domenica 31 gennaio 2021
Atena e il Mito di Aracne
La dea Atena, la romana Minerva è dea della sapienza nella mitologia greca, figlia di Zeus che la partorisce già adulta. Fra i tanti miti associati alla dea ci soffermiamo su quello di Aracne che ci permetterà di fare alcune considerazioni. Riassumiamo brevemente il mito.
Aracne era una valente filatrice, che abituandosi ad essere elogiata incominciò a vantarsi di essere non solo la più brava fra i mortali, ma addirittura in grado di gareggiare con gli dei. Atena, dea dai molteplici ingegni, sia muliebri sia guerrieri, protettrice dei filatori, è irritata dalla superbia della donna. Non può sopportare che una comune mortale affermi di essere più brava di una dea nell’arte della tessitura. Sotto forma di vecchia si reca dalla fanciulla e le consiglia di non offendere gli dei. Per tutta risposta Aracne, ribadisce di essere migliore di Atena, al che la dea riprende le sue sembianze e sfida la giovane ad una gara di tessitura. La dea tessé un arazzo rappresentante lo scontro fra Poseidone e la città di Atena, mentre Aracne un’immagine degli amori di Zeus. La dea non potendo ammettere di essere stata sconfitta distrugge l’opera di Aracne e per punirla della sua superbia la trasforma in ragno, costretta a filare in eterno la sua tela. Questo mito evidenzia le capacità muliebri della dea Atena.
La dea è sinonimo di sapienza, tra l’altro nasce dalla testa di Zeus, ma possiede caratteristiche piuttosto varie. È dea guerriera ed è rappresentata spesso con elmo, lancia e scudo. Certo lo scudo potrebbe rappresentare la difesa della sua verginità, quindi potrebbe essere assimilata sempre alle caratteristiche di una dea femminile, ma la lancia è strumento di offesa e quindi questa interpretazione non regge: Atena è anche una dea guerriera. Essendo una dea della sapienza, le sue capacità guerriere non sono guidate dal furore come nel caso del dio Ares, dio della guerra, e la sua protezione è più sulle decisioni tattiche e strategiche. Non a caso è protettrice di Ulisse, soldato valente, ma soprattutto esperto di stratagemmi e in qualche modo diverso dagli altri eroi Achei. Basti pensare al pessimo carattere e all’irascibilità di Achille che lo fa essere rappresentante terreno del dio della guerra.
Ci si chiede perché Atena unisca tutte queste qualità contraddittorie. Il mito di Aracne lega la dea al ragno, che in molte mitologie è legato ai miti della creazione. Il ragno tesse la tela creando un mondo e attende al suo centro lo svolgersi degli eventi. Ogni parte della ragnatela è collegata, ogni elemento della creazione è collegata, come indicato dal famoso detto della tavola Smeraldina, ciò che è in basso è come ciò che è in alto. Il ragno tira le fila della creazione. Ciò fa ritornare in mente un altro mito, quelle delle Parche che governavano il destino degli uomini. Filavano ed ogni filo corrispondeva la vita di un uomo, ne decidevano lo svolgimento e al momento opportuno recidevano il filo, ovvero ponevano termine alla vita dell’uomo. È evidente che le Parche richiamano il simbolismo del ragno.
Qual è il legame fra Atena e il ragno? Atena è una dea che protegge le arti femminili regala l’ulivo alla città di Atene e nello stesso tempo è una vergine guerriera. L’ipotesi più probabile è che la figura della dea sia il risultato di una trasformazione, ad opera dei conquistatori greci, di un’antica divinità femminile adorata da una popolazione organizzata in una società di tipo matriarcale. I greci avendo una cultura patriarcale modificheranno la figura della dea che diverrà figlia di Zeus, ovvero di un dio-padre e quindi sottomessa ad un uomo.
Il legame con il ragno potrebbe lasciar intendere di essere stata, prima della conquista greca, una dea-madre, quindi generatrice del cosmo.
