte delle nostre odierne caratteristiche, come la capacità di parlare, non hanno assolutamente nulla a che fare con quelle dei precedenti primati. Il professor Theodosius Dobzhansky, che è un’autorità indiscussa in materia, era particolarmente stupito dal fatto che questo sviluppo fosse avvenuto proprio in un periodo in cui la Terra andava incontro ad un’era glaciale, una condizione,quindi, niente affatto propizia al progresso evolutivo. Partendo dal presupposto che l’Homo sapiens manca completamente di alcuni tratti che caratterizzavano i tipi precedentemente conosciuti, e ne presenta invece altri mai apparsi prima, egli concluse: «L’uomo moderno ha senza dubbio molti parenti e affini tra i fossili rinvenuti, ma non ha progenitori; quale sia quale sia l’origine dell’Homo sapiens resta davvero un mistero». Come è possibile, allora, che gli antenati dell’uomo moderno siano comparsi circa 300.000 anni fa, e non 2 o 3 milioni di anni più avanti, come avrebbe dovuto essere se fossero stati rispettati i normali ritmi del processo evolutivo? Siamo stati forse importati sulla Terra da qualche altro luogo, oppure,come affermano l’Antico Testamento e altre fonti antiche,siamo stati creati dagli dèi?

Ne mito conosciuto come ‘Enki e Ninmah’ si narra del primo tentativo di creazione dell’ uomo, ad opera dei due Anunnaki, perché questo potesse portare ‘il giogo degli dei’, cioè svolgere tutte quelle attività che erano svolte dagli dei minori. La storia si svolge in 4 parti. Nella prima parte, mentre Enki dorme nel suo giaciglio, gli dei minori si lamentano della fatica del lavoro. La dea


Namma, madre di Enki, sveglia suo figlio per presentargli le lamentele degli dei e gli suggerisce di creare un essere che lavori al posto loro. Enki, nella sua grande saggezza, decide allora che la cosa sia fattibile, e dà le istruzioni necessarie. Convoca quindi sua sorella Ninmah e le ‘dee della nascita’ le quali la dovranno assistere nell’ opera. Nella seconda parte, Ninmah crea 6 esseri, tutti malati, per i quali Enki ‘decide i destini’, cioè dispone per loro un compito che possano svolgere nonostante le loro menomazioni.Nella terza parte, poiché Ninmah è desolata di non essere riuscita a creare un ‘uomo perfetto’, Enki decide di provare un nuovo procedimento, utilizzando il seme di un dio e impiantarlo nell’ utero di una dea (Ninmah stessa?) mischiando questo seme con una forma d’ argilla da lui prodotta. Anche questo esperimento però produce un essere imperfetto, chiamato Umul (che in sumero significa appunto ‘creatura malata’), con molte menomazioni. Ninmah, constatando che questo essere non è in grado di badare a se stesso, si lamenta con Enki. Questi però ricorda a Ninmah di come lui abbia comunque badato ai 6 esseri prodotti da Ninmah. Nella quarta parte, probabilmente sentendosi rimproverata ingiustamente, Ninmah rinfaccia ad Enki di non aver però badato alla sua terra, alla sua città, quando questa fu distrutta, quando suo figlio (non identificato nel mito) fu costretto a fuggire, e quando lei stessa dovette abbandonare l’ E.Kur (il tempio di Nippur). Per contro, Enki la ammonisce di non rompere la promessa per la quale Ninmah avrebbe dovuto badare al destino della creatura da lui prodotta, la prega di ‘lasciare libera’ la sua creatura, e auspica che comunque questo giorno, quello delle creazioni, venga festeggiato. Enki ordina dunque che sia costruita una casa (non si capisce se DA Umul o PER Umul) e che siano scritte canzoni per commemorare l’ opera eroica di Ninmah. Il poema finisce con la consueta ‘lode’ al dio, per la sua saggezza e le sue opere. Il testo é molto importante perchè descrive il procedimento utilizzato per creare l’ uomo, che é la trasposizione in forma letteraria di una fertilizzazione in-vitro eterologa. Inoltre c’ é un passaggio, quello in cui Namma propone di creare il ‘sostitut’, che é molto espicativo seppur controverso:
"ama.gu10 mud mu.gar.ra.zu i3.gal2.la.am3 zub.sig3 dingir.re.e.ne keshe2.i3"

(tradotto generalmente con:Madre, la creazione di cui parli avrà luogo, imponiamo ad essa il lavoro degli dei)


La traduzione qui é controversa perchè in sumero non é possibile stabilire con certezza il ‘tempo’ di una situazione o azione. Dunque alla luce del significato dei singoli termini si può tradurre anche come ‘La creazione di cui parli esiste già’ intendendo con ‘la creazione’ in effetti ‘il creato’ (MUD) dunque un essere vivente. Si noti che ‘gar’ (NGAR) ha anche il significato di ‘immagine / aspetto / forma’ (Halloran – Sumerian Lexicon). Ciò indicherebbe, come sostiene Sitchin, che la creazione dell’ uomo fosse non un ‘Ex-Novo’ ma la modifica di un essere già esistente nel pianeta.





I Sumeri dicevano che l’uomo era stato prodotto purificando il sangue di Anunnaki maschi giovani ed estraendone ciò che doveva poi essere inserito nell’ominide prescelto.Gli autori biblici usano il termine [tselèm] che non indica il concetto astratto di “immagine”, come viene variamente interpretato dalla letteratura religiosa e dalla teologia tradizionale. Definisce infatti, in modo spe

cifico, “ un quid di materiale che contiene l’immagine”, una “ complete form“ riporta l’Etymological Dictionary. Inoltre nel testo biblico i due termini che indicano l’immagine e la somiglianza sono preceduti dai due prefissi (be) e (ki), che possiedono due significati la cui diversità non è di poco conto: (be) significa “ con, per mezzo di…”;• (ki) significa “ come, secondo…”.Il prefisso (be) è preposto al termine [tselèm] da cui si deduce che noi saremmo stati creati non “ a immagine” degli Elohìm, ma “ con quel qualcosa di materiale che contiene l’immagine” degli Elohìm. Una bella e sostanziale differenza! Ecco l’elemento concreto, nuovo, sempre “ dimenticato” dalle interpretazioni religiose tradizionali, perché non compatibile con la dottrina.Da notare inoltre come la Genesi dica anche che tutte le creature “ sono state fatte secondo la loro specie”, solo per l’uomo questo non viene affermato: la sua specie al termine dell’intervento “ divino” è diversa da quella che era la sua propria e originale! Ma c’è di più (e nel proseguire teniamo sempre a mente i racconti dei Sumeri,che dicono come l’elemento da inserire venisse tolto dal sangue purificato degli Anunnaki…). Il vocabolo [tselèm] infatti indica non solo un quid di concreto e materiale ma contiene, nel significato originale della radice semitica, anche il concetto di “ tagliato fuori da…”. Il Dizionario di ebraico e aramaico biblici “ Brown-Driver-Briggs Hebrew and English Lexicon”30 alla voce [tselèm] riporta la seguente indicazione: «something cut out», cioè qualcosa di tagliato fuori. La radice verbale [tsalàm] viene tradotta con “ cut off“ , “ tagliare via”. E che cos’è che contiene l’immagine di qualcuno e che può essere “tagliato via, tagliato fuori, estratto”? Una sola risposta ci viene in mente: il DNA.

