Molto è stato scritto in vari libri riguardo a questo argomento. Testimoni oculari narrano di monaci tibetani in grado di sollevare e frantumare enormi blocchi di pietra, utilizzando il suono prodotto dai tamburi e dalle loro caratteristiche trombe lunghe tre metri.
Un ingegnere svedese, Henry Kjellson, scrisse su misteriose e sconosciute tecnologie, in alcuni libri come “Teknik Forntiden” e “Forsvunden Teknik”, nei quali riportò un paio di queste esperienze. Scrisse di un medico svedese, che lui chiamò “Jarl”, che nel 1939 poté assistere, a sud-ovest di Lhasa, come i monaci tibetani spostavano grossi blocchi di pietra a ben duecentocinquanta metri di altezza, dirigendoli dentro una caverna che si trovava su di una parete rocciosa davanti a loro.
“Utilizzavano tredici tamburi e sei lunghe trombe, poste a semicerchio a circa sessanta metri da una enorme pietra piatta interrata, la cui superficie era stata resa concava di una quindicina di centimetri. La pietra distava duecentocinquanta metri dalla parete di roccia. Dietro ogni strumento, intervallati di cinque gradi l’uno dall’altro, si erano disposti i monaci, dieci per ogni fila. Ognuno in un punto preciso indicato da un monaco che prendeva accurate misure sul terreno. I tamburi erano aperti dal lato rivolto verso la pietra. Tutti gli strumenti erano puntati verso il blocco da spostare che era stato posto sulla pietra piatta. Un monaco con un piccolo tamburo iniziò a battere il ritmo e gli altri strumenti si misero a modulare un suono ritmico, che aumentava di intensità gradualmente.
Quattro minuti di attesa, immersi in un mormorio, un ronzio, che non riesci più a seguire nella sua velocità; poi il blocco inizia a ondeggiare, si solleva, mentre gli strumenti lo seguono nel movimento, accelera la sua velocità e si dirige, con un’ampia parabola, dentro la caverna ove atterra sollevando polvere e pietre. Un secondo blocco viene posto sulla pietra piatta e l’operazione si ripete. In tal modo ne vengono spostati sei ogni ora. Se il blocco acquista troppa velocità quando atterra nella caverna, si spezza. I residui vengono buttati giù dalla parete e si ricomincia”.
Incredibile, ma la dovizia dei particolari forniti, le misure riportate, indicano che si tratta di una tecnologia che permette la levitazione sonica.
Sembra che il dottor “Jarl” abbia riportato in Inghilterra testimonianza fotografica di quanto visto e che il tutto sia stato confiscato e sparito nel nulla.
Non è la sola vicenda in merito riportata da Kjellson.
Sempre nel 1939 era presente ad una conferenza tenuta da tale Linauer, cineasta austriaco, il quale affermava di aver assistito in un monastero in Tibet, negli anni trenta, a fenomeni straordinari che rivoluzionavano le conoscenze fisiche.
Linauer parlò di un gong di tre metri e mezzo, composto da tre metalli. Al centro l’oro, intorno un cerchio di ferro, entrambi racchiusi in un anello di ottone. Quando veniva percosso, il gong emetteva un suono sommesso e breve.
Vi era anche un secondo strumento, simile ad una grossa cozza, anch’esso composto da tre metalli, largo un metro e alto due, che aveva sulla superficie delle corde in tensione. Non veniva suonato, ma, come gli riferirono i monaci, emetteva un onda di risonanza non udibile quando veniva percosso il gong.
Davanti a questi strumenti venivano posizionati un paio di schermi, in modo da formare uno strano triangolo e contenere l’onda prodotta nello spazio circoscritto. Nel momento in cui veniva prodotto il suono, un monaco poteva sollevare, con una sola mano, un gigantesco blocco di pietra.
I monaci dissero all’austriaco che con tale sistema avevano costruito la muraglia che delimitava il Tibet e con lo stesso sistema potevano disintegrare la materia fisica. Era un segreto tramandato fra i monaci che non potevano rivelarlo al mondo perché l’uomo lo avrebbe certamente male impiegato.
In tempi recenti è stato dimostrato che è possibile sollevare piccole pietre utilizzando vibrazioni sonore. La gravità attira le cariche positive e respinge quelle negative, per una ragione ancora ignota. La frequenza esatta causa la disintegrazione delle particelle dure della pietra provocando una carica negativa e facendo levitare la pietra. Gestendo la carica negativa, si può gestire la velocità, la direzione e la durata.
