giovedì 31 ottobre 2019
La dea Tlazolteotl, nella mitologia azteca
La dea Tlazolteotl, nella mitologia azteca, è una dea lunare e dea-madre, rapportata al mais, protettrice della della sessualità, delle relazioni promiscue, degli stregoni (brujos), della fertilità dell’uomo, nonché del parto. Ci sono molte evidenze che questa divinità fosse di origine Tolteca e che solo successivamente sia stata incorporata nel pantheon Azteco a seguito dell’invasione dell’impero Tolteco nel 1200 e.v.
Tlazolteotl veniva definita "mangiatrice di ciò che è impuro, sporco”, ma non in senso materiale, fisico, ma con riferimento ai pensieri, alle idee, alla coscienza. Questo epiteto era sostanzialmente dovuto al fatto che si riteneva che questa dea facesse visita alle persone che, in punto di morte, le confessavano completamente i propri peccati. A questo punto lei procedeva a mangiare questa "sporcizia" (i peccati) permettendo così al loro spirito, purificato e libero dai fardelli, di dirigersi verso un luogo felice.
Iconograficamente, Tlazolteotl è molto interessante perché, come rappresentata in alcuni famosi Codex del 1500, ad esempio il Fejervary Mayerci, appare molto simile alle immagini delle streghe europee rappresentate a cavalcare una scopa. In realtà l’immagine classica di questa dea ce la raffigura su una scopa fatta di foglie di mais mentre tiene stretto con la mano un serpente. La scopa è simbolo della sua capacità di spazzar via lo sporco, le lordure, vale a dire i peccati, mentre il serpente è il simbolo della sessualità. Nel pantheon Maya questa divinità trova un suo parallelo nella dea Ix Hun Ahau.
La dea Diana
L
a dea latina Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia, proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante. Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.
a dea latina Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia, proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante. Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.
martedì 29 ottobre 2019
Halloween, Shamain e il canto dei teschi
I giorni che vanno dal 31 Ottobre al 2 Novembre racchiudono un insieme di religiosità (Ognissanti), folklore (Halloween), paganesimo (Shamain), il tutto condito con una goccia di mistero che i più “bigotti” addirittura considerano un pericoloso osanna al diavolo.
Shamain: un giorno magico a cavallo fra due Tempi.
Per comprendere le origini di Halloween si deve fare un salto indietro alle tradizioni nordiche precristiane. Secondo il calendario agricolo Celtico l’anno si divide in due stagioni: Geimredh, stagione invernale, e Samradh, stagione estiva.
Shamain (samain, samuin, samfuin, samhain – fine dell’Estate) rappresenta il Capodanno, l’inizio della stagione oscura e fredda, dove la Grande Madre risposa sotto la neve. I Celti, devoti al culto lunare della Dea Madre, contavano il tempo in “notti” e non in “giorni”: il giorno inizia sempre con la notte e non con l’alba e in questo caso si celebra la notte in cui la Natura si riposa o anche “muore”. Questa notte segna l’inizio di un nuovo ciclo, che inizia con la Morte, è un giorno magico che non appartiene a nessuno dei due, una Notte di Mezzo, durante il quale è possibile agli Iniziati viaggiare fra i Mondi. Il Velo del Tempo si assotiglia, le porte di Sidhe (l’aldilà celtico) si aprono, e gli umani possono incontrare gli abitanti di altri piani di realtà. Allo stesso modo, anche i defunti, gli esseri magici e fatati possono entrare nel nostro mondo.
Questo “ritorno” suscitava inquietudine, sacro rispetto ma non certamente terrore, in quanto i defunti, nel mondo celtico, non erano considerati pericolosi. Si usava spegnere tutte le luci di casa e accendere grandi Falò per illuminare la via agli abitanti dell’aldilà.
Ancora oggi nei cimiteri irlandesi si usa accendere migliaia di lumini. Anche in Italia si portano lumini ai cari defunti al cimitero, o, si usa mettere un lumino alla finestra.