Fonti: Z.Sitchin (il Pianeta degli Dei)

          A.Demontis (Il Mito di Enki e Ninmah  "Sitchinpedia")
          M.Biglino ("Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia", "Il Dio Alieno della Bibbia")

sabato 29 dicembre 2018

Sabba e Rituali - I rituali in magia creano un’atmosfera spirituale in cui tutto può accadere, e questa guida ai giorni più sacri dell’anno per la strega rivela come la magia si manifesta in tali circostanze. Scritta dal sommo sacerdote e dalla sacerdotessa del coven di Oldenwilde, questa guida illustra le date, i significati reconditi degli otto Sabba annuali pagani e degli Esbats mensili, momenti in cui le congreghe si riuniscono per lanciare incantesimi. Gli aspiranti wiccan impareranno anche l’etichetta sacra, come erigere un altare, coltivare la propria personalità magica e ad impostare la voce nel corso dei rituali, creare un gruppo esoterico, eseguire rituali pubblici e molto altro ancora...

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La mitologia e la magia del basilico


Il nome deriva dal greco  “basilikos”, che significa “erba degna di un re”, come detto dal filosofo e botanico greco Teofrasto, nel 3 ° secolo aC. Il  Basilico ha  avuto origine in India ed è stato portato in Occidente dai mercanti di spezie; gli Egiziani, i Greci e i Romani erano già a conoscenza dei suoi sapori e delle sue proprietà curative.

I Greci e Romani credevano che, per  far crescere una piantina sana di basilico, fosse necessario seminare, accompagnando tale operazione con insulti e maledizioni. Ma a parlare  più seriamente  di questa erba aromatica è stato lo scrittore romano Lucio Giunio Moderato Columella, che spiega come il basilico sia  una pianta da seminare in abbondanza “dopo le idi di maggio fino al solstizio d’estate”. Tra i romani veniva considerata una pianta magica e sacra a Venere, come molte altre erbe aromatiche, e doveva essere raccolto  dopo precisi rituali.

Alcuni autori hanno sostenuto che non dovrebbe essere mai  reciso con strumenti di ferro perché il metallo annulla tutte le sue qualità. E ‘proprio vero, in effetti, se proviamo a tagliare le foglie di basilico con un coltello, a causa dell’ossidazione,diventano immediatamente nere, quindi, dovrebbe essere tagliato solo a mano.
Il famoso naturalista romano Plinio era convinto che i semi del basilico, e non le foglie, fossero potenti afrodisiaci; in alcune zone, ancora oggi, gli agricoltori  lo fanno mangiare ad asini e cavalli durante il periodo riproduttivo per aumentare la loro forza sessuale.

In seguito, grazie a queste caratteristiche afrodisiache, è diventato il vero simbolo degli innamorati. Anche i Galli ritenevano il basilico una pianta sacra, tanto che le sue foglie venivano raccolte solo da coloro che avevano seguito un complesso rituale di purificazione. I Galli coltivavano il basilico in luglio / agosto fino a quando era in fiore. I mietitori di questa pianta sacra dovevano sottoporsi a rigorosi rituali di purificazione: dovevano lavare  la mano con cui raccogliere le piante nell’ acqua di tre diverse sorgenti,  dovevano indossare  abiti puliti, mantenersi a distanza dalle persone impure (per esempio, le donne durante le mestruazioni) e non utilizzare strumenti di metallo per tagliare i gambi. La santità del basilico è stata tenuta  in grande considerazione  anche dagli egiziani, che lo usavano per la preparazione di balsami adoperati nell’ imbalsamazione dei morti.
Nel Medioevo, al fine di raccogliere il basilico, si doveva purificare la mano destra  in tre diverse sorgenti,poi si doveva  utilizzare un ramo di quercia e indossare vestiti di lino bianco. Nel Decamerone di Boccaccio troviamo una delle più strane storie d’amore che ha come protagonista la pianta del basilico. Boccaccio nella  V Novella, giornata IV, racconta la storia di Elisabetta da Messina che ha seppellito la testa del suo amato Lorenzo, barbaramente assassinato dai suoi fratelli gelosi, in un grande vaso di basilico, che ha innaffiato tutti i giorni con le lacrime.

Nel Medioevo, inoltre, il basilico è stato utilizzato anche per gli  esorcismi e quindi per scacciare  i demoni dal posseduto, e si credeva che esso potesse compiere  miracoli in caso di peste e che potesse curare  la debolezza fisica dell’uomo. Nel Rinascimento le proprietà culinarie e terapeutiche del basilico sono state definitivamente riconosciute quando Cosimo de’ Medici lo ha  incluso  tra i profumi del ‘Giardino dei Semplici'(1545). Ma in tutto il mondo il basilico è noto soprattutto per il suo utilizzo nella preparazione della salsa più cotta sulla terra … il  pesto!

La storia del pesto
Storicamente il basilico è arrivato in Liguria tra la  seconda metà dell’XI e l’inizio del XII secolo e, in particolare ,a Genova seguendo le imprese del comandante genovese Guglielmo Embriaco, noto come Capo di Chainmail. Il capo  lo coltivava in  una delle sue galee  e ha  affidato  questo suo segreto al capitano Bartolomeo Decotto. Il capitano ha sperimentato  le caratteristiche terapeutiche del basilico, quando era in Palestina durante le crociate e al suo  ritorno a Genova portò con sè alcuni sacchi di semi.E così è nata una vera e propria  leggenda sul basilico. In un primo momento, le foglie di basilico sono state utilizzate solo come medicina, ma poi lavorando con il pestello per ottenere unguenti, è accaduto che qualcuno ha pensato bene di aggiungere l’olio d’oliva da utilizzare come crema per le irritazioni della pelle. Si dice che accidentalmente la crema  sia caduta sul pane e così è nato … il pesto!.

Leggende e superstizioni hanno sempre accompagnato la storia delle spezie e delle erbe aromatiche.Una di queste leggende, dice che alcuni inglesi che vivevano in India si aggiravano regolarmente con una collana di legno e   basilico per neutralizzare gli impulsi elettrici, tenere lontano il fulmine, come sostiene la religione indù. Nello stesso periodo, ma solo nelle eclissi, il basilico è stato mangiato e messo in riserve idriche per evitare la contaminazione.

