domenica 12 dicembre 2021
I wandjina
domenica 21 marzo 2021
Ma chi era Melqart?
Molte civiltà mediterranee assegnano un posto di primaria importanza all'ulivo, che diventa cosi' simbolo anche di varie divinità, tra le quali Atena è forse l'esempio più noto.
Ma la prima divinità a cui è stato associato l'olio era il fenicio Melqart. I Fenici, come li chiamava Omero, o Cananei, come li identificava la Bibbia, furono tra i primi a conferire sacralità al prezioso unguento, utilizzato nei sacrifici a vari dèi, come appunto Melqart. Nel tempio di questa divinità a Tiro, infatti, campeggia un ulivo dalle fronde lussureggianti, che in altri templi dedicati a Melquart diventa un'ulivo di smeraldi.
Ma chi era Melqart? Si tratta senza dubbio di una divinità misteriosa, la cui natura originaria è praticamente sconosciuta. All'inizio probabilmente questo dio possedeva attributi solari e anche marini, e si configurò come protettore dei naviganti.
R. Dussaud ipotizza che Melqart fosse il frutto della fusione tra il dio marino Yam e Baal, la divinità più importante delle popolazioni cananee. Tuttavia tale affermazione è priva di fondamento, visto che nei testi poetici di Ugarit le due divinità appaiono in contrapposizione l'una con l'altra. Un'altra scuola di pensiero, capitanata da W. F. Albright, identifica Melqart con una divinità del mondo sotterraneo, Malku, il quale si accompagnava a Nergal, un altro dio mesopotamico (precisamente sumero) dell'oltretomba. Ma anche in questo caso si tratta di mere supposizioni che mancano di prove convincenti.
Quel che è certo è che Melqart era il dio poliade di Tiro, una delle città più importanti della Fenicia, e da lì il suo culto si diffuse in altre città puniche, come Cartagine e Gades (o Tartesso), l'antica Cadice. Il nome originario fenicio Milk-Qart significa infatti "re della città" e connette strettamente questa divinità all'istituzione della monarchia, che a Tiro assunse un'importanza peculiare rispetto ad altre città fenicie. Basti pensare che a Tiro si credeva che i bambini sacrificati (tra i Fenici vi era l'usanza di sacrificare infanti, definita moloch) assurgessero, dopo la morte, a una condizione divina e assumessero il titolo di "re".
Questa divinità assunse un'importanza sempre maggiore, tanto che il Gran Sacerdote di Melqart, a Tiro, era secondo solo al re. Divenne d'uso pronunciare il nome di Melqart durante la stipulazione dei contratti, il che rese il dio il nume tutelare dei mercanti i quali, per un popolo di naviganti e commercianti come i Fenici, rappresentavano la classe sociale principale. Per questo, si cominciò a costruire un tempio dedicato a Melqart in ogni colonia fenicia; uno dei più importanti si trova a Cadice, centro fondamentale del culto di Melqart. Perfino in alcuni nomi punici, come Amilcare e Bomilcare, si può notare la forte presenza di questa divinità tra il popolo fenicio.
Sembra che anche il grande condottiero cartaginese Annibale Barca, figlio di Amilcare Barca, fosse molto devoto a Melqart. Lo storico Livio ci narra la leggenda che vuole che prima di compiere la marcia verso l'Italia, Annibale si fosse recato in pellegrinaggio a Gades (l'attuale Cadice) e avesse offerto un sacrificio a Melqart. La notte prima della partenza, al condottiero apparve in sogno un bellissimo giovane, inviato da Melqart per mostrargli la via per l'Italia. Il giovane raccomandò ad Annibale di non voltarsi indietro durante il percorso, ma il Barcide non resistette e vide dietro di sé un enorme serpente che distruggeva ogni cosa che incontrasse sul suo cammino. Quando Annibale chiese al suo accompagnatore il significato di quella visione, Melqart stesso gli disse che ciò che aveva visto era la desolazione della terra d'Italia. Quindi, il dio intimò al condottiero di seguire la sua stella e di non indagare oltre riguardo ai disegni oscuri del cielo.
In seguito, in epoca ellenistica e romana, a causa dei suoi attributi solari, Melqart venne identificato con Eracle di Tiro (l'Ercole romano) e anche con Crono (Saturno per i Romani). Questo perché nelle relazioni dei loro viaggi, i geografi e gl storici antichi tendevano a riprodurre e a riportare entro i connotati della propria cultura di appartenenza le divinità e le usanze dei popoli stranieri. Ciò accadde anche a Melqart, che venne identificato totalmente con l'eroe che compì le dodici fatiche. Anche il tempio di Gades venne annotato da Strabone come "il più occidentale tempio dell'Eracle di Tiro" e le sue colonne erano ritenute (erroneamente, secondo lo storico greco) le autentiche colonne d'Ercole, che l'eroe aveva eretto come estremo confine occidentale del mondo.
giovedì 24 settembre 2020
Il potente simbolo del Tanit
Un altro simbolo ricorrente, accompagna la storia dell’umanità, sin dall’alba dei tempi.
Questo frattale, rappresenta la dea madre, portatrice di progresso e conoscenza, ma anche simbolo energetico, delle forze che governano la terra ed il cosmo, energia madre vitale, generatrice.
TANIT: lo ritroviamo nella sua forma classica, già in epoca fenicia in tutta la zona del mediterraneo ma anche in estremo oriente, nelle Isole Canarie, in Lapponia e con aspetti grafici leggermente diversi, in tutto il continente americano.
Le valenze cambiano e si “aggiustano” nel tempo, ma il simbolo ed il suo significato iniziatico, rimane pressoché invariato, fino ai nostri giorni.
È un triangolo isoscele appoggiato sul lato più corto, sormontato da un cerchio, le due figure geometriche unite da un segmento parallelo alla base del triangolo. È spesso accompagnato da due elementi verticali laterali ( le colonne del tempio) che a volte, la vedono coinvolta nell’atto di sostenerle. Si intuisce chiaramente il simbolo rozzo di una figura umana, ma si ricollega anche, per analogia, al simbolo preistorico dell’ingresso o uscita del labirinto, nella sua forma stilizzata e sintetica.
Altre volte lo troviamo sormontato da un motivo ad arco che la sovrasta, una sorta di aura o parabola, della stessa forma e nella stessa posizione degli scudi flessibili delle statue di Mont’e Prama.
La forma che va a comporsi superiormente, in questo caso, ricorda anche un rudimentale e stilizzato occhio onniveggente o occhio di ORUS.
È il simbolo di Tanit, misteriosa signora del cielo e del popolo, anche simbolo lunare femminile, legato all’acqua e all’aria (uccello e pesce), ma anche androgino, al contempo, maschile e femminile, Unione degli opposti, a formare l’uno.
È anche legata saldamente al culto dei morti ed in particolare a quei rituali atti a garantirne la resurrezione del corpo dell’individuo, secondo la tradizione legata al “mito”.
È il riflesso di Baal Ammon, cioè la personificazione, della luce del sole ( una luce che si può guardare, perché luce riflessa, non diretta) - ( “era come guardare il sole che si muoveva, ma non dava fastidio agli occhi” - tratto da testimonianze dirette “Fatima”).
Questo simbolo subirà, nel corso dei millenni, diverse evoluzioni ed applicazioni, storiche, simbolico-religiose ed architettoniche: chiave della vita egizia, piramide tronca, Shiva lingam, pozzi lunari neolitici, kofun ed aniwa giapponesi, croce cristiana, simbologia massonica, ma anche pianta architettonica di molte cattedrali e di piazza San Pietro, in Roma.
Possibili decifrazioni del simbolo:
Entità fisica reale, di fattezze femminili, forma di vita intelligente e fisicamente e storicamente esistita ed esistente, colei che vigila, istruisce e guida l’umanità.
Energia della terra ( che viene dal basso -così in terra), campo elettromagnetico terrestre, ma anche gravitazionale ( che irradia spaziotempo locale) che si incontra e si compenetra con ciò che viene dall’alto ( come in cielo: onde gravitazionali cosmiche ma anche spaziotempo cosmico - come sommatoria di spaziotempi locali - tessuto spazioTemporale - dei singoli centri di gravità sparsi nell’universo)-( vedi: ipotesi dei campi tachionici e muonici che solo di recente, è stata ripresa in considerazione da alcuni fisici “illuminati” e che rischia di rivoluzionare dalle fondamenta, la fisica contemporanea), ma anche raggi cosmici di polarità opposta agli elettroni del campo magnetico terrestre. ( positroni ). (Incontro di Materia ed antimateria).
Piccola parentesi sui raggi cosmici:
( recentemente la fisica moderna ha dimostrato come i raggi cosmici, influenzino il clima e rivestano un ruolo fondamentale sui fenomeni di condensazione del vapore acqueo nell’atmosfera, condizionando la formazione delle nubi ).
Ecco tornare gli elementi cari a TANIT- aria-acqua (vapore acqueo) dai quali si formano, (nubi) e per differenza di potenziale elettrostatico rispetto alla terra, i fulmini (immense scariche ad alta tensione, senza l’ ausilio di combustibili fossili).
Ecco che la signora delle palme, dell’acqua e del cielo, torna nella storia degli uomini terrestri, ad insegnarci e ricordarci chi eravamo e chi potremmo essere e a mostrarci la possibile strada da percorrere, per la salvezza del pianeta ed il reale progresso dell’umanità.
O magari, ad uso e consumo degli scettici, questo simbolo ricorrente, rappresentato su pietra da antichi ingegneri, costruttori, matematici ed astronomi, come immagine ricorrente a diffusione praticamente planetaria, è solo frutto di coincidenze, ignoranza e superstizione?
Come sempre .... ogni persona trovi le proprie risposte e tragga le proprie conclusioni.
venerdì 8 maggio 2020
I Nuraghi erano trasmettitori per entrare in contatto con gli Extraterrestri