Nella tradizione popolare contadina italiana era vietato uscire la notte fra il primo e due novembre: le città e le vie appartenevano ai Morti che ritornavano sulla Terra: i vivi stavano in casa a recitare il Rosario. E già dagli anni trenta si usava intagliare la zucca e metterci un lumino dentro, per ridere, per spaventare.
Halloween oppure Ognissanti?
Halloween (All Hallows Eve” cioè “Vigilia di Tutti i Santi”) è la parte folcloristica della Festa di Ognissanti che affonda a sua volta le proprie originisanti in antichi riti precristiani, come ad esempio quelli Celtici. La verde Erin (Irlanda) e Albion (Inghilterra) furono anticamente invase dai Romani e con loro presto arrivò il Cristianesimo che piano piano integrò le vecchie tradizioni pagane con il nuovo Culto Cristiano: questo anche per la necessità di aumentare i fedeli senza imporre brutalmente il proprio culto. Sulle fonti sacre dedicate alla Dea Madre sono state messe le croci oppure sono state dedicate alla Madonna (vedi Lourdes), i templi dedicati agli Dei sono stati sostituiti dai Santi Patroni, e le Sacre Feste Rituali come Shamain sono diventate “Ognissanti”, oppure Litha, La celebrazione del Sostizio d’Estate, che coincide con la Festa di San Giovanni, e le similitudini sono tantissime.
Naturalmente l’antica credenza del ritorno dei morti si è mescolata nei secoli con le Religioni, il floklore, la superstizione e quindi è impossibile dare una risposta che corrisponda alla verità assoluta: ogni paese ha la propria “tradizione” di festeggiare i defunti.
La Chiesa o comunque la sua parte più bigotta, dice un sonoro NO ai festeggiamenti pagani di Halloween: alcuni li considerano proprio un osanna all’Occulto, pericolosi e fuorvianti, da cui le persone, i giovani sopratutto, devono stare lontani.
”Penso che la società italiana stia perdendo il senno, il senso della vita, l’uso della ragione e sia sempre più malata. Festeggiare la festa di Halloween è rendere un osanna al diavolo. Il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona. Allora non meravigliamoci se il mondo sembra andare a catafascio e se gli studi di psicologi e psichiatri pullulano di bambini insonni, vandali, agitati, e di ragazzi ossessionati e depressi, potenziali suicidii” | Gabriele Amorth, esorcista della Santa Sede.
Forse quello che non si accetta è che in ogni persona sia insito un lato oscuro, ed Halloween è la celebrazione gioiosa del lato oscuro delle persone, che naturalmente può essere accettato ed integrato alla Luce. A mio parere, non è certo attraverso il divieto e il rifiuto che le persone possono diventare migliori e devote a Dio.
Quello che mi chiedo è perchè la Chiesa senta il bisogno di festeggiare allora Tutti i Santi: sulla Bibbia non mi pare che ci sia scritto da nessuna parte di osannare i Santi. “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me | Giovanni, 14:6“. Sulla Bibbia non v’è traccia nemmeno di osannare la Madonna: Io sono la Via.
Non è che forse questa religiosità è stata presa ed integrata con gli antichi Culti Pagani? Ma, ovviamente, puntare il dito contro una festa dichiarandola maledetta è più semplice ed è una soluzione che la Chiesa ha adottato spesso nei secoli.
Quindi, io mi sento di festeggiare tranquillamente, di celebrare la Vita (di cui la morte fa parte), di intagliare zucche e accendere fuochi e lumini: stiamo festeggiando semplicemente una parte della Vita, una parte Naturale del Ciclo della Vita.
Perchè La Zucca? Le Leggenda di Will, Jack O’Lantern.
Quando gli irlandesi emigrarono in America all’inizio del 900 si portarono dietro le antiche tradizioni risalenti ai tempi dei Celti. In America trovarono le zucche, che si adattavano meglio ad essere intagliate rispetto alle rape e alle cipolle, tradizionalmente usate in Irlanda.
