Lungi dall’appartenere alla sfera dell’immaginario, il diavolo – soprattutto durante il Medioevo – fu percepito come una presenza reale e pericolosamente vicina agli uomini. Lo si rinviene praticamente in tutte le religioni e in tutte le culture.
Il Diavolo non è un’invenzione del Cristianesimo. I diavoli sono sempre esistiti nell’immaginario umano: la credenza in entità sovrannaturali malvagie è radicata quanto quella in entità benevole, poiché entrambe sono insite negli esseri umani. Entità malvagie, sotto varie forme, sono presenti in tutte le religioni e culture della storia, seppur non nella figura universalmente diffusa poi dal cristianesimo.
Alcune caratteristiche del diavolo sono riscontrabili in diverse divinità pagane, con relazioni che rispecchiano sia la raffigurazione iconografica sia la funzione oppositrice alle divinità buone. Infatti, in quasi tutti i grandi politeismi del mondo antico vi era la figura di un dio del Male, complementare a un dio del Bene. Questo perché le civiltà antiche consideravano il Bene e il Male come due facce della stessa medaglia: così a una divinità buona si contrapponeva una malvagia. A quest’ultima erano ricondotti tutti gli aspetti negativi dell’universo. Questo, ad esempio, si riscontra nei culti dell’antico Egitto, della Cananea (regione che comprendeva, approssimativamente, il territorio attuale di Libano, Israele e parti di Siria e Giordania), dell’antico Iran, delle prime civiltà dell’America centrale e meridionale.
In Egitto le divinità Horus e Seth erano rispettivamente il dio celeste, generalmente benigno, e il dio del caos, solitamente malvagio. Quest’ultimo era raffigurato come un uomo con testa di animale, talvolta identificato con lo sciacallo o con la capra.
Anche presso i Cananei, che precedettero gli Ebrei in Palestina, c’era una divinità buona che si contrapponeva a una malvagia, la prima era il dio Ba’al, signore dell’universo, la seconda Mot, fratello della prima e divinità del caos e del male.
I culti dell’antico Iran, principalmente quello di Zoroastro, furono fortemente caratterizzati da una visione dualistica del mondo, dove si scontrano Bene e Male, quindi un dio buono, Ahura Mazda, in diretto conflitto con un dio malvagio, Ahriman, entrambi domiciliati rispettivamente in un mondo celeste e in un inferno.
I Maya avevano la loro divinità malefica, Ah Puch, signore della Morte. Frequentemente associato al dio della guerra e del sacrificio umano, i suoi costanti compagni erano il cane, l’uccello Moan (una specie di sparviero considerato il demone delle nuvole) e la civetta, tutti considerati creature di cattivo augurio e di morte.
Presso gli aztechi c’erano due grandi divinità uguali e opposte, Tezcatlipōca e Quetzalcóatl, generalmente maligno il primo, benevolo il secondo. Tezcatlipōca, che vuol dire “specchio fumante”, era nella mitologia azteca il dio della notte e delle tentazioni, ed era l’antitesi e il rivale di Quetzalcóatl
Alcune caratteristiche del diavolo sono riscontrabili in diverse divinità pagane, con relazioni che rispecchiano sia la raffigurazione iconografica sia la funzione oppositrice alle divinità buone. Infatti, in quasi tutti i grandi politeismi del mondo antico vi era la figura di un dio del Male, complementare a un dio del Bene. Questo perché le civiltà antiche consideravano il Bene e il Male come due facce della stessa medaglia: così a una divinità buona si contrapponeva una malvagia. A quest’ultima erano ricondotti tutti gli aspetti negativi dell’universo. Questo, ad esempio, si riscontra nei culti dell’antico Egitto, della Cananea (regione che comprendeva, approssimativamente, il territorio attuale di Libano, Israele e parti di Siria e Giordania), dell’antico Iran, delle prime civiltà dell’America centrale e meridionale.
In Egitto le divinità Horus e Seth erano rispettivamente il dio celeste, generalmente benigno, e il dio del caos, solitamente malvagio. Quest’ultimo era raffigurato come un uomo con testa di animale, talvolta identificato con lo sciacallo o con la capra.
Anche presso i Cananei, che precedettero gli Ebrei in Palestina, c’era una divinità buona che si contrapponeva a una malvagia, la prima era il dio Ba’al, signore dell’universo, la seconda Mot, fratello della prima e divinità del caos e del male.
I culti dell’antico Iran, principalmente quello di Zoroastro, furono fortemente caratterizzati da una visione dualistica del mondo, dove si scontrano Bene e Male, quindi un dio buono, Ahura Mazda, in diretto conflitto con un dio malvagio, Ahriman, entrambi domiciliati rispettivamente in un mondo celeste e in un inferno.