In molti si sono chiesti se  il basilico è in realtà una pianta ‘magica’ o no, ma sappiamo,ad esempio,  che Napoleone l’ ha utilizzato per le sua capacità di stimolare la concentrazione intellettuale.Napoleone , infatti, era convinto che il suo profumo lo avrebbe aiutato a preparare i piani per manovrare gli eserciti. E la storia non è leggenda …

venerdì 28 dicembre 2018

Le Crociate

Le Crociate furono solo una tardiva e limitata reazione a quattro secoli di ininterrotta guerra santa dei musulmani contro gli europei. Le crociate durarono meno di 200 anni (dal 1096 al 1270), sono cessate da 700 anni e geograficamente si limitarono alla Terra Santa, mentre la jihad islamica ha avuto un carattere universale e permanente. Bill Warner ha calcolato che la conquista delle popolazioni cristiane in Medio Oriente, Anatolia e Nord Africa, che un tempo componevano circa la metà della Cristianità, ha comportato il massacro di almeno 60 milioni di persone; la conquista islamica della Persia ha portato alla cancellazione quasi totale dello zoroastrismo; nella sua avanzata verso est la jihad islamica ha provocato la morte di circa 10 milioni di buddisti, distruggendo ogni traccia di buddismo lungo la via della seta e in Afghanistan; l’invasione dell’India, che secondo il grande storico Will Durant rappresenta uno degli eventi più sanguinosi della storia umana, ha determinato l’annichilimento di metà della civiltà indù, e l’uccisione di 80 milioni di persone; le vittime della jihad nell’Africa subsahariana ammontano invece a più di 120 milioni tra cristiani e animisti. Sommando tutte queste cifre si giunge alla conclusione che dal settimo secolo a oggi approssimativamente 270 milioni di “infedeli” sono morti per la gloria politica dell’islam. Paragonare le crociate alla jihad islamica è quindi un grave errore storico.
Aggiunge Francesco Birardi:Rodney Stark (storico delle religioni) : Secondo Stark, peggio degli attacchi alla cultura occidentale fanno i sentimenti nutriti di senso di colpa. “Il peggiore è la tesi falsa che i crociati cercavano terre e bottino, anziché tentare di articolare una risposta a secoli di tentativi islamici di colonizzare l’occidente. Questa, assieme alla tesi di una opposizione della chiesa cattolica alla scienza – metà dei grandi scienziati che hanno fatto la rivoluzione scientifica nel XVI e XVII secolo erano cristiani – è la bugia peggiore”. “Invece di essere un tentativo da parte degli occidentali di colonizzare la Terra Santa, le Crociate furono una risposta a quattro secoli di sforzi dell’Islam per colonizzare l’Europa”.
Alfredo Morosetti dice: Il problema è la menzogna, la deliberata menzogna, su elementari dati di fatto. Non conosco testo di storia per le scuole inferiori e superiori che racconti, nemmeno alla lontana, il processo bestiale di attacco secolare dell'islam alla civiltà cristiana. Terminato unicamente nel secolo XVII, quando la differenza tecnologica e la superiorità morale della civiltà cristiana lo resero impossibile. Ma fino al 600 ogni città della costa nord del mediterraneo era potenziale preda dei musulmani. I prigionieri, i pochi prigionieri, venivano venduti come schiavi ad Algeri o a Tunisi. Sentito: il mercato degli schiavi bianchi era cosa all'ordine del giorno e la più parte delle risorse degli ordini mendicanti (francescani domenicani) andavano per riscattare cioè ricomprare questi schiavi. Le notizie sono di pubblico dominio, meno che nelle scuole, nella testa dei professori e, poi, nella testa dell'italiano medio.
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Scripta manent

PAPA BONIFACIO VIII (1235-1303)
Il vangelo insegna più menzogne che verità: il parto di una vergine è
assurdo; l’incarnazione del figlio di Dio è ridicola; il dogma della
transustanziazione è una pazzia. Le quantità di denaro che la FAVOLA DI
CRISTO ha apportato ai preti è incalcolabile. (Queste parole pronunciate
da papa Bonifacio VIII sono state anche riportate dallo studioso e
storico Jean Villani nella sua opera "Cronaca" scritta durante il Giubileo a Roma nel 1300).

PAPA LEONE X (1513-1521)
Dichiarò
al Cardinal Bembo: "Tutti sappiamo bene quanto la FAVOLA DI CRISTO
abbia recato profitto a noi e ai nostri più stretti seguaci". Archivi
Vaticani, Corr. Leone X, Vol. 3° Scaffale 41

La terribile origine del termine "puttana".



L’etimologia risale all'Alto Medio Evo, ai tempi delle crociate.
Quando gli uomini partivano per la Palestina a massacrare donne, vecchi e bambini.
 Le donne, spesso rimanevano sole a casa, lasciate al totale abbandono e senza risorse, indifese da tutto. Va detto che in quel periodo, una donna che uccideva un uomo anche solo per difendere la propria vita, nel 100% dei casi veniva condannata a morte.

Per tanto va da se che ogni violenza, ogni atto di brutalità commesso nei loro confronti, rimaneva impunita.

Il termine “Puttana” sta ad indicare una parola d’origine a cui fu accomunata erroneamente e arbitrariamente un tipo di donna ossia, la prostituta.
Nell'uno come nell'altro caso, la violenza era la costante che caratterizzava allora come oggi l’atto vile dello stupro.
Dovete sapere che la parola deriva da “Putto” ossia bambino e che nulla ha a che vedere con altre questioni se non questa.

Quando le povere sventurate rimanevano da sole era facile che dei “Pellegrini”, pernottassero nelle loro case, e che questi non approfittassero solo dell’ospitalità ma, anche della donna stessa, stuprata e quasi sempre messa incinta, ella era obbligata a disfarsi dei bambini nati vendendoli ai signorotti o ai viandanti che cercavano schiavi sessuali il più delle volte.
Quindi due volte vittime.

La donna che subiva lo stupro e da esso aveva un figlio, era obbligata a venderlo per mantenere anche quelli dell’imbecille che era partito per andare a compiere massacri in Palestina con la speranza di tornare a casa e avere come riconoscimento del suo ignobile operato, un piccolo feudo o una ricompensa dalla fottuta “Chiesa cattolica”.

Come dicevo, le donne erano oggetto di ogni tipo di violenza, sia fisica che psicologica, nessuno ne prendeva le parti, nessuno puniva i loro aguzzini e questo, perché c’era l’assurda convinzione la donna fosse portatrice del “Peccato originale” e che per questo meritasse ogni forma di umiliazione.

La Fabbrica dei Santi - conferenza di Laura Fezia

Laura Fezia - La Fabbrica dei Santi - Conferenza
Come la Chiesa fa cassa con superstizioni e ambiguità - Conferenza e presentazione del libro  9 giu 2018 presso Libreria Esoterica Cavour.

giovedì 27 dicembre 2018

L'odio cristiano per i gatti

Anche se vi furono periodi della storia degli umani in cui i gatti furono adorati come Dei, vi sono state epoche in cui essi furono torturati quali demoni o trucidati durante macabre ribellioni simboliche.
Nell'antico Egitto, il gatto che moriva veniva sepolto con grandi riti e solenne magnificenza. Del resto gli Egizi erano talvolta clementi di fronte all'assassioniodi un umano ma punivano con la morte l'uccisione o il semplice ferimento di un gatto.