La tradizione della zucca è piaciuta moltissimo, a quanto pare, si è diffusa infatti in tutto il mondo!
Questa usanza deriva dalla figura di Jack O’Lantern (conosciuto anche come Lantern Man, Hob’ O Lantern, Fox Fire, Corpse Candle Will’O The Wisp, o più semplicemente Will) che è il protagonista di un’antica Leggenda Irlandese.
Jack era un fabbro che nelle notte della Vigilia di Tutti i Santi andò a bere in un pub, ubriacandosi. Per strada poi, incontrò il demonio che voleva la sua anima, ma Jack attraverso scherzi e trucchi riuscì sempre ad avere la meglio, facendogli promettere di non chiedergli mai più la sua anima. Alla fine Jack morì, ma non potè andare in Paradiso in quanto la sua vita era stata dissoluta. Scese quindi all’inferno, ma il diavolo non lo accettò, tenendo fede all’antica promessa di non accettare la sua anima. Così Jack decise di trascorrere il resto della sua “vita” a vagabondare per le strade, ma era molto buio, così chiese al diavolo di dargli qualcosa che gli illuminasse la via. Il diavolo gli diede un po’ di carboni ardenti dell’inferno che lui mise in una zucca intagliata per non farli spegnere e da allora, vaga per le strade del mondo con la sua lanterna in mano.
lunedì 28 ottobre 2019
Siamo stati creati o ci siamo evoluti? La verità sta probabilmente nel mezzo ed è sconvolgente. Tellinger ci dimostra come l’uomo sia frutto di una manipolazione genetica effettuata da una specie aliena, gli Anunnaki, per realizzare la loro missione sulla Terra. Attraverso un’analisi meticolosa e comparativa di antichi testi sumeri e biblici con moderne conoscenze emerge un affresco storico che ricostruisce l’epopea dell’uomo, la sua relazione di schiavitù con gli “dèi” e la sua possibile riscossa e liberazione. La storia ufficiale è una menzogna necessaria a far sì che l’umanità rimanga nell’ignoranza per continuare a servire i creatori. Questo libro ti aiuterà a capire che: La specie umana è il risultato di una manipolazione genetica, un ibrido tra Anunnaki e Homo erectus Esiste una radice comune all’origine di tutte le civiltà della Terra, i miti sono di fatto realtà storiche Il denaro è stato inventato dagli Anunnaki come strumento di controllo della razza umana Nel libro Specie schiava degli dèi, Tellinger traccia una dettagliata teoria sulle origini dell’uomo combinando diverse aree di ricerca nei vari settori della scienza e allo stesso tempo offre una visione che collega idealmente tutte le ipotesi formulate da studiosi quali Mauro Biglino, Pietro Buffa, Zecharia Sitchin, Sam Osmanagich, Eric Von Daniken e molti altri, confermandone la validità ed offrendo un quadro complessivo logico che allarga gli orizzonti della nostra conoscenza e consapevolezza
sabato 26 ottobre 2019
Piramo e Tisbe
venerdì 18 ottobre 2019
Il mito di Alcione
Ceice, figlio di Eosforo, la Stella Mattutina, personificazione della luce, era sposato con Alcione, figlia di Eolo, Signore dei Venti, coniugi reali della Tracia e la loro unione era tanto felice ed erano tanto innamorati come narra Apollodoro, entrambi si pensavano di non essere da meno dei sovrani degli dei, si chiamavano con i loro nomi: Zeus e Era. La vicenda viene riportata anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, opera in cui la storia si arricchisce di alcuni particolari.