I Maya avevano la loro divinità malefica, Ah Puch, signore della Morte. Frequentemente associato al dio della guerra e del sacrificio umano, i suoi costanti compagni erano il cane, l’uccello Moan (una specie di sparviero considerato il demone delle nuvole) e la civetta, tutti considerati creature di cattivo augurio e di morte.
Presso gli aztechi c’erano due grandi divinità uguali e opposte, Tezcatlipōca e Quetzalcóatl, generalmente maligno il primo, benevolo il secondo. Tezcatlipōca, che vuol dire “specchio fumante”, era nella mitologia azteca il dio della notte e delle tentazioni, ed era l’antitesi e il rivale di Quetzalcóatl
Il diavolo lo ritroviamo nelle tre grandi religioni monoteiste (Cristianesimo, Ebraismo e Islam) e nelle religioni a queste collegate. Qui spesso è appellato con i sinonimi di demonio e satana. Tuttavia, inizialmente quest’ultime erano entità diverse e distinte sia dal diavolo sia tra loro. L’etimologia dei termini “diavolo”, “demonio” e “satana” spiega il loro corretto significato.
Diavolo deriva dal latino tardo diabŏlu(m) e dal greco di(ábolos) che a sua volta deriva dal verbo greco dia-bàllein che significa “caccio attraverso”, quindi in senso metaforico separare, disunire, porre barriera, porre frattura. Ecco il significato originale del termine: il diavolo è colui che crea, attraverso l’inganno e la menzogna, frattura tra uomo e Dio, tra uomo e uomo. Nell’Ottocento, il filologo Marco Antonio Canini, nel suo Etimologico dei vocaboli italiani di origine ellenica con raffronti ad altre lingue, aggiunge che sia Dio sia diavolo deriverebbero dalla stessa radice indoeuropea div-, diu-, che designa il risplendere, il rilucere (attributo del divino). Quest’ultima ipotesi è stata largamente rigettata [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Diavolo”].
Demonio, invece, proviene dal latino tardo daemonium e questo dal greco daimónion, daimónios, con il significato di “appartenente agli dèi”, quindi sovraumano, venerabile, il cui significato originario in lingua greca è quello di dèmone, ossia “essere divino” che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano, con la funzione quindi di intermediare tra queste due dimensioni [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Dèmone, Demònio”]. Nelle religioni politeistiche e nelle mitologie antiche i demoni sono esseri intermediari tra l’uomo e la divinità, e potevano essere di natura benigna o maligna, mentre nella visione iniziale dettata dalla religione ebraica, cristiana e islamica, sono entità appartenenti al mondo spirituale (e non solo) che influenzano negativamente o positivamente la vita degli uomini. In pratica sono dei servitori del Diavolo, spiriti maligni e delle tenebre che eccitano l’uomo a far male.
Satana è un vocabolo di origine ebraica, passato attraverso la Bibbia in altre lingue semitiche, siriaco ed europee. Il sostantivo ebraico sāṭān è una normale derivazione della radice s ṭ n, che ha il significato di “osteggiare”, “accusare” e “calunniare”. Secondo le antiche idee degli israeliti, esso partecipava al “Consiglio di Dio” con il compito di tentare gli umani. Il sostantivo passò poi al significato generico di avversario [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Sàtana”]. Satana, o meglio “il satana” compare per la prima volta nel Libro di Giobbe (Vecchio Testamento), testo stilato nel suo nucleo poetico centrale intorno all’XI-X secolo a.C. e redatto definitivamente verso il 575 a.C. Egli non è il diavolo, ma uno dei membri del “Consiglio di Dio” che agisce solo con il suo permesso per tentare le persone con molte prove e sofferenze. Satana, dunque, è un titolo, non un nome proprio e, soprattutto, non è il Diavolo. Il termine compare dopo la fase del nomadismo predone, quando gli Ebrei, già esuli a Babilonia, entrarono nell’area di influenza della Persia, dove esistevano semidivinità che anticipavano la figura di Satana [G. Semerano, Le origini della cultura europea, Vol. I, L.S. Olschki, Firenze 1994, pag. 148]. Satana è nominato diciotto volte nel Vecchio Testamento. Successivamente, ritroviamo Satana nominato 188 volte nel Nuovo Testamento, facendo assumere un certo rilievo alla sua figura, tanto da tentare Gesù il Cristo per ben tre volte. Quando gli Ebrei di Alessandria tradussero l’Antico Testamento, resero l’ebraico Satàn con il greco diabolos.