In altre parole, certi protosardi comunicavano con gli extraterrestri mettendosi sopra i nuraghi o in un altro luogo dove regnava il silenzio, stesi col corpo nudo su una pietra levigata, in linea con le stesse che emanano micro onde cosmiche capaci di essere ricevute dai recettori umani. Oltre a ciò occorreva una grande concentrazione che consentiva di ricevere questi suoni muti.”
Raimondo De Muro nasce a Siurgus Donigala nel 1916, scrittore e organizzatore culturale, ha dedicato la sua vita alla conoscenza e alla promozione delle tradizioni del suo paese natio e della Sardegna, ma sempre con grande curiosità e apertura per le cose del mondo.


“Cento bisavoli prima del bisavolo mio, nella Sardegna, raccontano gli antichi, sono venuti gli uomini del pianeta blu, a pelle blu e liscia che pareva di porcellana, con un corpo che pareva pieno di aria, ma non era di aria ma trasparente come una vetrina, che non era possibile toccarli se uno non voleva essere fulminato all’istante. Dicono gli antichi che erano uomini di alta statura, con la faccia uguale alle statue di bronzo e di pietra che ricordano questa venuta. Sulla testa portavano un corno come un vomere e sulla fronte un porro che lampeggiava. Si erano fatti vie di fuoco e in queste vie restava la polvere della vita e da questa polvere è nato ogni essere vivente, racconta il proverbio antico.
Si tratta di una spiegazione, questa della nuragheologia, piuttosto avventurosa, ma che dimostra, ancora oggi, la sua validità, posto che non si possano essere certezze in materia. In realtà non sappiamo che cosa sia realmente la vita. Sappiamo solo che alcuni suoi ingredienti di base come l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il carbonio esistono un po’ dappertutto e che questi, aggregandosi, servono come materiali della struttura vivente. Ma, scoperti i mattoni della vita, il resto è buio completo! Resta solo questo racconto della nuragheologia, che non è racconto mitologico ma una esperienza vissuta da lontani progenitori, che può essere e non può essere!”
“Sicché, quando i giovani saranno i vecchi e i vecchi saranno i giovani l’avvenimento ricordato con quella scrittura figurata, nella parte della grotta del Bue Marino e non solo in quella ma in mille altre grotte marine e terrestri dell’isola, se queste fossero state lasciate intatte con la loro storica narrazione, si ripeterà, cioè, l’incontro avvenuto nell’isola tra i Sardi che avevano esperienze di galazzoni e quindi a conoscenza dell’esistenza, non solo di altre infinite umanità più o meno a somiglianza della nostra, ma anche di infiniti altri pianeti, più o meno consimili alla terra, coi quali è possibile, un incontro, come quello già avvenuto circa tremila anni fa.
Si dirà che questo è fantascienza, ma non lo è affatto, perché un simile avvenimento è scientificamente probabile che sia avvenuto, perché, oggi, siamo in grado di provare che a quell’epoca, un gruppo di pianeti della Via Lattea e precisamente quelli della costellazione di Sino si trovavano dalla terra, per via dell’eterno spostarsi nell’universo, a circa cinquanta anni luce di distanza (la galassia è un disco di centomila anni luce). A quella distanza era possibile «incontrarsi», perché, i Sardi e quindi gli extra terrestri ancora di più, i loro «messaggi» li trasmettevano con la percezione sensoriale (oggi purtroppo un esercizio impossibile per l’uomo non più addestrato da sessanta generazioni) il che permetteva loro di ricevere e trasmettere col pensiero, ad una velocità di gran lunga superiore ai trecentomila chilometri al minuto secondo.”
In qualunque tempo avvenga questo ritorno degli uomini blu è un problema che riguarderà le generazioni future, a noi, oggi, ci serve, prendere atto che gli antichi ci hanno lasciato una «notizia», in cui ci dicono che altri esseri umani di altri mondi, sono venuti qui su questo pianeta e che torneranno. Prendiamo atto di questa «documentazione»”
“Se vuoi avere le orecchie accese, mettiti in testa il casco con le orecchie riceventi, come facevano gli antichi, quando andavano al nuraghe per ascoltare le voci dei pianeti. Narra la storia antica che il casco con le antenne (fatto di sottili fili di rame e pelle di daino), come la protuberanza carnosa (fatta di sensibili organi riceventi) che ha la forma di un vomere, degli uomini blu, sono stati ricordati con le statue di bronzo nascoste in luogo sicuro e che gli stranieri hanno interpretato per un elmo cornuto e un copricapo di ferro”.
Secondo questa antica testimonianza, gli elmi di certi bronzetti sarebbero sormontati da antenne sofisticate, non da corna di animale. Quanto agli “uomini blu”, con tale denominazione venivano chiamati gli abitanti di altri mondi in contatto con i protosardi, secondo un rituale che presentava diverse varianti. Questi esseri somigliano molto alla storia dei W56, si, il Caso Amicizia!!
De Muro tratta l’argomento con molta perizia e lo tratta in maniera scientifica segnalando e argomentando su ciascuna fase di quella che fu un esperienza senza pari. I nomi dei 170 Nuraghi, così ben studiati e usati per un fine celeste, la grafia, i petroglifi, le norme di comportamento della nuraghia, i brebus, i precetti salmodiati col tono di voce bassa, i diccius, i racconti popolari, rendono l’idea a chiunque voglia accostarsi e comprendere. Questo materiale, andrebbe preso sul serio, non solo affinché possiate conoscere, ma anche affinché possiate seriamente sperimentare di persona cosa significhi tutto ciò.
mercoledì 6 maggio 2020
La tauromachia, o l"uccisione della simbologia del toro/Dea Madre
"
Estratto da conferenza di Mirella Santamato
giovedì 30 aprile 2020
I luoghi ad alta energia
Il luogo è per definizione “una porzione di spazio materialmente o idealmente delimitata”. Dalla notte dei tempi, le necessità fondamentali dell’essere umano sono rimaste inalterate: reperire il nutrimento fisico e spirituale. E’ per rispondere a questo bisogno primordiale, che l’uomo nel corso dei millenni, ha delimitato fisicamente ma soprattutto idealmente, luoghi particolari per caratteristiche geofisiche ed energetiche.
