Visualizzazione post con etichetta Sciamanesimo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sciamanesimo. Mostra tutti i post

martedì 28 luglio 2020

Nordic/Viking Music - Fólkvangr

Song - Fólkvangr (c) All Rights Reserved Composed & Produced by Peter Gundry Photography by Aundrey Dostovalov Facebook - https://www.facebook.com/adostovalov Deviant page - http://arnytopter.deviantart.com/ Model - Anastasia Kazanceva Facebook - https://www.facebook.com/nastia.kazan... Please SUBSCRIBE, LIKE and SHARE if you enjoyed, thank you =) PATREON - Join up and become a patreon today and join in on live discord community chat hangouts. We talk music , composing and anything else you want. Soon i will be rewarding singed CD's and you will also receive high quality versions of every song from the time you join + exclusive unreleased songs and much more! https://www.patreon.com/PeterGundryCo...

Maria Franz of Heilung - LIFA Vocals

https://heilung.bandcamp.com/album/lifa 0:00 In Maidjan 3:47 Krigsgaldr 11:28 Fylgija / Futhorck 14:06 Othan

sabato 9 maggio 2020

La Funzione del Mito, del Culto e della Meditazione

Nella sua attuale professione o forma, l’individuo è soltanto una frazione ed una deformazione dell’immagine completa dell’uomo.

Egli è limitato sia come maschio che come femmina. Nei diversi periodi della sua esistenza è limitato sia come bambino che come giovane, adulto o vecchio, mentre nella sua attività è necessariamente specializzato come artigiano, commerciante, servitore, ladro, prete, capo, moglie, suora, o prostituta, egli non può essere tutto.
Di conseguenza, la totalità – la pienezza dell’uomo – non è nel singolo membro, ma nel corpo della società. L’individuo può soltanto essere un organo che svolge una funzione nel suo gruppo, dal quale egli ha attinto le sue tecniche di vita: la lingua nella quale pensa, le idee per le quali prospera, le finalità che egli si prefigge, tutte acquisizioni che gli giungono attraverso il passato.
Dalla sua società di appartenenza o di formazione discendono i geni che formarono il suo corpo. Se egli tentasse di isolarsi nella sua azione come nel suo pensiero o nel suo sentimento, spezzerebbe soltanto il collegamento con le fonti della sua propria esistenza.
I riti delle tribù per la nascita, l’iniziazione, il matrimonio, l’insediamento, servono a tradurre in forme impersonali, classiche, riconosciute e condivise anche dal suo gruppo, le crisi e le azioni della vita dell’individuo.
Esse lo svelano a se stesso, non come questa o quella persona, ma come la persona o l’idea che egli si è formato e che attraverso il rito viene riconosciuta e accettata, se il rituale viene compiuto nei modi e nei termini omologati dalla società stessa. Ecco che allora egli, grazie alla sua conoscenza e interpretazione del ruolo che egli si è dato, può divenire il guerriero, la sposa, la vedova, il prete, il condottiero, e nel contempo egli ripete anche per il resto della comunità l’antica lezione degli stadi archetipi.
Tutti partecipano al rito secondo il loro rango e le loro funzioni.
Tutta la società diventa visibile a se stessa come un’unità vivente e imperitura. Generazioni di individui passano come cellule anonime di un corpo vivente, ma la forma eterna che le sostiene rimane.
Con l’estendersi della sua visione tesa ad abbracciare la società, questo membro tende a divenire il super-individuo e ciascuno scopre se stesso ingrandito, arricchito, sostenuto ed esaltato. Il suo ruolo, per quanto poco importante possa essere, gli appare intrinseco e omologo alla bella immagine gloriosa dell’uomo nello splendore del suo adempimento o riuscita, dimenticando o superando quella sua immagine potenziale, eppur necessariamente inibita, che coltivava dentro se stesso.

