lunedì 27 gennaio 2020
Elohim - Il Preludio
Mauro Biglino, dopo l'incredibile successo dei suoi saggi con oltre 100.000 copie vendute, ha scelto di passare al fumetto per ricostruire una storia capace di affascinare il lettore, trasportandolo in una vicenda che sarà narrata in una prima serie di 10 avvincenti numeri.
In questa collana chiamata Elohim, tutte le vicende narrate sono ricavate dall'Antico Testamento, e raccontano la Bibbia come nessuno ha mai così chiaramente spiegato.
- La vicenda degli Elohim: gli alieni colonizzatori che hanno conquistato la Terra, facendone il loro territorio di conquista;
- I primi interventi genetici compiuti sugli ominidi;
- La fanciullezza di Yahweh (il presunto Dio della religione ebraica e cristiana);
- La sua carriera militare che si sviluppa mentre altri Elohim, potenti e affermati, si spartiscono la Terra;
- L'opera di colonizzazione di cui conserviamo ancora le tracce, colonizzazione nella quale centinaia di migliaia di esseri viventi persero la vita, in battaglie feroci nelle quali si ricorse anche all'uso di armi atomiche.
Biografia :
Mauro Biglino cura le edizioni di carattere storico, culturale e didattico per diverse case editrici italiane. Studioso di storia delle religioni e traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo, collabora con diverse testate giornalistiche. Da circa 30 anni si occupa dei cosiddetti testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l'analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possano aiutare a comprendere veramente il pensiero religioso formulato dall'umanità nella sua storia.
Sin da piccolo, Riccardo Rontini dimostra interesse per le materie artistiche e creative che, presto, lo porteranno a frequentare il liceo artistico dove si diplomerà in “Architettura e Arredo” e, successivamente, nel 2012, a laurearsi presso l’Istituto europeo di desing di Milano in “Industrial Design”.
Lo schizzo a mano e il progetto sono la sua reale motivazione nel comprendere il significato di ciò che ci sta attorno e ribaltarlo sotto forma più comprensiva e intuitiva. La sua capacità grafica e progettuale sono in linea con la sua visione del sistema sociale; per tanto, questi aspetti percorrono intrecciandosi il medesimo sentiero per raggiungere un’unica metà capace di fonderne i concetti.
Le statue degli oranti di Tell Asmar
Nell'arte sumera troviamo la dimostrazione di quanto fosse intenso il legame che l'antico sumero aveva con il mondo divino. Gli scavi nei templi dedicati alle divinità hanno portato alla luce molte statue e statuette che poi vennero chiamate "statue degli oranti" per via della posizione di preghiera che le caratterizza. Queste statue venivano collocate nei templi degli dèi in modo da rappresentare continuamente l'orante, dato che la persona reale per via delle sue occupazioni non avrebbe potuto adempiere al suo debito di preghiera. Nella foto si vedono le dodici statue degli oranti ritrovate a Tell Asmar (Iraq) durante la campagna di scavi condotta tra il 1933 e 1934. Le statuette erano seppellite sotto al pavimento di un tempio dedicato al dio Abu (una divinità minore legata alla vegetazione e alla fertilità), la vicinanza con l'altare e la posizione ordinata in cui furono trovate suggeriscono che furono seppellite intenzionalmente.
Le statue di Tell Asmar risalgono ad un periodo compreso tra il 2900 a.C. e il 2500 a.C. e variano in altezza da 21 cm a 72 cm. Delle dodici statue dieci rappresentano individui di sesso maschile e due individui di sesso femminile. Otto delle figure sono fatte di gesso, due di calcare, e le più piccole di alabastro. Su alcune statue è riportato un nome e un messaggio supplichevole personalizzato, indicando che le statue erano un surrogato delle persone reali.
domenica 26 gennaio 2020
Mauro Biglino, dopo l'incredibile successo dei suoi saggi con oltre 100.000 copie vendute, ha scelto di passare al fumetto per ricostruire una storia capace di affascinare il lettore, trasportandolo in una vicenda che sarà narrata in una prima serie di 10 avvincenti numeri.
In questa collana chiamata Elohim, tutte le vicende narrate sono ricavate dall'Antico Testamento, e raccontano la Bibbia come nessuno ha mai così chiaramente spiegato.
- La vicenda degli Elohim: gli alieni colonizzatori che hanno conquistato la Terra, facendone il loro territorio di conquista;
- I primi interventi genetici compiuti sugli ominidi;
- La fanciullezza di Yahweh (il presunto Dio della religione ebraica e cristiana);
- La sua carriera militare che si sviluppa mentre altri Elohim, potenti e affermati, si spartiscono la Terra;
- L'opera di colonizzazione di cui conserviamo ancora le tracce, colonizzazione nella quale centinaia di migliaia di esseri viventi persero la vita, in battaglie feroci nelle quali si ricorse anche all'uso di armi atomiche.
Biografia :
Mauro Biglino cura le edizioni di carattere storico, culturale e didattico per diverse case editrici italiane. Studioso di storia delle religioni e traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo, collabora con diverse testate giornalistiche. Da circa 30 anni si occupa dei cosiddetti testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l'analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possano aiutare a comprendere veramente il pensiero religioso formulato dall'umanità nella sua storia.
Sin da piccolo, Riccardo Rontini dimostra interesse per le materie artistiche e creative che, presto, lo porteranno a frequentare il liceo artistico dove si diplomerà in “Architettura e Arredo” e, successivamente, nel 2012, a laurearsi presso l’Istituto europeo di desing di Milano in “Industrial Design”.
Lo schizzo a mano e il progetto sono la sua reale motivazione nel comprendere il significato di ciò che ci sta attorno e ribaltarlo sotto forma più comprensiva e intuitiva. La sua capacità grafica e progettuale sono in linea con la sua visione del sistema sociale; per tanto, questi aspetti percorrono intrecciandosi il medesimo sentiero per raggiungere un’unica metà capace di fonderne i concetti
venerdì 24 gennaio 2020
mercoledì 22 gennaio 2020
martedì 21 gennaio 2020
Scuola e alimentazione dei bambini aztechi, maya e zapotechi
Nell'antichità, i bambini Aztechi, Maya e Zapotechi consumavano una dieta al 100% vegetariana almeno fino all'eta' di dieci anni. L'alimento principale erano i cereali, in particolare una varieta' di mais. Si riteneva che questa dieta rendesse i bambini forti e resistenti alle malattie (gli Spagnoli erano stupefatti, scoprendo che la durata della vita di questi Indiani era lunga il doppio della loro). Una dieta totalmente vegetariana garantiva anche che i bambini mantenessero da adulti una predilezione per i cereali e che, di conseguenza, vivessero una vita piu' sana.
lunedì 20 gennaio 2020
Il Vudù
Diffusa in varie aree africane già da prima delle colonizzazioni europee, la profonda saggezza filosofica del Vudù si è poi diffusa nelle Americhe, in conseguenza alla deportazione degli schiavi neri nelle nuove colonie, dove venivano sfruttati per il lavoro forzato. Risale proprio a questo periodo — tra il XVII e il XVIII secolo — la codifica del Vudù così come lo si può conoscere al giorno d'oggi: nato dalla sintesi delle varie espressioni spirituali africane e di alcuni elementi cattolici.