Diavolo deriva dal latino tardo diabŏlu(m) e dal greco di(ábolos) che a sua volta deriva dal verbo greco dia-bàllein che significa “caccio attraverso”, quindi in senso metaforico separare, disunire, porre barriera, porre frattura. Ecco il significato originale del termine: il diavolo è colui che crea, attraverso l’inganno e la menzogna, frattura tra uomo e Dio, tra uomo e uomo. Nell’Ottocento, il filologo Marco Antonio Canini, nel suo Etimologico dei vocaboli italiani di origine ellenica con raffronti ad altre lingue, aggiunge che sia Dio sia diavolo deriverebbero dalla stessa radice indoeuropea div-, diu-, che designa il risplendere, il rilucere (attributo del divino). Quest’ultima ipotesi è stata largamente rigettata [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Diavolo”].
Demonio, invece, proviene dal latino tardo daemonium e questo dal greco daimónion, daimónios, con il significato di “appartenente agli dèi”, quindi sovraumano, venerabile, il cui significato originario in lingua greca è quello di dèmone, ossia “essere divino” che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano, con la funzione quindi di intermediare tra queste due dimensioni [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Dèmone, Demònio”]. Nelle religioni politeistiche e nelle mitologie antiche i demoni sono esseri intermediari tra l’uomo e la divinità, e potevano essere di natura benigna o maligna, mentre nella visione iniziale dettata dalla religione ebraica, cristiana e islamica, sono entità appartenenti al mondo spirituale (e non solo) che influenzano negativamente o positivamente la vita degli uomini. In pratica sono dei servitori del Diavolo, spiriti maligni e delle tenebre che eccitano l’uomo a far male.
Satana è un vocabolo di origine ebraica, passato attraverso la Bibbia in altre lingue semitiche, siriaco ed europee. Il sostantivo ebraico sāṭān è una normale derivazione della radice s ṭ n, che ha il significato di “osteggiare”, “accusare” e “calunniare”. Secondo le antiche idee degli israeliti, esso partecipava al “Consiglio di Dio” con il compito di tentare gli umani. Il sostantivo passò poi al significato generico di avversario [Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, voce “Sàtana”]. Satana, o meglio “il satana” compare per la prima volta nel Libro di Giobbe (Vecchio Testamento), testo stilato nel suo nucleo poetico centrale intorno all’XI-X secolo a.C. e redatto definitivamente verso il 575 a.C. Egli non è il diavolo, ma uno dei membri del “Consiglio di Dio” che agisce solo con il suo permesso per tentare le persone con molte prove e sofferenze. Satana, dunque, è un titolo, non un nome proprio e, soprattutto, non è il Diavolo. Il termine compare dopo la fase del nomadismo predone, quando gli Ebrei, già esuli a Babilonia, entrarono nell’area di influenza della Persia, dove esistevano semidivinità che anticipavano la figura di Satana [G. Semerano, Le origini della cultura europea, Vol. I, L.S. Olschki, Firenze 1994, pag. 148]. Satana è nominato diciotto volte nel Vecchio Testamento. Successivamente, ritroviamo Satana nominato 188 volte nel Nuovo Testamento, facendo assumere un certo rilievo alla sua figura, tanto da tentare Gesù il Cristo per ben tre volte. Quando gli Ebrei di Alessandria tradussero l’Antico Testamento, resero l’ebraico Satàn con il greco diabolos.
Nell’ebraismo e nel cristianesimo, un luogo comune vuole il diavolo presente nel Paradiso terrestre, materializzato in un serpente, che a sua volta tenta Adamo ed Eva. Tuttavia il Vecchio Testamento non sostiene assolutamente che il rettile fosse il Diavolo, ma lo definisce: «la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio» (Genesi 3, 1). Tant’è vero che prima di cacciare Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, Dio “condanna” il serpente non all’Inferno, ma a vivere sulla terra in modo umiliante: «sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita» (Genesi 3, 14).
Nel Libro di Enoch, testo apocrifo di origine giudaica accreditato al bisnonno di Noè, ma la cui redazione definitiva risale al I secolo a.C., si fa riferimento ad “angeli caduti”, “angeli ribelli” che trasgredirono gli ordini di Dio, sino ad accoppiarsi con le donne sulla terra e per questo condannati. La teologia cristiana, rigettò il testo considerandolo apocrifo, ma mantenne “l’idea” della “caduta degli angeli ribelli”, i “diavoli” appunto.