Energia, un termine derivato dal greco, dato dalla fusione di due parole, “en” dentro ed “ergon”, lavoro, opera.
Dunque, Luoghi d’Energia,ovvero porzioni di spazio idealmente o materialmente delimitati in grado di produrre autonomamente e intimamente un lavoro. In altre parole luoghi capaci di estrinsecare energie di varia natura che inevitabilmente si compenetrano e interagiscono con tutte le altre forme di energia, inclusa quella compressa, ovvero, la materia.
Associare i due termini ed i significati che sottendono è invero abbastanza arduo ed inusuale almeno per l’uomo moderno, ma questo concetto è stato il fondamento su cui si è basata la ritualità e quotidianità umana in ogni epoca ed ad ogni latitudine. I luoghi d’energia o luoghi alti come li definiscono i francesi, hanno da sempre rappresentato un punto di riferimento, per l’uomo alla ricerca del benessere, della salute fisica ma soprattutto del contatto col trascendente.
Nel corso dei millenni, in virtù delle loro caratteristiche, questi luoghi sono divenuti luoghi di culto, in onore di divinità le più disparate, o luoghi di cultura e potere. Paradossalmente questo intimo legame tra energia e fede, energia e conoscenza, ne ha decretato l’alienazione e l’oblio.
Le nebbie del passato, vanno gradualmente dissolvendosi e da più parti autorevoli voci si alzano, nel tentativo di portare l’uomo, a riappropriarsi di quella cultura e quella conoscenza che gli erano proprie. Purtroppo, agli albori del terzo millennio, vittima consapevole eppur complice di una fretta imperante, l’uomo ha poco tempo e poca voglia di porsi domande e in questo contesto di cultura preconfezionata, preferisce assumere una forma mentis non propria alla quale si conforma e si adatta. Cogito ergo sum sembra così fuori moda da apparire offensivo e molte riflessioni, sulla natura dei luoghi, sul rapporto intimo con la terra, sono relegate al mondo degli ”esoteristi”, degli “studiosi del paranormale”, degli “scienziati di frontiera” o dei curiosi, come me.
Così, purtroppo, molti richiami cadono nel vuoto. Se per esempio le teorie del Dottor Hartmann, fossero state recepite con più attenzione, oggi forse saremo qualche passo avanti, nell’irto ed erto cammino per il recupero della conoscenza e padroneggeremo un un sapere che è invece relegato ancora al mondo delle cose oscure e nascoste.
Un sapere che era proprio di tutte le culture antiche e che era stato trasmesso e conservato con cura da generazioni di sciamani, sacerdoti, veggenti, sensitivi, druidi, profeti, monaci e architetti. Ecco dunque il perché di questo luogo ideale e materiale, un tentativo modesto di aprire uno spiraglio, di esplorare il nostro mondo, di concepire la Terra come un essere vivo e pulsante capace di agire, reagire e soprattutto interagire con l’uomo e la sua energia. Templi, caverne, menhir, piramidi, moschee, piccole pievi romaniche o maestose cattedrali, chi di noi in certi luoghi non si è sentito almeno una volta accolto, abbracciato, sollevato, e il suo respiro si è fatto sincrono, ritmato, con un respiro più ampio, immenso… Questi luoghi che dalla preistoria hanno richiamato a se l’uomo, sono stati frequentati, armonizzati, modificati, usurpati, ma ancora oggi il battito della terra è forte e presente.
Che cos’è dunque un luogo d’energia? E’ scientificamente provato che utilizziamo solo il 10% delle nostre potenzialità cerebrali. Anche la percezione, attraverso i nostri sensi, è parziale. Riusciamo ad udire solo determinate frequenze, così come riusciamo a vedere e percepire solo una gamma limitata di radiazioni cromatiche. Tutto ciò è considerato normale, mentre non si pensa altrettanto di persone che estrinsecano capacità “extrasensoriali”. Un rabdomante per esempio riesce a sentire l’acqua diversi metri sotto terra, un radioestesista riesce a captare le energie sottili o le onde di forma. Tali facoltà erano nei tempi passati considerati doni, coltivate, e sfruttate.
reticolo e_MenhirEbbene i luoghi d’energia, naturali o creati con intervento umano, sono quei luoghi che contribuiscono ad aumentare le nostre percezioni, il nostro benessere, il nostro metabolismo, fino a giungere a diretto contatto con il trascendente. L’attenzione estrema che i nostri antenati ponevano nell’ascoltare il ritmo della terra, li portava non solo a identificare i luoghi d’energia, ma anche i luoghi dove fosse insalubre abitare, vivere, lavorare. Le conoscenze della salubrità o meno dei luoghi sono stati quasi sempre appannaggio della casta sacerdotale. Nell’antichità i cinesi sceglievano i luoghi dove costruire secondo lo studio delle simmetrie dell’ambiente circostante.
Greci e latini, facevano pascolare e dormire le greggi per un anno sui terreni dove volevano costruire. Nei vecchi monasteri in Deformazione del reticolo di Hartmann intorno ai Menhir Fonte: Sergio Costanzo Himalaya si orientavano le celle per i monaci in modo che fossero contenute entro una cella del reticolo di Hartmann, e quindi in zona neutra. Gli antichi luoghi sacri pagani e paleocristiani sono pieni di energia positiva. Dolmen, obelischi, menhir, piramidi e poi le grandi cattedrali, i costruttori hanno sempre tenuto in considerazione lo studio e la ricerca di luoghi carichi di energie positive e di neutralizzazione delle energie negative.
http://www.visionealchemica.com/
mercoledì 8 aprile 2020
Gli Dei Biondi che sapevano maneggiare le Pietre con il Suono, gli atlantidi
Molto è stato scritto in vari libri riguardo a questo argomento. Testimoni oculari narrano di monaci tibetani in grado di sollevare e frantumare enormi blocchi di pietra, utilizzando il suono prodotto dai tamburi e dalle loro caratteristiche trombe lunghe tre metri.
Un ingegnere svedese, Henry Kjellson, scrisse su misteriose e sconosciute tecnologie, in alcuni libri come “Teknik Forntiden” e “Forsvunden Teknik”, nei quali riportò un paio di queste esperienze. Scrisse di un medico svedese, che lui chiamò “Jarl”, che nel 1939 poté assistere, a sud-ovest di Lhasa, come i monaci tibetani spostavano grossi blocchi di pietra a ben duecentocinquanta metri di altezza, dirigendoli dentro una caverna che si trovava su di una parete rocciosa davanti a loro.