Il vudù rappresentò per gli schiavi africani uno spiraglio di luce nella miseria della schiavitù; una fede comune che poteva farli sentire parte di una cultura valorizzata, nonché parte di una comunità. Tuttavia il Vudù dovette affrontare una dura lotta contro l'oppressione esercitata dal Cattolicesimo: la Chiesa cattolica combatté strenuamente contro l'espressione religiosa africana, a causa del suo insieme di superstizioni e magia nera. Il Vudù venne — a partire dal 1800 circa — presentato al mondo sotto i riflettori.
Con le deportazioni nelle Americhe, il vudù iniziò a diffondersi nelle isole caraibiche, e successivamente in tutta l'America centrale. Col tempo la religione vuduistica si ibridò con quella Cattolica, individuando la presenza di un Dio supremo e di numerosi intermediari; ebbero origine quindi religioni attraverso i tre secoli che separano la nascita del Vudù moderno e l'epoca attuale, con un apogeo da parte dei cattolici riscontrato negli anni cinquanta, e una prosecuzione sino ai tempi correnti per quanto riguarda l'avversione dei protestanti.
Nonostante le repressioni , il vudù attirò un numero sempre maggiore di adepti, proprio grazie a quell'alone di proibito e misterioso che la sua condanna aveva originato. In tempi moderni il Vudù sta godendo di una discreta diffusione negli Stati Uniti e nell'America meridionale: ad Haiti il riconoscimento ufficiale della religione vuduista — praticata da quasi tutta la popolazione, parallelamente al Cristianesimo — risale al 2003. In Africa occidentale è in corso un revivalismo: in Benin è riconosciuto in qualità di religione ufficiale dal 1996 ed è praticato dai quattro quinti della popolazione; viene inoltre amministrato da una Chiesa organizzata e viene insegnato nelle scuole. Numerose comunità sono infine presenti in Ghana e in Togo.
La teologia vuduista si presenta come estremamente complessa e ricca, molto simile a quella delle altre grandi religioni mistiche del mondo. Il Vudù concepisce infatti la molteplicità dell'universo come una realtà illusoria, intendendo il cosmo come un "tutt'uno". Le tante cose che costituiscono il mondo non sono slegate e distinte tra loro, la differenziazione è infatti il velo di Maia (dalla religione induista) che copre quella che è la realtà, ovvero il fatto che tutto ciò che esiste è parte e manifestazione di un'entità ancestrale, ineffabile ed eterna, ovvero Dio — che nella tradizione africana è indicato con nomi quali Mawu, Olorun o Gran Met (dal francese Grand Maître, ovvero "Grande Maestro"), e viene anche designato spesso con un altro nome , utilizzato da quando il Vudù si ibridò col Cristianesimo .
La divinità suprema è concepita dalla religione vuduista come un principio primordiale che crea l'universo attraverso un processo di manifestazione, di espressione dello spirito divino, un processo che dà ordine, vita e moto alla materia. Dio è il creatore, il motore, la fonte mistica di tutta l'esistenza, è l'essenza che nutre la materia dell'universo, nonché la potenza che dà forma alla sostanza. Quest'ultima, infatti, senza la forma conferitale da Dio, non sarebbe altro che caos.
La teologia vuduista concepisce Dio come un ente inarrivabile, inconoscibile, il quale tuttavia si può rendere accessibile alla mentalità umana manifestandosi nell'universo infinito che è sua emanazione. Lo stesso termine dal quale la religione trae il nome, ovvero vodun o vodu, sta ad indicare lo spirito misterioso che permea e fertilizza la materia cosmica, attivandola e donandole la vita. Nelle lingue africane tale termine significa letteralmente "segno del profondo" ed è generalmente utilizzato in alternativa a Obatala ed in un altro termine, quest'ultimo dal significato misterioso, vale a dire "potenza astuta della buca": questo termine ha un rimando anche a Satana (il "divisore" , il "maligno" , il "menzoniero") che i Cristiani pensano sia capace, con le sue astute menzogne miste abilmente a verità, di soggiogare la mente dell'uomo al suo volere imponendogli una morale falsa e distorta ed una errata percezione della realtà, dove solo l'aiuto di Dio può liberare e svelarne tutti gli inganni .
Secondo i vuduisti, queste espressioni sintetizzano la natura dello spirito divino manifesto nel mondo, perché il vodun è occulto, nascosto nella terra e nel cosmo che permea e di cui è l'essenza. Il vodun ha una duplice natura: da una parte è spirituale, dall'altra è materiale, ma si tratta di una distinzione pratica, dato che nel Vudù materia e spirito sarebbero considerati come la medesima realtà, dato che la materia non è altro che una forma condensata dello spirito cosmico. Il vodun è la forza segreta che presenzia in tutte le cose e che si manifesta all'uomo attraverso riti con simbolismi esoterici e di enfasi estatica. Tali riti, secondo le credenze, permetterebbe all'essere umano di oltrepassare il velo di Maia, di entrare in contatto diretto con la Divinità, contemplandola ed intravedendone le potenzialità, il potere e la consapevolezza che l'"essere inarrivabile" esprime in ogni attimo della sua esistenza.
Nella religione vuduista, il serpente è considerato una rappresentazione ideale e sacrale del vodun. Come il serpente costrittore si avviluppa attorno alle sue prede (altra similitudine con Satana od altri demoni rappresentanti i demoni ingannatori o stritolatori), così Dio avviluppa il suo spirito attorno al cosmo ed adempie perennemente al processo mistico della creazione o manifestazione molteplice.
« Il Serpente sotto i cui auspici si riuniscono tutti coloro che condividono la fede. »
Le spire del serpente rappresentano la forza mistica attraverso la quale la Divinità esprime la propria luce, emanando l'universo che permea e nutre in eterno con il suo spirito, il vodun. L'anima che compone tutte le cose tesse tra queste un inscindibile legame: lo spirito di una pietra è identico all'anima di un albero, l'anima di un albero è identica allo spirito di un animale, lo spirito di un animale è parte della stessa anima universale che possiede anche l'essere umano. Ogni cosa, sia essa animata o inanimata, è parte di Dio ed è parte dell'eterno ciclo della creazione.
Stando a tutto questo, il Vudù è una religione panteistica, in quanto concepisce tutte le cose come tasselli di un'unica anima cosmica; parallelamente è però anche una religione monistica. La teologia vuduista include infatti il concetto di manifestazione pluralistica di Dio: esso è unico e unitario, è la fonte ancestrale di tutte le cose che esistono, ma non può essere compreso dalla mente umana se non attraverso la molteplicità delle sue manifestazioni. Il Vudù contempla infatti la presenza di una schiera di varie divinità, che designa con il termine specifico di loa, che letteralmente vuol dire "misteri", ma che viene spesso tradotto anche come "santi" o "angeli", per sottolineare la similitudine col Cristianesimo. Questi spiriti della natura (in parte derivati dagli Orisha della tradizione yoruba) sono le sfaccettature, i vari aspetti, attraverso i quali Dio si manifesta nel mondo. Proprio per questo motivo l'uomo non è in grado di sviluppare tutte le personalità ma si limita ad una. L'uomo, che secondo quanto detto sarebbe limitato nel comprendere il mistero dell'assoluto, può entrare in contatto con Dio solo passando attraverso il molteplice, essendo questo l'unica mezzo che può condurlo al divino, il veicolo che permette la comprensione della realtà. La molteplicità è l'eccezionale capacita di alzare la testa, agire senza paraocchi, distrarre una mente sovraccarica o ossessionata, staccare e riattaccare la mente proprio come avviene per la concentrazione più il periodo di recupero è breve maggiore è la durata.