Sembra che questa sia la strada giusta da seguire, già seguita da qualcuno nel passato, altrimenti perché alcune colonne egizie risuonano come diapason giganti?
A Karnak, infatti, tre obelischi, ricavati dal granito rosa estratto da Assuan, a ben 180 chilometri di distanza, sono in grado di produrre una vibrazione. Quale sia la loro esatta funzione nessuno lo può dire con certezza, forse il pilastro con il quale si raffigurava il dio Amon. Nel Museo del Cairo è conservato quello che resta dell’obelisco di Hatshepsut, proveniente da Karnak; in origine doveva essere alto trenta metri, adesso ne restano solo una decina. Fino a pochi anni fa la guida lo avrebbe percosso per far udire ai visitatori la bassa risonanza che emetteva e che durava per molti secondi, oggi è stato ancorato col cemento e non emette più nessun suono.
Perché costruire obelischi che fossero in grado di emettere suoni bassi?
Risulta chiaro che vi era una profonda conoscenza delle proporzioni armoniche per spostare blocchi e perforarli, come affermano Cristopher Dunn ed Walter Emery; una conoscenza ereditata in epoca anteriore. Alcuni templi egizi producono sonorità di bassa frequenza.
Karnak Obelisco
Gli antichi testi incisi sulle pareti ad Edfu parlano della sua costruzione avvenuta nel “Primo Tempo” e delle sacre cerimonie che vi si svolsero per “dare vita” al Tempio. Cosa significa “dare vita”? Mettere in moto un meccanismo? Per caso al suono di una nota, creando una frequenza?
Anche le pietre dell’Oseiron possiedono proprietà sonore. È noto che i monoliti di Stonehenge amplificavano i suoni prodotti durante le cerimonie che si svolgevano fra le sue pietre.
La risonanza di un corpo o di una costruzione è determinata dalla sua dimensione, dalla massa, dalla simmetria, dai componenti del materiale che possono influire sulla vibrazione per simpatia. Quest’ultima è un fenomeno sfruttato per praticare fori nel quarzo, utilizzando trapani ad ultrasuoni. Vi sono minerali che non rispondono perfettamente agli ultrasuoni e diventano difficili da lavorare.
La camera del Re della grande piramide è stata costruita basandosi sulle regole di Pitagora, che servono ad ottenere proporzioni armoniche in grado di produrre note musicali. Nel caso specifico sembra che sia il “Do” derivante dalla combinazione del “Re”, “Sol” e “Mi”.
Il primo a notare queste proprietà fu l’egittologo Sir William Flinders Petrie, nel 1881. Nella ricerca di una camera segreta decise di far sollevare il sarcofago di granito. L’operazione, pur con molti sforzi, riuscì e il blocco fu sollevato di venti centimetri. Quando Petrie lo percosse, come lui stesso affermò, “produsse un suono profondo di una bellezza straordinaria e soprannaturale”. Indubbiamente le sue dimensioni e il suo volume erano fondamentali per ottenere la migliore risonanza armonica.
Anche Cristopher Dunn fece qualcosa di simile. Percosse il sarcofago per identificare il suono prodotto e più tardi riprodusse con la voce quella nota, scoprendo che la risonanza aumentava quando raggiungeva la nota superiore di un’ottava. Si accorse così che le parole pronunciate nell’Anticamera avevano trapassato le spesse mura della costruzione, rimanendo registrate nell’apparecchio situato nella Camera del Re, come fossero state proferite in quel punto.
Come abbiamo visto, dal Tibet giungono storie incredibili che narrano di un tempo in cui i nostri antenati erano a conoscenza di una tecnologia sonica impiegata nelle costruzioni, un valido aiuto nel lavoro manuale. Una tecnica simile a quella narrata dagli Indios di Tiahuanaco agli spagnoli. Circa ventimila anni fa la città Inca fu eretta da uomini capaci di sollevare pietre e trasportarle dalle cave situate sulle montagne, al suono di una tromba.
Erano gli uomini di Ticci Viracocha, alto di statura, con la pelle chiara, gli occhi azzurri, i capelli biondi e una folta barba. Egli muoveva le pietre utilizzando un fuoco celeste che le avvolgeva senza consumarle e permetteva di sollevarle con le mani.
Tra le rovine di Tihuanaco sono state trovati monoliti con sezioni a più strati, ad angolo retto, scavati nei fianchi, che si ipotizza potessero servire a definire l’esatta frequenza di risonanza dei blocchi di pietra.