I riti dell’iniziazione e dell’insediamento, quindi, insegnano e imprimono la lezione dell’essenziale identità dell’individuo e del gruppo. Le feste stagionali aprono un orizzonte ancora più vasto. Come l’individuo è un organo della società, così la tribù o la città – e l’umanità intera, sono solo una fase del potente organismo del cosmo.

In genere, le feste stagionali dei cosiddetti indigeni sono state descritte come sforzi per controllare la natura. È una interpretazione errata. V’è una grande volontà di controllo in ogni atto dell’uomo, e specialmente in quelle cerimonie magiche che si crede portino la pioggia, curino le malattie, o tengano lontane le inondazioni. Malgrado ciò, il motivo dominante di tutte le cerimonie veramente religiose (opposte alla magia nera) è quello della sottomissione all’inevitabilità del destino – e nelle feste stagionali questo motivo è particolarmente evidente.
Non si conosce finora alcun rito tribale che miri ad impedire la venuta dell’inverno; al contrario, tutti i riti preparano la comunità a sopportare, con il resto della natura, la stagione del freddo intenso. E in primavera, i riti non cercano di costringere la natura a far spuntare immediatamente il grano, i fagioli e le zucche per la misera comunità; al contrario, i riti consacrano tutti i suoi membri al lavoro stagionale. Il meraviglioso ciclo dell’anno con le sue difficoltà e i suoi periodi di gioia, viene celebrato, delineato e rappresentato come continuativo nel ciclo vitale del gruppo umano.

Il mondo della comunità mitologicamente istruita è pieno di molte altre figurazioni simboliche di questa continuità. Per esempio, i clan delle tribù di cacciatori americane, si consideravano in genere come discendenti da antenati metà-animale e metà-uomo. Questi antenati diedero origine non solo agli uomini del clan, ma anche agli animali dai quali il clan prende il nome; così i membri del clan “castoro”, erano cugini di sangue dei castori, protettori della specie e a loro volta protetti dalla saggezza animale degli abitanti del bosco.
Un altro esempio: l’abitazione, o la capanna di fango, dei Navaho del Nuovo Messico e dell’Arizona.
È costruita sullo schema dell’immagine navahica del cosmo, dove l’ingresso è rivolto a oriente. Gli otto lati rappresentano le quattro direzioni e i suoi punti intermedi indicano la sua mente e i suoi sentimenti, presi dalle circostanze esterne e dalle emozioni.
Ogni trave e ogni puntello corrispondono a un elemento del grande edificio che tutto abbraccia: terra e cielo.
E poiché l’anima stessa dell’uomo è considerata identica nella forma all’universo, la capanna di fango è una rappresentazione dell’armonia fondamentale dell’uomo e del mondo, e una evocazione del misterioso cammino sulla via della perfezione.
Ma vi è un altra via, diametralmente opposta a quella del dovere sociale e del culto popolare, la via di colui che vive per scelta o per emarginazione, in esilio al fuori dalla sua comunità e dalla quale egli è visto come ’un nulla’.
Dall’altro punto di vista, quello dell’esiliato o emarginato o escluso, tuttavia, questo esilio è il primo passo della sua nuova ricerca.
Ciascuno reca in se stesso il tutto che può essere ricercato e trovato dentro di sé.
Le differenze di sesso, età e occupazione non sono essenziali al nostro carattere, ma semplici costumi che indossiamo per un certo tempo sulla scena del mondo.
L’immagine intima dell’uomo non deve essere confusa con i vestiti. Noi ci consideriamo europei o americani o africani o figli del ventesimo o ventunesimo secolo, occidentali, civili e cristiani. Siamo virtuosi o peccatori.
Queste definizioni, però, non dicono cos’è essere un uomo, esse indicano solo i dati accidentali della nascita della provenienza e del ceto.