Dai rituali fortemente esoterici e mistici si crede che non esista distinzione tra il mondo divino e il mondo umano, che ogni cosa è divina in quanto ogni cosa è parte attiva dell'unità. L'uomo potrebbe condurre una vita che lo porti alla stretta relazione estatica con le manifestazioni di Dio, con le divinità e gli spiriti dei morti, ma nel momento in cui comprende il segreto del molteplice e del vario, si rende anche pienamente consapevole del fatto che il molteplice è costituito dai tanti tasselli di un unico mosaico divino.
Tra gli spiriti della natura venerata dai fedeli del Vudù si trovano divinità che fungono da patrone e personificazioni di elementi e forze della natura. Gli spiriti del cosmo venerati dai vuduisti sono stati etichettati, nel Vudù centroamericano, con denominazioni in francese o spagnolo, ed associati, in una erronea analogia frutto di un miscuglio culturale, a santi e figure cattoliche. Pertanto, quei "santi" vengono considerati o come incarnazioni terrestri delle divinità, oppure come alternative raffigurazioni delle divinità stesse.
Le divinità sono considerate delle entità indescrivibili, senza aspetto o caratteristiche fisiche; sono semplici essenze della Divinità suprema. Per questo motivo, nonostante la diffusa iconografia, dovuta in particolare alle commistioni cattoliche, per rappresentarle in via ufficiale, ad esempio per le decorazioni dei templi vuduisti, vengono utilizzati i veve, i disegni geometrici sacri. Questi sono ritenuti il miglior modo attraverso cui esprimere l'aspetto del divino, in quanto sono sintetizzazioni simboliche delle funzioni e delle caratteristiche che contraddistinguono gli spiriti della natura.
Il Vudù si presenta generalmente con un'organizzazione costituita da un sistema di congregazioni. Ad Haiti e in Benin esistono due vere e proprie Chiese vuduiste che amministrano molte di queste congregazioni e gestiscono le cerimonie religiose, oltre che i seminari per la formazione del clero vuduista; in Benin la Chiesa del Vudù è un'istituzione molto importante nella società e nella vita dei cittadini, essa gestisce infatti parecchi servizi pubblici, quali ospedali, scuole, college ed alcuni enti per la beneficenza. Il clero vuduista è costituito da sacerdoti e sacerdotesse, che svolgono generalmente le medesime funzioni; i sacerdoti di sesso maschile vengono chiamati oungan (anche ungan o houngan), le donne vengono chiamate mambo. Ogni congregazione vuduista possiede poi i propri alti sacerdoti e alte sacerdotesse, chiamati rispettivamente papaloa e mamaloa; questi sacerdoti capi hanno il compito di gestire al meglio gli interi collegi clericali, avendo alle spalle molti anni di esperienza. Esistono inoltre alcune decine di cosiddetti "Roi" (Re), che godono di un prestigio particolare e insieme formano la leadership della cosiddetta "Chiesa" Beninese. Sono i discendenti degli antichi sovrani del Dahomey e hanno diverse specializzazioni; Towakon Guedehongue II, ad esempio, benché gli sia spesso attribuito il titolo di "Papa" del Vodou, non è altro che uno dei tanti Roi, specializzato nella supervisione sulla correttezza dei rituali nei vari Hounfour. Il clero offre servizio in templi, gestiti dalle congregazioni e diffusi sul territorio; oggi esistono templi vuduisti in particolare in America centrale e in Africa occidentale, sebbene luoghi di culto si possano trovare anche in tutti gli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, in particolare in quelli in cui le attività del Vudù sono più radicate.I templi sono considerati dei luoghi in cui l'essere umano può entrare in contatto con la Divinità, ed è per questo che vi si svolgono i rituali. Gli edifici di culto sono decorati con vari elementi, tra cui un ingente quantità di candele, raffigurazioni di santi e oggetti considerati legati ai loa. Questi ultimi, in quanto non rappresentabili, sono celebrati di solito mediante l'utilizzo dei veve, le geometrie sacre. Durante i rituali sono molto frequenti i sacrifici animali, in particolare — tipico della tradizione vuduista — è il rituale che prevede lo sgozzamento del galletto. Possono essere utilizzate anche le famose bambole vudù . Altra caratteristica importante dei riti vuduisti è il forte misticismo, vale a dire il forte contatto che viene teso tra il mondo divino e il mondo umano, portando ad un'unione rituale tra uomini e dèi.
Le liturgie prevedono infatti la possessione divina, attraverso cui una divinità loa o lo spirito di una persona defunta si impossessa del corpo del celebrante — solitamente un membro del clero — interagendo con i partecipanti al rito. Nei momenti di estasi il posseduto viene detto uno zombi ovvero una persona viva sotto il controllo di un ente che in realtà non appartiene al suo corpo. Si crede infatti che durante i rituali di possessione, una delle due anime del posseduto lasci il corpo per permettere alla divinità di penetrarvi.
Nel Voodoo, il concetto della salvezza e del raggiungimento della salvezza è molto complesso. La visione si può dire che, a grandi linee, abbia alcuni punti in comune con quella cattolica: infatti entrambe le escatologie di queste religioni si basano sulla credenza in una vita dopo la morte. Nel Vudù tuttavia esiste una concezione molto diversa per quanto riguarda l'anima: mentre infatti nel Cattolicesimo l'anima viene considerata il "principio spirituale dell'uomo" (Catechismo della Chiesa Cattolica - CCC n. 363), o la "forma del corpo" (CCC n. 365), destinata a ricongiungersi ad esso dopo la morte con la risurrezione, (cfr. CCC n. 990), nel Vudù essa è concepita come distinta in due corpi numistici, vale a dire il grande angelo guardiano e il piccolo angelo guardiano. La prima parte dell'anima è considerata quella più materiale, e per questo strettamente legata al corpo, tanto da lasciarlo solo in seguito alla morte. La seconda è considerata invece la parte più sottile, in grado di lasciare spesso il corpo — anche durante il sonno —, e quella più soggetta ad influssi esterni, tanto che si ritiene se ne possano impossessare, imprigionandola, persone che praticano la magia nera, attraverso la quale riuscirebbero a controllare il piccolo angelo guardiano e, direttamente, la persona cui l'anima appartiene, rendendola uno zombi. I sacerdoti vuduisti possono, in questo caso, proteggere il malcapitato preparando un vaso della testa (in francese pot de tête), ovvero una sorta di amuleto nel quale racchiudono anticipatamente il piccolo angelo guardiano impedendo che venga catturato. Quando una persona muore, la sua anima ascende al paradiso. Durante la vita ogni essere umano possiede inoltre un proprio maestro della testa. Questa entità corrisponde all'angelo custode della tradizione cristiana, un nume dunque che porta consiglio e protezione alla persona cui è associato. Eticamente il Vudù esercita una morale che enfatizza la valorizzazione della vita umana e il rispetto della natura. Quest'ultima, essendo il Vudù una religione panteistica è considerata sacra e permeata dalle divinità. La religione vuduista sta rappresentando, in particolare nelle regioni meridionali del Togo, una forza particolarmente fervente che lotta per la salvaguardia delle zone boscose considerate sacre e al contempo vi si celebrano molto spesso i rituali vuduisti.
Per quanto riguarda la vita umana, un insegnamento che può essere utilizzato come esempio principale della forza etica che caratterizza il Vudù, è il valore che questo dà alle persone con handicap fisici o mentali perché considera manifestazione mistica qualsiasi cosa che sia speciale o semplicemente diversa.
Come tutte le religioni antiche anche il vuduismo ha numerosi cerimoniali legati alla magia e particolarmente vasto sembra essere l'arsenale della magia distruttiva o nera.