Anche i Maya presentano racconti simili, dove una razza di nani riuscivano a posizionare le pietre al posto voluto utilizzando un fischio.
Tihuanaco
Alcuni racconti Greci parlano di un figlio di Zeus, Anfione, gemello di Zete, con il quale cinse di mura Tebe, utilizzando ciclopiche pietre che da sole si posizionarono una sull’altra al suono della sua lira. Si racconta che quando suonava lo strumento le pietre lo seguivano. La cosa più curiosa è che era stato istruito da Mercurio, l’Ermes greco, guarda caso il Thoth egizio tenutario di tutta la conoscenza.
Dagli scritti di Sanconiatone veniamo a conoscenza che quando gli uomini vivevano in armonia con gli Dei, durante la famosa età dell’Oro, uno degli dei, Taautus, il Thoth egizio, fondò la civiltà Egizia.
Era il tempo in cui Urano, chiamato anche Cielo, fondò la città di Biblo, “Betulla”, “creando pietre che si muovevano come dotate di vita propria”.
Innegabile però che nei territori Maya vi siano luoghi che presentano inspiegabili proprietà acustiche. A Chichen Itza, il sussurro emesso nel tempio situato a nord nello Sferisterio, simile ad un campo da gioco a cielo aperto, lungo centosessanta metri e largo sessantotto, può essere udito all’altro lato, nel tempio situato a sud, a centoquaranta metri di distanza.
Nel 1931 il direttore d’orchestra Leopoldo Stokowski, in collaborazione con Silvanus Morley, trascorse ben quattro giorni per cercare di carpire il segreto dell’acustica Maya senza riuscirvi. Spostarono il fonografo, con il quale suonavano le ultime incisioni di Stokowski e dell’orchestra Sinfonica di Filadelfia, in svariate posizioni per definire le superfici riflettenti, ma il segreto acustico è uno dei misteri irrisolti dell’America antica.
Sempre a Chichen Itza si trova il Castiglio, una piramide dalla forma particolare. Emettendo un leggero suono, o parlando a voce bassa restando alla sua base, l’eco prodotto alla sua sommità diviene un urlo acuto. Se una persona parla mentre si trova sulla sua cima, l’eco può essere udito a grande distanza, qualità riscontrata anche in un’altra piramide a Tical e in altri siti.
piramide maya situata a Chichen Itza
A Palenque tre persone che si trovassero sulla vetta delle tre piramidi esistenti nel luogo, potrebbero parlare fra loro come se fossero una accanto all’altra.
Un suono prodotto alla base della Piramide del Mago ad Uxmal, secondo le leggende locali eretta da una razza di nani che usavano spostare le pietre emettendo un fischio, riproduce alla sua sommità una specie di cinguettio.
Le guide di Tulum indicano il tempio che fornisce un prolungato sibilo quando cambia la velocità del vento e dichiarano che è utilizzato come segnale di pericolo in caso d’uragani e grandi tempeste.
L’esploratore Wayne Van Kirk ha scritto di aver avuto modo di osservare, grazie ad una guida del luogo, una specie di bossoli di cartucce in pietra, che una volta percossi davano dei suoni perfettamente sintonizzati, con i quali si poteva suonare un motivo.
Dobbiamo considerare che i Maya conoscevano molto di più di quanto viene loro accreditato e la produzione di quei suoni di uguale intensità, da est ad ovest, di giorno e di notte, è uno dei tanti eccezionali risultati ingegneristici, realizzati dalle antiche tecniche Maya migliaia d’anni fa. Tecniche che a tutt’oggi, architetti e archeologi, non sono ancora capaci né di riprodurre, né di spiegare.
Gli archeologi hanno considerato che tali risonanze sia prodotte dallo stato di rudere cui sono ridotti gli edifici, ma Manuel Sansores, che è stato impegnato nella loro ricostruzione, dichiara che se gli edifici fossero completi permetterebbero al suono di divenire più chiaro e forte.