Cos’è la parte più intima di noi?
Cos’è la caratteristica fondamentale del nostro essere?
L’ascetismo dei santi del Medioevo e degli yoghi dell India, i misteri ellenistici le antiche filosofie orientali e occidentali, sono tecniche per spostare l’attenzione della coscienza dell’individuo dalla sua veste esterna a una visione intima personale e rispondente alle innate caratteristiche dell’individuo.
Le meditazioni iniziali dell’aspirante a questo solitario percorso staccano la sua mente e i suoi sentimenti dalle circostanze esterne della vita e lo guidano verso la sua parte più intima.
Egli medita: “Io non sono questo: né questo, né mia madre, né il figlio appena morto; il mio corpo, che è malato o vecchio; il mio braccio, l’occhio, la testa; né tutte queste cose messe insieme. Io non sono i miei sentimenti, né la mia mente, né il mio potere di intuizione.”
Da queste meditazioni egli è portato verso la propria profondità, raggiunge, alla fine, realizzazioni impenetrabili.
Nessuno può tornare da simili esercizi e considerare seriamente se stesso come il signor Tal dei Tali, della tale città in Europa o in qualunque altro circoscritto luogo del mondo.
La società e i doveri spariscono.
Il signor Tal dei Tali, che ha scoperto in se stesso la piena umanità, diventa chiuso e indifferente..

Questo è lo stadio di Narciso che si specchia nello stagno, del Buddha che siede in contemplazione sotto l’albero, ma non è lo scopo finale; è un passo necessario, ma non la meta.
Lo scopo non è di vedere, ma di capire ciò che effettivamente è questa essenza.
Solo allora si è liberi di vagare nel mondo proprio come l’essenza che abbiamo immaginato, cercato, voluto, realizzato e compreso. Qui si scopre che anche il mondo è permeato da questa essenza.
Quando si comprende che essenza propria ed essenza del mondo sono una cosa sola, la separazione, il ritiro, non sono più necessari.

Dovunque l’uomo, il viaggiatore, lo sciamano, il ricercatore o l’eroe si rechi, qualunque cosa faccia, è sempre in presenza della propria essenza, o meglio, intima consapevolezza fra sé e il mondo, poiché i suoi occhi adesso sono in grado di vedere. Non vi è più separazione.
E come la via della partecipazione sociale può condurre, alla fine, a una realizzazione del tutto nell’individuo, così la via dell’esilio porta l’eroe all’Io in tutto.
Inquadrata in tal modo, le questioni dell’egoismo o dell’altruismo scompaiono. L’individuo si è perso nella legge, ed è rinato nell’identità con la sua personale comprensione del significato totale dell’universo.
Per Lui, e solo per mezzo suo, il mondo è stato fatto, o meglio realizzato da lui stesso.
“O Maometto,” disse Iddio, “se tu non fossi esistito, non avrei creato il cielo”.

Ma qual è il compito e il fine del viaggio dell’eroe?
Oggi l’uomo non si riconosce più nel gruppo di appartenenza. Il proprio ego infantile viene trasposto in idea nazionale e imposto come bandiera che divide e non unisce, non si riflette e non si trova dentro le grandi religioni o mitologie del passato, che per mantenere il loro controllo su di lui si sono basate su imposizioni o congetture superate oggi dalla scienza e dalla storia.

L’impresa che l’eroe oggi deve compiere non è più quella del secolo di Galileo, dove allora v’era tenebra oggi vi è luce, dove era luce oggi vi è tenebra.
L’eroe moderno deve cercare di riportare alla luce La sua Atlantide, o sogno perduto, che è sepolto nei miti del genere umano.
Ma oggi anche questi miti e questi misteri; i loro simboli non interessano più la nostra psiche.
La conoscenza di una legge cosmica, che serve tutta l’esistenza e alla quale l’uomo stesso deve sottomettersi ha oramai da tempo superato gli stadi mistici iniziali rappresentati dall’antica astrologia, ed e’ ora semplicemente accettata in termini meccanici come cosa naturale….
Non il mondo animale, né quello vegetale e neppure il miracolo delle armonie delle sfere, bensì l’uomo stesso è ora il mistero cruciale!
L’uomo è quella presenza estranea con la quale le forze dell’egoismo devono venire a patti e per mezzo della quale l’io deve essere crocifisso e resuscitato, per fare di lui un immagine che società stessa possa utilizzare come simbolo di proprio rinnovamento.
L’uomo , inteso tuttavia, non come “Io”, ma come “Tu”: perché gli ideali e le istituzioni temporali di nessuna tribù, razza, continente, classe sociale o secolo, possono costituire la misura di quella meravigliosa esistenza inesauribile, che e’ la vita in tutti noi.
Non e’ la società che deve guidare e salvare l’Eroe, ma precisamente il contrario.
E cosi’ ognuno di noi partecipa alla prova suprema -porta la croce del redentore- non nei momenti gloriosi delle grandi vittorie della sua tribù, ma nei silenzi della sua disperazione.