Pare infatti che Alcione provasse da tempo delle strane sensazioni, come oscuri presentimenti quando Ceice decise comunque di partire per mare. Gli infausti sentimenti della donna trovarono triste conferma quando Ceice rimase vittima di una tempesta a causa della quale morì. I presagi per Alcione però non erano ancora finiti e la notte stessa Ceice le apparì in sogno mettendola a conoscenza della sua tragica sorte. Quando, il mattino seguente, Alcione trovò sulla spiaggia il corpo senza vita dell'amato marito, il dolore fu talmente forte che ella si tramutò in un uccello in grado di emettere tristi suoni lamentosi. A questo spettacolo, anche gli dei si mossero a compassione e, in un estremo atto di carità, permisero che anche Ceice si tramutasse in uccello. Marito e moglie furono così nuovamente insieme e felici.
giovedì 17 ottobre 2019
sabato 5 ottobre 2019
Felicia Felix-Mentor: la zombie di Haiti
Avete notato che negli ultimi anni è cresciuto a dismisura l’interesse per gli zombie (e di conseguenza è aumentata la produzione di pellicole a tema)? Oggi siamo bombardati di notizie assurde in rete, video, cortometraggi, serie e film che hanno come protagonisti morti viventi: ma quando è nata questa tendenza?
I cineamatori sicuramente diranno nel 1968, quando il regista George Romero diresse il film “La Notte dei Morti Viventi”, che inaugurò il genere cinematografico ancora oggi molto apprezzato, ma in realtà si parla di zombi da secoli. Oggi li si intende come esseri umani morti per un virus o una malattia che li trasforma in automi senza vita affamati di carne umana (l’idea è sempre bene o male quella di Romero), ma in senso lato possiamo affermare che gli zombie esistono realmente, o almeno esistevano fino a qualche tempo fa.
Zombie, morti viventi… No, non esattamente.
Per far chiarezza sulla questione dobbiamo per forza di cose spostarci ad Haiti, dove questo fenomeno fino a qualche tempo fa era noto a tutti; dobbiamo anche inoltrarci nel voodoo e nelle tradizioni locali, che si sono mantenute vive nei secoli e che ancora oggi sono al centro della vita locale. Purtroppo a questo dobbiamo aggiungere l’ignoranza: la grande maggioranza della popolazione di Haiti ha studi medio-bassi o non li ha affatto e le credenze sono radicate nel culto voodoo al quale fa affidamento perfino per i piccoli problemi quotidiani.
Haiti è uno dei paesi più misteriosi e affascinanti, ma è anche sfortunato per i terremoti, le eruzioni e per i dittatori che in passato hanno instaurato un clima di terrore: ne risulta un popolo molto credente e allo stesso tempo duttile psicologicamente.
Per farla breve, sebbene oggi il culto voodoo sia molto limitato geograficamente, ad Haiti è stato più volte estremizzato da uomini come il dittatore Papa Doc Duvalier che ha governato dal 1959 al 1971 e ha terrorizzato gli abitanti nominando molti leader voodoo come suoi collaboratori. Se vogliamo fare un nome, il temuto Tonton Macoute ha terrorizzato il popolo punendolo per qualunque fatto anomalo accadesse (manifestazioni, oppositori o anche solo per manifesti di satira politica): i colpevoli venivano sottoposti a punizioni atroci e alcuni di loro vennero bruciati vivi e i loro cadaveri appesi agli alberi come monito.
Duvalier e i suoi seguaci però fecero di più: riportarono in auge l’antica cultura voodoo e la utilizzarono per i loro scopi (ovvero sottomettere il popolo e intimidirlo); improvvisamente le vecchie leggende sugli zombie, i morti che camminano, tornarono in voga ad Haiti e non è raro che ancora oggi se ne parli.
Parliamo di leggende quindi? No, parliamo di zombie veri, o meglio persone che hanno creduto e che credono di essere zombie e che il voodoo spinge ad indicare come morti viventi.
Forse lo zombie più famoso di Haiti è stata una donna: il suo nome era Felicia Felix-Mentor, nata nel 1878. Fu dichiarata morta nel 1997 a 29 anni per un incidente (c’è chi dice che venne investita da un carro in strada, chi che cadde in un fosso battendo la testa, chi ancora che fu aggredita e picchiata a morte); a nulla valse la corsa in ospedale e fu dichiarata morta senza che si riprendesse mai per raccontare cosa le fosse successo.
