martedì 30 aprile 2019

Le creature del Piccolo Popolo


Le creature del Piccolo Popolo sono anche una realtà della tradizione e della letteratura italiana. Abbiamo così riportato qui di seguito un elenco dettagliato di queste creature divise per regione (tra parentesi sono scritte le aree di provenienza all’interno della regione).

Trentino Alto Adige

Follat (Pinerolo), Calcatrapole (Brescia), Guehillon di Loo, Ciappin, Basadone (Val d’Adige), Luo Barabicchou (TO e CN), Crüsc (Alpi Lepontine), Beilhund, Servan (Cuneo), Gambastorta (Bergamo), Rurel (Valle del Brenta), Sluagh, Maget (Valtellina), Zampa del Gal (Trento), Tockji (Torino e Cuneo), Malésen (Bergamo), Calcaròt, Zuerghie (Val Formazza), Palendròns, Hausgeister, Quagg (Brescia), Morkies, Salbanelli (Bergamo), Nani del Vino.

Val d’Aosta, Piemonte e Lombardia

Bérlic, Barabio (Langhe), Ana Sosana (Bergamo), Esprit Follett, Calcaveggh (Novara), Berbéch (Bergamo), Manteillons (Monte Bianco), Carcaveja, Bragöla (Val Cavargna), Ciappin, Bügn (Mantova), Cules, Cà di Bragöla (Val Cavargna).

Veneto

Sgranf, Nani del Ghiaccio, Squass (Clusone), Nani Minatori, Barabao.

Friuli Venezia Giulia

Cialciut, Gambarétol Calcutt.

Emilia Romagna

Massariòl, Cialciut, Mazarûl, Foleto, Marin, Salbanelli, Salbanelli (Imola).

Lazio

Incubi (Roma), Baffardello, Karket (Roma), Chiusini (Siena), Fràgoa, Giosalpino (Lucca).

Basilicata

Grandinili, Augurie (Bari), Monachicchio, Omino della Rena (Siena), Papòio (Massa Carrara), Monacidd (Bari), Munaciello.

Sardegna

U’ augurie (Bari).

Calabria

Ammutandori (Logudoro), Bobboi (Nuorese), Augurielli (Catanzaro).

Sicilia

Mazzamureddi, Cuscu, Fajetti, Malésen (Castroreale), Fuddettu (Reggio Calabria), Mercanti.

Italia

Marrauchicchi (Costa Jonica), Marrauchini (Sila), Farfarelli (Centro-Nord), Monaci, Folletti.

Provenienza incerta

Lauro (Meridione), Monacello (Meridione), Crocchia Ossa, Encof, Faunet Omino del Sonno, Folletti del Lanternino, Salvanelli, Folletto dei Muschi, Gaguro Salvani (Settentrione), Ghignarelli, Gottwjarchi, Juffri, Mazzaròt di Bòsc, Pavarò Sanguanelli, Yulin.

E ora conosciamo meglio alcuni folletti del nostro paese…
Auguriello

Folletto paffuto dalla folta capigliatura riccia, con i piedi a forma di zoccolo di cavallo. Indossano un simpatico berretto rosso. Diffuso in Italia meridionale, soprattutto nella provincia di Catanzaro, questo folletto è una tipica creatura domestica che vive nelle case di campagna composte da sette famiglie. Dato il suo nome, porta fortuna a chi dovesse incontrarlo ed è molto attaccato alla casa in cui vive. Infatti, se gli abitanti della casa dovessero cambiare l’Auguriello tempesterà di dispetti e fastidiosi scherzi i nuovi inquilini. Se vuoi avere come amico questo spiritello basta regalargli qualcosa di lucente come piccoli pezzi di metallo che conserverà e nasconderà in luoghi segreti.

Baffardello

Questo folletto vive nei dintorni delle case coloniche o nelle vicinanze di stalle delle campagne toscane. Creatura alquanto dispettosa trova gran gusto ad intrecciare con una complicata trama il pelo degli animali. Ma ama ancor di più intrecciare i capelli delle belle ragazze. La sua abilità nell’intrecciare i capelli amalgamandoli con la sua saliva è talmente grande che diventa praticamente impossibile districare la fitta e ingarbugliata matassa della povera malcapitata.

Barabao

Folletto dalle fattezze non proprio delicate, ha un viso arcigno e coperto di peli, indossa due giganteschi zoccoli e un grande cappello rosso a forma di cono. Abitante delle campagne, gira spesso con abiti vecchi e trasandati. Ospitato di solito presso le famiglie, si sdebita aiutando nei lavori più duri sia in casa che in campagna. Se veniva trattato bene il Barabao poteva lavorare giorni e giorni senza concedersi una sosta, ma se veniva schernito o non rispettato diventava dispettoso ai confini della cattiveria. Molto popolare in veneto e citato in innumerevoli leggende e ballate, questo folleto ultimamente è scomparso dalla nostra letteratura.

Basadone

Il termine Basadone giunge a noi dal dialetto parlato in Trentino e significa “baciadonne”. Una delle sue peculiarità è quella di volare trasportato dal vento: infatti, nella tradizione popolare della Valle dell’Adige e della Val di Non il Basadone è la personificazione di un particolare vento, l’Ostro, che spira da sud. Come tutti gli spiriti del vento anche questo si rende quasi sempre invisibile; di natura buona e altruista protegge i piccoli di uomo quando si stanno per abbattere delle tempeste. Si narra anche che questa creatura sia circondata da molti servi, di aspetto buffo e alquanto bruttino, con i quali ama girovagare in lungo e in largo per i prati.

Farfarello

Il Farfarello che un tempo viveva nel lusso e vestiva abiti di ottima fattura, ormai vive nella miseria e indossa abiti sdruciti. Dalle tradizioni di Toscana ed Emilia sappiamo che non era alto più di 40 centimetri e che i suoi discendenti non sono più grandi di un maggiolino. Il Farfarello, che oggi vive nella solitudine, è coraggioso ai limiti del temerario. Quando entra nelle case, razzia tutta la birra che riesce a trovare, e ringrazia ungendo le scale della casa con del burro.

Incubi o Inui

Nella Roma antica con il termine di Incubo veniva chiamata quell’entità che custodiva e nascondeva tesori di inestimabile valore. Chiamati incautamente Folletti della notte, a questa grande famiglia appartengono diverse creature. Alcune si siedono sul petto delle persone che dormono per turbare il loro sono con terribili incubi, altri rubano il respiro alle persone anziane e ai bambini. Altri ancora facevano della burla e dello scherzo il loro modello di vita. Gli Incubi venivano spesso chiamati anche Inui.