“Utilizzavano tredici tamburi e sei lunghe trombe, poste a semicerchio a circa sessanta metri da una enorme pietra piatta interrata, la cui superficie era stata resa concava di una quindicina di centimetri. La pietra distava duecentocinquanta metri dalla parete di roccia. Dietro ogni strumento, intervallati di cinque gradi l’uno dall’altro, si erano disposti i monaci, dieci per ogni fila. Ognuno in un punto preciso indicato da un monaco che prendeva accurate misure sul terreno. I tamburi erano aperti dal lato rivolto verso la pietra. Tutti gli strumenti erano puntati verso il blocco da spostare che era stato posto sulla pietra piatta. Un monaco con un piccolo tamburo iniziò a battere il ritmo e gli altri strumenti si misero a modulare un suono ritmico, che aumentava di intensità gradualmente.
Quattro minuti di attesa, immersi in un mormorio, un ronzio, che non riesci più a seguire nella sua velocità; poi il blocco inizia a ondeggiare, si solleva, mentre gli strumenti lo seguono nel movimento, accelera la sua velocità e si dirige, con un’ampia parabola, dentro la caverna ove atterra sollevando polvere e pietre. Un secondo blocco viene posto sulla pietra piatta e l’operazione si ripete. In tal modo ne vengono spostati sei ogni ora. Se il blocco acquista troppa velocità quando atterra nella caverna, si spezza. I residui vengono buttati giù dalla parete e si ricomincia”.
Incredibile, ma la dovizia dei particolari forniti, le misure riportate, indicano che si tratta di una tecnologia che permette la levitazione sonica.

Sembra che il dottor “Jarl” abbia riportato in Inghilterra testimonianza fotografica di quanto visto e che il tutto sia stato confiscato e sparito nel nulla.
Non è la sola vicenda in merito riportata da Kjellson.
Sempre nel 1939 era presente ad una conferenza tenuta da tale Linauer, cineasta austriaco, il quale affermava di aver assistito in un monastero in Tibet, negli anni trenta, a fenomeni straordinari che rivoluzionavano le conoscenze fisiche.
Linauer parlò di un gong di tre metri e mezzo, composto da tre metalli. Al centro l’oro, intorno un cerchio di ferro, entrambi racchiusi in un anello di ottone. Quando veniva percosso, il gong emetteva un suono sommesso e breve.
Vi era anche un secondo strumento, simile ad una grossa cozza, anch’esso composto da tre metalli, largo un metro e alto due, che aveva sulla superficie delle corde in tensione. Non veniva suonato, ma, come gli riferirono i monaci, emetteva un onda di risonanza non udibile quando veniva percosso il gong.
Davanti a questi strumenti venivano posizionati un paio di schermi, in modo da formare uno strano triangolo e contenere l’onda prodotta nello spazio circoscritto. Nel momento in cui veniva prodotto il suono, un monaco poteva sollevare, con una sola mano, un gigantesco blocco di pietra.

I monaci dissero all’austriaco che con tale sistema avevano costruito la muraglia che delimitava il Tibet e con lo stesso sistema potevano disintegrare la materia fisica. Era un segreto tramandato fra i monaci che non potevano rivelarlo al mondo perché l’uomo lo avrebbe certamente male impiegato.
In tempi recenti è stato dimostrato che è possibile sollevare piccole pietre utilizzando vibrazioni sonore. La gravità attira le cariche positive e respinge quelle negative, per una ragione ancora ignota. La frequenza esatta causa la disintegrazione delle particelle dure della pietra provocando una carica negativa e facendo levitare la pietra. Gestendo la carica negativa, si può gestire la velocità, la direzione e la durata.
Sembra che questa sia la strada giusta da seguire, già seguita da qualcuno nel passato, altrimenti perché alcune colonne egizie risuonano come diapason giganti?
A Karnak, infatti, tre obelischi, ricavati dal granito rosa estratto da Assuan, a ben 180 chilometri di distanza, sono in grado di produrre una vibrazione. Quale sia la loro esatta funzione nessuno lo può dire con certezza, forse il pilastro con il quale si raffigurava il dio Amon. Nel Museo del Cairo è conservato quello che resta dell’obelisco di Hatshepsut, proveniente da Karnak; in origine doveva essere alto trenta metri, adesso ne restano solo una decina. Fino a pochi anni fa la guida lo avrebbe percosso per far udire ai visitatori la bassa risonanza che emetteva e che durava per molti secondi, oggi è stato ancorato col cemento e non emette più nessun suono.
Perché costruire obelischi che fossero in grado di emettere suoni bassi?
Risulta chiaro che vi era una profonda conoscenza delle proporzioni armoniche per spostare blocchi e perforarli, come affermano Cristopher Dunn ed Walter Emery; una conoscenza ereditata in epoca anteriore. Alcuni templi egizi producono sonorità di bassa frequenza.