Venne sepolta nel cimitero del comune di Ennery e tutti si dimenticarono di lei. Il 24 ottobre 1936 tra le strade di Ennery una donna emaciata e barcollante venne vista camminare senza meta nella zona del mercato. Nessuno la conosceva, ma era chiaro che non stesse affatto bene: camminava scalza, la sua pelle era rugosa e ferita in molti punti, i suoi occhi erano vuoti e sembravano malati; le sue ciglia erano cadute, così come le sue unghie e sembrava odiare la luce diretta del sole, camminando sempre nelle zone più in ombra.
Il caso volle che quella che sembrava una barbona vestita di stracci venne riconosciuta dai membri della famiglia Mentor: si trattava della loro parente defunta Felicia, che effettivamente dimostrava circa 60 anni, così come se fosse stata se non fosse morta nel 1907.
La donna venne portata a casa Mentor, dove furono tentate diverse cure per ristabilirla; lei però non mostrò alcuna emozione e quando parlò lo fece in modo piatto e atono. Disse di essere effettivamente Felicia Felix-Mentor, ma di essere morta anni addietro e di essere stata resuscitata da uno stregone voodoo per servirlo fino alla morte. Non mostrava alcuna emozione e le risposte alle domande che le facevano erano meccaniche e il suo sguardo spesso fisso nel vuoto. I parenti dissero che non si indicò mai come “io”, ma come “noi” e che era totalmente indifferente alle persone e a tutto ciò che le accadeva intorno.
Dopo qualche giorno la donna ebbe un malore e fu necessario il trasferimento in un ospedale statale, dove morì poche settimane dopo.
I parenti erano certi che fosse Felicia tornata dalla tomba, mentre il dottor Louis P. Mars, che si occupò di lei negli ultimi giorni di vita, fu dell’opinione che la donna probabilmente non fosse Felicia, ma semplicemente una schizofrenica.
Il caso di Felicia non è isolato: ad Haiti sono stati molti gli “zombie” visti camminare per strada. Tempo fa scrissi di un altro caso, Clairvius Narcisse, tornato dai suoi parenti dopo essere scomparso nel nulla per 20 anni: lui stesso affermò che era morto ed era stato resuscitato da un bokor (uno stregone voodoo) e trattenuto alla sua mercè con dei farmaci che lo obbligavano a seguirlo e servirlo.
Gli zombie affascinano ancora il mondo, anche se la scienza sembra avere una risposta plausibile al fenomeno: negli anni ’80 il medico americano Wade Davis ha avanzato una controversa teoria secondo cui “zombie” sono persone messe in stato di morte apparente (spesso inscenando finti incidenti) causata da un mix di sostanze tra cui la tetrodotossina, un neurotossina altamente letale ottenuta dalla carne dei pesci palla, ma che se somministrata nelle giuste quantità provoca la paralisi e il rallentamento di tutte le funzioni vitali (facendo sembrare il soggetto morto).
La combinazione di queste due sostanze porterebbe la vittima anche in uno stato di trance e, si sospetta, causerebbe danni neurologici ingenti. Se a questo si aggiunge il folclore locale, la paura delle pratiche voodoo e il risveglio in una bara non certamente tranquillo, ecco che la vittima “resuscitata” si viene a trovare in uno stato psicologico talmente vulnerabile da credere effettivamente di essere morta e risorta come zombie.
Si crede che uno zombie, una volta dissotterrato, venga costantemente trattato con droghe e intrugli che ne annullano la volontà fino a quando il bokor non si stufa di lui uccidendolo o muore liberandolo dal supplizio.
La tradizione di Haiti vuole però che gli zombie siano corpi rianimati sottratti alle loro tombe e in alcune zone fino a qualche anno fa, per evitare che un morto tornasse in vita, si usava tagliare i piedi al defunto per impedirglielo.