Ma forse la più interessante testimonianza della levitazione, ereditata da un lontano passato, è ancor oggi presente nel villaggio indiano di Shivapur, nel cortile all’esterno della moschea dedicata al Santo Sufi Qamar Alì Dervish, c’è una pietra cilindrica di oltre 60 Kg. Ogni giorno, durante la preghiera, undici fedeli la circondano mettendisi a ripetere il nome del santo fino a raggiungere una certa intensità acustica: a quel punto, gli undici uomini sollevano la pietra usando un solo dito ciascuno e poi, appena terminano la litania, fanno tutti un rapido balzo all’indietro, per evitare d’essere colpiti dalla pietra che a quel punto ricade a terra a peso morto…
A Bijbihara, a sud di Srinagar, la capitale del Kashmir, è custodita da tempo immemorabile la “Saing-i-Musa” (letteralmente: Pietra di Mosè), detta anche Ka Ka Pal. Si tratta di un “sasso” di 49 chili. Anche in questo caso, se undici persone mettono contemporaneamente un dito sulla base del macigno ripetendo una particolare cantilena (ka ka ka ka), la pietra si solleva da sola. Con un numero diverso di persone, non funziona. Secondo la leggenda, questa pietra simbolizza le undici tribù d’Israele – rimaste dopo che ne fu diseredata una, quella di Levi.
E nell’ambito della levitazione in campo spirituale, è forse ancor più misteriosa quella meditativa, cioè quella ottenuta dai fachiri indiani e dagli stregoni africani – in grado di sollevarsi dal suolo e rimanere sospesi per un certo tempo in assoluta immobilità. Dopo aver raggiunto un grado estremo di rilassamento e di distaccamento dal corpo, la mente di un soggetto immerso in tale meditazione riesce a trascendere la forza di gravità, con il risultato che il corpo inizia a fluttuare verso l’alto rimanendo in equilibrio ad una certa distanza da terra. Anche questo tipo di levitazione può considerarsi acustica, perché viene preceduta dalla recitazione di mantra (in India) o di particolari cantilene (in Africa) e mantenuta ad un particolare e costante “accordo” musicale mediante una respirazione “circolare”, adatta a produrre determinate vibrazioni nella mente e nell’etere…
Tutti questi fenomeni sovvertono ogni legge fisica conosciuta, lasciandoci intendere che ci sono molte Leggi che sfuggono ancora alla nostra comprensione, benché esistano al di là del fatto che ci crediamo o meno. La levitazione acustica – ovvero l’anti-gravità ottenuta per mezzo del suono – è sicuramente uno dei fenomeni quantici più affascinanti che l’uomo tenta di comprendere, usare e sfruttare.
Il lavoro di John W. Keely
“L’Universo consiste interamente di onde di movimento” spiega Walter Russell nel capitolo 31 del libro A New Concept of the Universe. In altre parole: “Non esiste nient’altro che vibrazione” Dopo questa affermazione sconcertante, Russell sferra un ulteriore attacco alla credenza ortodossa di un Universo “materiale”: “Qualunque teoria che non sia in grado di trovare un appropriato posto all’interno dell’onda, a causa di ciò non ha nessun altro posto all’interno della Natura”. Parole sicure, dure e senza mezzi termini, ma possono resistere indenni a un esame? È possibile creare il paradigma di una Natura “strutturata interamente in onde” o Teoria della vibrazione? Investigando il lavoro pioneristico e le invenzioni di John Worrel Keely siamo portati a credere che sia davvero così…
John W. Keely
Logicamente parlando, perché possa esistere un paradigma di questo tipo bisognerebbe esprimersi interamente in termini e concetti di vibrazioni, evolvendo – lungo tutto il cammino dell’attività umana – da una serie di idee relativamente semplici a quella molto più complessa dei fenomeni atomici e subatomici. Per quanto ritenga che sia possibile farlo, di certo non lo sarà in un articolo breve come questo. Ma poiché un’opinione dovrebbe essere dimostrata, penso che le duemila apparecchiature inventate da Keely – tutte basate su questo principio – abbiano mostrato al mondo, in maniera inconfutabile, che ogni singola vibrazione è connessa con tutte le altre.
John W. Keely passò tutta la vita a studiare la forza cosmica misteriosa liberata dai suoi apparecchi, ottenendo dei risultati che nessuno ha mai saputo replicare; il fondamento delle sue scoperte era la convinzione che le vibrazioni del Cosmo producessero una forma di musica, le cui ottave – opportunamente accordate – potessero liberare un’Energia inesauribile. Scrisse perfino un trattato dove spiegò, definì e ordinò le “40 leggi dell’Armonia”, da lui scoperte, dal quale traspare un Universo non solo “musicale”, ma perfettamente armonico e – di conseguenza – mai caotico…
Le sue invenzioni straordinarie dimostrarono che tutte le cose e le energie sono interconnesse; che ogni cosa è costruita da una semplice vibrazione fino ai più complessi accordi (usando i principi universali della sola vibrazione); che non esiste il Caos nell’Universo; che ogni cosa esiste in virtù dell’armonia tra le vibrazioni che fa che sia ciò che è; che tutte le cose sono intimamente connesse per mezzo della vibrazione simpatica.