La teologia cristiana, rifacendosi a un passo del profeta Isaia, «Tu, portatore di luce, figlio dell’aurora, perché sei caduto dal cielo?» (14, 12), individua in Lucifero un “angelo caduto”, un diavolo. Lucifero significa letteralmente “portatore di luce”, in quanto tale denominazione deriva dall’equivalente latino lucifer, composto di lux (luce) e ferre (portare). Non solo. I primi cristiani individuano nel “sottoterra” il luogo in cui abitano i diavoli. Il termine Inferno deriva dal latino infernus, cioè “posto in basso”, “inferiore”. Qui, sotto gli influssi della cultura degli Esseni, che per primi formularono il concetto di Inferno come luogo di perdizione per i cattivi, e poi dell’antica Grecia, che credeva nell’esistenza dell’Ade come “mondo degli inferi”, i cristiani trasferirono i diavoli e tutte le persone da essi corrotte.
Anche il misericordioso Allah ha il suo diavolo: si chiama Iblis e fu creato da un fuoco senza fumo. Anche Iblis era un angelo, poi condannato per un peccato di orgoglio, perché non volle eseguire il comando di Dio di prostrarsi innanzi ad Abramo perché, a differenza sua, Dio lo aveva tratto dall’argilla [Corano, Sura del Limbo, 11-12]. Condannato da Dio divenne “angelo maligno tentatore”.
La fede islamica ha anche il suo Inferno, Jahannam in arabo. Esso è il luogo in cui c’è il fuoco, i serpenti, acqua bollente, ghiaccio e altre torture, con «sette porte, e ogni porta ha un suo gruppo di dannati», secondo i peccati commessi e con una punizione irrogata dai diavoli secondo la cosiddetta legge del contrappasso, (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) che impone l’espiazione dei peccati mediante punizioni simmetriche e contrarie ai peccati commessi, ma esponenzialmente amplificate.
Nel Libro di Enoch, testo apocrifo di origine giudaica accreditato al bisnonno di Noè, ma la cui redazione definitiva risale al I secolo a.C., si fa riferimento ad “angeli caduti”, “angeli ribelli” che trasgredirono gli ordini di Dio, sino ad accoppiarsi con le donne sulla terra e per questo condannati. La teologia cristiana, rigettò il testo considerandolo apocrifo, ma mantenne “l’idea” della “caduta degli angeli ribelli”, i “diavoli” appunto.
La teologia cristiana, rifacendosi a un passo del profeta Isaia, «Tu, portatore di luce, figlio dell’aurora, perché sei caduto dal cielo?» (14, 12), individua in Lucifero un “angelo caduto”, un diavolo. Lucifero significa letteralmente “portatore di luce”, in quanto tale denominazione deriva dall’equivalente latino lucifer, composto di lux (luce) e ferre (portare). Non solo. I primi cristiani individuano nel “sottoterra” il luogo in cui abitano i diavoli. Il termine Inferno deriva dal latino infernus, cioè “posto in basso”, “inferiore”. Qui, sotto gli influssi della cultura degli Esseni, che per primi formularono il concetto di Inferno come luogo di perdizione per i cattivi, e poi dell’antica Grecia, che credeva nell’esistenza dell’Ade come “mondo degli inferi”, i cristiani trasferirono i diavoli e tutte le persone da essi corrotte.
Anche il misericordioso Allah ha il suo diavolo: si chiama Iblis e fu creato da un fuoco senza fumo. Anche Iblis era un angelo, poi condannato per un peccato di orgoglio, perché non volle eseguire il comando di Dio di prostrarsi innanzi ad Abramo perché, a differenza sua, Dio lo aveva tratto dall’argilla [Corano, Sura del Limbo, 11-12]. Condannato da Dio divenne “angelo maligno tentatore”.
La fede islamica ha anche il suo Inferno, Jahannam in arabo. Esso è il luogo in cui c’è il fuoco, i serpenti, acqua bollente, ghiaccio e altre torture, con «sette porte, e ogni porta ha un suo gruppo di dannati», secondo i peccati commessi e con una punizione irrogata dai diavoli secondo la cosiddetta legge del contrappasso, (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) che impone l’espiazione dei peccati mediante punizioni simmetriche e contrarie ai peccati commessi, ma esponenzialmente amplificate.
Il Medioevo cristiano vede affermare più incisivamente la figura del diavolo. Anzi, l’Europa cristiana approda all’apice della maligna influenza del diavolo sul mondo.