Questo spiegherebbe le varie caratteristiche della dea un misto di una divinità agricola e feconda e di una divinità guerriera, ma mitigata dalla sapienza. Per i greci il dio della guerra è Ares, non a caso una divinità maschile, mentre la bellicosità della dea viene temperata dalla sapienza come si addice ad una divinità femminile. Per i maschilisti greci sarebbe stato inaccettabile una divinità guerriera femminile.
domenica 24 gennaio 2021
Strane e Inquietanti Fotografie del Bohemian Grove
La tradizione del Bohemian Grove comprende molti miti che sono, effettivamente, soltanto dei miti. La storia di questo campeggio per “le persone più potenti della terra” affonda le proprie radici alla fine dell’800, quando Henry Edwards organizzò una cena in proprio onore con circa 100 invitati, conclusasi con il campeggio di fortuna sul luogo durante tutta la notte. L’anno seguente gli stessi invitati organizzarono una cena fra loro senza invitare il povero Edwards, tradizione che si mantenne durante i decenni successivi.
Nel 1899 acquistarono il terreno dell’attuale Bohemian Club, nei pressi di Monte Rio in California, ma lo spirito goliardico degli inizi si infranse contro le regole statunitensi del capitalismo, e il club fu requisito da alcuni potentissimi uomini d’affari americani. Da allora il Bohemian Grove ha continuato ad espandersi e a diventare sempre più grande, un campeggio con statue e altri simboli sparsi lungo tutte le centinaia di ettari dell’area interessata.
Già pochi anni dopo la sua fondazione cominciarono a circolare voci riguardanti oscure pratiche e rituali mistici che si svolgevano durante le due settimane del campeggio più ricco ed esclusivo del mondo. Con il proliferare delle teorie del complotto e di altre correnti di pensiero riguardanti l’élite che controlla il mondo, il Bohemian Grove divenne il simbolo stesso del potere, un luogo nel quale, secondo alcuni, vengono decise le sorti del mondo intero.
Assieme a queste teorie vengono anche identificate alcune pratiche che, secondo molti, includerebbero rituali quali sacrifici umani, attività paranormali e addirittura il contatto con gli alieni. Se alcune sono soltanto fantasie, è però vero che i membri stessi raccontano ai nuovi arrivati di come sia stato proprio al Bohemian Grove che abbia preso corpo il “Progetto Manhattan“, che portò alla realizzazione della bomba atomica.
Altri incontri celebri sono stati quelli fra Ronald Reagan e Richard Nixon (fotografia sotto), che si sarebbero accordati, proprio all’ombra delle sequoie californiane, sulle date di candidatura alla presidenza, ritardando al 1980 quella di Reagan.
Il sito Ghost Diaries ha recentemente pubblicato alcune fotografie che afferma essere provenienti dagli archivi della UC Berkeley, fotografie strane ed inquietanti che non fanno altro che alimentare a dismisura le teorie complottiste.
Alcune delle personalità che hanno partecipato al campeggio sono state:
George Bush Junior e Senior, Richard Nixon, Ronald Reagan, Herbert Hoover (che lo definì “the greatest men’s party on Earth”), Dwight Eisenhower, Gerald Ford, Dick Cheney, Colin Powell, Donald Rumsfeld, George Shultz, Karl Rove, Al Gore, Jack Kemp, Caspar Weinberger, Shimon Peres, Helmut Schmidt, Michel Rocard, James Baker. Nel 2006 tra i circa 250 invitati erano presenti Rupert Murdoch, Tony Blair, Shimon Peres, Bill Clinton, Al Gore, Arnold Schwarzenegger, Bono.