Lauro

Le origini del Lauro si possono rintracciare in tutta l’Italia meridionale. Di corporatura minuta, assume spesso le sembianze di animali quale il gallo, il lupo o il cane. I suoi capelli ondulati e neri sono coperti da un simpatico berrettino rosso che non abbandona mai. Il Lauro è una creatura dispettosa e si trova a suo agio nella confusione; adora intrecciare le code e le criniere dei cavalli e sovente si posa sul petto delle persone per trasmettere loro ansia e inquietudine durante il sonno. Pigro per natura, ama il mondo animale che protegge con gran vigore ma odia qualsiasi tipo di lavoro domestico. Secondo alcuni pettegolezzi il Lauro sarebbe in grado di restituire la verginità alle donne che l’anno perduta a prescindere dalla loro età e dalla loro condizione sociale.

Manteillons

I Manteillons, come quasi tutti i folletti, amano fare scherzi e dispetti di ogni sorta e i malcapitati questa volta sono gli abitanti delle valli nei pressi di Aosta. Razziano dispense, legano le mucche per le corna, prendono a sberle le persone che dormono profondamente, tolgono le coperte dai letti, ecc. Inoltre, dato che erano creature della notte, rompevano i vetri delle finestre di quelle case che avevano le luci accese. Questi esseri hanno una particolarità che li distinguono però dagli altri folletti: infatti sono privi di gambe, condizione celata da un esteso mantello. Il Manteillon Vive sulle cime più alte del massiccio del Monte Bianco e molto tempo fa, durante le ore notturne, si spostava da un rifugio all’altro e se incontrava un uomo si trasformava in un essere molto pericoloso e feroce.

Marrauchicchi

Nella tradizione della Calabria, i Marrauchicchi sono a conoscenza di tutti quei luoghi ove sono stati occultati, in tempi remoti, tesori inestimabili e pignatte ricolme di monete d’oro. Se volessimo sapere dove sono nascosti questi incredibili tesori dovremmo prendere il loro inseparabile berretto rosso ed estorcere loro il segreto sotto la minaccia di non restituirglielo più. Amici dell’uomo, sono creature tranquille ma talmente abili nei movimenti e talmente scaltri a nascondersi nei posti più inaccessibili che diventa molto difficile incontrarli.

Salvanelli

Simili nel nome ai Salbanelli differiscono completamente nel carattere e nell’aspetto. Alti tra i 70 e gli 80 centimetri, snelli e magri, sono coperti da una fitta peluria di color rosso. Come la gran parte dei folletti si dilettano in dispetti e scherzi di ogni tipo, specialmente al bestiame. Ogni tanto si intrufolano nelle case per spaventare i bambini che recitano la preghiera prima del sonno.

Se un viandante, mentre percorre un sentiero di montagna, dovesse incontrare un Salvanello nel cuore della notte, questi gli si metterebbe alle calcagna saltellando qua e là durante il suo cammino. Servan Abitatori dell’Italia del nordovest, queste creature sono piccole e molto agili nei movimenti. Quasi sempre invisibili, posseggono una forza inaudita e frequentano le case dei contadini o le baite alpine. Burloni e dispettosi come ogni folletto che si rispetti, si scatenano quando vengono offesi o cacciati dalla dimora in cui avevano trovato accoglienza. La loro furia si placa solo in presenza di una fanciulla anzi, sono anche disposti a rinunciare alla loro indole per poter aiutare le ragazze nei lavori di casa; in cambio vogliono solo la loro compagnia. Come altri folletti, anche i Servan desiderano avere sembianze più simili all’uomo; così spesso scambiano i loro neonati con quelli degli uomini.

Salbanelli

Il Salbanello è una creatura brutta e ripugnante che, tranne in inverno quando indossa una tunica rossa logora e strappata, cammina nuda. Sono alti circa un metro, con una grande testa e con una chioma trasandata, grigia e riccia che forma un tutt’uno con la barba incolta. Hanno mani e piedi sproporzionati e deformi, il petto completamente coperto di peli e maleodorante; gli occhi, furbi e penetranti, sembrano due piccole fessure intagliate nella testa. Il Salbanello, citato nelle tradizioni popolari del Veneto e dell’Emilia, detesta parlare e scambia informazioni con i suoi simili con semplici e incomprensibili gesta delle mani. Alquanto maligno e cattivo questa creatura ipnotizza i malcapitati inducendoli a commettere atti impensabili e bizzarri.

Un giorno da Etruschi



Nel patrimonio genetico degli italiani vi sono le tracce degli antichi Etruschi, come confermato da studi di genetica condotti dall’Università di Torino. Con l’aiuto di archeologi, perché non immaginare un viaggio nell’Etruria di 2600 anni fa? Caliamoci, ad esempio, nei panni di Aule Tulumnes, residente a Cere (l’odierna Cerveteri) nel VI secolo a.C., quando gli Etruschi erano al massimo del loro sviluppo. Primo vantaggio: il benessere. La società etrusca era aristocratica e si diffuse principalmente nelle campagne. Il concetto di “città” fu importato dalla Grecia. Aule è un nobile proprietario terriero che vive in campagna. Non ha ovviamente molta tecnologia a sua disposizione ma i suoi schiavi si occupano delle sue quotidiane incombenze, come la pulizia, la contabilità, l’intrattenimento e così via, mentre altri schiavi coltivano i campi, misurano i confini e sistemano le pietre “tutelar”, che delimitano la proprietà privata. Gli Etruschi erano infatti grandi sostenitori della proprietà: hanno cambiato il vecchio ordine di cose, in cui la terra era un bene comune della tribù. Ora, molte famiglie possiedono centinaia di ettari ben delimitati da queste pietre di confine, che recano incise minacce e maledizioni eterne verso chiunque voglia spostarle. Aule e i suoi contemporanei, per far rispettare i confini, si affidano anche alla figura tutelare del dio Tagete. La campagna etrusca è una tavolozza di colori: campi ordinati e coltivati con le migliori piante di farro e frumento, alberi da frutto, canali d’irrigazione. Una campagna che incanta anche i viaggiatori greci e attira persone libere, disposte a lavorare come schiavi, ma con uno status simile ai “clientes” romani, in cambio della protezione dei “principes” etruschi. Come riferiscono i cronisti greci, gli schiavi stessi, anche nei campi, sono puliti, vestiti dignitosamente e non trattati poi così male. Altra forza dell’economia etrusca è il ferro. Si estrae nell’Isola d’Elba. I centri metallurgici di Populonia, Massa Marittima e Arezzo, dove si fabbricano anche armi, hanno fatto dell’Etruria qualcosa di simile all’attuale area strategica del petrolio. Fra le poche cose di cui deve occuparsi un nobile come Aule c’è la guerra. Guerre contro i Greci, contro i Fenici, i Celti, i Romani, i Siracusani e altri ancora. Quando la pratica bellica viene sospesa, la giornata di Aule comincia con la caccia, attività prettamente aristocratica; seguono gli allenamenti con un maestro d’armi: importante è l’allenamento col carro da guerra (il nobile etrusco combatte generalmente a bordo di un carro seguito da un drappello di fanti). Poi c’è la visita alle coltivazioni. Aule deve decidere se comprare da Larth dei campi di farro, ma deve prima consultare gli aruspici, addetti alla divinazione, dai quali si va per ogni sorta di questione. Gli aruspici etruschi hanno riunito in ponderosi libri le diverse arti di prevedere il futuro, libri che saranno consultati anche in età romana per le decisioni di una certa gravità. Tre erano i metodi che utilizzavano: l’osservazione della posizione dei fulmini del cielo, il volo degli uccelli e l’aspetto del fegato degli animali sacrificati. Il cielo, come il fegato, era diviso in settori, ciascuno corrispondente all’area di pertinenza di una divinità, in grado di influenzare il destino degli uomini. Oggi Aule ha un impegno importante: un funerale. La vita media, in Etruria, era di soli 40 anni. Prima di arrivare alla processione funebre, Aule butta l’occhio su un gruppo di neonati in vendita (figli di prigioniere dell’ultima guerra). Poi si sofferma davanti a una parata: c’è un carro da guerra con a bordo anche un attore che rappresenta il defunto, seguito dalle maschere dei suoi antenati. In processione appaiono la scure e i fasci, simbolo del potere dell’aristocratico morto. La tomba etrusca riprende in piccolo l’abitazione dei vivi; è destinata ad essere visitata negli anni da amici e parenti del defunto.