I racconti medievali, ma anche in seguito quelli rinascimentali, portano a conoscenza dei cristiani la presenza attiva del diavolo attraverso reali incursioni fra gli uomini, specialmente santi e monaci. Ecco allora storie di apparizioni maligne a san Martino di Tours (316 o 317-397), disturbato quotidianamente nella sua cella da un diavolo armato di corno di toro; sant’Antonio abate (251-356 o 357) fisicamente aggredito e picchiato dal diavolo (una vulgata lo vuole sempre raffigurato con un maialino, animale visto come il diavolo che, sconfitto da Antonio, fu da Dio condannato a seguire il santo sotto questo aspetto); san Benedetto abate (480-550) che subì attacchi continui da parte del demonio; san Domenico (1170-1221) minacciato più volte dal diavolo che gli lanciò anche una grossa pietra dal soffitto della Chiesa di S. Sabina in Roma sfiorandolo; san Francesco d’Assisi (1182-1226) tentato più volte dal maligno in persona; San Nicola da Flue (1417-1487) vittima del diavolo che tentò anche di farlo rotolare in un burrone; e molti altri ancora.
Queste “incursioni” proseguiranno anche nella modernità e nell’epoca contemporanea, dove a essere “inseguiti” e a subire vessazioni dal diavolo in persona saranno molti altri santi e persone pie, tra cui santa Teresa d’Avila (1515-1582), san Giovanni della Croce (1542-1591), san Giuseppe da Copertino (1603-1663), san Paolo della Croce (1694-1775), la beata Anna Katharina Emmerich (1774-1824), san Giovanni Maria Vianney (più noto come il santo Curato d’Ars, 1786-1859), madre Speranza di Gesù (al secolo Marìa Josefa, 1893-1983), san Giovanni Bosco (1815-1888), suor Faustina Kowalska (1905-1938), san Pio da Pietralcina (1887-1968), Natuzza Evolo (1924-2009) e molti altri.
Ritorniamo nel Medioevo e nell’influenza che il Diavolo ebbe in questa età della storia.
In un periodo flagellato da carestie, guerre e morte, gli uomini e le donne medievali hanno affrontato il problema della sofferenza e del male comportandosi come i pagani di un tempo, addebitando a spiriti maligni le loro disgrazie. La Chiesa, dal canto suo, rende funzionale al suo programma politico queste credenze, trasformandole in uno strumento per il controllo dei movimenti ritenuti pericolosi, eversivi e devianti dall’ortodossia. Questa diverrà poi la base della demonizzazione degli ebrei, degli eretici, degli infedeli.
L’ossessione misogina della Chiesa nei confronti delle donne porta a considerare la donna un particolare strumento del diavolo per corrompere gli uomini. La donna, nella sua debolezza e attraverso il sesso, costituiva la tentazione più grande indotta dal diavolo. La ragione di questa visione sessuofobica risiede nel fatto che la donna, essendo nata dalla costola dell’uomo è al tempo stesso più carnale e più imperfetta. Ella, abbandonata alle adulazioni di Satana si trasforma spesso in strega. Ecco allora la Chiesa accendere i roghi per bruciare questi strumenti peccaminosi del diavolo.
La caccia alle streghe, considerate ancelle del diavolo, coincise con un periodo in cui il papato e la sua Chiesa stavano vivendo tensioni politiche, sociali e religiose senza precedenti.
I racconti medievali, ma anche in seguito quelli rinascimentali, portano a conoscenza dei cristiani la presenza attiva del diavolo attraverso reali incursioni fra gli uomini, specialmente santi e monaci. Ecco allora storie di apparizioni maligne a san Martino di Tours (316 o 317-397), disturbato quotidianamente nella sua cella da un diavolo armato di corno di toro; sant’Antonio abate (251-356 o 357) fisicamente aggredito e picchiato dal diavolo (una vulgata lo vuole sempre raffigurato con un maialino, animale visto come il diavolo che, sconfitto da Antonio, fu da Dio condannato a seguire il santo sotto questo aspetto); san Benedetto abate (480-550) che subì attacchi continui da parte del demonio; san Domenico (1170-1221) minacciato più volte dal diavolo che gli lanciò anche una grossa pietra dal soffitto della Chiesa di S. Sabina in Roma sfiorandolo; san Francesco d’Assisi (1182-1226) tentato più volte dal maligno in persona; San Nicola da Flue (1417-1487) vittima del diavolo che tentò anche di farlo rotolare in un burrone; e molti altri ancora.
Queste “incursioni” proseguiranno anche nella modernità e nell’epoca contemporanea, dove a essere “inseguiti” e a subire vessazioni dal diavolo in persona saranno molti altri santi e persone pie, tra cui santa Teresa d’Avila (1515-1582), san Giovanni della Croce (1542-1591), san Giuseppe da Copertino (1603-1663), san Paolo della Croce (1694-1775), la beata Anna Katharina Emmerich (1774-1824), san Giovanni Maria Vianney (più noto come il santo Curato d’Ars, 1786-1859), madre Speranza di Gesù (al secolo Marìa Josefa, 1893-1983), san Giovanni Bosco (1815-1888), suor Faustina Kowalska (1905-1938), san Pio da Pietralcina (1887-1968), Natuzza Evolo (1924-2009) e molti altri.