Stefano Paoletti
Per Mythos & Logos
www.mythoselogos.it

martedì 17 marzo 2020

Lo Stregone di Les trois Frères

L’immagine rappresenta il cosiddetto 'Stregone di Les trois Frères', un’immagine, incisa e dipinta, ritrovata nella sala detta 'del santuario' all’interno delle grotte paleolitiche del dipartimento di Ariége in Francia. Il disegno, che qui è nella versione dello studio di E. O. James Prehistoric Religion: A Study in Prehistoric Archaeology, pubblicato a New York 1961, riprende lo schizzo eseguito dall’abate Breuil nel lontano 1911.


Cernunnos: le origini del signore degli Animali


I Celti possedevano un fornito pantheon di divinità ed eroi ai quali appellarsi, ma una delle figure più importanti e certamente più singolari era Cernunnos, il signore degli animali, le cui origine si perdono nei più remoti ricordi del mondo. Le vaste foreste d'Europa furono in antichità un terreno fertile per la diffusione di culti connessi agli animali, alle piante e al mondo della natura, ma soprattutto alla caccia, che era una delle principali fonti di sostentamento. Questi culti avevano la funzione principale di creare un rapporto con le potenze spirituali che regnavano sulle forze della natura e dominavano gli spazi abitati dall'uomo, affinché potessero intervenire e aiutarlo a vivere e sostentarsi, anche quando le condizioni di vita risultavano difficili. La caccia così, acquisiva il valore di un vero e proprio atto sacro tra la preda e il cacciatore, un atto di profondo rispetto verso l'animale, che immolandosi, diventava fonte di cibo per un'intera comunità. È in questo contesto che si manifesta l'austera figura di Cernunnos. Dio sciamano, metà uomo e metà cervo, veniva adorato principalmente nelle Gallie per i suoi mistici poteri, legati al ciclo di trasformazione della natura, alla potenza fisica, alla sessualità e all'incontrollabile desiderio di liberare l'anima danzante presente in ognuno di noi, nonché per ciò che concerneva l'arte della caccia e la dimensione animale.

Le sue origini possono essere rintracciate fin dal paleolitico e lo dimostra l'arte ruprestre all'interno delle caverne francesi, come la grotta dei Trois Frères, abitata 13.000 anni fa, in cui appare la più antica raffigurazione di una divinità dalle sembianze antropomorfe, dell'altezza di circa 4m, con corna di cervo e barba lunga, nell'atto di performare una danza, connessa con le prime forme sciamaniche di religione. Più attuali, risalenti al IV secolo a.C., sono invece le incisioni italiane rinvenute in Val Camonica, che mostrano anche qui una figura umana con corna di cervo, che reca in una mano qualcosa di molto simile a un torques, gioiello simbolo di nobiltà fra i Celti, e nell’altra un serpente.
Ma Il cervo, come abbiamo visto, risulta essere l'animale connesso più intimamente con il dio Cernunnos, animale che da sempre viene considerato come il signore delle foreste e che possiede un antenato sopravvissuto fino al periodo successivo la glaciazione. Si tratta del megacero gigante  (Megaloceros giganteus), diffuso principalmente nei territori europei, di cui la maggiorparte dei resti è stata trovata in Danimarca e Irlanda e le cui corna arrivavano fino a 3m di larghezza.