Rituale dell’impiccato:
Il gigantesco gufo:
Sotto, il video di Alex Jones sul Bohemian Grove. Il rituale del Cremation of Care inizia al minuto 59/60:
Le immagini sono di pubblico dominio
lunedì 4 gennaio 2021
Il portale nord della chiesa di Urnes - Norvegia (XI secolo)
I serpenti e i draghi attorcigliati rappresentano la fine del mondo secondo la leggenda nordica dei Ragnarök.
sabato 2 gennaio 2021
L'antico mito della «lingua degli uccelli»
DI CARLO LAPUCCI
Si dice ai bambini, quando vogliono sapere come abbiamo fatto a conoscere un loro segreto e non vogliamo scoprire il gioco:
Me l'ha detto un uccellino
Può essere che questa frase non sia del tutto casuale, dal momento che i pappagalli e le gracule parlano, altri uccelli si dicono saggi, come il gufo, la civetta e soprattutto le nostre favole sono piene di uccelli parlanti.
In realtà una credenza popolare diffusa vuole che gli uccelli parlino tra loro e quelli che noi riteniamo canti siano invece loro conversazioni. Di fatto sono gli unici animali capaci di pronunciare una parola umana, ma pare che il loro linguaggio sia da interpretare come lingua completamente diversa dalla nostra. Nella tradizione marchigiana, toscana, umbra, romagnola si trova sovente il motivo di favole nelle quali l'eroe viene a conoscenza della lingua degli uccelli e, ascoltando le loro conversazioni, conosce tutto, tutto prevede, per cui arriva a sposare la figlia del re e procurarsi una buona sistemazione a corte. Si dice anche che chi impara la lingua degli uccelli sia destinato ad essere re o papa.
Pitrè riferisce una fiaba siciliana, di probabile provenienza araba, con questo tema, però nella saga nordica dei Nibelunghi Sigfrido, bevendo una goccia del sangue del drago Fafner che ha ucciso, comprende immediatamente la lingua misteriosa e un uccello ha addirittura una parte nel Sigfried di Wagner.
Dietro di noi il paganesimo aveva istituzionalizzato l'arte di vaticinare attraverso gli uccelli. Gli àuguri erano appunto i sacerdoti che si occupavano di trarre questi auspici, inizialmente dal volo e dal canto degli uccelli, poi l'indagine si fece anche attraverso i tuoni, i lampi, le eclissi, le comete e altro.
Questa materia è collegata all'arte divinatoria, nella quale da noi furono maestri gli Etruschi, tanto che l'aruspicina era detta etrusca disciplina. Alla religione etrusca si fa risalire l'origine di tale pratica, in particolare a Tarconte al quale sarebbero state fatte le rivelazioni fondamentali della religione etrusca dal dio Tagete che balzò dal solco tracciato da un contadino a Tarquinia. Con il corpo di fanciullo e il volto di vecchio, apparve, visse e scomparve in un solo giorno durante il quale lasciò i suoi insegnamenti che furono trascritti poi nei Libri Aruspicini.
L'origine della tradizione
Adamo ed Eva si credeva conoscevano bene sia il linguaggio degli animali che quello delle piante: commesso il peccato non si ricordarono più una parola. Nella tradizione poi Salomone, ricevuta da Dio la sapienza, tornò a conoscere il linguaggio degli animali, ma si guardò bene da rivelare ad alcuno il segreto. Per tradizione antichissima, ancora non spenta, si vuole che gli animali parlino tra loro la notte di Natale, ovvero in quella dell'Epifania. Guai a quel contadino che, udendoli, s'intromette nei loro discorsi: cade morto di botto. Si tratta di qualcosa di più serio d'un gioco: sono reminiscenze di qualcosa si molto antico.
Aulo Gellio, nelle Notti attiche (IX, 12), riferisce che si attribuiva a Democrito la teoria che certi uccelli hanno la propria lingua e parlano tra loro. Inoltre insegna che, mescolando il loro sangue, si genera un serpente, mangiando il quale si arriva a comprendere le parole degli alati. Plinio nella Storia naturale (X, 70), ricorda Melampo, mitico indovino che dava i suoi vaticini tolti dalla lingua degli uccelli. Anche in questo caso furono i serpenti, da lui allevati, che, leccandogli le orecchie, vi infusero la virtù di conoscere il linguaggio degli animali. Il collegamento magico tra il serpente e l'uccello è rivelato nella nostra fiaba col suo percorso costante: la forma che più frequentemente assumono le fate è quella della serpe.