Ritorniamo nel Medioevo e nell’influenza che il Diavolo ebbe in questa età della storia.
In un periodo flagellato da carestie, guerre e morte, gli uomini e le donne medievali hanno affrontato il problema della sofferenza e del male comportandosi come i pagani di un tempo, addebitando a spiriti maligni le loro disgrazie. La Chiesa, dal canto suo, rende funzionale al suo programma politico queste credenze, trasformandole in uno strumento per il controllo dei movimenti ritenuti pericolosi, eversivi e devianti dall’ortodossia. Questa diverrà poi la base della demonizzazione degli ebrei, degli eretici, degli infedeli.
L’ossessione misogina della Chiesa nei confronti delle donne porta a considerare la donna un particolare strumento del diavolo per corrompere gli uomini. La donna, nella sua debolezza e attraverso il sesso, costituiva la tentazione più grande indotta dal diavolo. La ragione di questa visione sessuofobica risiede nel fatto che la donna, essendo nata dalla costola dell’uomo è al tempo stesso più carnale e più imperfetta. Ella, abbandonata alle adulazioni di Satana si trasforma spesso in strega. Ecco allora la Chiesa accendere i roghi per bruciare questi strumenti peccaminosi del diavolo.
La caccia alle streghe, considerate ancelle del diavolo, coincise con un periodo in cui il papato e la sua Chiesa stavano vivendo tensioni politiche, sociali e religiose senza precedenti.
Nella sua iconografia, il diavolo assume nel Medioevo aspetti molteplici, conformemente alla sua capacità di trasformarsi, di mascherarsi. Caratteristica comune di tutte le rappresentazioni del Diavolo è la mancanza delle ali di angelo, segno del dominio dell’aria, e le fattezze prive di bellezza e armonia corporea. Non a caso il diavolo è il rappresentante di un mondo infimo e peccaminoso. Tutte le rappresentazioni devono spaventare e indurre a una retta condotta.
A partire dall’arte paleocristiana fino a tutto il IX secolo, il diavolo ha prevalentemente fattezze umanoidi: è un essere piccolo, a volte vecchio, oppure deforme, spesso con naso lungo e ricurvo e piedi dotati di artigli. I suoi capelli sono inizialmente scuri, poi diventano serpentini; gli occhi, invece, sono di fuoco.
Dall’XI secolo compaiono le corna e i tratti cominciano a essere quelli di un animale o un mostro. La bestialità del diavolo è così rappresentata dalla presenza della coda, di orecchie appuntite, di barba caprina, di artigli e zampe posteriori da capro. Nella raffigurazione del diavolo si integrano ai testi biblici alcuni elementi pagani, tra cui quelli che si riferiscono alla divinità degli inferi etrusca Tuchulcha, rapinatore e carnefice delle anime, mezzo uomo e mezzo uccello rapace di tinta giallastra, con ali di avvoltoio o pipistrello, orecchie equine, un grande becco ricurvo e con serpenti nelle mani e sui capelli; oppure al greco Pan, divinità selvaggia dedito ai piaceri della carne, dotato di corna e zampe caprine. Quest’ultima divinità ha ispirato l’idea del demonio come “caprone”.
Secondo un’opinione comune che si tramanda da secoli il diavolo ha un suo numero, che poi è un nome in codice: il 666. Il “numero della bestia” compare in un passo del Nuovo Testamento, nell’Apocalisse di Giovanni, ed è riferito a una «bestia che sale dal mare e devasta la terra»: la bestia «faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. » [Apocalisse 13, 16-18]. Il 666 è dunque un nome, quello dell’Anticristo, per questo è stato assegnato al diavolo.
Ci sono diverse interpretazioni sul suo significato, ne citiamo due, le più diffuse. Alcuni dicono che derivi dalla somma delle lettere presenti nella frase Vicarivus filii Dei (“Vicario del figlio di Dio”), una sorta di Anticristo: V+I+C+I+V+I+L+I+I+D+I = 666. Un’altra possibile spiegazione è questa: il 3 è considerato il numero perfetto, mentre il numero 333 sarebbe la perfezione; se moltiplichiamo quest’ultimo numero per 3, si otterrebbe 999, ossia la perfezione assoluta, Dio; poiché il diavolo è il contrario di Dio, se ruotiamo quest’ultimo numero si ottiene il 666.
A partire dall’arte paleocristiana fino a tutto il IX secolo, il diavolo ha prevalentemente fattezze umanoidi: è un essere piccolo, a volte vecchio, oppure deforme, spesso con naso lungo e ricurvo e piedi dotati di artigli. I suoi capelli sono inizialmente scuri, poi diventano serpentini; gli occhi, invece, sono di fuoco.