Per quanto non esistano prove dell'efficacia di tali magie, non vi possono essere dubbi sulla presa di queste superstizioni sul popolo: perfino François Duvalier, presidente a vita di Haiti dal 1957 al 1971, riuscì a tenere Haiti nella morsa della paura, spacciandosi come la reincarnazione dell'entità Baron Samedi, in grado di scagliare potenti maledizioni (affermò che la morte John Fitzgerald Kennedy era dovuta ad una sua maledizione) e usò i "Tonton Macoutes" (Zii Sacco di Iuta) per far sparire gli avversari politici.
Baron Samedi
La “Bambola Voodoo” è un affascinante oggetto che è entrato prepotentemente nel folklore relativo a questa tradizione magico-religiosa.
Le bambole voodoo possono presentarsi in diversi aspetti e forme. Spesso i materiali e la forma dipendono dal tipo di rituale in cui verrà impiegata e dal suo “effetto”. Principalmente sono costruite con materiali semplici e naturali come cotone, erbe, pezzi di legno, argilla e uova, decorate con stoffe, perline e oggetti; talvolta sono cosi minuziosamente e riccamente decorate.
dagida
dagida In effetti possiamo parlare di bambola voodoo soltanto quando questa è utilizzato in un rito di questo sistema di magia, in quanto la “bambolina” (chiamata dagida) è adoperata da sempre anche in altri sistemi magici e nella magia europea.
Questo oggetto viene associato erroneamente solo alla magia nera, ma in realtà viene adoperato per ogni sorta di incantesimo benigno o malefico ed anche nei riti religiosi per onorare le divinità Voodoo.
La funzione della bambola voodoo è quella di rappresentare la persona o la Divinità su cui si concentra il rituale; quindi possono essere impiegate per “attaccare” un nemico , guarire o far innamorare le persone amate o invocare la presenza della Divinità.
Tradizionalmente i colori sono:
Bianco: per la magia bianca, spiritualità.
Nero: per la magia nera, per proteggersi da negatività.
Rosso: amore, attacco, passione, potere
Verde: denaro, fertilità, serenità
Blu: serenità, riposo, fortuna
Rosa: amore
Viola: spiritualità, spirito dei defunti
Giallo: allegria, soldi, mente.
Non esiste un unico rito perché questo dipende dalla natura dell’ incantesimo e dello spirito invocato, nonché dalle tradizioni locali.Prima di eseguire l’ incantesimo, l’ officiante si accinge ad un bagno purificatore e in seguito purifica anche l’ area in cui verrà svolto il rito. Questo viene fatto spruzzando rum o dell’ acqua benedetta.
Il rito inizia con una preghiera a Papa Legba affinché apra le porte tra il regno umano e quello degli spiriti.Poi, si tracci il sigillo della Divinità di cui si chiede l’ aiuto utilizzando farina di mais o polvere “cascarilla”.Si ripeta la formula di invocazione finche se ne avverta la presenza.Sul sigillo si ponga l’ offerta per propiziarsi lo spirito e soddisfarlo, la bambolina o gli oggetti necessari a costruirla.
A questo punto, l’ officiante simula con la bambola ciò che si vuole che accada all’ altra persona e lo si chiede a voce allo spirito invocato. Dal momento in cui viene usata, la bambola non deve essere più chiamata tale, ma col nome della persona che rappresenta.Al termine viene ringrazia lo spirito e lo si congeda, spesso con un’ altra offerta. Segue una preghiera a Papa Legba pere chiudere il portale e si spazza via il sigillo tracciato con la farina o la polvere.
Papa Legba
Se invece la bambola voodoo serve a invocare la presenza della Divinità nella casa, in un luogo o per esserci vicino, la bambola deve essere costruita secondo l’ immagine e i gusti dello spirito per esempio: una bambola di Damballa sarà decorata con serpenti e nei suoi colori sacri e conserverà all’ interno il suo sigillo.Durante il rito si chiederà allo spirito di abitare la bambolina.
Il vudù rappresentò per gli schiavi africani uno spiraglio di luce nella miseria della schiavitù; una fede comune che poteva farli sentire parte di una cultura valorizzata, nonché parte di una comunità. Tuttavia il Vudù dovette affrontare una dura lotta contro l'oppressione esercitata dal Cattolicesimo: la Chiesa cattolica combatté strenuamente contro l'espressione religiosa africana, a causa del suo insieme di superstizioni e magia nera. Il Vudù venne — a partire dal 1800 circa — presentato al mondo sotto i riflettori.
Con le deportazioni nelle Americhe, il vudù iniziò a diffondersi nelle isole caraibiche, e successivamente in tutta l'America centrale. Col tempo la religione vuduistica si ibridò con quella Cattolica, individuando la presenza di un Dio supremo e di numerosi intermediari; ebbero origine quindi religioni attraverso i tre secoli che separano la nascita del Vudù moderno e l'epoca attuale, con un apogeo da parte dei cattolici riscontrato negli anni cinquanta, e una prosecuzione sino ai tempi correnti per quanto riguarda l'avversione dei protestanti.
Nonostante le repressioni , il vudù attirò un numero sempre maggiore di adepti, proprio grazie a quell'alone di proibito e misterioso che la sua condanna aveva originato. In tempi moderni il Vudù sta godendo di una discreta diffusione negli Stati Uniti e nell'America meridionale: ad Haiti il riconoscimento ufficiale della religione vuduista — praticata da quasi tutta la popolazione, parallelamente al Cristianesimo — risale al 2003. In Africa occidentale è in corso un revivalismo: in Benin è riconosciuto in qualità di religione ufficiale dal 1996 ed è praticato dai quattro quinti della popolazione; viene inoltre amministrato da una Chiesa organizzata e viene insegnato nelle scuole. Numerose comunità sono infine presenti in Ghana e in Togo.
La teologia vuduista si presenta come estremamente complessa e ricca, molto simile a quella delle altre grandi religioni mistiche del mondo. Il Vudù concepisce infatti la molteplicità dell'universo come una realtà illusoria, intendendo il cosmo come un "tutt'uno". Le tante cose che costituiscono il mondo non sono slegate e distinte tra loro, la differenziazione è infatti il velo di Maia (dalla religione induista) che copre quella che è la realtà, ovvero il fatto che tutto ciò che esiste è parte e manifestazione di un'entità ancestrale, ineffabile ed eterna, ovvero Dio — che nella tradizione africana è indicato con nomi quali Mawu, Olorun o Gran Met (dal francese Grand Maître, ovvero "Grande Maestro"), e viene anche designato spesso con un altro nome , utilizzato da quando il Vudù si ibridò col Cristianesimo .
La divinità suprema è concepita dalla religione vuduista come un principio primordiale che crea l'universo attraverso un processo di manifestazione, di espressione dello spirito divino, un processo che dà ordine, vita e moto alla materia. Dio è il creatore, il motore, la fonte mistica di tutta l'esistenza, è l'essenza che nutre la materia dell'universo, nonché la potenza che dà forma alla sostanza. Quest'ultima, infatti, senza la forma conferitale da Dio, non sarebbe altro che caos.