La cerimonia finisce con i giochi rituali. Uno di questi, il “phersu”, è terribile: un malfattore, o un semplice prigioniero, viene incappucciato, gli viene legata una mano dietro la schiena e con l’altra deve impugnare una spada per combattere alla cieca contro una belva feroce. Una sorta di sacrificio umano per favorire l’ingresso nell’aldilà del nobile morto. Alcuni studiosi ritengono che il phersu abbia ispirato i giochi gladiatori dei romani. Gli Etruschi, come ci informa Valerio Massimo Manfredi, nutrivano una vera e propria ammirazione per l’arte greca e lo stile greco, per cui si facevano raffigurare con aria orientaleggiante, originando così l’ipotesi di una possibile provenienza dall’Oriente degli Etruschi, rafforzata dal ritrovamento nell’isola di Lemno, nell’Egeo,di una iscrizione in lingua simile a quella etrusca lasciata da un popolo che pure lavorava i metalli. Un’altra ipotesi è che gli Etruschi fossero i discendenti di europei che avevano resistito all’invasione dei popoli Kurgan, che diffusero le lingue indoeuropee, alla base di quelle attuali. L’isola di Lemno sarebbe allora stata per gli Etruschi solo una colonia. Molte divinità greche sono entrate nel Pantheon etrusco, inizialmente popolato da figure dell’aldilà con tratti animaleschi o mostruosi. Charun, il demone traghettatore dei morti, forse mutuato dai Greci, conserva però tutto l’aspetto di un demone. Un etrusco come Aule, appena può, passa dal Tempio di Uni (Era), un centro di contatto importante nella realtà rurale, non solo religioso, che sostituisce il foro delle città greche e romane. Ma la sua giornata finisce sovente in totale relax, nel simposium, un banchetto in casa, fra amici. Per i Greci, il simposium etrusco è scandaloso, poiché vi partecipano anche le donne, distese sui triclini sotto i mantelli degli uomini, come scrive il cronista greco dell’epoca Teopompo. Ateneo aggiunge che erano grandi bevitrici di vino e, sempre Teopompo, rivela che, nel simposium, si arrivava anche allo scambio di coppia. Ad ogni modo, una cosa sembra certa: le donne etrusche, a differenza di quelle greche, sono libere e hanno importanti diritti, come quello di mantenere il nome di famiglia (hanno infatti un doppio cognome) e di poter ereditare (partecipando così alla concentrazione delle terre e dei mezzi di produzione. Sono state ritrovate anche resti umani di donne col carro o l’ascia del potere. Per quanto concerne la fine della civiltà etrusca, si ritiene che gli Etruschi abbiano commesso un errore. Infatti, mentre i Romani seppero rinnovarsi a livello sociale, creando la figura del console popolare, dando progressivamente diritti e libertà agli schiavi, gli Etruschi non fecero concessioni alle classi subalterne. Chiusi nelle loro tradizioni, fecero dell’arroganza del potere la loro rovina. Le classi subalterne e gli schiavi, infine, si ribellarono, dando un aiuto non da poco ai Romani, che conquistarono e assimilarono l’Etruria. Era il 265 a.C. quando cadde Volsinii, l’attuale Bolena, ultima città etrusca.

Fonti:

Focus, 06/2001; Franco Capone, Un giorno da Etruschi

giovedì 25 aprile 2019

LA MOGLIE RIBELLE DELL'ASTRO SOLE - Leggenda del Perù.