Il gatto era sacro a Iside e poi a Bastet, figlia di Iside e sorella di Horus, il Dio Sole. La Dea simboleggiava il calore del sole che dà la vita, e venne rappresentata con la testa di gatto forse perché il gatto ama esporsi ai raggi solari.
Il gatto veniva adorato in grandi cerimonie anche perché con la dilatazione e la contrazione delle pupille i suoi occhi sembravano riprodurre il fenomeno della luna crescente e calante.
Ben diverso fu l'atteggiamento nell'Europa del XVI, XVII e XVIII secolo, epoche in cui i gatti vivevano sotto la costante minaccia di esecuzione.
Una ricerca storica condotta dal dottor James Serpell rivela che tra il 1560 e 1700 molte centinaia di innocenti, spesso donne anziane, venivano brutalmente messe a morte solo a causa della loro amicizia con i gatti. Durante il processo alle streghe di St. Osyth nel marzo del 1582, Ursula Kemp fu accusata di avere quattro demoni al proprio servizio: due gatti grigi e due gatti neri.

Per la plebe, i gatti rappresentavano sia la magia che la sessualità. (Nota: vedi nell'inglese, la parola "pussy" che significa sia "micina" che "organo genitale femminile"; anche il coniglio era connesso alla sessualità, ed è rimasto nell'idea della "coniglietta", la giovane donna vezzosa e civetta)

Nel XVIII alcuni garzoni di bottega francesi parteciparono a delle torture e al massacro di gatti innocenti, in un'atmosfera di sfrenata baldoria.
è interessante notare come l'odio cristiano (perché il cristianesimo idolatra l'odio, oltre che il male) si sia sfogato sia sugli animali che sulle femmine.
Non tutti sanno (specialmente i cristianucci da oratorio) che l'Inquisizione torturava e bruciava donne (spregiativamente definite femmine, o meglio, maschi usciti male, perché il cristianesimo nega totalmente una femminilità autonoma e trascendente; la femminilità biologica non è che "maschietà uscita male", o, al massimo, si ammette, come unica "femminilità buona", la femminilità procreativa, overo uterina e sempre funzionale al patriarcato) ma anche animali (specialmente i gatti) andando ad identificarli come "demoni", ovvero "malvagità da sterminare" (si ricordi che i politeisti adoravano effettivamente anche Dei sotto forma di animali: si pensi alla Dea Gatta Bastet, o al Dio Elefante Ganesha, se vogliamo un Dio ancora venerato).

"Gli incontri erano presieduti da una presunta divinità cornuta, che si suppone sia Lucifero correlabile al pagano Pan (dal greco “tutto”) sintomatico come le traduzioni in altre lingue (in latino Omnie, in sanscrito Aum, l’indù Om, l’egiziano amoun e l’ebraico Amen), sono comunque tutte le designazioni del dio dell’abisso, del profondo del mondo sotterraneo: di qualsiasi ragione “ritrovata” e fuori dalla gamma della coscienza desta. Le caratteristiche caprine di Pan gli hanno poi dato un’immagine negativa da parte del cristianesimo per il fatto che il rituale del “capro espiatorio”, cioè il capro che aveva in se tutti i peccati degli ebrei, lo riconducevano all’impurità e al male. Ma in realtà il “Diavolo” è il capricorno, il capro che balza sulle montagne più alte, la divinità che, se si manifesta nell’uomo fa di lui l’egopan, il tutto, quindi è l’uomo fatto dio. Il dio delle streghe è anche connesso con altri dei, come Dioniso, Herne, Cernuanos, il dio cervo delle popolazioni galliche, adorato in tutta l’Europa occidentale."

(Nota: ricordiamo che capro e toro erano Animali Dei correlati alla virilità venerati da molti popoli, poi ripresi anche da pensatori come Eliphas Levi e Crowley; Pan in realtà, mitologicamente, era figlio di Ermes, il Messaggero Divino, e di una ninfa; abbandonato fin da piccolo dalla madre perché mostruoso, viene cresciuto sull'Olimpo, in particolar modo da Dioniso - ricordiamoci che il simbolismo della vite e del vino cristiano è ripreso da lì... - ; tuttavia Pan ha il potere di provocare lo spavento, "il timor panico", e viene ricordato per aver spaventato i persiani, nemici degli ateniesi, durante la guerra di Maratona, permettendo la vittoria di Atene. Ecco perché Pan era adorato con templi e fiaccolate. Su Youtube è possibile sentire un'invocazione a Pan realizzata dalla band Daemonia Nymphe)
Nel punto precedente si è osservato il fenomeno di demonizzazione del paganesimo riscontrato nel medioevo. Demonizzazione che, proprio per le caratteristiche naturalistiche del politeismo, ha come punto principale il rapporto uomo - natura e uomo - animale. Non per niente l’animale, nel suo significato generale di istintività e carnalità, è diventato emblema di Satana (...) Serpente, simbolo di fertilità e generazione, di astuzia e conoscenza e quindi di vita. Tutto ciò fin dalla tradizione babilonese. Emblema strettamente legato al fallo e alla penetrazione, venerato anche dai romani a fini di guarigione dalla sterilità, infatti il serpente dona ad Adamo ed Eva la conoscenza del bene e del male attraverso la scoperta della sessualità. Nei rituali dionisiaci, le baccanti si adornavano la testa di serpenti e ne trasportavano uno all’interno di una cesta, fra le tribù indiane, la lucertola era simbolo di energie non controllate dalla ragione, simbolo dunque dell’inconscio (...) Proseguiamo con un’ altra divinità pagana che ha decisamente contribuito al tipo di rappresentazioni del demoniaco, sia all’interno che all’esterno del sabba: mi riferisco ovviamente a Pan. Chi meglio di lui può dare alla stregoneria significati selvaggi, di folli corse e di eterne danze nella foresta? Chi meglio di Pan esalta i sensi abbattendo lo spirito? Pan, divinità dalle sembianze umane e caprine, dona all’avversario una delle più comuni rappresentazioni data dagli zoccoli, dalle corna, dalla coda ecc... Elementi che nel loro insieme accomunano entrambi i personaggi nella danza e nella natura. Estrema correlazione fra l’uomo ritualmente selvaggio e l’universo delle energie demoniache.
(Nota: i sacerdoti indossano comunque corna o maschere animalesche)
Altri attributi stregoneschi di origine pagana sono dati dal lupo, dai ragni, dagli insetti e dai felini. Bestie che a seconda della visione delle streghe fungevano da accompagnatori magici alla riunione notturna. Il demone Bune, ad esempio, viene rappresentato come camaleonte, Amduscias come unicorno, Flauros come pantera, Andrealphus come pavone, Marchosias come lupa, Belzebub come signore delle mosche, Pazuzu come cavalletta ecc..."