Melampo, forte di questa abilità, se ne servì in molte divertenti occasioni, come quando chiese ai tarli, che rodevano le travi della sua stanza, se ne avevano ancora per molto: sentendo che stavano per finire il lavoro, uscì e si salvò dal crollo per miracolo. Ma il colpo grosso lo fece salvando la solita figlia del solito re (Preto si chiamava), sistemandosi benino.
Si tocca così la connessione col sacro di questa strana credenza, diffusa sia pure in modo diverso in una grande quantità di popoli. Che gli uccelli siano messaggeri di Dio in senso proprio lo si è creduto in epoche arcaiche, ma sia pure a distanza di millenni la cosa ha lasciato il suo segno, anzi, quasi alle soglie della nostra epoca si è trasformata prendendo forme sempre più fantastiche ed evanescenti, entrando nelle dicerie, nelle favole, nelle superstizioni che impediscono di cacciare e uccidere certe specie, mettendone altre sotto il patrocinio di divinità come è per noi la rondine protetta dalla Vergine. Questo ha tenuto viva la suggestione che gli uccelli, più delle altre creature, sapessero del mistero del mondo, comprendessero la nostra vita meglio di noi e comunicassero con la loro voce cose che qualcuno riusciva a carpire. Del resto figure diversissime ne hanno subito il fascino: da San Francesco che parla loro come a esseri umani, a Leopardi che scrive l'elogio degli uccelli, per non ricordare Cristo che li addita come esempio, come i fiori.
Che la Terza persona della SS. Trinità compaia nel Vangelo sotto forma di colomba non è un caso, mentre si va perdendo la nostra cognizione del passato e dei messaggi che ci ha lasciato. Ad esempio l'immagine assai comune degli uccelli che bevono a una fontana passa dai mosaici bizantini toccando tutte le epoche, ma un tempo era intuitivo che sì, era simbolo delle anime che s'abbeverano alla verità, ma era altresì pacifica l'allusione che la fontana, soprattutto se aveva tre getti, era l'immagine di Dio e gli uccelli che ne ascoltavano la voce erano le anima umane. Infatti lo spazio sacro del giardino, soprattutto il chiostro, aveva al centro la fontana, il cui mormorio era segno della voce divina, sia per la nostra che per la tradizione islamica.
Una credenza comune, semplice, che ha lasciato una traccia anche nel linguaggio (confidare nella propria buona stella), affonda le sue radici nella notte dei tempi e si presenta ancor oggi molto diffusa: che ogni vita umana sia legata a una stella e da questa dipenda la sorte buona o cattiva secondo che sia benevola o malevola. Essendo considerato il cielo stellato nient'altro che l'esercito di Dio schierato a battaglia (cosmos) è naturale l'identificazione delle stelle con gli angeli e come queste detengono i decreti della volontà divina, gli angeli l'attuano sulla terra e tra gli uomini.
In realtà, come accenna R. Guénon, (La lingua degli uccelli in «Simboli della scienza sacra», Adelphi, Milano 1975, pag. 56), questa credenza sposta l'origine in tempi remotissimi, quando gli uccelli furono visti come messaggeri degli dèi e i loro canti furono presi per parole e, siccome i canti degli uccelli sono di solito belli, l'uomo pensò che in alto ascoltassero la voce di Dio e quaggiù ripetessero le sue parole. Dunque gli uccelli, abitatori del cielo, alati e canori, hanno molto a che fare simbolicamente con gli angeli, che sono appunto i nunzi e gli esecutori della volontà di Dio sulla terra: Tobia, le piaghe d'Egitto, l'annuncio alla Vergine e altri episodi.
La diffusione della leggenda
Un detto vuole che chi comprende la lingua degli animali è destinato a divenire papa, come si legge anche in una fiaba (Comparetti, Novelline popolari italiane, 1875. Il linguaggio degli animali, Novella LVI, pag. 242).