Moon-Eyed People: il popolo con la vista lunare
In realtà le parole Moon-Eyed People non sono facilmente traducibili e perciò il titolo di questo articolo è un tentativo di traduzione a partire da ciò che effettivamente sembrò questa gente a chi disse di averli visti.
Partiamo dagli Appalachi: gli Appalachi sono una catena montuosa del nord America lungo la quale in passato sono nate numerosissime leggende riguardo a creature, fantasmi, UFO e bizzarre persone che li abiterebbero, sia in superficie che in profondità. Non si tratta di storie del secolo scorso e nemmeno di quello precedente, ma di vicende tramandate sin dagli indiani, ancor prima che Colombo giungesse in America.
Se ci concentriamo sugli Appalachi meridionali, dalla North Carolina in giù per la Georgia e fino all’Alabama, una delle leggende più insistenti riguarda i Moon-Eyed People, chiamati così perché li si vedeva solo alla luce della luna.
I primi a parlare di questo popolo furono i Cherokee, che li descrivevano come piccoli uomini alti poco più di un 1,40 m, con la pelle bianchissima e una lunga barba. Secondo loro molti dei resti delle antiche strutture in pietra che oggi sorgono sulle creste della catena montuosa apparterrebbero ai Moon-Eyed People (alcune sono palesi formazioni rocciose naturali, altre sembrano in effetti artificiali).
Gli indiani li chiamavano “Moon Eyed” perché non erano in grado di vedere alla luce del giorno: i loro occhi erano estremamente sensibili e i raggi del sole facevano loro male. Per questo motivo erano un popolo rigorosamente notturno e vivevano in caverne sotterranee da cui emergevano solo raramente per procurarsi ciò di cui necessitavano.
La struttura più famosa associata ai Moon-Eyed People è in Georgia, a Fort Mountain: oggi la zona fa parte di un parco statale, ma Fort Mountain deve il suo nome ad un muro di pietra lungo circa 300 m che si estende lungo tutta la cima della montagna; dagli studi effettuati pare che sia stato costruito intorno al 1400 d.C. e secondo i Cherokee è ciò che rimane di una guerra che i Moon-Eyed hanno combattuto contro gli indiani Creek.
I feroci scontri portarono alla vittoria i Creek e il popolo che vedeva solo di notte fu costretto a migrare e rifugiarsi sotto le montagne della Carolina del Nord, dove pian piano si abituò a vivere in grotte sempre più profonde.
Ma cosa erano i Moon-Eyed People? I Cherokee avevano un culto e delle credenze piuttosto complessi: loro immaginavano un mondo in cui gli esseri umani condividevano il territorio con altri popoli, alcuni soprannaturali e non umani. Le razze come Nunnehi e Yunwi Tsudi sono un esempio di creature sovrannaturali che loro erano convinti abitassero nel sottosuolo e tra le nuvole; tuttavia nei reperti giunti fino a noi i Moon-Eyed People non sono mai descritti come esseri soprannaturali, ma come esseri umani, anche se fisicamente molto diversi dai nativi americani.
Quando James Mooney pubblicò “Miti e le Leggende del Cherokee” nel 1902 e introdusse la leggenda di Cherokee dei Moon-Eyed People, alcuni iniziarono ad avanzare l’ipotesi che non fossero null’altro che un gruppo di Vichinghi (con la pelle decisamente più chiara degli indiani) con cui i popoli nordamericani avevano contatti sin dall’ XI secolo; alcuni si spinsero oltre e portarono in auge la storia del principe gallese Madoc che avrebbe per primo scoperto le terre del nord del continente, ma che si ritiene una diceria inventata dai gallesi per rivendicare i territori che gli spagnoli conquistarono dopo la scoperta americana.
Oggi gli studi dei tumuli e dei resti di questa misteriosa civiltà proseguono a rilento, sia per il fatto che i governi non sono inclini a sovvenzionare tali ricerche, sia per la problematica di raggiungere i siti archeologici. Quello che è certo è che qualcuno effettivamente ha vissuto sulle cime degli Appalachi tre il X e il XV secolo, ma ancora non è chiaro chi fosse e che fine abbia fatto.