"Si continua poi con altri popoli quali quello indiano in cui lo sciamano attraverso imitazioni dell’animale prescelto, date sia dal travestimento che dal comportamento, celebra rituali con finalità propiziatorie o venatorie a seconda delle cerimonie. (...) Sopratutto in questo caso, l’imitazione dell’animale (che mischiata al travestimento fornisce chiari simbolismi metamorfici) scandisce l’apprendimento che l’uomo può trarne da esso. Gli indiani osservavano scrupolosamente il comportamento delle bestie nelle varie situazioni e non a caso i loro spiriti guida venivano rappresentati da animali. Nelle antiche popolazioni germaniche e scandinave, i lupi mannari (ulfhednar “uomini vestiti di pelli di lupo”) e i berserkir (guerrieri rivestiti di pelliccia d’orso) rientravano tranquillamente nell’organizzazione della società in qualità di eccezionali combattenti che vestivano di pelli di animali e in occasione della battaglia ne acquistavano il potere, la furia e la maggior resistenza al dolore."

"Il mago indossa la maschera della divinità che gli è più gradita e mette in scena se stesso (...) Con il termine stregoneria si intende quel complesso di pratiche rituali di carattere magico in cui l’uomo e la donna hanno l’obiettivo di fondersi con le energie della natura (demoni) attraverso evocazioni delle stesse energie; per perseguire fini di conoscenza sia nella ragione che nell’istinto. La base di tale cultura è rappresentata dal desiderio di conoscenza raggiungibile per mezzo di qualsiasi realtà, dalla volontà di simbiosi con la terra e soprattutto dal sentimento rituale che vede l’uomo-dio (Satana) nel pieno della sua presa di coscienza. La ritualità è la vita di ogni essere immersa nell’arte che prende vita in quell’assurdo palcoscenico che è il cosmo."

"I pagani di tutte le varie culture, oltre ad avere una filosofia politeista in cui riconoscono le varie forme della natura e del cosmo, si identificano in tali divinità proprio per le loro peculiarità umane ed animali. Infatti la divinità pagana (ovviamente non tutte) è antropomorfa e quindi fonde comportamenti e pensieri umani alla spontaneità e naturalezza di un animale conferendo all’energia in questione ragione e pensiero ma allo stesso tempo istinto e passione. E’ interessante notare come nella mitologia gli dei assumono spesso caratteristiche fin troppo umane nella loro ira, nella loro gelosia e a volte anche nella loro infantilità. Da queste caratteristiche si delinea il rapporto positivo che i culti pagani avevano nei confronti della terra, dei suoi frutti e dei suoi figli. La loro ritualità era ovviamente in stretto legame con questo ideale e di conseguenza in stretto legame con la magia intesa come scienza della vita e studio dell’energie della stessa. Il cristianesimo vede in tutto questo l’errore poichè riconosce un solo dio fatto di spirito estraneo a ciò che è terreno tranne che nella sua incarnazione in Cristo che, sul piano energetico, appare come figura limitatrice." (Alessandro Chalambalakis)

(Nota: e infatti sulle limitazioni di cristo, questa volta visto come "maschio fatto e finito", si innesta la Teologia Femminista; si veda Rosemary Radford Ruether quando si chiede se "la maschietà di cristo è un limite alla sua efficacia redentrice, visto che non ha assunto anche la natura femminile?")

Tratto da "La magia del gatto" di David Greene

mercoledì 26 dicembre 2018

L'ulivo pensante...

“Contorti, nodosi, tormentati, corrosi dal tempo, svuotati all’interno, piegati dal vento e tesi in un supremo sforzo.
Con le loro radici aggrappate tenacemente più alla roccia che al sottile strato di terra, simboleggiano le difficoltà
del vissuto quotidiano e, nello stesso tempo, la forza della vita, vittoriosa su ogni avversità”. Così descrive gli ulivi Carmelo Formica.
E poi ancora Francesco Barberi che scrive:
“Dove l'ulivo prevale non hai nemmeno il senso della stagione. Le stagioni non mutano l'aspetto dell'ulivo; la sua età appare decrepita.
E come nei vecchi uomini le particolarità fisionomiche si accentuano deformate, così che gli ulivi rappresentano un campionario infinito d'individualità.
Rari sono i tronchi "regolari" che posano sul terreno tranquilli, equilibrati: brevi colonne muscose, come faggi nani.
I più a furia di produrre hanno perduto polpa e volume: sono ridotti alla corteccia, che ha fuori una scabrosità petrigna e dentro pare raschiata e bruciata,
sono ridotti a un solo lato della corteccia in piedi per miracolo, a una cinghia spirale.
Divaricati fin dalla base, o ruderi privi di rami con in cima un ciuffo di foglioline; spaccati in due da una fenditura ovvero multipli;
con basamenti enormi di radici sproporzionate; contorti e sformati; pieni di tumori e di buchi; cascanti; scoppiati;
vuoti come camini: eppure la loro vitalità permane intatta, la fecondità inesausta.
S'abbarbicano tenaci alla roccia; si chinano verso terra, da mille volti traspare un simbolo unico:
muscolature aggroppate, nervi tirati, contorcimenti, labbri di scorza intorno a ferite, scavature di ceppaie,
scarnimenti supremi: esprimono tutti più che in ogni altra specie vegetale la fatica e la consumazione del generare, il sacrificio dell'offerta.
L'ulivo appare il più disperato degli alberi, pertanto il più umano.
I rami dell'ulivo non si irraggiano dal tronco armonicamente, non si sovrappongono in palchi paralleli, non nascono l'uno dall'altro secondo uno schema naturale;
ma guizzano in lunghezze e in direzioni impreviste con pentimenti, rigiri e capricciosità, opera sapiente della potatura,
la quale sfoltisce la chioma cresputa per esporre ogni ramicello al beneficio del sole.
Come il tronco, neanche il fogliame dell'ulivo ha volume né corpo: lo schizzano in alto a ciuffi i virgulti pasquali dritti e lisci;
i serpentelli esterni lo lasciano cadere misuratamente diradato.
In confronto all'ulivo poco interessano le olive preziose,
che di autunno incupiscono il fogliame - finchè il contadino, infrascato sulla scala tra i rami,
col gesto del pastore che munge le schizza sul telo spiegato. Il colore dell'ulivo è senza stagione.

martedì 25 dicembre 2018

Il volo della strega

..."Quindi il volo delle streghe avveniva unicamente nelle loro menti, mentre il corpo giaceva in un sonno agitato dalle allucinazioni causate dalle piante allucinogene - "

La Mandragora - Mandragora sp. Come molti membri della famiglia delle Solanacee, tutte le specie di Mandragora contengono una moltitudine di alcaloidi biologicamente attivi come atropina, apoatropine, belladonnine, cuscohygrine, iosciamina, scopolamina...rapporti clinici sugli effetti del consumo di piante descritte come Mandragora autumnalis (Mandragora offinarum sl) comprendono gravi sintomi simili a quelli di avvelenamento da atropina, tra cui visione offuscata, dilatazione delle pupille, secchezza delle fauci, difficoltà a urinare, vertigini, mal di testa, vomito, arrossendo e una rapida frequenza cardiaca (tachicardia). Iperattività e allucinazioni sono verificate anche nella maggior parte dei pazienti (Jiménez-Mejías, et al.1990-11-24) (Piccillo et aL, 2002).
Bere una pozione costituita da tali ingredienti poteva portare alla morte, ma le streghe erboriste sapevano che ci sono altri modi per assorbire i principi attivi delle piante, e molto meno pericolosi: uno di questo è l'assorbimento di un unguento a base delle piante indicate tramite pelle e mucose, come la zona delle ascelle, la zona vaginale e l'ano. Dalle registrazioni del frate Giordano da Bergamo, 15° secolo, veniamo a sapere che il volgo credeva e le streghe confessavano di passarsi sul corpo un attrezzo con il quale si cospargevano di unguento, e in particolare lo passavano tra le gambe...per questo probabilmente le streghe sono spesso rappresentate nude e a cavallo di una "scopa".