LA MOGLIE RIBELLE DELL'ASTRO SOLE - Leggenda del Perù.
Per la tribù aguaruna della selva amazzonica peruviana, gente pacifica dedita alla caccia, alla pesca e a piccole coltivazioni sul terreno rubato ai fiumi, l'astro Sole vive in cielo e viene rispettato e onorato perché offre luce, vita ed energia a tutte le cose viventi della terra.
Questo dio Sole è chiamato Etsa, e sua moglie, Takash.
Molto tempo fa, vedendo che gli uomini non sapevano pescare nei fiumi, Etsa volle che sua moglie scendesse sulla terra per aiutarli a pescare.
- Questi raggi che sto intrecciando - disse alla moglie - sono di filo di cotone. Devi andare sulla terra e insegnare agli uomini che abitano lungo il fiume delle Amazzoni come prendere i pesci. Ma ti raccomando, Takash, appena io taglio il primo filo di cotone, e i raggi cominceranno ad allontanarsi, dovrai tornare subito al mio fianco, senza fermarti.
Scendendo lungo uno dei raggi di cotone fatti dal Sole, suo marito, e raggiunta la riva del fiume, Takash istruì gli uomini a prendere foglie dalla pianta di barbasco e gettarle in acqua affinché i pesci s'addormentino, per poi catturarli facilmente con le mani. Passò la giornata e i pescatori, lavando le foglie del barbasco e gettandole nei torrenti, pescavano tanti pesci che riempivano tutte le ceste.
Etsa il Sole tagliò uno dei suoi fili di cotone e la donna si rivolse ai pescatori:
- Adesso devo tornare da mio marito.
- Eh, no - risposero gli uomini che erano felici di avere l'aiuto di una donna così saggia e paziente. - Devi rimanere ancora un po' con noi, almeno finché abbiamo cucinato i pesci.
La donna, compiaciuta, rimase ancora. Il sole, invece, si adirò molto vedendo che la moglie non tornava e allora, dopo aver arrotolato il suo raggio, tagliò un altro filo, sperando che questa volta la donna tornasse a casa.
Takash non voleva ritornare e fece finta di non vedere il segnale del Sole perché si divertiva un mondo mangiando, ballando e cantando con gli uomini della foresta. Quando il Sole tagliò tutti i raggi di cotone, aspettò ancora per un po', ma la moglie ribelle non volle sapere di tornare lassù, in cielo. Allora Etsa s'infuriò, scese nell'Amazzonia, prese sua moglie, la portò via e non la lasciò più scendere sulla riva del fiume. Si rivolse quindi ai pescatori con queste parole:
- Era mio grande desiderio aiutare gli uomini della terra affinché imparassero a vivere meglio e per questo vi ho inviato mia moglie. Poiché è stata ribelle, da oggi in poi gli uomini della terra chiederanno aiuto alle proprie mogli per imparare i mestieri e non alle donne altrui.
Da quel momento in avanti, le donne aguaruna insegnarono ai loro uomini le arti e i lavori necessari per vivere nella giungla.

mercoledì 24 aprile 2019

I Catari - i primi vegani della storia


A dire di alcuni cronisti ed esponenti della prima Chiesa cristiana le antiche comunità osservavano l’astinenza dalla carne. Egisippo dice che molti esseni, che erano rigorosamente vegetariani, divennero cristiani, col nome di Ebioniti o Nazirei e che transitarono nel cristianesimo influenzandone la condotta. Eusebio di Cesarea dice che tutti gli apostoli erano vegetariani, S. Clemente Romano asserisce che Pietro mangiava solo pane, olive e un po’ di verdura, S. Girolamo afferma che nei primi secoli i veri cristiani si astenevano dalla carne e che coloro che mangiavano la carne facevano parte della chiesa corrotta, e Tertulliano diceva che nei primi secoli i cristiani non toccarono mai la carne.

Ma la corrente vegetariana che si era sviluppata all’interno del cristianesimo primitivo trovò l’opposizione della Chiesa che considera eretici i suoi seguaci fino alla loro persecuzione e l’annientamento di intere loro comunità, come nel caso dei Càtari (Albigesi o Patarini).


A mano a mano che i ricchi entrarono nella gestione della religione la Chiesa si distaccò dallo spirito originale e venne a generasi una demarcazione tra lo spiritualismo primitivo cristiano, caratterizzato da austerità di costumi dei primi cristiani, e la Chiesa ufficiale che divenne potente, guerrafondaia, corrotta, spietata verso chiunque interferiva con le sue regole. Le regole dell’astinenza della carne furono bandite per favorire l’apertura della nuova religione non solo ai ricchi e all’imperatore Costantino ma alla popolazione pagana. Iniziarono le persecuzioni verso i vegetariani considerati eretici e nel 385 con lo sterminio del vescovo Priscilliano ed i suoi seguaci si decretò la fine alla corrente vegetariana all’interno della Chiesa cattolica.


imagesQuando intorno al X secolo in Europa vi fu un generale risveglio spirituale nel desiderio di tornare alla semplicità di vita e alle regole delle prime comunità cristiane, si sviluppò il movimento vegan più grosso della storia, il Catarismo dal termine greco che significa “puro”. Questo movimento si sviluppò nel sud della Francia, in Italia, in Germania, in Bosnia, Serbia, Bulgaria, nell’impero Bizantino. I Catari si rifacevano al messaggio di Cristo; erano asceti, pacifisti, digiunatori, rifiutavano il matrimonio e la procreazione, non possedevano ricchezze, professavano la dottrina dualista e predicavano un’assoluta purezza di vita; condannavano tutto ciò che è carnale e terreno, compreso il matrimonio, la proprietà privata, l’uso delle armi; erano poveri, semplici, casti, vestivano un abito nero ed andavano scalzi. Rispolverarono antichi testi gnostici, scrissero vangeli in lingua volgare e pare che fu proprio la lettura di questi testi a portare S. Francesco verso la sua dottrina ecologica. Per i Càtari essere vegan era la condizione per diventare “perfetti” e faceva parte del giuramento che doveva prestare l’adepto”…Bisogna che facciate a Dio la promessa che non commetterete mai omicidio, che mai volontariamente mangerete formaggio, latte, uova, né carne di qualunque animale…”.  


I Càtari si dividevano in due categorie, i “perfetti” che erano vegan, cioè i capi di questa setta religiosa, e i “semplici” che ancora non lo erano; La loro diffusione e la conversione delle masse al catarismo fu vastissima al punto da suscitare l’avversione della Chiesa che li perseguitò in tutta Europa fino a sterminarli con roghi e impiccagioni. Il modo di identificare un càtaro da parte degli inquisitori era ordinargli di uccidere un animale: coloro che si rifiutavano salivano sul patibolo.


Così nel 1209 per ordine di Innocenzo III (il papa che strappava i denti ad uno ad uno agli ebrei che non pagavano le tasse, il papa che quando i francesi avevano minato il suo regno d’Inghilterra disse: “Spada, spada esci dal tuo fodero e semina sterminio”, il papa che prometteva il paradiso a chi avesse ucciso un albigese, cioè un càtaro) ordì una vera crociata contro i Càtari, affidata ai domenicani e condotta dal cavaliere Simon de Montfort che fu autorizzato a sterminare più gente che poteva senza fare prigionieri. E quando i crociati chiesero al legato papale prima dell’invasione della città di Bézieres come avrebbero distinto i càtari rispose “Uccideteli tutti, li riconoscerà Dio”. Ci furono 20.000 vittime e la città fu distrutta. A Minerve 140 Catari furono spinti sulle fiamme di un’enorme catasta di legna; alcuni perfetti si gettarono senza essere spinti e senza un urlo di dolore. A Lovaur altri 400 perfetti furono bruciati su un’enorme pila. Il papa, informato di ogni tappa della crociata in una lettera a Monfort scrisse: “Sia lode e grazie a Dio per ciò che ha operato nella sua clemenza contro i suoi nemici pestilenziali” .