Partiamo dagli Appalachi: gli Appalachi sono una catena montuosa del nord America lungo la quale in passato sono nate numerosissime leggende riguardo a creature, fantasmi, UFO e bizzarre persone che li abiterebbero, sia in superficie che in profondità. Non si tratta di storie del secolo scorso e nemmeno di quello precedente, ma di vicende tramandate sin dagli indiani, ancor prima che Colombo giungesse in America.
Se ci concentriamo sugli Appalachi meridionali, dalla North Carolina in giù per la Georgia e fino all’Alabama, una delle leggende più insistenti riguarda i Moon-Eyed People, chiamati così perché li si vedeva solo alla luce della luna.
I primi a parlare di questo popolo furono i Cherokee, che li descrivevano come piccoli uomini alti poco più di un 1,40 m, con la pelle bianchissima e una lunga barba. Secondo loro molti dei resti delle antiche strutture in pietra che oggi sorgono sulle creste della catena montuosa apparterrebbero ai Moon-Eyed People (alcune sono palesi formazioni rocciose naturali, altre sembrano in effetti artificiali).
Gli indiani li chiamavano “Moon Eyed” perché non erano in grado di vedere alla luce del giorno: i loro occhi erano estremamente sensibili e i raggi del sole facevano loro male. Per questo motivo erano un popolo rigorosamente notturno e vivevano in caverne sotterranee da cui emergevano solo raramente per procurarsi ciò di cui necessitavano.
La struttura più famosa associata ai Moon-Eyed People è in Georgia, a Fort Mountain: oggi la zona fa parte di un parco statale, ma Fort Mountain deve il suo nome ad un muro di pietra lungo circa 300 m che si estende lungo tutta la cima della montagna; dagli studi effettuati pare che sia stato costruito intorno al 1400 d.C. e secondo i Cherokee è ciò che rimane di una guerra che i Moon-Eyed hanno combattuto contro gli indiani Creek.
I feroci scontri portarono alla vittoria i Creek e il popolo che vedeva solo di notte fu costretto a migrare e rifugiarsi sotto le montagne della Carolina del Nord, dove pian piano si abituò a vivere in grotte sempre più profonde.
Ma cosa erano i Moon-Eyed People? I Cherokee avevano un culto e delle credenze piuttosto complessi: loro immaginavano un mondo in cui gli esseri umani condividevano il territorio con altri popoli, alcuni soprannaturali e non umani. Le razze come Nunnehi e Yunwi Tsudi sono un esempio di creature sovrannaturali che loro erano convinti abitassero nel sottosuolo e tra le nuvole; tuttavia nei reperti giunti fino a noi i Moon-Eyed People non sono mai descritti come esseri soprannaturali, ma come esseri umani, anche se fisicamente molto diversi dai nativi americani.
Quando James Mooney pubblicò “Miti e le Leggende del Cherokee” nel 1902 e introdusse la leggenda di Cherokee dei Moon-Eyed People, alcuni iniziarono ad avanzare l’ipotesi che non fossero null’altro che un gruppo di Vichinghi (con la pelle decisamente più chiara degli indiani) con cui i popoli nordamericani avevano contatti sin dall’ XI secolo; alcuni si spinsero oltre e portarono in auge la storia del principe gallese Madoc che avrebbe per primo scoperto le terre del nord del continente, ma che si ritiene una diceria inventata dai gallesi per rivendicare i territori che gli spagnoli conquistarono dopo la scoperta americana.
Oggi gli studi dei tumuli e dei resti di questa misteriosa civiltà proseguono a rilento, sia per il fatto che i governi non sono inclini a sovvenzionare tali ricerche, sia per la problematica di raggiungere i siti archeologici. Quello che è certo è che qualcuno effettivamente ha vissuto sulle cime degli Appalachi tre il X e il XV secolo, ma ancora non è chiaro chi fosse e che fine abbia fatto.
venerdì 4 ottobre 2019
Forse nessuno di voi sa' chi era s'accabadora...