La teologia vuduista concepisce Dio come un ente inarrivabile, inconoscibile, il quale tuttavia si può rendere accessibile alla mentalità umana manifestandosi nell'universo infinito che è sua emanazione. Lo stesso termine dal quale la religione trae il nome, ovvero vodun o vodu, sta ad indicare lo spirito misterioso che permea e fertilizza la materia cosmica, attivandola e donandole la vita. Nelle lingue africane tale termine significa letteralmente "segno del profondo" ed è generalmente utilizzato in alternativa a Obatala ed in un altro termine, quest'ultimo dal significato misterioso, vale a dire "potenza astuta della buca": questo termine ha un rimando anche a Satana (il "divisore" , il "maligno" , il "menzoniero") che i Cristiani pensano sia capace, con le sue astute menzogne miste abilmente a verità, di soggiogare la mente dell'uomo al suo volere imponendogli una morale falsa e distorta ed una errata percezione della realtà, dove solo l'aiuto di Dio può liberare e svelarne tutti gli inganni .
Secondo i vuduisti, queste espressioni sintetizzano la natura dello spirito divino manifesto nel mondo, perché il vodun è occulto, nascosto nella terra e nel cosmo che permea e di cui è l'essenza. Il vodun ha una duplice natura: da una parte è spirituale, dall'altra è materiale, ma si tratta di una distinzione pratica, dato che nel Vudù materia e spirito sarebbero considerati come la medesima realtà, dato che la materia non è altro che una forma condensata dello spirito cosmico. Il vodun è la forza segreta che presenzia in tutte le cose e che si manifesta all'uomo attraverso riti con simbolismi esoterici e di enfasi estatica. Tali riti, secondo le credenze, permetterebbe all'essere umano di oltrepassare il velo di Maia, di entrare in contatto diretto con la Divinità, contemplandola ed intravedendone le potenzialità, il potere e la consapevolezza che l'"essere inarrivabile" esprime in ogni attimo della sua esistenza.
Nella religione vuduista, il serpente è considerato una rappresentazione ideale e sacrale del vodun. Come il serpente costrittore si avviluppa attorno alle sue prede (altra similitudine con Satana od altri demoni rappresentanti i demoni ingannatori o stritolatori), così Dio avviluppa il suo spirito attorno al cosmo ed adempie perennemente al processo mistico della creazione o manifestazione molteplice.
« Il Serpente sotto i cui auspici si riuniscono tutti coloro che condividono la fede. »
Le spire del serpente rappresentano la forza mistica attraverso la quale la Divinità esprime la propria luce, emanando l'universo che permea e nutre in eterno con il suo spirito, il vodun. L'anima che compone tutte le cose tesse tra queste un inscindibile legame: lo spirito di una pietra è identico all'anima di un albero, l'anima di un albero è identica allo spirito di un animale, lo spirito di un animale è parte della stessa anima universale che possiede anche l'essere umano. Ogni cosa, sia essa animata o inanimata, è parte di Dio ed è parte dell'eterno ciclo della creazione.
Stando a tutto questo, il Vudù è una religione panteistica, in quanto concepisce tutte le cose come tasselli di un'unica anima cosmica; parallelamente è però anche una religione monistica. La teologia vuduista include infatti il concetto di manifestazione pluralistica di Dio: esso è unico e unitario, è la fonte ancestrale di tutte le cose che esistono, ma non può essere compreso dalla mente umana se non attraverso la molteplicità delle sue manifestazioni. Il Vudù contempla infatti la presenza di una schiera di varie divinità, che designa con il termine specifico di loa, che letteralmente vuol dire "misteri", ma che viene spesso tradotto anche come "santi" o "angeli", per sottolineare la similitudine col Cristianesimo. Questi spiriti della natura (in parte derivati dagli Orisha della tradizione yoruba) sono le sfaccettature, i vari aspetti, attraverso i quali Dio si manifesta nel mondo. Proprio per questo motivo l'uomo non è in grado di sviluppare tutte le personalità ma si limita ad una. L'uomo, che secondo quanto detto sarebbe limitato nel comprendere il mistero dell'assoluto, può entrare in contatto con Dio solo passando attraverso il molteplice, essendo questo l'unica mezzo che può condurlo al divino, il veicolo che permette la comprensione della realtà. La molteplicità è l'eccezionale capacita di alzare la testa, agire senza paraocchi, distrarre una mente sovraccarica o ossessionata, staccare e riattaccare la mente proprio come avviene per la concentrazione più il periodo di recupero è breve maggiore è la durata.
Dai rituali fortemente esoterici e mistici si crede che non esista distinzione tra il mondo divino e il mondo umano, che ogni cosa è divina in quanto ogni cosa è parte attiva dell'unità. L'uomo potrebbe condurre una vita che lo porti alla stretta relazione estatica con le manifestazioni di Dio, con le divinità e gli spiriti dei morti, ma nel momento in cui comprende il segreto del molteplice e del vario, si rende anche pienamente consapevole del fatto che il molteplice è costituito dai tanti tasselli di un unico mosaico divino.
Tra gli spiriti della natura venerata dai fedeli del Vudù si trovano divinità che fungono da patrone e personificazioni di elementi e forze della natura. Gli spiriti del cosmo venerati dai vuduisti sono stati etichettati, nel Vudù centroamericano, con denominazioni in francese o spagnolo, ed associati, in una erronea analogia frutto di un miscuglio culturale, a santi e figure cattoliche. Pertanto, quei "santi" vengono considerati o come incarnazioni terrestri delle divinità, oppure come alternative raffigurazioni delle divinità stesse.
Le divinità sono considerate delle entità indescrivibili, senza aspetto o caratteristiche fisiche; sono semplici essenze della Divinità suprema. Per questo motivo, nonostante la diffusa iconografia, dovuta in particolare alle commistioni cattoliche, per rappresentarle in via ufficiale, ad esempio per le decorazioni dei templi vuduisti, vengono utilizzati i veve, i disegni geometrici sacri. Questi sono ritenuti il miglior modo attraverso cui esprimere l'aspetto del divino, in quanto sono sintetizzazioni simboliche delle funzioni e delle caratteristiche che contraddistinguono gli spiriti della natura.
Il Vudù si presenta generalmente con un'organizzazione costituita da un sistema di congregazioni. Ad Haiti e in Benin esistono due vere e proprie Chiese vuduiste che amministrano molte di queste congregazioni e gestiscono le cerimonie religiose, oltre che i seminari per la formazione del clero vuduista; in Benin la Chiesa del Vudù è un'istituzione molto importante nella società e nella vita dei cittadini, essa gestisce infatti parecchi servizi pubblici, quali ospedali, scuole, college ed alcuni enti per la beneficenza. Il clero vuduista è costituito da sacerdoti e sacerdotesse, che svolgono generalmente le medesime funzioni; i sacerdoti di sesso maschile vengono chiamati oungan (anche ungan o houngan), le donne vengono chiamate mambo. Ogni congregazione vuduista possiede poi i propri alti sacerdoti e alte sacerdotesse, chiamati rispettivamente papaloa e mamaloa; questi sacerdoti capi hanno il compito di gestire al meglio gli interi collegi clericali, avendo alle spalle molti anni di esperienza. Esistono inoltre alcune decine di cosiddetti "Roi" (Re), che godono di un prestigio particolare e insieme formano la leadership della cosiddetta "Chiesa" Beninese. Sono i discendenti degli antichi sovrani del Dahomey e hanno diverse specializzazioni; Towakon Guedehongue II, ad esempio, benché gli sia spesso attribuito il titolo di "Papa" del Vodou, non è altro che uno dei tanti Roi, specializzato nella supervisione sulla correttezza dei rituali nei vari Hounfour. Il clero offre servizio in templi, gestiti dalle congregazioni e diffusi sul territorio; oggi esistono templi vuduisti in particolare in America centrale e in Africa occidentale, sebbene luoghi di culto si possano trovare anche in tutti gli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, in particolare in quelli in cui le attività del Vudù sono più radicate.I templi sono considerati dei luoghi in cui l'essere umano può entrare in contatto con la Divinità, ed è per questo che vi si svolgono i rituali. Gli edifici di culto sono decorati con vari elementi, tra cui un ingente quantità di candele, raffigurazioni di santi e oggetti considerati legati ai loa. Questi ultimi, in quanto non rappresentabili, sono celebrati di solito mediante l'utilizzo dei veve, le geometrie sacre. Durante i rituali sono molto frequenti i sacrifici animali, in particolare — tipico della tradizione vuduista — è il rituale che prevede lo sgozzamento del galletto. Possono essere utilizzate anche le famose bambole vudù . Altra caratteristica importante dei riti vuduisti è il forte misticismo, vale a dire il forte contatto che viene teso tra il mondo divino e il mondo umano, portando ad un'unione rituale tra uomini e dèi.