E perché un manico di scopa e non un altro oggetto? Una spiegazione potrebbe essere che le preparazioni di questi unguenti venissero effettuati in piccoli pestelli simili alle zangole per montare la panna, una volta fatte bollire le erbe nel grasso, quindi il bastone che veniva utilizzato per mescolare l'unguento venisse poi utilizzato per cospargerlo, e, data la sua forma, non andrebbero trascurati i benefit derivanti da tale operazione: il piacere sessuale procurato in questo modo, il fatto che queste donne si masturbassero e decidessero di fare ciò che desideravano col proprio corpo, la volontà di reprimere la sessualità femminile ed il suo potere, sono stati tra i motivi principali della repressione femminile da parte della chiesa.
Una volta cosparse dell'unguento, iniziava "il volo", che secondo una descrizione dei 1966 da Gustav Schenk si svolge così: "Ogni parte del mio corpo sembrava andare per conto suo, ed ero preso dalla paura di cadere a pezzi. Allo stesso tempo, ho provato una sensazione inebriante di volare. [...] Sono salito in alto mentre le mie allucinazioni di nuvole, di cieli bassi, mandrie di animali, [...] fiumi di metallo fuso - mi vorticavano attorno..."
Quindi il volo delle streghe avveniva unicamente nelle loro menti, mentre il corpo giaceva in un sonno agitato dalle allucinazioni causate dalle piante allucinogene - "... altro non è che un potentissimo narcotico, il quale lega altamente i sensi e gli sepelisce in un profondissimo sonno." - Tartarotti. Al risveglio, il viaggiatore non aveva dubbi sul fatto che ciò che aveva vissuto fosse reale. Mi domando se facendo l'esperienza insieme, durante un sabba, o la notte di San Giovanni, alla fine le loro esperienze fossero talmente simili da divenire un sentire ed un ricordo comune e condiviso.

Questi rituali e procedimenti erboristici sono molto simili a quelli dello sciamanesimo dei popoli nativi di ogni parte del mondo e prima in Europa, poi nel resto delle colonie, furono utilizzate come buona scusa per la l'uccisione e la conversione dei miscredenti, mettendo in relazione le religioni naturali con il demonio e la stregoneria.

Sabba delle streghe

Il famoso “Sabba delle streghe” era il ritrovo che avveniva tra le streghe tra le notte del sabato, solitamente di luna piena, dove queste donne si ritrovavano in foreste e prati, lontane da occhi indiscreti e in cui tutte assieme si immergevano nel volo magico.

Un modo antico per “fuggire” dalla durezza della vita quotidiana di quell’epoca che però non piaceva agli occhi maligni degli inquisitori cristiani e qui trovarono il vero motivo per accusarle e portarle a morte atroce e torture, accusandole di incontrare il Diavolo tramite i loro voli magici…

Insomma la caccia alle streghe da parte della santa inquisizione non è altro che è uno dei tanti tristi capitoli della nostra storia, immersi nell’ignoranza e perversione della mente umana, cui ieri come oggi la popolazione contribuiva alla complicità, accusando spesso le proprie mogli e le proprie figlie..

La quercia

"Presso le antiche civiltà pagane l'albero non era solamente un elemento vegetale tra tanti altri, un elemento costitutivo delle grandi foreste iperboree, ma una presenza sacra, la presenza tangibile del divino nella natura. La quercia, per il suo aspetto forte e maestoso e per la resistenza del suo legno, è stata considerata simbolo della forza, della resistenza, della perseveranza, della lealtà e della virtù eroica. Infatti nelle gare atletiche i Greci conferivano ai vincitori una corona di quercia e ai soldati romani che avevano salvato in battaglia la vita di un compagno veniva data come premio sempre una corona di quercia con le ghiande.

La quercia aveva una particolare importanza religiosa, perché appariva strettamente connessa alle divinità supreme folgoratrici e tonanti. Poiché queste la colpivano più vistosamente, sembravano quasi una parte integrante della quercia stessa e per questo fatto ricevevano la caratterizzazione di 'divinità della quercia', come Zeus, Giove per i Latini, Thor per le popolazioni scandinave e Donar per i Germani.

Infatti Zeus-Giove, veniva chiamato 'Quernus' (che deriva dal termine indoeuropeo 'quercus' che significa quercia) e il suo volere poteva essere conosciuto anche attraverso questa pianta. Nella città di Dodona, nell'Epiro in Grecia, i Selli, sacerdoti di Zeus, interpretavano lo stormire delle fronde di una grande foresta di querce che circondava il loro tempio per conoscere il pensiero del Dio. Questo era uno dei più antichi oracoli di tutta la Grecia.

Anche per i Romani la quercia era simbolo di forza. Il termine 'robur' quercia rossa, veniva utilizzata in alcuni casi indiretti al posto del termine 'vis' forza.
La quercia era poi consacrata dai popoli Scandinavi a Thor, il dio dalla barba fiammeggiante come il lampo, sempre pronto a polverizzare i Thursi, i giganti, le forze malefiche per gli dei e per gli uomini. Le popolazioni celtiche la chiamavano anche 'l'albero del tumulto della spada' ed essa personificava il coraggio, l'eroismo guerriero, la resistenza e la fedeltà.

Quando il cristianesimo penetrò nel cuore delle foreste germaniche, i suoi primi nemici furono gli alberi. I monaci divennero perciò degli ardenti disboscatori: per combattere la credenza negli dèi pagani, bisognava abbattere gli alberi che erano la manifestazione visibile sulla terra della potenza degli dèi.