Proprio di corna infatti si parla quando si prende in esame la figura del dio, il cui nome avrebbe proprio origine dal suo aspetto cornuto. Purtroppo però, nessuno dei reperti portati alla luce che lo raffigurino, recano con sé didascalie, a parte uno: il Pilastro dei Naviganti di Parigi, trovato sotto il coro della cattedrale di Nôtre-Dame nel 1711. Qui il dio viene rappresentato vestito con una tunica che lascia nuda una spalla, mostrando un torques al collo, calvo con un’espressione corrugata e le corna di cervo che incorniciano un nome, il quale pare illeggibile nella parte sinistra, lasciando intravedere soltanto: …ERNVNNOS. Fin dai tempi della scoperta si pensò che la lettera mancante fosse la “C” , richiamando la parola corno dal latino cornu che pareva esprimere in toto le fattezze del dio.

Numerosi studi vennero eseguiti in seguito sull’etimologia del nome di questa divinità ed altrettanto numerose furono le teorie. Alcuni fecero notare che in gallico corno si diceva carnos e non cernos, altri invece supportavano la teoria che il nome potesse significare l’aguzzo facendo risalirne l’etimologia dalla radice gaelica cern- dal quale è derivata la parola in irlandese moderno cearnach (ovvero quadrato) e facendo quindi traslare il significato di quattro punte in riferimento alle corna. L’accostamento non è fatto a caso, infatti il cern- è il rigonfiamento dei bovidi appena prima lo sviluppo delle corna. Tuttavia queste teorie non furono supportate a tal punto da sostituire quella tradizionale. Cernunnos quindi significa nientemeno che cornuto.

Più raffinate rappresentazioni del dio si trovano sul Calderone di Gundestrup, un reperto risalente al I secolo a.C, custodito ora nel museo nazionale di Copenhagen. Essa presenta il dio cervo a gambe incrociate, vestito con abiti a righe verticali ed una cintura, che regge con la mano sinistra un serpente, e con la mano destra un torque, attorniato da differenti animali quali un cervo, un toro, un lupo, un leone e poco lontano un uomo in groppa ad un delfino. Sembrerebbe una versione più recente di ciò che i primi uomini d'Europa già veneravano ancora prima dei Celti. 

Interessante la postura a gambe incrociate che assume, simile alla posizione yogica meditativa del loto, che lo mette a confronto con l'immagine di un'altra divinità, incisa su un sigillo, rinvenuta nella valle dell'Indo. Si tratta, secondo alcuni, del vedico Pashupati, un epiteto del dio Rudra che in un periodo successivo verrà assegnato a Shiva, il cui nome in sascrito significa proprio signore degli animali, anch'egli rappresentato con le corna ed è attorniato da quelli che sembrano essere elefanti, rinoceronti e bufali.

Anche Pan è associato a Cernunnos. Egli è il dio della fertilità, dei campi, del gregge e dei pastori, legato alla luna ed alle forze della terra. Alcuni miti lo vedono seduttore di Selene, alla quale si  presenta nascondendo il pelo di capra sotto un velo bianco, per non farsi riconoscere e per trarla in inganno affinché giaccia con lui.
Ma è nelle leggende medievali che parlano di Merlino, contententi molti richiami alla mitologia celtica, dove è possibile ritrovare gli echi di questa antica divinità. Nella Vita Merlini, infatti, Merlino diventa proprio il signore degli animali, completo di corna e di un vasto gregge di capre e cervi al suo capezzale. Sembra quindi che il potente ruggito di questo signore dei boschi sia giunto a noi sotto innumerevoli forme, portando con sé il bagaglio di un lontano passato che ancora sopravvive e che è parte delle radici che affondano nelle terre d'Europa.