            I pochi superstiti si rifugiarono nelle grotte o nei boschi da dove partivano per predicare e convertire la popolazione della Catalogna fino a circa il 1244 quando gli ultimi 220 catari rappresentanti del Catarismo rifugiatisi nel castello di Montsegar vicino Tolosa, furono arsi al rogo decretando la fine del movimento càtaro in Europa. Anche S. Luigi Gonzaga diede il suo contributo organizzando nel 1229 un’inquisizione per eliminare il catarismo dalla Francia. Dopo 20 anni di guerra per estirpare i Catari i morti furono più di un milione.


            Da allora, e per secoli, la Chiesa vedrà in tutti coloro che per scelta etica rinunciassero a mangiare la carne, un focolaio di eresia da ostacolare con ogni mezzo. La Chiesa con tali estremi tentativi di opporsi alla diffusione del veganismo e del vegetarismo confermava la sua antica posizione sancita in 4 differenti Concili in cui proibiva al clero l’astinenza dalla carne pena la destituzione dei pubblici ministeri. Nel Concilio di Ancyranum del 314 viene ribadita la ferma decisione di allontanare i religiosi che rifiutavano di mangiare la carne; nel Concilio Gangrense del 324 la Chiesa ritorna sullo stesso argomento per neutralizzare le molte tendenze in rispetto della vita degli animali; nel Concilio di Braga del 577 viene dichiarato da papa Giovanni XII che se qualcuno giudica immonde le carni che Dio ha dato all’uomo per nutrirsi e non perché desidera mortificarsi, si astiene dal mangiare queste carni, su di lui anatema; nel Concilio di Aquisgrana dell’816 viene stabilito che chi non osserva le regole della vita pratica deve essere allontanato dall’ordine religioso; i membri del clero che aborriscono le carni, perfino gli ortaggi che si cuociono insieme ad esse, devono essere allontanati dall’ordine.


            E mentre in Europa va spegnendosi l’ascetismo spirituale cristiano il veganismo resta circoscritto nei monasteri che da vegan diventano vegetariani, poi con la conquista musulmana dei territori mediterranei l’ascetismo cristiano viene ereditato dalla religione islamica che trova nel Sufismo la corrente più rappresentativa. Oggi il veganismo a buona ragione può essere considerato come la versione moderna del Catarismo con i suoi aspetti più o meno etici, sociali, religiosi o spirituali.


Fonte: http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=6757%3Ai-catari-il-pi%C3%B9-grande-movimento-vegan-occidentale

La donna nell'antico Egitto



Le donne nell'antico Egitto possedevano uno status che contrastava in modo significativo con la condizione della donna in molti paesi moderni, in quanto occupavano e veniva assegnata loro una fetta di potere sociale (e, in certi casi, anche politico) che non è consentito loro avere in un buon numero di società dell'età contemporanea. Anche se gli uomini e le donne in terra d'Egitto avevano poteri tradizionalmente distinti all'interno della società civile, non sussisteva alcuna barriera insormontabile - né di tipo culturale né tanto meno religioso - davanti a coloro che volessero deviare da un tale modello di separazione dei ruoli.

La società egizia riconosceva non l'uguaglianza sociale dei sessi (nel senso più moderno del termine, o le pari opportunità), bensì la complementarità essenziale nei compiti a cui erano destinati rispettivamente uomini e donne. I doveri a cui era chiamata la popolazione femminile del paese erano soprattutto rivolti alla buona riuscita della vita nell'ambiente familiare, quindi alla prosperità della famiglia e alla buona salute e crescita e dei figli.

Un tale rispetto nei confronti della femminilità è espresso chiaramente nell'antica teologia della religione egizia e dalla sua morale, pur rimanendo alquanto difficoltoso stabilire la portata della sua applicazione effettiva nella realtà della vita quotidiana nell'antico Egitto; è stato in ogni caso molto differente per esempio nella società dell'antica Atene dove le donne erano legalmente considerate come delle "eterne minorenni" e pertanto prive della maggior parte dei diritti civili.

lunedì 8 aprile 2019

Il segreto della Grecia antica - Immanuel Velikovsky - L'antichità pià remota della Grecia è definita come il periodo Elladico e si conclude bruscamente, inspiegabilmente con la caduta di troia nel 1200 AC. A quel punto, secondo la cronologia storica classica, inizierebbero i cinque secoli della cosiddetta età oscura ellenica fino al 700 a.c, ma alla luce delle scoperte archeologiche recenti numerosi studiosi e ricercatori stanno cominciando a dubitare dell'esistenza in GRecia di questi 500 anni "bui" che potrebbero non essersi mai verificati.

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Edipo e Akhenaton - Immanuel Velikovsky - Tutti conoscono la leggenda greca di Edipo, il parricida che poi ha spo­sato la propria madre, e celebre è anche l'interpretazione psicanalitica che di questa storia ha fornito Sig­mund Freud. Ma si tratta per davvero di una antica vicenda tutta inventata oppure di un sanguinoso dramma familiare basato solo su fatti reali? In questo libro, uno dei più innovativi e coraggiosi interpreti moderni della Storia antica, IMMANUEL VELIKOV-SKY, già autore di testi che hanno scatenato violente discussioni e po­lemiche in tutto il mondo quali "MON­DI IN COLLISIONE" e "LE ETÀ' NEL CAOS", si spinge per millenni all'in-dietro nel tempo fino a rintracciare, grazie a recenti reperti archeologici e a documenti trascurati ma incon­futabili, le remote origini egiziane (e non greche!) di questa complessa vicenda d'amore e odio, riuscendo a dimostrarne la verità e a identifi­carne persino gli autentici protago­nisti: i membri della famiglia regale del tanto discusso faraone Akhnaton, il quale è stato sia il primo sovrano monoteista dell'antichità che il padre del glorioso Tutankhamen, entrambi vissuti durante l'epoca grandiosa dell'Antico Egitto.

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domenica 7 aprile 2019

I figli del grano...