Karnak Obelisco
Gli antichi testi incisi sulle pareti ad Edfu parlano della sua costruzione avvenuta nel “Primo Tempo” e delle sacre cerimonie che vi si svolsero per “dare vita” al Tempio. Cosa significa “dare vita”? Mettere in moto un meccanismo? Per caso al suono di una nota, creando una frequenza?
Anche le pietre dell’Oseiron possiedono proprietà sonore. È noto che i monoliti di Stonehenge amplificavano i suoni prodotti durante le cerimonie che si svolgevano fra le sue pietre.
La risonanza di un corpo o di una costruzione è determinata dalla sua dimensione, dalla massa, dalla simmetria, dai componenti del materiale che possono influire sulla vibrazione per simpatia. Quest’ultima è un fenomeno sfruttato per praticare fori nel quarzo, utilizzando trapani ad ultrasuoni. Vi sono minerali che non rispondono perfettamente agli ultrasuoni e diventano difficili da lavorare.
La camera del Re della grande piramide è stata costruita basandosi sulle regole di Pitagora, che servono ad ottenere proporzioni armoniche in grado di produrre note musicali. Nel caso specifico sembra che sia il “Do” derivante dalla combinazione del “Re”, “Sol” e “Mi”.
Il primo a notare queste proprietà fu l’egittologo Sir William Flinders Petrie, nel 1881. Nella ricerca di una camera segreta decise di far sollevare il sarcofago di granito. L’operazione, pur con molti sforzi, riuscì e il blocco fu sollevato di venti centimetri. Quando Petrie lo percosse, come lui stesso affermò, “produsse un suono profondo di una bellezza straordinaria e soprannaturale”. Indubbiamente le sue dimensioni e il suo volume erano fondamentali per ottenere la migliore risonanza armonica.
Anche Cristopher Dunn fece qualcosa di simile. Percosse il sarcofago per identificare il suono prodotto e più tardi riprodusse con la voce quella nota, scoprendo che la risonanza aumentava quando raggiungeva la nota superiore di un’ottava. Si accorse così che le parole pronunciate nell’Anticamera avevano trapassato le spesse mura della costruzione, rimanendo registrate nell’apparecchio situato nella Camera del Re, come fossero state proferite in quel punto.
Come abbiamo visto, dal Tibet giungono storie incredibili che narrano di un tempo in cui i nostri antenati erano a conoscenza di una tecnologia sonica impiegata nelle costruzioni, un valido aiuto nel lavoro manuale. Una tecnica simile a quella narrata dagli Indios di Tiahuanaco agli spagnoli. Circa ventimila anni fa la città Inca fu eretta da uomini capaci di sollevare pietre e trasportarle dalle cave situate sulle montagne, al suono di una tromba.

Erano gli uomini di Ticci Viracocha, alto di statura, con la pelle chiara, gli occhi azzurri, i capelli biondi e una folta barba. Egli muoveva le pietre utilizzando un fuoco celeste che le avvolgeva senza consumarle e permetteva di sollevarle con le mani.
Tra le rovine di Tihuanaco sono state trovati monoliti con sezioni a più strati, ad angolo retto, scavati nei fianchi, che si ipotizza potessero servire a definire l’esatta frequenza di risonanza dei blocchi di pietra.
Anche i Maya presentano racconti simili, dove una razza di nani riuscivano a posizionare le pietre al posto voluto utilizzando un fischio.

Tihuanaco
Alcuni racconti Greci parlano di un figlio di Zeus, Anfione, gemello di Zete, con il quale cinse di mura Tebe, utilizzando ciclopiche pietre che da sole si posizionarono una sull’altra al suono della sua lira. Si racconta che quando suonava lo strumento le pietre lo seguivano. La cosa più curiosa è che era stato istruito da Mercurio, l’Ermes greco, guarda caso il Thoth egizio tenutario di tutta la conoscenza.
Dagli scritti di Sanconiatone veniamo a conoscenza che quando gli uomini vivevano in armonia con gli Dei, durante la famosa età dell’Oro, uno degli dei, Taautus, il Thoth egizio, fondò la civiltà Egizia.
Era il tempo in cui Urano, chiamato anche Cielo, fondò la città di Biblo, “Betulla”, “creando pietre che si muovevano come dotate di vita propria”.
Innegabile però che nei territori Maya vi siano luoghi che presentano inspiegabili proprietà acustiche. A Chichen Itza, il sussurro emesso nel tempio situato a nord nello Sferisterio, simile ad un campo da gioco a cielo aperto, lungo centosessanta metri e largo sessantotto, può essere udito all’altro lato, nel tempio situato a sud, a centoquaranta metri di distanza.
Nel 1931 il direttore d’orchestra Leopoldo Stokowski, in collaborazione con Silvanus Morley, trascorse ben quattro giorni per cercare di carpire il segreto dell’acustica Maya senza riuscirvi. Spostarono il fonografo, con il quale suonavano le ultime incisioni di Stokowski e dell’orchestra Sinfonica di Filadelfia, in svariate posizioni per definire le superfici riflettenti, ma il segreto acustico è uno dei misteri irrisolti dell’America antica.
Sempre a Chichen Itza si trova il Castiglio, una piramide dalla forma particolare. Emettendo un leggero suono, o parlando a voce bassa restando alla sua base, l’eco prodotto alla sua sommità diviene un urlo acuto. Se una persona parla mentre si trova sulla sua cima, l’eco può essere udito a grande distanza, qualità riscontrata anche in un’altra piramide a Tical e in altri siti.

piramide maya situata a Chichen Itza
A Palenque tre persone che si trovassero sulla vetta delle tre piramidi esistenti nel luogo, potrebbero parlare fra loro come se fossero una accanto all’altra.
Un suono prodotto alla base della Piramide del Mago ad Uxmal, secondo le leggende locali eretta da una razza di nani che usavano spostare le pietre emettendo un fischio, riproduce alla sua sommità una specie di cinguettio.
Le guide di Tulum indicano il tempio che fornisce un prolungato sibilo quando cambia la velocità del vento e dichiarano che è utilizzato come segnale di pericolo in caso d’uragani e grandi tempeste.
L’esploratore Wayne Van Kirk ha scritto di aver avuto modo di osservare, grazie ad una guida del luogo, una specie di bossoli di cartucce in pietra, che una volta percossi davano dei suoni perfettamente sintonizzati, con i quali si poteva suonare un motivo.
Dobbiamo considerare che i Maya conoscevano molto di più di quanto viene loro accreditato e la produzione di quei suoni di uguale intensità, da est ad ovest, di giorno e di notte, è uno dei tanti eccezionali risultati ingegneristici, realizzati dalle antiche tecniche Maya migliaia d’anni fa. Tecniche che a tutt’oggi, architetti e archeologi, non sono ancora capaci né di riprodurre, né di spiegare.
Gli archeologi hanno considerato che tali risonanze sia prodotte dallo stato di rudere cui sono ridotti gli edifici, ma Manuel Sansores, che è stato impegnato nella loro ricostruzione, dichiara che se gli edifici fossero completi permetterebbero al suono di divenire più chiaro e forte.
Ma forse la più interessante testimonianza della levitazione, ereditata da un lontano passato, è ancor oggi presente nel villaggio indiano di Shivapur, nel cortile all’esterno della moschea dedicata al Santo Sufi Qamar Alì Dervish, c’è una pietra cilindrica di oltre 60 Kg. Ogni giorno, durante la preghiera, undici fedeli la circondano mettendisi a ripetere il nome del santo fino a raggiungere una certa intensità acustica: a quel punto, gli undici uomini sollevano la pietra usando un solo dito ciascuno e poi, appena terminano la litania, fanno tutti un rapido balzo all’indietro, per evitare d’essere colpiti dalla pietra che a quel punto ricade a terra a peso morto…
A Bijbihara, a sud di Srinagar, la capitale del Kashmir, è custodita da tempo immemorabile la “Saing-i-Musa” (letteralmente: Pietra di Mosè), detta anche Ka Ka Pal. Si tratta di un “sasso” di 49 chili. Anche in questo caso, se undici persone mettono contemporaneamente un dito sulla base del macigno ripetendo una particolare cantilena (ka ka ka ka), la pietra si solleva da sola. Con un numero diverso di persone, non funziona. Secondo la leggenda, questa pietra simbolizza le undici tribù d’Israele – rimaste dopo che ne fu diseredata una, quella di Levi.
E nell’ambito della levitazione in campo spirituale, è forse ancor più misteriosa quella meditativa, cioè quella ottenuta dai fachiri indiani e dagli stregoni africani – in grado di sollevarsi dal suolo e rimanere sospesi per un certo tempo in assoluta immobilità. Dopo aver raggiunto un grado estremo di rilassamento e di distaccamento dal corpo, la mente di un soggetto immerso in tale meditazione riesce a trascendere la forza di gravità, con il risultato che il corpo inizia a fluttuare verso l’alto rimanendo in equilibrio ad una certa distanza da terra. Anche questo tipo di levitazione può considerarsi acustica, perché viene preceduta dalla recitazione di mantra (in India) o di particolari cantilene (in Africa) e mantenuta ad un particolare e costante “accordo” musicale mediante una respirazione “circolare”, adatta a produrre determinate vibrazioni nella mente e nell’etere…
Tutti questi fenomeni sovvertono ogni legge fisica conosciuta, lasciandoci intendere che ci sono molte Leggi che sfuggono ancora alla nostra comprensione, benché esistano al di là del fatto che ci crediamo o meno. La levitazione acustica – ovvero l’anti-gravità ottenuta per mezzo del suono – è sicuramente uno dei fenomeni quantici più affascinanti che l’uomo tenta di comprendere, usare e sfruttare.
Il lavoro di John W. Keely
“L’Universo consiste interamente di onde di movimento” spiega Walter Russell nel capitolo 31 del libro A New Concept of the Universe. In altre parole: “Non esiste nient’altro che vibrazione” Dopo questa affermazione sconcertante, Russell sferra un ulteriore attacco alla credenza ortodossa di un Universo “materiale”: “Qualunque teoria che non sia in grado di trovare un appropriato posto all’interno dell’onda, a causa di ciò non ha nessun altro posto all’interno della Natura”. Parole sicure, dure e senza mezzi termini, ma possono resistere indenni a un esame? È possibile creare il paradigma di una Natura “strutturata interamente in onde” o Teoria della vibrazione? Investigando il lavoro pioneristico e le invenzioni di John Worrel Keely siamo portati a credere che sia davvero così…