Alcuni macchinari usati da Keely
Nell'Universo, dagli atomi alle galassie, tutto si trova in uno stato particolare di vibrazione. Anche ogni singola parte del nostro corpo ha una vibrazione che dev’essere armoniosa per mantenerci in salute; le malattie, infatti, si instaurano nel momento in cui viene alterata la frequenza vibratoria naturalmente perfetta di organi, tessuti e cellule di cui è composto il corpo umano. Ci sono anche vibrazioni più o meno armoniose che interagiscono a livello sottile tra corpo, mente e spirito.
In questo sistema perfetto, i suoni hanno un ruolo fondamentale nel corpo umano come in tutto il Cosmo; se una vibrazione può far ammalare o guarire, ma anche rompere un vetro, probabilmente può anche sollevare un peso. E questo dev’essere stato il primo ragionamento che portò lo scienziato americano John Worrell Keely (1827-1898) a sperimentare il modo di sfruttare la risonanza per eliminare la forza di gravità…
Forse era anche a conoscenza del fatto che i lama di alcuni monasteri tibetani riescono a spostare pesanti rocce ad un particolare suono emesso dalle loro trombe. Strana “coincidenza”, che ciò avvenga proprio nei luoghi famosi per le recitazioni dei mantra alla particolare frequenza vibrazionale sintonizzata… con il Cosmo (uno degli argomenti trattati nel mio ultimo libro “Anima Cosmica – 2012: l’ora della Verità”, Melchisedek Edizioni)!
O forse Keely era semplicemente molto dotato intellettualmente e psichicamente, e questo gli aveva consentito di concepire strumenti basati su una forza energetica correlata all'armonia dei centri laya eterici…
Tuttavia, mentre su Nikola Tesla sono stati scritti moltissimi libri, non si parla praticamente mai di John Worrell Keely (i cui studi lo portarono a percorrere dei binari di ricerca non troppo lontani da quelli di Tesla) e oggi egli è praticamente dimenticato. Eppure, le invenzioni di Keely sono tuttora ancor più enigmatiche e controverse di quelle di Tesla, soprattutto per quanto concerne alcuni strani macchianari in grado di sollevare pesanti oggetti senza alcun intervento di forza fisica o meccanica. Tra l’altro, la maggior parte degli schemi e dei diagrammi sono scomparsi e i macchinari stessi furono quasi tutti distrutti dal suo inventore, che morì in povertà.
Parallelismi con gli antichi
Parlando delle intuizioni che portarono John Worrel Keely a sfruttare un’Energia inesauribile (oltre che pulita e gratuita) grazie alle vibrazioni, non possiamo tuttavia evitare di ripensare alle affermazioni dell’ingegnere americano Christopher Dunn a proposito delle caratteristiche acustiche rilevate all’interno della Grande Piramide di Giza, e alla vera funzione della Piramide stessa, che sarebbe stata, secondo lui, un generatore di idrogeno (per non parlare dei riscontri di trivellazioni eseguite con tecniche sonar nella diorite e nel marmo, che non lasciano il benché minimo dubbio sul tipo di strumentazione usata dai costruttori della Grande Piramide)…
Non possiamo poi non pensare alla Frequenza Shuman, ossia alla frequenza base della vibrazione terrestre, che potrebbe essere collegata alla Grande Piramide (in grado forse di impedire l’inversione dei Poli nel momento in cui la Terra raggiungesse il “Punto Zero”, ossia si fermasse) e alle tracce lasciate [nella Grande Piramide] dall’acqua nella Grotta sotterranea o del Caos, evidenze di una qualche attività “meccanica” di produzione di energia, del resto presente anche nella parte superiore dello Djed (o Zed) sapientemente “murato” all’interno della Piramide, per non liberare all’esterno l’energia prodotta. Una forza terribile, se messa in mani sbagliate. Era dunque davvero il Mash-Mak (l'energia chiamata vril ndr), la “miscela” energetica retaggio di quella razza “divina” sopravvissuta in parte in Egitto?
Il cerchio si chiude, ma l’enigma rimane irrisolto.
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