Fonte web

Bibliografia:
Miranda J. Green, Dictionary of Celtic Mith, Thames and Hudson, Londra, 1992. R.J. Steward, Celtic Gods, Celtic Goddesses, Blandford, Londra, 1990. Roberto Graves, I Miti Greci, Loganesi, 2008, Milano.

Immagini:
1. Calderone di Gunderstroop. 2. Grotta di Trois Frères, Francia. 3. Megacero (Megaloceros Giganteus), antenato del cervo. 3. Sigillo di Pashupati

domenica 15 marzo 2020

I motivi della mano nell'arte rupestre preistorica

Ma quale era il loro significato?
Era forse la firma dell'artista, che confermava sia il suo lavoro, così come la sua consapevolezza di sé?
L'artista, o sciamano, toccava la superficie della roccia, al fine di riconoscere e quindi entrare nel mondo dello spirito?
Dove c'è una spirale incorporata nel motivo, come nei siti di La Cienega e Three Rivers, per esempio, possono essere la rappresentazione di energia di guarigione, portata dai canali che attraversano le mani , l'antica pratica del Reiki.
Ci sarebbe stato un collegamento metaforico tra il 'spruzzatura di vernice sulla roccia "con il 'irrorazione della medicina' da parte dello sciamano.
Dato che queste immagini sono presenti in tutto il mondo, e coprono un arco di tempo grandissimo, chiaramente ci deve essere una varietà di significati.
Per tutte le ipotesi, pittura a mano e il motivo 'mano' potrebbe aver rappresentato un numero grandissimo di rituali, ma senza informazioni da una cultura particolare, tutte le ipotesi devono rimanere tali.
Nella grotta di Chauvet, in Francia, le ocra stampe e stencil mano rossi si trovano in tutte le camere della grotta. Sono state dipinte durante la cultura Aurignaziano, forse 31.000 anni fa.
Inceve nella Camera Brunel, i quattro pannelli sono costituiti da 420 stampe di palme coperte di ocra. Nella Rosso Pannelli Gallery, il gruppo di esperti di stencil a mano è composto da 3 stampini mano rossi, 2 gruppi di punti e 2 animali neri - un equide e un mammut.
Due delle matrici mano sedersi entro i contorni degli animali.
Nel Pannello di punti rossi, una pittura rupestre situato vicino all'entrata della grotta, è composto da un gruppo di grandi punti, che può rappresentare un mammut. E 'forse uno dei primi esempi di divisionismo.
Gli scienziati hanno scoperto che i punti sono stati creati ricoprendo il palmo della mano destra con vernice rossa bagnata e applicando la mano alla parete.
La consistenza dei punti suggerisce che la pittura è stata creata da una sola persona.
L'artista avrebbe avuto un'immagine nella sua mente prima di iniziare il pezzo. In altre parole, non sembra essere una composizione casuale, c'era un progetto preciso.
La Cuevas de las Manos, Argentina (in Spagnolo la Grotta delle Mani), dispone di un pannello incredibile di dipinti a mano, realizzato dagli abitanti indigeni (forse antenati dei Tehuelches) circa 9.000 anni fa.
Le mani sono state principalmente stampinate.
All'interno della grotta ci sono anche raffigurazioni di esseri umani, guanachi, nandù, felini e altri animali, così come forme geometriche, a zig-zag, modelli di puntini rossi, rappresentazioni del sole, e scene di caccia. La maggior parte delle mani dipinte sono lasciate le mani, e di una dimensione che assomiglia a quella di un ragazzo di 13 anni; questo potrebbe essere stato una cerimonia di iniziazione.
Nel Borneo, Jean-Michel Chazine ha esplorato la remota regione del Kalimantan orientale, dove lui e il suo team di ricerca hanno scoperto oltre 1.500 impronte di mani negative in 30 grotte, e sono state datate a oltre 12000 anni la loro realizzazione.
Uno sforzo particolare è stato fatto, più volte, per creare i dipinti a mano, eventualmente da un numero limitato di partecipanti.
A differenza dei dipinti a mano presenti nel resto del mondo, ad esempio grotte di Kalimantan sono decorate con punti, trattini e modelli, e sono ritenute possibili rappresentazioni di energia di guarigione canalizzata attraverso le mani.
In alcuni dipinti a mano, un dito apparentemente manca.
Questi disegni "mutilati" avrebbero potuto essere fatti piegando il dito, e potrebbe essere stato in un tipo di linguaggio dell'artista, che voleva lasciare un messaggio particolare.
E' anche possibile che l'amputazione delle dita in corrispondenza dei giunti facesse parte dei rituali di iniziazione sciamanici in determinati momenti durante il Paleolitico superiore.
Questa mutazione è certamente nota in altre parti del mondo, come l'Africa meridionale, dove viene praticata dal popolo Khoekhoe.
Nelle Grotte de Gargas , nei Pirenei francesi, dove gli stencil a mano sono stati datati a 27.000 a.C., ci sono esempi di questo fenomeno.
Invece a Baja California troviamo impronte negative di mani,così come positive (vernice applicata alle mani e collocate sulla roccia), impronte di mani.
L'arte rupestre della penisola, conosciuta ora come i Grandi Murales, si pensa abbia avuto uno scopo cerimoniale e sciamanico nella cultura Cochimi, le impronte possono descrivere lo sciamano o l'artista.