Le liturgie prevedono infatti la possessione divina, attraverso cui una divinità loa o lo spirito di una persona defunta si impossessa del corpo del celebrante — solitamente un membro del clero — interagendo con i partecipanti al rito. Nei momenti di estasi il posseduto viene detto uno zombi ovvero una persona viva sotto il controllo di un ente che in realtà non appartiene al suo corpo. Si crede infatti che durante i rituali di possessione, una delle due anime del posseduto lasci il corpo per permettere alla divinità di penetrarvi.
Nel Voodoo, il concetto della salvezza e del raggiungimento della salvezza è molto complesso. La visione si può dire che, a grandi linee, abbia alcuni punti in comune con quella cattolica: infatti entrambe le escatologie di queste religioni si basano sulla credenza in una vita dopo la morte. Nel Vudù tuttavia esiste una concezione molto diversa per quanto riguarda l'anima: mentre infatti nel Cattolicesimo l'anima viene considerata il "principio spirituale dell'uomo" (Catechismo della Chiesa Cattolica - CCC n. 363), o la "forma del corpo" (CCC n. 365), destinata a ricongiungersi ad esso dopo la morte con la risurrezione, (cfr. CCC n. 990), nel Vudù essa è concepita come distinta in due corpi numistici, vale a dire il grande angelo guardiano e il piccolo angelo guardiano. La prima parte dell'anima è considerata quella più materiale, e per questo strettamente legata al corpo, tanto da lasciarlo solo in seguito alla morte. La seconda è considerata invece la parte più sottile, in grado di lasciare spesso il corpo — anche durante il sonno —, e quella più soggetta ad influssi esterni, tanto che si ritiene se ne possano impossessare, imprigionandola, persone che praticano la magia nera, attraverso la quale riuscirebbero a controllare il piccolo angelo guardiano e, direttamente, la persona cui l'anima appartiene, rendendola uno zombi. I sacerdoti vuduisti possono, in questo caso, proteggere il malcapitato preparando un vaso della testa (in francese pot de tête), ovvero una sorta di amuleto nel quale racchiudono anticipatamente il piccolo angelo guardiano impedendo che venga catturato. Quando una persona muore, la sua anima ascende al paradiso. Durante la vita ogni essere umano possiede inoltre un proprio maestro della testa. Questa entità corrisponde all'angelo custode della tradizione cristiana, un nume dunque che porta consiglio e protezione alla persona cui è associato. Eticamente il Vudù esercita una morale che enfatizza la valorizzazione della vita umana e il rispetto della natura. Quest'ultima, essendo il Vudù una religione panteistica è considerata sacra e permeata dalle divinità. La religione vuduista sta rappresentando, in particolare nelle regioni meridionali del Togo, una forza particolarmente fervente che lotta per la salvaguardia delle zone boscose considerate sacre e al contempo vi si celebrano molto spesso i rituali vuduisti.
Per quanto riguarda la vita umana, un insegnamento che può essere utilizzato come esempio principale della forza etica che caratterizza il Vudù, è il valore che questo dà alle persone con handicap fisici o mentali perché considera manifestazione mistica qualsiasi cosa che sia speciale o semplicemente diversa.
Come tutte le religioni antiche anche il vuduismo ha numerosi cerimoniali legati alla magia e particolarmente vasto sembra essere l'arsenale della magia distruttiva o nera.
Per quanto non esistano prove dell'efficacia di tali magie, non vi possono essere dubbi sulla presa di queste superstizioni sul popolo: perfino François Duvalier, presidente a vita di Haiti dal 1957 al 1971, riuscì a tenere Haiti nella morsa della paura, spacciandosi come la reincarnazione dell'entità Baron Samedi, in grado di scagliare potenti maledizioni (affermò che la morte John Fitzgerald Kennedy era dovuta ad una sua maledizione) e usò i "Tonton Macoutes" (Zii Sacco di Iuta) per far sparire gli avversari politici.
Baron Samedi
La “Bambola Voodoo” è un affascinante oggetto che è entrato prepotentemente nel folklore relativo a questa tradizione magico-religiosa.
Le bambole voodoo possono presentarsi in diversi aspetti e forme. Spesso i materiali e la forma dipendono dal tipo di rituale in cui verrà impiegata e dal suo “effetto”. Principalmente sono costruite con materiali semplici e naturali come cotone, erbe, pezzi di legno, argilla e uova, decorate con stoffe, perline e oggetti; talvolta sono cosi minuziosamente e riccamente decorate.
dagida
dagida In effetti possiamo parlare di bambola voodoo soltanto quando questa è utilizzato in un rito di questo sistema di magia, in quanto la “bambolina” (chiamata dagida) è adoperata da sempre anche in altri sistemi magici e nella magia europea.
Questo oggetto viene associato erroneamente solo alla magia nera, ma in realtà viene adoperato per ogni sorta di incantesimo benigno o malefico ed anche nei riti religiosi per onorare le divinità Voodoo.
La funzione della bambola voodoo è quella di rappresentare la persona o la Divinità su cui si concentra il rituale; quindi possono essere impiegate per “attaccare” un nemico , guarire o far innamorare le persone amate o invocare la presenza della Divinità.
Tradizionalmente i colori sono:
Bianco: per la magia bianca, spiritualità.
Nero: per la magia nera, per proteggersi da negatività.
Rosso: amore, attacco, passione, potere
Verde: denaro, fertilità, serenità
Blu: serenità, riposo, fortuna
Rosa: amore
Viola: spiritualità, spirito dei defunti
Giallo: allegria, soldi, mente.
Non esiste un unico rito perché questo dipende dalla natura dell’ incantesimo e dello spirito invocato, nonché dalle tradizioni locali.Prima di eseguire l’ incantesimo, l’ officiante si accinge ad un bagno purificatore e in seguito purifica anche l’ area in cui verrà svolto il rito. Questo viene fatto spruzzando rum o dell’ acqua benedetta.
Il rito inizia con una preghiera a Papa Legba affinché apra le porte tra il regno umano e quello degli spiriti.Poi, si tracci il sigillo della Divinità di cui si chiede l’ aiuto utilizzando farina di mais o polvere “cascarilla”.Si ripeta la formula di invocazione finche se ne avverta la presenza.Sul sigillo si ponga l’ offerta per propiziarsi lo spirito e soddisfarlo, la bambolina o gli oggetti necessari a costruirla.
A questo punto, l’ officiante simula con la bambola ciò che si vuole che accada all’ altra persona e lo si chiede a voce allo spirito invocato. Dal momento in cui viene usata, la bambola non deve essere più chiamata tale, ma col nome della persona che rappresenta.Al termine viene ringrazia lo spirito e lo si congeda, spesso con un’ altra offerta. Segue una preghiera a Papa Legba pere chiudere il portale e si spazza via il sigillo tracciato con la farina o la polvere.