La quercia era anche simbolo di statura spirituale, rappresentata dalla notevole altezza che veniva raggiunta dall'albero.
Per le popolazioni celtiche era anche il simbolo dell'ospitalità: attirava le forze benefiche e allontanava quelle maligne, perciò era considerata la guardiana della casa presso cui era piantata. Per questo i pionieri americani avevano l'usanza di piantare una quercia presso la loro casa per tenere così lontano le forze del male."

domenica 23 dicembre 2018

Sotoeriologia e Aspetti Mistici nel Culto di Cibele e Attis - Un libro che ripercorre la storia religiosa del mondo antico. I “culti misterici”, con il loro apparato mitico e il loro rituale entusiastico-orgiastico, affascinano ed incuriosiscono. Intorno a tali culti che animarono l’area del Vicino Oriente ed in particolare quella anatolica e greca, si raccolse negli ultimi anni dell’Impero romano la resistenza pagana al cristianesimo, attratta dalle istanze soteriologiche ed esoteriche che in vario modo i culti dei “misteri” esprimevano. Giulia Sfameni Gasparro, che ha dedicato i suoi studi accademici alle tradizioni religiose del mondo antico, con questa opera ci guida per mano entro il culto metroaco della Grande Madre, la Μήτηρ Μεγάλη o Μήτηρ θεῶν dei greci, riconducibile alla dea frigia Cibele e al suo universo mitico e rituale legato ad Attis e al tema mistico dell’androgine, secondo un percorso iniziatico e soteriologico di salvezza

Sotoeriologia e Aspetti Mistici nel Culto di Cibele e Attis
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I Miti Egizi - Un lilbro come un dizionario, il saggio si compone di due parti: la prima riguarda le divinità di cui, oltre all’iconografia più comune e significativa (per un totale di 161 illustrazioni), vengono date le notizie essenziali; la seconda tratta dei luoghi topografici che hanno rivestito un ruolo di particolare importanza nella storia religiosa dell’Egitto, trascritti nelle forme assunte nei vari periodi (faraonico, copto, arabo, greco-romano). Completano l’opera una cronologia delle divinità, una cronologia storica e l’elenco delle varie dinastie. Introduzione Il crescente interesse intorno all’Egitto e alla sua antica civiltà è ampiamente attestato dalla mole di opere che in tutte le lingue vengono annualmente prodotte. A ciò si aggiunge lo stimolo dato dalle scoperte archeologiche, sempre ricche di fascino misterioso, nonché particolari eventi, come è stata, ad esempio, la discussa corsa al salvataggio delle vestigia monumentali minacciate dall’allora erigenda diga a sud di Assuan. Se da un lato, infatti, si è riuscito a salvare il complesso monumentale di Abu Simbel, dall’altro non si è avuto il tempo di salvare dalle acque impietose preziose testimonianze di civiltà nubiane poco note. Al bisogno di rapida informazione che deriva da questo stato di cose devono fare riscontro pubblicazioni di facile e pronta consultazione. Per tale motivo è stato concepito il presente «dizionarietto» destinato a divenire un utile compagno nelle mani di quanti si occupino della civiltà egiziana e, in particolare, dei suoi vari aspetti mitologici e religiosi. Non si è preteso qui di compiere opera scientifica propriamente detta e sono stati omessi quindi i riferimenti tecnici, inutili per un lettore non specialista. Il dizionario si compone di due parti: la prima concerne le divinità di cui, oltre all’iconografia più comune e significativa, vengono date le notizie essenziali; la seconda tratta dei luoghi topografici che hanno rivestito un ruolo di importanza nella storia religiosa dell’Egitto, trascritti nelle forme assunte nei vari periodi: faraonico, copto, arabo e greco-romano.

I Miti Egizi
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Le signore del destino: Moire, Parche e Norne

Destino


Basta una parola per evocare l’epicità della vita umana. Chiudiamo gli occhi e lasciamoci inebriare dal suono di questo termine mentre lo pronunciamo lentamente, sottovoce: D-E-S-T-I-N-O. Tutte le nostre aspirazioni, le nostre speranze, il senso di tutta la nostra vita è racchiuso qui. E siamo consapevoli che si tratta di qualcosa che non ci appartiene totalmente, su cui non abbiamo potere; spesso infatti le cose non vanno come ci aspetteremmo o come le avevamo programmate.
È vero, viviamo in una società moderna ed evoluta, all’insegna del progresso che ci offrono la scienza e l’uso della ragione…eppure qualcosa ci sfugge sempre. Quante volte ci ritroviamo a pensare “che coincidenza!”? Ebbene, se ci pensiamo queste “coincidenze” nella nostra esistenza sono davvero tante e ognuna di esse avrebbe potuto cambiare il corso dei fatti. Credo che se da una parte possiamo influenzare il corso degli eventi con la nostra condotta, dall’altra dobbiamo fare i conti con un elemento che non possiamo imbrigliare.
Gli antichi, al contrario di noi uomini moderni, credevano profondamente nell’esistenza del fato, al quale nessuno poteva opporsi, nemmeno gli dèi. Nella tradizione classica e norrena erano tre donne che governavano la vita degli esseri umani, sia nel bene, che nel male. Vediamo ora come.

Le Moire greche

In origine, nell’antica Grecia, le Moire erano la personificazione del destino di ogni uomo; ognuno aveva la sua moîra, ovvero la propria “parte” di vita, felicità, sfortuna, ecc. Esisteva anche una Moira universale, che incarnava il fato, contro il quale nemmeno gli dèi dell’Olimpo avevano potere; per esempio, nessuna divinità poteva accorrere in soccorso di un eroe sul campo di battaglia, se la sua ora era giunta. Questo perche nessuno deve né può sovvertire l’ordine del mondo.

Tuttavia, le Moire che siamo abituati a considerare sono solo tre: Cloto, Lachesi e Atropo. La loro origine non è certa, poiché esistono due versioni a riguardo, entrambe presenti nella Teogonia di Esiodo. Secondo la prima, le Moire sarebbero figlie della Notte:


Notte poi partorì l’odioso Moros e Ker nera

e Thanatos, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;

non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;

e le Esperidi che, al di là dell’inclito Oceano, dei pomi

aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;

e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:

Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali

quando son nati danno da avere il bene e il male,

che di uomini e dei i delitti perseguono;

né mai le dee cessano dalla terribile ira

prima d’aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato.

[Teogonia di Esiodo, vv. 211-222]


La seconda, invece, le vuole figlie di Zeus e Temi, dea della giustizia, e quindi sorelle delle Ore:


Per seconda sposò la splendida Thémis, che generò le Ore (Eunomie, Dike ed Eirene fiorente) che vegliano sulle opere dei mortali; e le Moire, cui grande onore diede Zeús prudente: Cloto, Lachesi e Atropo, che concedono agli uomini il bene e il male.

Queste tre donne dimoravano nell’Ade, il regno dei morti della tradizione greca, e avevano l’aspetto di anziane. Il loro compito era quello di tessere i fili della vita di ogni essere umano sulla terra: più era lungo il filo, più l’uomo o la donna al quale corrispondeva sarebbe vissuto a lungo. In tale mansione ognuna delle tre donne aveva il proprio compito: Cloto, il cui nome significa in greco “io filo”, filava lo stame della vita; Lachesi, la cui traduzione è “destino”, avvolgeva il filo su un fuso e ne stabiliva la lunghezza; infine Atropo, l'”inflessibile” nonché la più anziana delle tre, recideva il filo di lino nel momento in cui sopraggiungeva la morte del malcapitato. A volte erano associate con Ilizia, divinità della nascita.

Altre tradizioni affermano che le Moire fossero giovani fanciulle dall’aspetto severo, vestite con pepli decorati con stelle e che abitassero sull’Olimpo, in un palazzo di bronzo sulle cui pareti incidevano i destini ineluttabili degli uomini.

Queste tre figure hanno fatto la loro comparsa anche nel film d’animazione Hercules, dove predicono il futuro al malvagio Ade attraverso un occhio che si scambiano vicendevolmente. In realtà, quest’ultima caratteristica è da attribuire alle Graie, le sorelle delle Gorgoni che Perseo incontra sul proprio cammino.