Il motivo della lingua degli uccelli è molto diffuso nelle fiabe, e anche in quelle toscane. La presenza di uno stesso tema in molte aree linguistiche di diversa civiltà o tradizione di solito è segno che all'origine esiste un elemento forte, quale potrebbe essere appunto il fatto religioso o mitologico che abbiamo indicato. Possiamo dire che tale mito è universale perché si trova in Africa in Cina e in molte tradizioni orientali.
Per fare qualche esempio relativamente all'area toscana questo motivo si trova a Pisa nella fiaba L'uccellino che parla (Comparetti 117-24); a Firenze, nella stessa fiaba raccolta dall'Imbriani (La novellaia fiorentina, 81-93); in molte località si trova ne L'uccel-bel-vede che è una fiaba assai diffusa; a Pratovecchio ne La gazza (G. Pitrè Novelle popolari toscane I, 63, pagg. 324-5); ne L'usignolo e i suoi ammaestramenti (Palazzi, Enciclopedia della fiaba, pag. 389) e l'assai nota Capra ferrata.
L'uccello parlante nelle fiabe viene a prendere il posto del vecchio saggio che all'inizio della sua avventura indica al protagonista i pericoli, gl'inganni ai quali andrà incontro, ovvero gli fornisce mezzi o stratagemmi per evitarli. Questo lo pone, sia pure nelle veste dimessa dell'animale, nella metamorfosi di un essere superiore, ovvero nel messaggero del destino o d'una forza sovrumana. Infatti la capacità di parlare si trova estesa poi anche agli animali in genere che dialogano con gli uomini che ne hanno la facoltà. Nelle Fiabe e leggende popolari siciliane del Pitrè vi è una narrazione nella quale Cristo concede a un uomo di intendere questa lingua con il divieto di rivelarlo ad alcuno, pena la perdita di tale potere. Così anche in una leggenda abruzzese.
Tra le popolazioni del mare ha una particolare importanza il gabbiano. Una credenza assai diffusa vuole che i gabbiani non siano uccelli, ma anime di marinai annegati con qualche debito col cielo, condannati a vagare sul mare per cento anni, dopo i quali saranno giudicati da Dio. Per antica usanza le donne quando vedono passare i gabbiani che vanno verso il mare affidano loro messaggi da portare ai loro mariti che navigano in acque lontane, certe che gli uccelli sapranno ispirare le loro parole nella mente dei propri cari. Le vedove un tempo si recavano sulle scogliere per chiedere quale sia stato il destino dei loro sposi dispersi nelle onde, credendo d'intendere le risposte nel gracidare dei gabbiani e nel suono della risacca.
Molte leggende cristiane di santi riferiscono di uccelli con i quali questi intrattennero colloqui e rapporti, o ne furono alimentati e soccorsi, anche per lungo tempo. San Benedetto addirittura, come racconta San Gregorio Magno, dava ogni giorno nella sua cella da mangiare a un corvo che obbediva ai suoi comandi e un giorno, senza neppure assaggiarlo, si accorse che un pane era avvelenato e lo portò dove nessuno avrebbe potuto toccarlo. Altri narrano che sia stato proprio il corvo ad avvertire il santo del pericolo, ma fu sempre un corvo a indicargli la strada mentre andava verso Montecassino a fondare il suo convento.
Di San Paolo eremita si racconta che, ritiratosi nel deserto per fuggire le tentazioni, abitò in una spelonca solitaria dove nessuno mai passava. Per tutto il tempo che visse un corvo giungeva a volo all'ora del pasto a portargli un pane e il Santo poté così dedicarsi allo studio e alla preghiera, senza la necessità di procurarsi il cibo. Ora, un giorno andò Sant'Antonio a visitarlo e l'eremita non sapeva cosa mettere in tavola, ma all'ora consueta, il corvo giunse portando due pani invece di uno, per sfamare anche l'ospite.