Papa Legba
Se invece la bambola voodoo serve a invocare la presenza della Divinità nella casa, in un luogo o per esserci vicino, la bambola deve essere costruita secondo l’ immagine e i gusti dello spirito per esempio: una bambola di Damballa sarà decorata con serpenti e nei suoi colori sacri e conserverà all’ interno il suo sigillo.Durante il rito si chiederà allo spirito di abitare la bambolina.
Le Statue Parlanti Il congresso degli Arguti Roma
Tra i miti e le leggende che popolano Roma non possono mancare le “Statue Parlanti”. Le Statue Parlanti hanno molto da raccontare sia nell’immaginario popolare, da cui proviene il loro nome, sia come figure mitologiche; affabulano: sono l’esempio vivente di come un’immagine racconti una storia e ne diventi il simbolo e come tali sono parti di un discorso cominciato tanti anni fa. Si può ripercorrere a ritroso il loro lungo cammino affabulatorio.
L’inizio della leggenda
Tutto ebbe inizio nel XVI secolo, in una Roma rinascimentale dove il potere e la ricchezza dei cardinali aumentano a dismisura, senza contare dello scempio cui sono soggetti i vecchi edifici romani denudati dei loro marmi per andare ad arricchire le case dei curiali che dovevano dare bella mostra delle loro ricchezze. Il popolo romano deluso e disilluso utilizza le Statue Parlanti come arma ironica, soprattutto, e dissacratoria, contro il potere teocratico dei papi, il governo e i personaggi più in vista. La satira latina rivisse per bocca delle statue parlanti, alle quali si affiggevano le anonime denunce politiche e di costume, scritte in versi ed in latino, che presero il nome di pasquinate, dal più illustre di questi personaggi in pietra Pasquino.
Le epigrafi in calce alle statue parlanti, antesignane della libertà di stampa, sono l’unico mezzo disponibile per un popolo che, ancora non si può considerare rivoluzionario in quanto impossibilitato o diremo timoroso ad agire, manifesta verbalmente in piazza, luogo pubblico per eccellenza, le angherie e le miserie a cui è sottoposto.
Pasquino
Il più “loquace” tra tutte le Statue Parlanti di Roma è Pasquino, numerose raccolte di scritti ed iscrizioni ne hanno tramandato gli acuti epigrammi. Una delle più celebri “pasquinate” è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere al Bernini le parti bronzee del Pantheon per la realizzazione del baldacchino di S. Pietro (1633): quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.
Pasquino
Dal 1501 Pasquino si trova ad un angolo di palazzo Braschi, alle spalle di Piazza Navona, si tratta di un torso di figura maschile, la copia di un originale bronzeo risalente al III secolo a.c., facente parte di un antico gruppo statuario ellenistico, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo. Ma è così male conservato che dire con certezza chi rappresenti è impossibile, forse un re o un eroe dell’antica Grecia. Non si può dire con sicurezza quale sia l’origine del suo nome, forse il nome di un sarto, di un barbiere o semplicemente di un professore della zona.
Un interlocutore di Pasquino è Marforio poiché in alcune delle satire le statue dialogavano tra di loro. Anche in questo caso si tratta di una statua antica. La colossale statua barbuta distesa su un fianco, oggi in piazza del Campidoglio, un tempo era ai piedi del colle Capitolino, raffigura l’Oceano, il Tevere oppure il fiume Nera. Il marmo, risalente al I secolo a.C. fu ritrovato nel Foro Romano vicino ad una conca di granito nei pressi dell’Arco di Settimio Severo. Sulla conca vi era scritto “mare in foro”: dalla deformazione di questa iscrizione, per alcuni, deriverebbe il nome di Marforio. Per altri l’etimologia di questo nome deriverebbe dalla famiglia Marioli, che nel XIV secolo risiedeva nei pressi del Carcere Mamertino, oppure trae origine dal Foro di Marte (Mars Fori).
Madama Lucrezia
Tra le Statue Parlanti minori troviamo Madama Lucrezia, una giunonica figura, proveniente da un tempio dedicato a Iside, raffigurante forse una sacerdotessa di questo culto o forse la stessa Iside. Situata in un angolo di Piazza San Marco adiacente Piazza Venezia. Il nome gli deriva da una nobile dama, che visse nel XV secolo, molto conosciuta al suo tempo. Si era innamorata del re di Napoli, il quale era già sposato; per questo motivo Lucrezia venne a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì.
L’anno seguente il re morì; l’ostilità del suo successore costrinse la dama a tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza. Altre figure che riuscirono a colpire l’immaginario popolare per il loro aspetto sono: Abate Luigi, Facchino e Babuino.
“FUI DELL’ANTICA ROMA UN CITTADINO/ ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA/ CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO/ NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA/ EBBI OFFESE, DISGRAZIE E SEPOLTURA/ MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN SICURA”.
L’abate Luigi
L’abate Luigi
Questo è il breve epitaffio, del Tomassetti, sul basamento che sorregge l’Abate Luigi, in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di Sant’Andrea della Valle. La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale – secondo la tradizione popolare – rassomigliava molto alla figura scolpita.
Ogni tanto la statua “perdeva la testa” ed infatti, nel 1966, rivolgendosi all’ignoto vandalo che, per l’ennesima volta, le aveva sottratto il capo, la statua così sentenziò (tramite cartelli che le venivano appesi): “O tu che m’arrubasti la capoccia vedi d’ariportalla immantinente sinnò, vôi véde? come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia”.
Il Facchino
Parliamo quindi ora della Statua parlante del Facchino. Anche se è una piccola
Il Facchino
fontana che si conserva solo in parte, racchiude in sé curiose leggende. Rappresenta una figura maschile nell’atto di versare acqua da una botte; l’abito indossato dalla figura è il costume tipico della corporazione dei
facchini, da cui il nome del personaggio. Si trova in Via Lata, sul fianco sinistro del palazzo De Carolis (oggi noto come palazzo del Banco di Roma). Risale alla seconda metà del XVI secolo, e secondo una tradizione popolare fu ispirata dalla figura di un acquarolo, colui che raccoglieva acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta, a modico prezzo.
Nessuno sa chi fosse l’autore della fontana, trattandosi di un’opera pregiata fu attribuita erroneamente a Michelangelo. Si dice che il facchino raffigurato fosse un tal Abbondio Rizio, un robusto e alto facchino che portava il vino nelle case della zona. Arricchitosi per un colpo di fortuna, l’uomo avrebbe voluto far costruire una fontana che lo raffigurasse nel momento del lavoro che egli aveva umilmente compiuto per tanti anni.
Un’altra leggenda narra invece che il personaggio scolpito fosse un oste della zona, che per guadagnare di più mescolava il vino che offriva ai suoi avventori con abbondante acqua. Quando morì vide le porte del Paradiso sbarrarsi al suo passo. San Pietro gli disse che la disonestà di cui si era macchiato in vita era un reato gravissimo che avrebbe potuto portarlo perfino all’Inferno. Il taverniere promise di espiare la sua colpa riversando gratuitamente tutta l’acqua che aveva venduto con la truffa.