Dall’XI secolo compaiono le corna e i tratti cominciano a essere quelli di un animale o un mostro. La bestialità del diavolo è così rappresentata dalla presenza della coda, di orecchie appuntite, di barba caprina, di artigli e zampe posteriori da capro. Nella raffigurazione del diavolo si integrano ai testi biblici alcuni elementi pagani, tra cui quelli che si riferiscono alla divinità degli inferi etrusca Tuchulcha, rapinatore e carnefice delle anime, mezzo uomo e mezzo uccello rapace di tinta giallastra, con ali di avvoltoio o pipistrello, orecchie equine, un grande becco ricurvo e con serpenti nelle mani e sui capelli; oppure al greco Pan, divinità selvaggia dedito ai piaceri della carne, dotato di corna e zampe caprine. Quest’ultima divinità ha ispirato l’idea del demonio come “caprone”.
Secondo un’opinione comune che si tramanda da secoli il diavolo ha un suo numero, che poi è un nome in codice: il 666. Il “numero della bestia” compare in un passo del Nuovo Testamento, nell’Apocalisse di Giovanni, ed è riferito a una «bestia che sale dal mare e devasta la terra»: la bestia «faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. » [Apocalisse 13, 16-18]. Il 666 è dunque un nome, quello dell’Anticristo, per questo è stato assegnato al diavolo.
Ci sono diverse interpretazioni sul suo significato, ne citiamo due, le più diffuse. Alcuni dicono che derivi dalla somma delle lettere presenti nella frase Vicarivus filii Dei (“Vicario del figlio di Dio”), una sorta di Anticristo: V+I+C+I+V+I+L+I+I+D+I = 666. Un’altra possibile spiegazione è questa: il 3 è considerato il numero perfetto, mentre il numero 333 sarebbe la perfezione; se moltiplichiamo quest’ultimo numero per 3, si otterrebbe 999, ossia la perfezione assoluta, Dio; poiché il diavolo è il contrario di Dio, se ruotiamo quest’ultimo numero si ottiene il 666.
Il vento “riformista” di Martin Lutero diventa per la Chiesa di Roma la prova inconfutabile della presenza del diavolo. Ma anche Lutero e i “riformati” vedono in Roma la città infernale avvolta dal fumo di Satana.
In epoca romantica cambia l’approccio verso il diavolo: lo spirito di ribellione, l’individualismo esasperato, il gusto della profanazione trasformano il diavolo in eroe, perché visto come il primo che si ribellò all’autorità precostituita.
A partire dal XX secolo, la presenza del diavolo nella vita quotidiana si rivela attraverso le sette sataniche e luciferine, gruppi di persone che attraverso un morboso piacere di dissacrazione e di eversione attaccano la Chiesa e le sue credenze, arrivando finanche a pratiche ritualistiche di morte.
In un mondo secolarizzato com’è quello attuale, può stupire che la Chiesa continui a invocare il diavolo come il “principe di questa terra”. Eppure, come ammonisce il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 «La potenza di Satana non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura», tuttavia, egli «non può impedire l’edificazione del regno di Dio».
La Chiesa, così, non ha smesso di mettere in guardia il suo “gregge” dagli attacchi del maligno e dai suoi seguaci. Gli ultimi pontefici non solo hanno riesumato con vigore il tema dell’esistenza del diavolo che minaccia direttamente la Chiesa e gli uomini, ma qualcuno di essi ha praticato direttamente esorcismi per scacciarlo.
Il gesuita Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, conferma che papa Pacelli durante la Seconda guerra mondiale ogni mattina all’alba celebrasse un esorcismo diretto a liberare Adolf Hitler dal maligno.
Papa Paolo VI non solo conferma l’esistenza del diavolo (nell’udienza generale del 15 novembre 1972 affermò: «uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo demonio. Il demonio non è soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore») ma arriva a denunciare che «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato finanche nel tempio di Dio», riferendosi a quei sacerdoti e vescovi posseduti dalla vanagloria e dalla superbia del maligno.
Anche papa Giovanni Paolo II ritorna sulla presenza del diavolo sulla terra, praticando due esorcismi su due differenti ragazze (4 aprile 1982 e settembre 2000). Papa Francesco è ritornato sul tema della presenza del diavolo, ribadendo che il diavolo esiste, egli è il «padre dei bugiardi, il padre della menzogna» e noi «dobbiamo lottare contro di lui» con «l’armatura» della verità (Manila, 17 gennaio 2015).