John W. Keely
Logicamente parlando, perché possa esistere un paradigma di questo tipo bisognerebbe esprimersi interamente in termini e concetti di vibrazioni, evolvendo – lungo tutto il cammino dell’attività umana – da una serie di idee relativamente semplici a quella molto più complessa dei fenomeni atomici e subatomici. Per quanto ritenga che sia possibile farlo, di certo non lo sarà in un articolo breve come questo. Ma poiché un’opinione dovrebbe essere dimostrata, penso che le duemila apparecchiature inventate da Keely – tutte basate su questo principio – abbiano mostrato al mondo, in maniera inconfutabile, che ogni singola vibrazione è connessa con tutte le altre.
John W. Keely passò tutta la vita a studiare la forza cosmica misteriosa liberata dai suoi apparecchi, ottenendo dei risultati che nessuno ha mai saputo replicare; il fondamento delle sue scoperte era la convinzione che le vibrazioni del Cosmo producessero una forma di musica, le cui ottave – opportunamente accordate – potessero liberare un’Energia inesauribile. Scrisse perfino un trattato dove spiegò, definì e ordinò le “40 leggi dell’Armonia”, da lui scoperte, dal quale traspare un Universo non solo “musicale”, ma perfettamente armonico e – di conseguenza – mai caotico…
Le sue invenzioni straordinarie dimostrarono che tutte le cose e le energie sono interconnesse; che ogni cosa è costruita da una semplice vibrazione fino ai più complessi accordi (usando i principi universali della sola vibrazione); che non esiste il Caos nell’Universo; che ogni cosa esiste in virtù dell’armonia tra le vibrazioni che fa che sia ciò che è; che tutte le cose sono intimamente connesse per mezzo della vibrazione simpatica.

Alcuni macchinari usati da Keely
Nell'Universo, dagli atomi alle galassie, tutto si trova in uno stato particolare di vibrazione. Anche ogni singola parte del nostro corpo ha una vibrazione che dev’essere armoniosa per mantenerci in salute; le malattie, infatti, si instaurano nel momento in cui viene alterata la frequenza vibratoria naturalmente perfetta di organi, tessuti e cellule di cui è composto il corpo umano. Ci sono anche vibrazioni più o meno armoniose che interagiscono a livello sottile tra corpo, mente e spirito.
In questo sistema perfetto, i suoni hanno un ruolo fondamentale nel corpo umano come in tutto il Cosmo; se una vibrazione può far ammalare o guarire, ma anche rompere un vetro, probabilmente può anche sollevare un peso. E questo dev’essere stato il primo ragionamento che portò lo scienziato americano John Worrell Keely (1827-1898) a sperimentare il modo di sfruttare la risonanza per eliminare la forza di gravità…

Forse era anche a conoscenza del fatto che i lama di alcuni monasteri tibetani riescono a spostare pesanti rocce ad un particolare suono emesso dalle loro trombe. Strana “coincidenza”, che ciò avvenga proprio nei luoghi famosi per le recitazioni dei mantra alla particolare frequenza vibrazionale sintonizzata… con il Cosmo (uno degli argomenti trattati nel mio ultimo libro “Anima Cosmica – 2012: l’ora della Verità”, Melchisedek Edizioni)!
O forse Keely era semplicemente molto dotato intellettualmente e psichicamente, e questo gli aveva consentito di concepire strumenti basati su una forza energetica correlata all'armonia dei centri laya eterici…
Tuttavia, mentre su Nikola Tesla sono stati scritti moltissimi libri, non si parla praticamente mai di John Worrell Keely (i cui studi lo portarono a percorrere dei binari di ricerca non troppo lontani da quelli di Tesla) e oggi egli è praticamente dimenticato. Eppure, le invenzioni di Keely sono tuttora ancor più enigmatiche e controverse di quelle di Tesla, soprattutto per quanto concerne alcuni strani macchianari in grado di sollevare pesanti oggetti senza alcun intervento di forza fisica o meccanica. Tra l’altro, la maggior parte degli schemi e dei diagrammi sono scomparsi e i macchinari stessi furono quasi tutti distrutti dal suo inventore, che morì in povertà.