Fino a qualche decennio fa in Sardegna si praticava l’eutanasia. Era compito di sa femmina accabbadora procurare la morte a persone in agonia. Studi approfonditi e analisi della documentazione rinvenuta presso curie e diocesi sarde e presso musei, hanno accertato la reale esistenza di questa figura. S’accabadora era una donna che, chiamata dai familiari del malato terminale, provvedeva ad ucciderlo ponendo fine alle sue sofferenze. Un atto pietoso nei confronti del moribondo ma anche un atto necessario alla sopravvivenza dei parenti, soprattutto per le classi sociali meno abbienti: negli stazzi della Gallura e nei piccoli paesi lontani da un medico molti giorni di cavallo, serviva ad evitare lunghe e atroci sofferenze al malato. Sa femmina accabbadora arrivava nella casa del moribondo sempre di notte e, dopo aver fatto uscire i familiari che l’avevano chiamata, entrava nella stanza della morte: la porta si apriva e il moribondo, dal suo letto d’agonia, vedeva entrare sa femmina accabadora vestita di nero, con il viso coperto, e capiva che la sua sofferenza stava per finire. Il malato veniva soppresso con un cuscino, oppure la donna assestava il colpo de su mazzolu provocando la morte. S’accabbadora andava via in punta di piedi, quasi avesse compiuto una missione, ed i familiari del malato le esprimevano profonda gratitudine per il servizio reso al loro congiunto offrendole prodotti della terra. Quasi sempre il colpo era diretto alla fronte, da cui, probabilmente, il termine accabbadora, dallo (spagnolo?) acabar, terminare, che significa alla lettera dare sul capo. Su mazzolu era una sorta di bastone appositamente costruito e che si puo’ vedere nel Museo Etnografico Galluras. E’ un ramo di olivastro lungo 40 centimetri e largo 20, con un manico che permette un’impugnatura sicura e precisa. Su mazzoluesistente al museo Galluras e’ stato trovato nel 1981: s’accabbadora lo aveva nascosto in un muretto a secco vicino a un vecchio stazzo che una volta era la sua casa. In Sardegna s’accabbadora ha esercitato fino a pochi decenni fa, soprattutto nella parte centro-settentrionale dell’isola. Gli ultimi episodi noti di accabbadura avvennero a Luras nel 1929 e a Orgosolo nel 1952. Oltre i casi documentati, moltissimi sono quelli affidati alla trasmissione orale e alle memorie di famiglia. Molti ricordano un nonno o bisnonno che comunque ha avuto a che fare con la signora vestita di nero. A Luras, in Gallura, s’accabbadora uccise un uomo di 70 anni. La donna non fu condannata e il caso fu archiviato. I carabinieri, il Procuratore del Regno di Tempio Pausania e la Chiesa furono concordi che si tratto’ di un gesto umanitario. Infatti tutti sapevano e tutti tacevano, nessuna condanna sembra sia stata mai perpetrata nei confronti di questa donna missionaria che si faceva carico materialmente e moralmente di porre fine alle sofferenze del malato. La sua esistenza e’ sempre stata ritenuta un fatto naturale… come esisteva la levatrice che aiutava a nascere, esisteva s’accabbadora che aiutava a morire. Si dice addirittura che spesso era la stessa persona e che il suo compito si distinguesse dal colore dell’abito (nero se portava la morte, bianco o chiaro se doveva far nascere una vita). Questa figura, espressione di un fenomeno socio-culturale e storico e’ la pratica dell’eutanasia, nei piccoli paesi rurali della Sardegna e’ legata al rapporto che i sardi avevano con la morte. Nella cultura della comunita’ sarda, non e’ mai esistito una vera paura di fronte agli ultimi istanti della vita dell’uomo. Si puo’ anzi dire che i sardi avessero una propria e personale gestione della morte, considerata il naturale ciclo della vita.
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