Gli scettici ovviamente non credono nell’esistenza del diavolo, anzi lo considerano la giustificazione di Dio per la sofferenza e le ingiustizie che regnano sulla terra. Essi, tuttavia, per dirla con le parole del poeta e critico letterario italiano Arturo Graf (1848-1913), «hanno soppresso il diavolo dacché si sono accorti di poter fare senza il suo aiuto tutto il male che già credevano di fare col suo aiuto».
In epoca romantica cambia l’approccio verso il diavolo: lo spirito di ribellione, l’individualismo esasperato, il gusto della profanazione trasformano il diavolo in eroe, perché visto come il primo che si ribellò all’autorità precostituita.
A partire dal XX secolo, la presenza del diavolo nella vita quotidiana si rivela attraverso le sette sataniche e luciferine, gruppi di persone che attraverso un morboso piacere di dissacrazione e di eversione attaccano la Chiesa e le sue credenze, arrivando finanche a pratiche ritualistiche di morte.
In un mondo secolarizzato com’è quello attuale, può stupire che la Chiesa continui a invocare il diavolo come il “principe di questa terra”. Eppure, come ammonisce il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 «La potenza di Satana non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura», tuttavia, egli «non può impedire l’edificazione del regno di Dio».
La Chiesa, così, non ha smesso di mettere in guardia il suo “gregge” dagli attacchi del maligno e dai suoi seguaci. Gli ultimi pontefici non solo hanno riesumato con vigore il tema dell’esistenza del diavolo che minaccia direttamente la Chiesa e gli uomini, ma qualcuno di essi ha praticato direttamente esorcismi per scacciarlo.
Il gesuita Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, conferma che papa Pacelli durante la Seconda guerra mondiale ogni mattina all’alba celebrasse un esorcismo diretto a liberare Adolf Hitler dal maligno.
Papa Paolo VI non solo conferma l’esistenza del diavolo (nell’udienza generale del 15 novembre 1972 affermò: «uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo demonio. Il demonio non è soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore») ma arriva a denunciare che «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato finanche nel tempio di Dio», riferendosi a quei sacerdoti e vescovi posseduti dalla vanagloria e dalla superbia del maligno.
Anche papa Giovanni Paolo II ritorna sulla presenza del diavolo sulla terra, praticando due esorcismi su due differenti ragazze (4 aprile 1982 e settembre 2000). Papa Francesco è ritornato sul tema della presenza del diavolo, ribadendo che il diavolo esiste, egli è il «padre dei bugiardi, il padre della menzogna» e noi «dobbiamo lottare contro di lui» con «l’armatura» della verità (Manila, 17 gennaio 2015).
Gli scettici ovviamente non credono nell’esistenza del diavolo, anzi lo considerano la giustificazione di Dio per la sofferenza e le ingiustizie che regnano sulla terra. Essi, tuttavia, per dirla con le parole del poeta e critico letterario italiano Arturo Graf (1848-1913), «hanno soppresso il diavolo dacché si sono accorti di poter fare senza il suo aiuto tutto il male che già credevano di fare col suo aiuto».
Per saperne di più
Cezzi F., Il diavolo nel Medioevo – Laterza, Roma-Bari 1999.
Cousté A., Breve storia del Diavolo. Antagonista e angelo ribelle nelle tradizioni di tutto il mondo – Castelvecchi, Roma 2014.
Giovannini F., Zatterin M. (a cura di), Il libro del diavolo. Le origini, la cultura, l’immagine – Dedalo, Bari 1986.
Gregory T., Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente – Laterza, Roma-Bari 2013.
Grillo R., Il principe di questo mondo. Il diavolo nella storia, nelle religioni, nei documenti, nelle testimonianze – Ares, Milano 2002.
Minois G., Piccola storia del diavolo – il Mulino, Bologna 1999.
Minois G., Piccola storia dell’inferno – il Mulino, Bologna 1995.
Semerano G., Le origini della cultura europea, vol. I – L. S. Olschki, Firenze 1994.
Cousté A., Breve storia del Diavolo. Antagonista e angelo ribelle nelle tradizioni di tutto il mondo – Castelvecchi, Roma 2014.
Giovannini F., Zatterin M. (a cura di), Il libro del diavolo. Le origini, la cultura, l’immagine – Dedalo, Bari 1986.
Gregory T., Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente – Laterza, Roma-Bari 2013.
Grillo R., Il principe di questo mondo. Il diavolo nella storia, nelle religioni, nei documenti, nelle testimonianze – Ares, Milano 2002.
Minois G., Piccola storia del diavolo – il Mulino, Bologna 1999.
Minois G., Piccola storia dell’inferno – il Mulino, Bologna 1995.
Semerano G., Le origini della cultura europea, vol. I – L. S. Olschki, Firenze 1994.
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