sabato 14 marzo 2020

Shamanic music


Il Tengrismo


Il Tengrismo, a cui ci si riferisce occasionalmente come Tangrianesimo (turco: Tengricilik; azeroTenqriçilikturkmenoTaňryçylykmongoloТэнгэр шүтлэгrussoТенгрианство) è un termine moderno per la religione dell'Asia centrale caratterizzata da sciamanesimoanimismototemismo, sia politeismo che monoteismo e adorazione degli antenati.
Storicamente fu la religione di massa dei Turchi, dei Mongoli, degli Ungari e dei Bulgari, come degli Xiongnu e degli Unni. Fu religione di Stato di sei stati turchi dell'antichità: l'Impero Göktürk, il Khaganato degli Avari, il Khaganato turco occidentale, la Grande Bulgaria, il Primo impero bulgaro e il Regno dei Cazari.
Esiste anche come rinascenza moderna nelle attuali nazioni turciche dell'Asia centrale, tra cui il Tatarstan, la Buriazia, il Kirghizistan e il Kazakistan, negli anni seguenti alla dissoluzione dell'Unione sovietica (dagli anni 90 ad oggi). È ancora praticata e in fase di rinascenza organizzata in JacuziaChakassiaTuva, e altre nazioni di etnia turchesca all'interno della Russia. Il Burkhanismo è un movimento affine al Tengrismo concentrato sui Monti Altaj.
Khukh e Tengri significano letteralmente "blu" e "cielo" in mongolo e i Mongoli moderni pregano ancora con "Munkh Khukh Tengri" ("Cielo blu eterno"). Perciò i Mongoli si riferiscono poeticamente alla Mongolia come Terra dal cielo blu eterno. Nel turco moderno si parla di Tengrismo anche come Göktanrı dini, "religione del Dio Cielo", Gök è "cielo" e Tanrı "Dio".