Parallelismi con gli antichi
Parlando delle intuizioni che portarono John Worrel Keely a sfruttare un’Energia inesauribile (oltre che pulita e gratuita) grazie alle vibrazioni, non possiamo tuttavia evitare di ripensare alle affermazioni dell’ingegnere americano Christopher Dunn a proposito delle caratteristiche acustiche rilevate all’interno della Grande Piramide di Giza, e alla vera funzione della Piramide stessa, che sarebbe stata, secondo lui, un generatore di idrogeno (per non parlare dei riscontri di trivellazioni eseguite con tecniche sonar nella diorite e nel marmo, che non lasciano il benché minimo dubbio sul tipo di strumentazione usata dai costruttori della Grande Piramide)…
Non possiamo poi non pensare alla Frequenza Shuman, ossia alla frequenza base della vibrazione terrestre, che potrebbe essere collegata alla Grande Piramide (in grado forse di impedire l’inversione dei Poli nel momento in cui la Terra raggiungesse il “Punto Zero”, ossia si fermasse) e alle tracce lasciate [nella Grande Piramide] dall’acqua nella Grotta sotterranea o del Caos, evidenze di una qualche attività “meccanica” di produzione di energia, del resto presente anche nella parte superiore dello Djed (o Zed) sapientemente “murato” all’interno della Piramide, per non liberare all’esterno l’energia prodotta. Una forza terribile, se messa in mani sbagliate. Era dunque davvero il Mash-Mak (l'energia chiamata vril ndr), la “miscela” energetica retaggio di quella razza “divina” sopravvissuta in parte in Egitto?
Il cerchio si chiude, ma l’enigma rimane irrisolto.
lunedì 30 marzo 2020
Il culto di Cibele


Lei prepara un carro veloce, tirato da leoni uccisori di tori:
Lei che maneggia lo scettro sul rinomato bastone,
Lei dai tanti nomi, l'Onorata!
Tu occupasti il Trono Centrale del Cosmo,
e cosi' della Terra, mentre Tu provvedevi a cibi delicati!
Attraverso Te c'è stata portata la razza degli essere immortali e mortali!
Grazie a Te, i fiumi e l'intero mare sono governati!
Vai al banchetto, O Altissima! Deliziante con tamburi, Tamer di tutti,
Savia dei Frigi, Compagna di Kronos, Figlia d'Urano,
l'Antica, Genitrice di Vita, Amante Instancabile,
Gioconda, gratificata con atti di pietà!
Dea generosa dell'Ida, Tu, Madre di Dei,
Che porta la delizia a Dindyma e nelle città turrite
e nei leoni aggiogati in coppie, ora guidami negli anni a venire!
Dea, rendi questo segno benigno!
Cammina accanto a me con il Tuo passo grazioso!
Virgilio - Eneide - preghiera di Enea
La grande Dea anatolica
Dea creatrice che ha dato origine all’intero universo* senza bisogno di intervento maschile, vergine inviolata e tuttavia madre degli dei. La grande dea anatolica si manifestava nella dura sostanza della roccia e si riteneva fosse caduta dal cielo sotto forma di una Pietra nera.
Sul confine occidentale della Paflagonia c’era una scogliera deserta che si chiamava Agdo e Cibele vi veniva adorata sotto forma di una pietra nera.
La leggenda narra che Zeus era innamorato di Cibele ma invano cercava di unirsi alla dea e nell'angoscia di una notte d'incubo, mentre la sognava ardentemente, il suo seme schizzò sulla pietra generando l'ermafrodito Agdistis. Questi era malvagio e violento, con le sue continue prepotenze aveva già maltrattato tutti gli dei. Sicché Dioniso, giunto all’esasperazione, volle vendicarsi e architettò ai suoi danni uno scherzo atroce. Gli portò in dono dell'ottimo vino e lo accompagnò a bere in cima a un grande albero di melograno, finché Agdistis si addormentò ubriaco fradicio in bilico su un ramo. Pian piano con una cordicella Dioniso gli legò i genitali al ramo e, sceso in terra, scosse l'albero con tutta la sua forza. Nel brusco risveglio il malcapitato precipitò strappandosi di netto il prezioso organo: così Agdistis morì dissanguato mentre il suo sangue lavava il melograno e lo faceva rifiorire rigoglioso e stupendo e carico di succosi magici frutti. La ninfa del Sangario, il fiume che scorreva nelle vicinanze, sfiorò con la sua pelle vellutata uno di quei frutti e rimase incinta di un dio.
Fu così generato Attis il bello, il grande amore di Cibele. La Signora delle fiere suonava la lira in suo onore e lo teneva perennemente occupato in voluttuosi amplessi. Ma, ingrato e irriconoscente, Attis volle abbandonare quelle gioie celesti e se ne fuggì via per vagare sulla terra alla ricerca di un'altra donna. Cibele sapeva bene che nessuna infedeltà avrebbe potuto sfuggire alla sua vista onnipotente e, trainata dai leoni, lo sorvegliava dall'alto del suo carro. Colse così Attis mentre giaceva spensieratamente con una donna terrena, convinto che le fronde di un alto pino fossero sufficienti a nascondere il suo tradimento. Vistosi scoperto, Attis fu assalito da un rimorso tormentoso e implacabile, finché all'ombra del pino si evirò.



La castrazione divina
L’immagine dell’ape regina, che durante l’atto nuziale effettua la castrazione del fuco, incarna l’essenza del mito classico su Cibele. Presso gli Ittiti, Kumarbi stacca con un morso i genitali del dio del cielo Anu, ne inghiotte una parte dello sperma e sputa il resto contro la roccia, ove si genera una bellissima dea. Benché argomento apparentemente peregrino, la castrazione è un tema mitico universalmente diffuso e si collega al nucleo della trasmissione del potere regale cui si è alimentata tanto la tradizione egiziana (Osiride) che quella Greca (con Urano).
Il culto
Cibele era la grande madre di tutti i viventi, protettrice della fecondità, signora degli animali selvatici e della natura selvaggia, attraversava le foreste montane su un cocchio tirato da leoni, accompagnata dal corteo orgiastico dei coribanti.