La Luna del Grano sorge sopra i campi maturi, mentre si celebra il momento del raccolto, è la Luna che vede il sacrificio del Dio Sole ( Lugh per i celti, Osiride per gli egiziani, Tammuz per i babilonesi), la Luna che si prepara per essere sepolcro del suo sposo.
Antico è il culto del grano e del mais, basti pensare che fu proprio la coltivazione di questi cereali che diede vita ai primi villaggi, prima di allora l’umanità viveva di caccia e di raccolta di erbe selvatiche, non esisteva una comunità ma ognuno vivere separato tentando di sopravvivere alle stagioni, alle belve e agli ostacoli del quotidiano.
Proprio grazie alla scoperta che il grano potesse esser coltivato iniziano a nascere i primi villaggi, intorno alle piccole piantagioni, l’uomo non ha più bisogno di vivere come un nomade, ora può costruirsi una capanna o una tenda e tenere al sicuro la propria famiglia, ora il campo di mais o grano gli assicurerà il cibo, il nutrimento e il sostentamento per i mesi che verranno.
Dunque, le nostre città, hanno origine dal grano, tutti noi siamo figli del grano.
La Luna del Grano è anche la Luna che accompagna i festeggiamenti del raccolto, da sempre, ogni popolo antico ha festeggiato questo periodo come momento di grande importanza per la comunità, un raccolto abbondante significava “sopravvivere” all’inverno che da lì a qualche mese sarebbe arrivato, un raccolto misero metteva in pericolo la vita di tutti.
Capiamo bene dunque come in ogni cultura proprio in questo periodo nasce una festa del raccolto, lughnasadh per i celti, che festeggiava il sacrificio del Dio Sole ( Lugh) durante la mietitura per assicurare il cibo e quindi la sopravvivenza dell’intera comunità; In Egitto, Osiride patrono della resurrezione, veniva considerato anche protettore della vegetazione, delle statuette di argilla che lo rappresentavano venivano sepolte nel periodo della semina per stimolare magicamente il raccolto.
Il Dio veniva spesso raffigurato steso orizzontalmente dal quale sorgevano ventotto spighe rappresentanti i ventotto giorni del mese lunare.
Un testo antico riporta: “che io viva o muoia, io sono Osiride, io penetro in te e riappaio attraverso la tua persona; in te deperisco e in te cresco…. Gli dei vivono in me perché io vivo e cresco nel grano che li sostenta”, per gli Indiani D’America questo era il periodo del Poskita, in cui si celebrava un tempo di pace.
Anche se in quel momento era in atto una battaglia i capi militari inviavano una lettera al nemico e i guerrieri si ritiravano per quattro giorni nelle capanne di sudorazione dove si depuravano da tutte le energie che la guerra aveva deposto sul loro corpo e sulla loro anima e poi iniziavano le celebrazioni del Poskita, era per i Nativi Americani una delle celebrazioni più importanti del calendario; si accendeva un fuoco nuovo, puro che simboleggiava il vincolo del popolo con gli antenati e con il mondo superiore, il fuoco nuovo diveniva una potente personificazione del sacro ed esso aveva il potere di riconsacrare le cose, le relazioni e l’intera comunità. Questa celebrazione che aveva il potere di portare la pace ( qualsiasi fosse la situazione che il popolo in quel momento stesse vivendo) veniva dedicata al mais, secondi i miti sacri dei Creek, il mais fu donato al popolo da una donna, dea della terra.
Numerose sono le dee del mais e del grano, questa Madre primigenia che distribuisce il nutrimento ai suoi figli direttamente dal suo corpo ha un’origine molto antica ( Coatlicue, Dea Madre dei Cereali e della Terra che troviamo in Messico, sempre venerata dagli aztechi è la “zea mays” Chicomecoatl fino ad arrivare alla dea frigia Cibele, la greca Demetra che fu poi portata a Roma con il nome di Cerere) il mito del grano e della spiga viene bene raffigurato nel rituale che si compie per lughnasadh, l’ultimo covone del raccolto viene lasciato macerare sul campo, esso è chiamato Madre del Grano, poiché è il principio del prossimo raccolto e la fine di quello appena avvenuto.
Il ciclo Vita-Morte-Vita ben rappresentato dal processo di semina, maturazione, mietitura e macerazione del grano ci riporta al significato e all’energia della Luna del Grano, in essa danzano le antenate così come riposano i semi della nuova stirpe, è il grembo primordiale di vita e di morte, colei che germoglia ma che nello stesso tempo compie l’atto sacro della mietitura ( spesso la morte viene raffigurata con la falce della mietitura fra le mani, ricordando proprio questo atto della raccolta del grano), tutto nella vita ha il suo corso, niente rimane ciò che è, ogni cosa deve trasformarsi e la morte così come ci racconta la Luna del Grano è il nostro passaggio da frutto maturo a nutrimento, è il sacrificio ( render sacro) che da senso alla vita, senza la morte rimarremmo per sempre meravigliose spighe mature senza nessuna utilità per la vita.
La Luna del Grano appare come un’enorme spirale di spighe mature, percorriamola cantando, fino al centro per onorare il seme che ci ha reso frutto, per onorare i grembi che ci hanno partorito e poi torniamo indietro dal centro danzando verso più ampi cerchi e orizzonti lì dove ci aspetta il raccolto augurandoci di esser con la nostra vita nutrimento prezioso per i semi futuri della nostra stirpe.

“ Vieni Anima danzante, raccogli le spighe e racconta il loro canto, il canto antico del seme che si fece cibo.
Vieni Anima affamata, il corpo della Dea ha il profumo del primo pane offerto al Dio Sole.
Vieni Anima a cercare nel campo le orme di chi ha seminato prima di te.
Accendi il fuoco per onorare
Accendi il fuoco per purificare
Accendi il fuoco per cuocere
Vieni Anima e danza cantando le arcaiche parole della Luna del Grano, Colei che nutre la Vita donando la Morte. “

fonti :
Oscure Madri Splendenti – Luciana Percovich
Culture e Religioni degli indiani d’america – L.E. Sullivan