giovedì 7 febbraio 2019

I Nativi Americani - Un grande classico di Lewis Spence, arricchito dai contributi di Jon E. Lewis, che apre le porte del mondo dei nativi americani: dalla loro religione allo stile di vita, dagli usi e costumi alle tradizioni e leggende. Il racconto entra nei dettagli della vita degli indiani d'America, fornendo anche una mappa dell'insediamento delle diverse tribù con le loro specifiche credenze. Il mondo dei nativi americani è reso attraverso la narrazione del mito delle tribù dell'intero Nord America e illustrato in tutto il suo fascino grazie a contributi eccezionali come un glossario degli dèi, degli spiriti e degli esseri mitici della Nazione. Quali sono le divinità alle quali gli Indiani intonano canti propiziatori? Qual è l'origine dei totem? Quali sono le leggende in cui credono? A queste e a tante altre domande Spence risponde con uno stile vivace che, unito all'esattezza delle ricerche storiche, ne fa un volume di riferimento imperdibile sia per gli appassionati del genere che per i neofiti. La storia degli indiani d'America non comincia nel 1492 con l'arrivo di Cristoforo Colombo, né nel 1620 con lo sbarco del Mayflower: I nativi americani traccia infatti un percorso ideale nel tempo e nello spazio per farci conoscere un mondo antico fatto di tradizioni, costumi e usanze sociali che si sono sviluppate in relazione al territorio e al rapporto con la natura. Un percorso e una riflessione che si rivelano illuminanti per l'uomo contemporaneo. Lewis ci accompagna con passione e maestria alla scoperta di questo universo magico e meraviglioso.

I Nativi Americani
Miti e Leggende
€ 18,00

domenica 13 gennaio 2019

Un'antica leggenda sulla diffusione dello Sciamanesimo



Una volta viveva nel lontano Nord sui monti dell'Altaj, la Dea Umai e suo marito Altading Aezi.
Essi vivevano in quel tempo in un luogo mite, un paradiso terrestre di immane bellezza dove persisteva la saggezza universale e la pace, si viveva in armonia con gli Spiriti e da lì gli Spiriti organizzavano e ordinavano il mondo.
Questa terra mitica, da molti associata a Shambala o a Atzlan, ancora oggi viene riconosciuta da molte tradizioni spirituali e da almeno otto religioni come il vero centro del pianeta, fulcro della spiritualità.

Un giorno Kur Depa, un enorme essere marino, capovolse il mondo sottosopra e sui monti dell'Altaj divenne freddo.
Altading Aezi allora viaggiò fino in cielo per chiedere aiuto agli Spiriti più potenti. Consultò tutti gli Spiriti nel tentativo di trovare Ulgen, il più alto di tutti loro, l'unico capace di girare il mondo.
Passò molto tempo e sull'Altaj era sempre più freddo, per salvare i suoi figli dal congelamento la Dea Umai trasformò le loro anime in rocce e strapiombi. Iniziò con i suoi due figli maschi e con quattro delle sue figlie femmine.
sciamanesimo mongoliaUmai e le sue ultime due figlie ancora non trasformate scesero a Sud di Altaj alla ricerca di un luogo più caldo ma anche lì era ugualmente freddo e lei e le sue figlie congelarono diventando una montagna con tre vette.
La vetta centrale è la testa di Umai e le due cime più piccole sono le teste delle due figlie, questa montagna esiste ancora oggi ed è chiamata Belucha.
Altading che nel frattempo aveva fallito la sua ricerca non fece più ritorno e gli uomini di Altaj rimasero senza divinità e l'armonia con la natura e con gli Spiriti fu spezzata.
I cambiamenti climatici e i cataclismi continuarono e gli abitati dell'Altaj, uomini dal sapere sacro, migrarono verso altre terre. Scesero nelle terre Siberiane e Lapponi mescolandosi e dando vita alle popolazioni Mongole, Samoiede, ecc; altri scesero in Tibet, Nepal e India; altri si spinsero fino a raggiungere Cina, Giappone ed Indonesia.
Un gruppo di loro, determinato a ritrovare la terra calda delle acque bianche, si spinse sulla strada del Nord. Alcuni si fermarono nell'America del Nord, altri giunsero più a Sud fino al centro e al Sud America.
Da loro discendono tra gli altri le popolazioni del Messico: Toltechi, Olmechi, Aztechi e infine Mexica e le popolazioni amazzoniche dell'Equador e del Perù.
Dovunque essi arrivarono portarono la conoscenza che avevano acquisito quando vivevano in armonia con gli spiriti, ovunque essi insegnarono lo sciamanesimo.