Era anche una divinità poliade, fondatrice di città e patrona del suo popolo in pace e in guerra, aveva anche caratteri oracolari.
Il suo culto,che aveva il centro principale in Pessinunte, in Asia minore, era in
origine di carattere nettamente orgiastico, con danze sfrenate al suono di flauti, timpani e cembali ed estasi deliranti, durante le quali i galli, suoi sacerdoti servitori,
si flagellavano e arrivavano a autoevirarsi. In seguito il suo culto passo in Grecia e specialmente a Creta, sotto il nome di Rea. Sotto l'influenza greca, questo culto perse molte delle sue caratteristiche barbariche, che riaffiorarono in epoca ellenistica.
A Roma ella fu venerata a partire dal 205 a. c. come simbolo di fecondita’.
I suoi scerdoti si chiamavano Galli nella Galizia, Coribanti nella Frigia, Dattili Idei nella Troade e Cureti a Creta. In suo onore furono incisi svariati fregi e solchi su marmo quale atto per ridestare l’insita sua presenza. Santuari imponenti le venivano dedicati in posti inaccessibili, ricavandoli nelle pareti a picco mille metri sul mare. Il suo misterioso culto ctonio era praticato nelle fenditure della montagna, entro nicchie e gallerie. Talora l’apertura era un lontano punto visibile su un dirupo, tal altra corrispondeva al punto più alto di un’acropoli: era l’ingresso a tunnels scavati interamente nella roccia con gradinate discendenti nelle viscere della montagna, ad andamento elicoidale e senza sbocco. Ieratica in trono, Cibele riceve gli omaggi delle processioni che avanzano al ritmo frenetico di timpani, cembali, flauti e tamburi.
Porta sul capo un ornamento cilindrico, di solito a forma turrita; è coperta da un velo o da un mantello, regge uno specchio nella mano e, sette volte su dieci, possiede una melagrana. Come Demetra, impugna le spighe d’orzo la cui Claviceps purpurea
forniva la bevanda allucinogena.
Il leone è il veicolo di Cibele ed immancabilmente lo troviamo ai suoi piedi. Anche nei bassorilievi della corrispondente dea ittita (Kubaba) compare un leone ai piedi del trono. Non solo in Anatolia: nel 1200 a.C. l’iconografia di una donna nuda in equilibrio sulla schiena del leone era presente in una vasta area del bacino mediterraneo orientale che interessava Assiri (Ishtar), Fenici (Astarte) ed Egiziani (Quadesh). La criniera del leone e le sue fauci spalancate sono l’emblema del pube femminile. Solo più tardi, quando le società patriarcali hanno sviluppato concezioni misogine, nel pelo leonino è stata proiettata l’immagine raggiata della corona solare. Non deve stupirci la banalità dell’attribuzione sessuale, l’idea dell’antro genitale femminile è insita nel nome stesso di Cibele, che significa grotta. Bisogna considerare che in Cibele c’è la continuità con le semplici concezioni religiose dell’uomo del neolitico e che in Anatolia, già nel 6.000 a. C., la grande dea veniva rappresentata seduta in trono fra due leonesse.




La MAGNA MATER
Patrona dei Mermnadi di Lidia, nel mito greco fu assimilata a Rea e associata a Demetra e venerata ovunque, in genere sotto l'appellativo di Grande Madre o Madre degli dei.
Perciò essa sola fu detta Gran Madre degli dei
e madre delle fiere e genitrice del nostro corpo.
Di lei cantarono un tempo i dotti poeti di Grecia
che dal trono su un cocchio guidasse due leoni aggiogati,
significando così che l'immensa molte terrestre
è sospesa negli spazi dell'aria e che la terra non può poggiare sulla terra.
Lucrezio, De Rerum Natura
La Magna Mater altri non è che la dea Cibele, la grande divinità della Frigia, il cui culto è importato a Roma nel 204 a. C., durante le guerre con Cartagine, quando il senato decide di far venire da Pessinunte la "pietra nera" (magica, perché caduta dal cielo), simbolo della dea e di costruirle un tempio sul Palatino. Nelle intenzioni del senato il culto di Cibele avrebbe forse rinfrancato il sentimento religioso e il morale della popolazione, stremata dalla guerra. L'adozione del culto di Cibele sarebbe stata suggerita dagli auguri, che avevano consultato i Libri Sibillini e ne avevano ricavato un'allusione alla dea e all'opportunità di introdurla in Roma, per avvantaggiarsi nella situazione bellica. Per questo vengono mandati ambasciatori al re Attalo, che acconsente, dietro assicurazione che alla dea sarà tributato il culto che le compete. A Roma la pietra sacra doveva essere accolta dall'uomo e dalla donna migliori tra i cittadini. Per gli uomini fu scelto Publio Scipione Nasica, lo strenuo avversario dei Gracchi. Più confusa, nelle fonti antiche, l'identità della donna prescelta per il delicato incarico. Insieme a Cibele giungono a Roma anche i suoi sacerdoti, detti Galli, il cui capo è l'Arcigallo. Il culto di Cibele, rappresentata con la testa coronata di torri, accompagnata da leoni, o su un carro trainato da questi animali, sopravvive a lungo nella storia dell'impero romano.
Dal 4 aprile iniziavano le feste dedicate alla dea Cybele, Magna Mater. Avevano termine il 10 aprile. Nello stesso periodo si svolgevano i Ludi Megalenses. L'11 si celebrava la dedicatio del tempio sul colle Palatinus.
Ave, Grande Madre dell'Ida, Madre degli Dei!
Ave, O piu'antica Sacra Dea!
io ti offro preghiere devote, O Cibele,
Berecinziana Madre di Dindymus!
Accoglici sotto la Tua protezione
Che Tu possa difenderci!
A Te offro questa supplica
Per garantire pace, sicurezza,
E salute alla nostra famiglia.
Possa tu essere benevolente e a noi propizia
e non abbandonare mai la Tua progenie.
se si presenta un'offerta di vino:
Per queste cose sii Tu onorata da questa libagione.
Sii Tu benevola e a noi propizia!
________________________________________________________________________________NOTE:*Il mito pelasgico della creazione
In principio la grande Dea emerse nuda dal Chaos.
Non trovando nulla ove posare i piedi, divise il mare dal cielo e intrecciò sola una danza sulle onde. Danzando si diresse verso sud e il vento che turbinava alle sue spalle le parve qualcosa di nuovo e di distinto, pensò allora di cominciare l’opera della creazione: si voltò all’improvviso, afferrò il vento del nord e lo sfregò tra le sue mani finché apparve un enorme serpente.
La Dea danzava accaldata, danzava con ritmo sempre più selvaggio e il serpente, acceso dal desiderio, l’avvinghiò nelle sue spire e si unì a lei.
Volando a pelo dell’acqua la Dea assunse forma di colomba e poi, a tempo debito, depose l’uovo cosmico.
Ordinò allora al serpente di avvolgere l’uovo per sette volte: il guscio si dischiuse e ne uscirono tutte le cose esistenti. Ma ben presto il serpente si vantò d’essere egli stesso il creatore e irritò così la grande Madre che lo relegò nelle buie caverne.
E’ questo il mito Pelasgico, che alcuni Autori ascrivono ad un’origine anatolica. Si tratta di una versione in accordo con la tradizione indoeuropea degli antichi Veda (i testi sacri degli invasori giunti in India da nord e attraverso le steppe caucasiche). V’è un parallelo con Vinata, dea primordiale che guarda verso dove il limite dell’oceano si unisce con il cielo: dall’uovo cosmico che ella depone nasce un figlio alato il cui primo compito sarà di riscattare la madre dal potere dei serpenti.
Dea sul trono (Chatal Huyuk, 6.000/5.000 a. C.)
Bassorilievo con Cibele e Attis, Roma, II d.C.
Cybele, bassorilievo votivo, Ai-Khanoum (Alessandria di Oxus), II a.C
Cybeele, bassorilievo votivo romano (alla mater Dei) .
Cibele, statua romana
Cybele Formiae, 60 a.C:
Cybele frigia, 1.600 a.C.
Cybele-Rhea su vaso greco, V a.C.
Fonti:https://www.geocities.com/kubyla/Dea_anatolica.htm
https://www.aztriad.com /cybeleit.html
https://www.romanoimpero.com/2010/03/il-culto-di-cibele.html
domenica 29 marzo 2020
Artemide, dea della Luna e della Natura selvaggia
Artemide è la forma che assunse presso la civiltà greca una dea di origini preelleniche legata al culto delle foreste, degli animali selvaggi, della Luna e più in generale del potere rigenerativo della Natura.