venerdì 5 aprile 2019

I cipressi


I cipressi sono considerati alberi perlopiù cimiteriali, tranne in Toscana, sul Lago di Garda e nel Veronese, dove adornano con la loro severa eleganza i poggi e i viali che conducono a ville e a fattorie. 
Anticamente, e ancora oggi in Oriente, questo albero evocava soprattutto il simbolo della fertilità per il suo aspetto vagamente fallico, tant'è vero che i Romani ponevano a guardia dei loro campi, giardini e vigne priapi dagli enormi attributi, intagliati in questo legno; in occasione delle nozze gli sposi ricevevano in dono, insieme ad altri alberi, dei cipressi.
Nelle novelle meridionali simboleggiava l'amante, forse per la sua forma fallica, mentre la donna era evocata dalla rosa.
Era anche l'immagine vegetale dell'immortalità a causa delle foglie sempreverdi e del legno considerato incorruttibile: in esso si erano intagliati la freccia di Eros, lo scettro di Zeus e la mazza di Ercole. Anche l'arca di Noè era costruita con legno di cipresso.
I Persiani vi coglievano il simbolo vegetale del fuoco per la sua forma evocatrice della fiamma e sostenevano che fosse il primo albero del Paradiso.
A queste caratteristiche simboliche corrispondono quelle medicinali grazie alle foglie e ai frutti che contengono, oltre a un elevato tasso di tannino, un olio essenziale molto aromatico con il quale i Romani preparavano profumi. Per il complesso dei suoi costituenti ha soprattutto un'azione vasocostrittrice e protettiva dei capillari. La tintura di cipresso, utilizzabile in infuso o decotto, è indicata per curare flebiti, varici, emorroidi, mentre l'essenza dei rami è antisettica e spasmolitica, utile come sedativo della tosse.
La fama funeraria del cipresso è nata invece dai poeti greci e latini che cominciarono a considerarlo albero dei defunti. Virgilio lo considerava cupo e funebre, non diversamente da chi sosteneva che l'anima del defunto giungesse nelle sembianze di un cipresso a Plutone, un altro nome del dio degli Inferi a cui l'albero venne consacrato.
Il cipresso era sacro anche ad Astarte, variante fenicia della dea madre Ishtar.
Generalmente associato al lutto, dunque, veniva piantato accanto alle tombe; i suoi rami indicavano il cordoglio che aveva colpito la famiglia. Per la sua verticalità assoluta, il cipresso indica l'anima che si avvia verso il regno celeste. E' divenuto dunque simbolo del raccoglimento, della meditazione e della chiusura nel proprio dolore per i cari scomparsi. Tuttavia, come abbiamo visto, l'uso che si fa di questo albero è anche ornamentale; abbellisce viali, campi, strade e giardini.
L'interno della chioma dei cipressi ospita animali di ogni sorta, rappresentando così un vero e proprio piccolo mondo a se stante colmo di meraviglia. Tra i suoi rami, infatti, trovano rifugio lucertole, ghiri, scoiattoli e persino rapaci notturni come la civetta, che qui si riposano nelle ore diurne.
Il profumo che emana lo rende simbolo di salute e ricorda i fumi dell'incenso che salgono verso il cielo.
Il cipresso ha radici molto profonde, spesso lunghe quanto l'albero stesso, motivo per cui nelle religioni pagane era considerata una delle piante più a contatto con le regioni sotterranee e i mondi inferiori.
Per tutte queste caratteristiche, il cipresso suscita rispetto, invita alla riflessione ed è simbolo di vita, morte, preghiera, meditazione, immortalità, offerta, solitudine.

Usi rituali:
Gli antichi minoici adoravano il cipresso come divinità e diffusero il culto da Creta fino a Cipro. In Egitto era il legno utilizzato per i sarcofagi, poiché è immarcescibile.

Il cipresso viene in aiuto nei momenti di crisi, specialmente quando muore un amico o un parente. Se portato indosso durante il funerale, tranquillizza la mente e l'animo.
E' una pianta protettiva, soprattutto quando piantata vicino casa. I rami vengono utilizzati quando c'è necessità di protezione o di benedizione.
Poiché il cipresso è simbolo dell'immortalità e dell'eternità, si dice che portare con sè un pezzetto del suo legno allunghi la vita.
L'olio essenziale delle "noci" del cipresso aiuta nella meditazione.
Una collana ottenuta da 7 noci di cipresso su un cordino rosso protegge la casa da problemi e lutti.
Bruciare pezzetti di foglie di cipresso su carboncino aumenta la concentrazione e può essere un valido aiuto per lo studio e per la meditazione.

Fonti:
- Florario, Alfredo Cattabiani
- Enciclopedia delle Piante Magiche, Scott Cunnigham
- Lo spirito degli alberi, Fred Hageneder
- Il grande libro delle piante magiche, Laura Rangoni

giovedì 4 aprile 2019

Biostene e l'energon


Per "La campana dello Zio Tom", Tom Bosco ci parla di Biostene, un incredibile scienziato del quale sono state fatte sparire notizie e scoperte. Soprattutto quella relativa all'Energon, un'energia inesauribile. Energon o energia orgone, la stessa energia della quale ci parlerà poi anche Nikola Tesla.

Sciamanesimo Tolteco


Sono gli eredi di un piccolo popolo quasi senza nome, quasi sconosciuto. Un popolo abituato a celebrare e a cantare alla vita in tutte le sue forme, a ringraziare e ad onorare tutti gli spiriti.
Un popola che cantava al sole e alla luna, ai fiori e alle piante, alle vette e alle profonde grotte, alla totale libertà e al volo dell'aquila, al movimento dei quattro venti. Non è facile incontrarli e molti negano persino la loro esistenza. Un popolo di artigiani costruttori del sacro.

Li chiamavano Toltechi, maestri dell'amore, artisti dello spirito, artisti nel creare l'arte più bella, quella del sogno.
Si racconta che sette tribù partirono da Atzlan. Erano antichi uomini di conoscenza alla ricerca di una terra che li ospitasse.
I saggi della tribù più debole tra le sette fecero un sogno in cui apparve il colibrì, Huitzili, che era il Nahual dell'intero gruppo, termine che sta ad indicare un animale mitico he appare nel tempo del sogno lucido per istruire ed insegnare.
Il Colibrì comunicò loro che si dovevano separare dalle altre tribù. Nei giorni successivi il Colibrì apparve fisicamente nel Tonal (stato di veglia) posandosi su un albero che si spaccò in due, era il segno della separazione e dell'indipendenza.
Il Colibrì li invitò a lasciare il nome Azteca trasformandolo in Mexica che significa "ombelico della Luna". La Luna insegnò la conoscenza del sogno che i Mexica svilupparono con maestria senza pari nel mondo antico.
Huitzili, il Colibrì, insegnò come vincere la loro debolezza attraverso la forza di volontà e gli indicò la terra dove stabilirsi, l'avrebbero riconosciuta da un segno, un'aquila che divora un serpente sopra un cactus.
Dopo un lungo cammino e patimenti i Mexica trovarono questo luogo, lo chiamarono Anahuac che in Nahuatl significa "tra le acque" e lì fondarono Tenochtitlán (Città degli Dei, oggi Città del Messico).
sciamanesimo toltecoI Mexica una volta liberi dalle altre tribù divennero dei conquistatori e conquistarono tutte le tribù circostanti e la loro terra si estendeva dall'Alaska al Nicaragua.
Tutte queste terre aspettando in silenzio il risveglio dell'antica cultura e dell'antico potere del Colibrì che vola a sinistra, il guerriero della disciplina e della volontà.
CONOSCENZA MEXICA
Quello che condividiamo con voi in queste pagine, appartiene ad un'antica conoscenza della cultura di lingua Nahuatl, un grande lignaggio di cui fanno parte i Chichimeca, i Teotihuacanos e in ultimo i Mexica.
Queste popolazioni ci portano un'accumulazione della conoscenza di migliaia di anni.
Pochi giorni prima della caduta di Tenochtitlàn, capitale dell'impero Azteco, Cuauhtemoc, l'ultimo regnante, fece un discorso al suo popolo, un'ultima raccomandazione dove diceva che il Sole della conoscenza si sarebbe occultato nell'oscurità per un certo tempo.
Chiese al popolo di chiudersi in casa e di trasmettere la conoscenza da padre in figlio e da maestro ad alunno perché questa conoscenza potesse riapparire con l'avvento del Sesto Sole che è l'epoca storica in cui ci troviamo oggi.