Le Parche romane


Come tutte le divinità romane, anche le Parche traggono i propri attributi dalle Moire greche. In origine sembra che esistesse una sola Parca, che rappresentava il nome tutelare della nascita. Ben presto, però, le furono affiancate Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi della gravidanza.

In seguito, assunsero progressivamente tutte le caratteristiche delle Moire. Come nel caso delle antenate greche, ognuna delle tre Parche controllava una fase della vita degli uomini: la prima filava, la seconda assegnava il destino della vita di ciascuno e l’ultima tagliava il filo. Nel Foro romano vi era una statua che le rappresentava chiamata Tria Fata, “i tre destini”; infatti, proprio per la loro connessione con le sorti del mondo e dell’umanità, le Parche erano conosciute nel mondo romano anche con il nome latino di Fatae, coloro che presiedono al Fato. Al loro operato Dante dedica questi tre versi della Divina Commedia:


Ma perché lei che dì e notte fila,

non gli avea tratta ancora la conocchia,

che Cloto impone a ciascuno e compila…

[Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27]


Nonostante tali divinità siano quasi totalmente assimilabili alle Moire, in realtà si possono notare delle sfumature leggermente diverse. Benché analogamente alle divinità greche fossero tre sorelle filatrici dal carattere scorbutico e dall’aspetto alternativamente giovane o anziano, esse non si limitavano a impersonificare solo il destino dell’uomo, ma anche le sue età della vita: nascita, matrimonio e morte. Quindi le Parche erano custodi anche delle fasi di evoluzione di ogni individuo e accompagnavano i fanciulli nel passaggio dall’infanzia all’età adulta e nella scoperta della sfera sessuale.


Le Norne norrene


La concezione di un destino inevitabile, al di sopra degli dèi era comune anche in area germanica. Il fato è l’unico elemento eterno nell’austera mentalità norrena, secondo la quale ogni cosa, anche il mondo degli dèi, avrà una fine nel giorno del Ragnarök. Le divinità che incarnavano il fato ineluttabile erano chiamate Norne, dall’antico norreno norn, “[colei che] bisbiglia [un segreto]”.

Le origini di queste dee erano diverse: alcune appartenevano alla stirpe degli dèi Asi, altre dei Vani (cfr. “Asi e Vani” in questo blog), altre ancora facevano parte della razza degli elfi, mentre ulteriori fonti fanno risalire le Norne alla stirpe dei giganti del ghiaccio provenienti da Jötunheimr. In questo gruppo indistinto di divinità femminili, si potevano riconoscere Norne benevole, che accorrevano alla culla di un eroe per predisporgli un avvenire felice, ma molto più spesso la poesia eddica e scaldica fa riferimento a Norne ostili, latrici di una sorte sventurata o di morte. Sulle unghie di ognuna di queste erano incise le rune magiche, testimonianza del loro potere sul destino del mondo.

Tuttavia, come nel caso delle Moire e delle Parche, anche da questa folta schiera di dee ne emergono tre, come ci ricorda L’Edda poetica in questi versi:


Da quel luogo vengono fanciulle

di molta saggezza,

tre, da quelle acque

che sotto l’albero si stendono.

Ha nome Urðr la prima,

Verðandi l’altra

(sopra una tavola incidono rune),

Skuld quella ch’è terza.

Queste decidono la legge,

queste scelgono la vita

per i viventi nati,

le sorti degli uomini.

[Edda poetica – Völuspá – Profezia della Veggente XX]


Le tre Norne principali, Urðr, Verðandi e Skuld, dimoravano presso una delle radici di Yggdrasill, l’albero cosmico che funge da asse del mondo nella tradizione germanica (cfr. “Alle radici dell’albero cosmico” in questo blog). Esse vivevano accanto a Urðarbrunnr, la “fonte del destino”, e avevano il compito di irrorare l’albero con acqua e argilla affinché non marcisse né seccasse. Non mancano però altre fonti che affermano che la sede delle tre Norne si trovasse sotto l’arco formato da Bifröst, il ponte arcobaleno, dove queste intessevano l’arazzo del destino di ogni uomo; proprio come nella mitologia classica, a ogni filo della tela corrispondeva una vita umana la cui durata era proporzionale alla lunghezza del filo.

Anche per quanto riguarda le funzioni delle tre Norne troviamo forti similitudini con le figure delle Moire e delle Parche, nonostante qualche aspetto inedito: Urðr, “destino”, era la più anziana e sbrogliava la matassa dei fili della vita; Verðandi (dal verbo verða, “divenire”), probabilmente una figura più tarda, aveva le sembianze di una donna ed era responsabile della lunghezza del filo e del destino a esso sotteso (il filo poteva scorrere liscio tra le sue mani, oppure essere soggetto a nodi e ingarbugliamenti, che simboleggiavano le difficoltà dell’esistenza); infine Skuld (“debito”, “colpa”), la più giovane, dall’aspetto di fanciulla, rappresentava il compito assegnato a ciascun essere umano durante la propria vita ed era inoltre colei che dava la morte recidendo il filo.

Possiamo notare che se le funzioni delle Norne sono identiche a quelle delle Moire e delle Parche, vi sono elementi peculiari apportati dalla tradizione norrena: l’aspetto delle tre divinità, che simboleggiano tre fasi diverse nella vita della donna, i loro nomi e le loro azioni le legano alle tre dimensioni temporali del passato (Urðr), del presente (Verðandi) e del futuro (Skuld). Per questo la leggenda vuole che alla nascita di ogni nuovo bambino le Norne si recassero presso la sua culla per stabilirne la sorte.

Infine, ricordiamo che le Norne hanno forti legami con altre divinità minori della mitologia norrena, come le Valchirie (tra le quali si annovera una dea di nome Skuld, che probabilmente corrisponde alla terza Norna) e le Dísir, divinità legate alla fecondità, che non approfondiamo in questa sede.


In quanto detto si può notare una spiccata componente fatalista da parte di tutte e tre le tradizioni culturali prese in esame. Un tempo l’uomo si sentiva più in balia di forze soprannaturali ignote e misteriose, che con il loro potere potevano decidere le sorti di ognuno.

Oggi non è più così, ci sentiamo molto più sicuri dei nostri mezzi e tante volte ci sentiamo padroni dell’universo…finché non succede qualcosa che ci ricorda che non è così. Esiste sempre qualcosa che non possiamo controllare, che va al di là delle nostre possibilità e dell’umana comprensione, che si chiami Dio, Fato, Caso o quello che più ci aggrada.

Personalmente ho una concezione positiva del destino, non lo vedo come una gabbia o un finale tragico inevitabile come i nostri predecessori. Come mi ripeteva spesso la mia professoressa di filosofia sono convinto che questo destino sia una missione, un compito, un qualcosa di grande che ognuno di noi è chiamato a realizzare nella propria esistenza. Tutte le coincidenze ci portano da qualche parte e con le nostre capacità possiamo davvero arrivare in alto. Ora non ci resta che…vivere.