Lo schema di questa leggenda si trova nell'Antico Testamento: di Elia profeta si narra che un corvo gli portò per tutto il tempo che rimase nello speco di Carith, un pane che lo sfamò (III Libro dei Re, XVII, 6). La stessa cosa si racconta oltre che di San Paolo eremita, anche di altri Santi e di San Rocco si narra che questo fu fatto da un cane.
Non è quindi un caso che Noè abbia fatto uscire dall'Arca dopo il Diluvio, due uccelli destinati a portare l'annuncio della fine del Diluvio, prima il corvo, che non tornò, fermandosi a mangiare una carogna d'asino (Genesi VIII, 6) e poi la colomba.
Per una strana logica indecifrabile del mondo la civiltà industriale, invece di aver allontanato gli uccelli dalla nostra vita come ha fatto degli altri animali, li ha avvicinati. Infatti la caccia e l'agricoltura, coi fertilizzanti, i diserbanti, le bonifiche e la soppressione di corsi d'acqua e di zone umide, allontanano i poveri uccelli dalle campagne e dai boschi spingendoli sempre più dentro le città, dove pian piano si ambientano, si familiarizzano, si adattano trovando non solo una relativa pace nei parchi, nei viali, nei giardini, lungo i fiumi dove nessuno li prende a fucilate, ma trovano anche di che alimentarsi. E così, forse anche attraverso di loro, arriva a noi talvolta flebile e dolce l'antica voce di Dio.
Simbologia ed iconografia
Ancora Tomaso Garzoni (La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Discorso XL) rinverdisce questa credenza nota anche nel XVI secolo, nel quale scrive e fa capire che alla lingua degli uccelli in qualche modo si credeva ancora.
A noi restano, di tutta questa illustre e fascinosa tradizione, oltre alle favole, le briciole che quasi nessuno ormai scopre nascoste come sono nella simbologia e nell'iconografia del passato. Nessuno fa caso ad esempio che nella rappresentazione degli antichi di solito ogni divinità appariva accompagnata dall'uccello che le era sacro: Giove con l'aquila, Atena con la civetta, Venere con i passeri, Giunone con la colomba e così gli altri.
Assai diffusa è la diceria che il canto della civetta porti guai, quello dell'usignolo amore, quello dell'allodola gioia, quello della rondine appena giunta dal mare reca pace e serenità, quello del cuculo danaro se, la prima volta che si sente a primavera, si ha l'accortezza di mettere la mano in tasca e toccare una moneta.
Tuttavia, tutto quello che vola, siccome qualcosa con il cielo ha a che fare, è capace di rivelare l'arcano. Il volo del moscone annuncia una visita, quello della vespa una novità, quello del pipistrello che entra in una casa vi porta discordia, poca allegria portano il canto dei gufi e delle cornacchie: ma si vuole che questa facoltà tali animali le abbiano avuta dal diavolo.
Curiosamente l'espressione lingua degli uccelli indicò in alchimia un sistema di procedere nella ricerca attraverso analogie ed equivalenze fonetiche nella convinzione che le parole abbiano delle connessioni segrete che si attivano attraverso i suoni.
Il gioco dei ragazzi
E' un gioco che fanno ancora i ragazzi quando vogliono formare un gruppo iniziatico che usa un linguaggio incomprensibile agli estranei.
Consiste nell'aggiungere alla fine d'ogni sillaba, più o meno rigorosamente identificata, i suffissi: -gasà, -ghesé, -ghisì, -gosò, -gusù, ripetendo la vocale della sillaba stessa. Una frase come: Gigi ha mangiato la mela, diventa: Gighisì gighisì hagasà mangasà giagasà togosò lagasà meghesé lagasà.
Così si usa raccontare una semplice storia con altri inserimenti precostituiti e variabili secondo le sillabe, come La storia della vecchia inecchia buffecchia, Il Vecieto nareto buffeto o Lu Re-befè-viscotta-e-minnè.