Consegna di Cuauhtemoc

"Il nostro Sole si è nascosto tra pugnali di ossidiana triste sarà per Anàhuac, per i Texcoco e per i Mèxico-Tenochtitlan.
Tonatiuh (il Sole) colore di sangue il firmamento; oblio, silenzio e pianto amaro.
Tonalli (il Giorno) segue la sua via e ci lascia nella più completa oscurità di Yohualli (la Notte).
Morire sulla terra per la guerra fiorita (morire da guerriero).
Cade la notte in ombre.
La Luna e le Stelle vincono la cosmica battaglia in lotta contro la luce del giorno.
Abissi del destino, la vita dell'essere in labirinti dell'inesorabile mistero.
Andiamocene tutti lasciando le strade deserte, scomparendo dai loro tracciati e dai mercati.
Rinchiudiamoci nelle nostre case, facendo dei nostri eterni ideali una fortezza, persi in questa solitudine profonda, dialogando senza scopo in questo grande vuoto.
Teniamo nei nostri cuori la saggezza e l'amore dei codici, i Teocalli (i tempi), i Tepochcalli (i campi per il gioco della Pelota), i Cuicacalli (le case della danza, del canto e delle arti), fino a quando comparirà di nuovo il Sesto Sole dal ventre delle nostre donne future.
Madre Tonanzin Iztaccihuatl oggi addormentata con bianchi monti e verdi boschi, si sveglierà domani tra lampi e raggi redentori di autentica libertà.
sciamanesimo calendarioRisorgerà tra turbini, correnti emozionali e fiamme ardenti di luce.
La patri un tempo messa a fuoco sarà folgore di un nuovo Sole che salverà il Messico.
Nascerà dal sangue versato, dal verde dei campi e dal bianco del cotone, brillerà la speranza dalla vita che è una, ben oltre la nostra morte temporale.
Dopo che la nostra grande storia sarà stata spezzata, sappiamo che tornerà a mostrarsi il prolungamento del Mais Centli (uno) per illuminare la nostra fronte; allora Cuauhtemoc, l'Aquila solare, ascenderà, e regnerà di nuovo lo spirito dei guerrieri aquila e governerà Anàhuac.
La volontà di Huizilopochtli (il Colibrì) nascerà tra i guerrieri della disciplina.
Altri volti con più forza e verità avranno i maestri Tlamatini (i Saggi).
Verranno con la voce di fiamma della conchiglia, spirale del serpente fiorito.
Oggi i canti e le danze senza trionfi di speranza si abbandonano estenuati.
Già suona l'ora perché si compia il tanto nefasto presagio del supremo arcano, e ultimo messaggero della sacra tradizione solare di Tollàn l'antica, il grande saggio Ce Acatl Topiltzin Quetzalcoatl, il visionario, lanciò ai quattro venti parole profetiche con immagini future: uomini barbari, selvaggi come animali, giungeranno come demoni di guerra a distruggere la cultura, a violare la legge, a uccidere, tradendo i loro stessi Dei.
La croce è il sonaglio del crotalo segneranno la data con la spada, l'arco e la freccia.
Si incroceranno le razze come metallo fuso in vasi di argilla. Così accadrà.
Segno del popolo sugellato con il Cimall (lo scudo) dei guerrieri.
Dalla coscienza di Cuauhtèmoc rifiorirà la rinascita.
Lo spirito dell'aquila e del serpente a sonagli porteranno il nostro movimento, quello dello spazio cosmico e il movimento tra vita e morte.
Per il momento, però, dobbiamo unirci tutti in Tloquenahuaque su Tlalticpac (la Terra) trasmettendo la parola dell'origine e dell'essenza dei Mexica ai nostri figli e ai loro discendenti di questa generazione e di quelle che verranno, affinchè conoscano la bellezza e l'armonia di Mexico-Tenochtitlan sotto la protezione delle nostre essenze sacre, l'energia creatrice di ciò che è, risultato dell'educazione impartita nei collegi e che i nostri antenati seppero inculcare nei nostri padri e nei padri dei padri, che con tanto impegno insegnarono ai bambini nelle strade e nelle scuole il rispetto della natura minerale, vegetale, animale, umana e solare-cosmica; la dedizione alla coscienza universale, con rispetto e dignità; l'amore per la famiglia e per il bene comune: tutte cose che, secondo la legge, devono compiersi insieme; l'unione è un'attività onorevole per la nazione e la libertà del nuovo genere umano.
Brillerà con l'avvento del Sesto Sole, il Sole dell'equilibrio, Iztatic Tonatiuh (il Sole Bianco) e darà luce ai figli del Quinto Sole, il Sole della giustizia.
(Gli uomini nuovi) verranno come l'aurora per salvare Anàhuac dal futuro che si avvicina; (lo faranno) perché questa è la volontà del destino, (lo faranno) con la dignità della nostra razza e con il grande Copal.
Almeno lasciamo i canti, i fiori e le danze, perché in quel tempo il mondo di Anàhuac rimanga.
Non finirà la fama, la gloria e la grandezza della bella città di Mexica-Tenochtitlan, capitale continentale di Anàhuac, laddove i venti soffiano forte, la nostra venerata e amata terra di Anàhuac."

12 Agosto del 1521 secondo il calendario Giuliano
22 Agosto del 1561 secondo il calendario Gregoriano

Ora il tempo è giunto e l'antica profezia si compie: il Colibrì e i suoi messaggi tornano a volare per diffondere in tutto il mondo l'antica saggezza Mexica.
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