La statua parlante del Babuino
Stando alla leggenda, dopo 400 anni egli deve ancora terminare di pagare il suo debito. Un altro protagonista del “congresso degli arguti” è la Statua Parlante del Babuino, situata a ridosso della facciata della Chiesa di Sant’Anastasio dei Greci in Via del Babuino. È un’antica statua di sileno adagiata su una vasca di marmo, entrambi di epoca romana. Data la bruttezza della statua, dovuta al ghigno del sileno, il popolo romano la chiamò il Babuino e tale epiteto divenne talmente celebre che determinò il mutamento del toponimo della strada da Via Paolina in Via del Babuino.
Le Statue Parlanti, quelle che un tempo erano portavoce del popolo romano, oggi hanno perso la parola e ridotte al silenzio osservano mute lo scorrere del tempo; avvolte nel loro fascino leggendario, sono la memoria di antiche vicende che hanno arricchito la storia di Roma.
L’inizio della leggenda
Tutto ebbe inizio nel XVI secolo, in una Roma rinascimentale dove il potere e la ricchezza dei cardinali aumentano a dismisura, senza contare dello scempio cui sono soggetti i vecchi edifici romani denudati dei loro marmi per andare ad arricchire le case dei curiali che dovevano dare bella mostra delle loro ricchezze. Il popolo romano deluso e disilluso utilizza le Statue Parlanti come arma ironica, soprattutto, e dissacratoria, contro il potere teocratico dei papi, il governo e i personaggi più in vista. La satira latina rivisse per bocca delle statue parlanti, alle quali si affiggevano le anonime denunce politiche e di costume, scritte in versi ed in latino, che presero il nome di pasquinate, dal più illustre di questi personaggi in pietra Pasquino.
Le epigrafi in calce alle statue parlanti, antesignane della libertà di stampa, sono l’unico mezzo disponibile per un popolo che, ancora non si può considerare rivoluzionario in quanto impossibilitato o diremo timoroso ad agire, manifesta verbalmente in piazza, luogo pubblico per eccellenza, le angherie e le miserie a cui è sottoposto.
Pasquino
Il più “loquace” tra tutte le Statue Parlanti di Roma è Pasquino, numerose raccolte di scritti ed iscrizioni ne hanno tramandato gli acuti epigrammi. Una delle più celebri “pasquinate” è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere al Bernini le parti bronzee del Pantheon per la realizzazione del baldacchino di S. Pietro (1633): quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.
Pasquino
Dal 1501 Pasquino si trova ad un angolo di palazzo Braschi, alle spalle di Piazza Navona, si tratta di un torso di figura maschile, la copia di un originale bronzeo risalente al III secolo a.c., facente parte di un antico gruppo statuario ellenistico, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo. Ma è così male conservato che dire con certezza chi rappresenti è impossibile, forse un re o un eroe dell’antica Grecia. Non si può dire con sicurezza quale sia l’origine del suo nome, forse il nome di un sarto, di un barbiere o semplicemente di un professore della zona.
Un interlocutore di Pasquino è Marforio poiché in alcune delle satire le statue dialogavano tra di loro. Anche in questo caso si tratta di una statua antica. La colossale statua barbuta distesa su un fianco, oggi in piazza del Campidoglio, un tempo era ai piedi del colle Capitolino, raffigura l’Oceano, il Tevere oppure il fiume Nera. Il marmo, risalente al I secolo a.C. fu ritrovato nel Foro Romano vicino ad una conca di granito nei pressi dell’Arco di Settimio Severo. Sulla conca vi era scritto “mare in foro”: dalla deformazione di questa iscrizione, per alcuni, deriverebbe il nome di Marforio. Per altri l’etimologia di questo nome deriverebbe dalla famiglia Marioli, che nel XIV secolo risiedeva nei pressi del Carcere Mamertino, oppure trae origine dal Foro di Marte (Mars Fori).
Madama Lucrezia
Tra le Statue Parlanti minori troviamo Madama Lucrezia, una giunonica figura, proveniente da un tempio dedicato a Iside, raffigurante forse una sacerdotessa di questo culto o forse la stessa Iside. Situata in un angolo di Piazza San Marco adiacente Piazza Venezia. Il nome gli deriva da una nobile dama, che visse nel XV secolo, molto conosciuta al suo tempo. Si era innamorata del re di Napoli, il quale era già sposato; per questo motivo Lucrezia venne a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì.
L’anno seguente il re morì; l’ostilità del suo successore costrinse la dama a tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza. Altre figure che riuscirono a colpire l’immaginario popolare per il loro aspetto sono: Abate Luigi, Facchino e Babuino.
“FUI DELL’ANTICA ROMA UN CITTADINO/ ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA/ CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO/ NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA/ EBBI OFFESE, DISGRAZIE E SEPOLTURA/ MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN SICURA”.
L’abate Luigi
L’abate Luigi
Questo è il breve epitaffio, del Tomassetti, sul basamento che sorregge l’Abate Luigi, in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di Sant’Andrea della Valle. La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale – secondo la tradizione popolare – rassomigliava molto alla figura scolpita.
Ogni tanto la statua “perdeva la testa” ed infatti, nel 1966, rivolgendosi all’ignoto vandalo che, per l’ennesima volta, le aveva sottratto il capo, la statua così sentenziò (tramite cartelli che le venivano appesi): “O tu che m’arrubasti la capoccia vedi d’ariportalla immantinente sinnò, vôi véde? come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia”.
Il Facchino
Parliamo quindi ora della Statua parlante del Facchino. Anche se è una piccola
Il Facchino
fontana che si conserva solo in parte, racchiude in sé curiose leggende. Rappresenta una figura maschile nell’atto di versare acqua da una botte; l’abito indossato dalla figura è il costume tipico della corporazione dei
facchini, da cui il nome del personaggio. Si trova in Via Lata, sul fianco sinistro del palazzo De Carolis (oggi noto come palazzo del Banco di Roma). Risale alla seconda metà del XVI secolo, e secondo una tradizione popolare fu ispirata dalla figura di un acquarolo, colui che raccoglieva acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta, a modico prezzo.
Nessuno sa chi fosse l’autore della fontana, trattandosi di un’opera pregiata fu attribuita erroneamente a Michelangelo. Si dice che il facchino raffigurato fosse un tal Abbondio Rizio, un robusto e alto facchino che portava il vino nelle case della zona. Arricchitosi per un colpo di fortuna, l’uomo avrebbe voluto far costruire una fontana che lo raffigurasse nel momento del lavoro che egli aveva umilmente compiuto per tanti anni.
Un’altra leggenda narra invece che il personaggio scolpito fosse un oste della zona, che per guadagnare di più mescolava il vino che offriva ai suoi avventori con abbondante acqua. Quando morì vide le porte del Paradiso sbarrarsi al suo passo. San Pietro gli disse che la disonestà di cui si era macchiato in vita era un reato gravissimo che avrebbe potuto portarlo perfino all’Inferno. Il taverniere promise di espiare la sua colpa riversando gratuitamente tutta l’acqua che aveva venduto con la truffa.
La statua parlante del Babuino
Stando alla leggenda, dopo 400 anni egli deve ancora terminare di pagare il suo debito. Un altro protagonista del “congresso degli arguti” è la Statua Parlante del Babuino, situata a ridosso della facciata della Chiesa di Sant’Anastasio dei Greci in Via del Babuino. È un’antica statua di sileno adagiata su una vasca di marmo, entrambi di epoca romana. Data la bruttezza della statua, dovuta al ghigno del sileno, il popolo romano la chiamò il Babuino e tale epiteto divenne talmente celebre che determinò il mutamento del toponimo della strada da Via Paolina in Via del Babuino.
Le Statue Parlanti, quelle che un tempo erano portavoce del popolo romano, oggi hanno perso la parola e ridotte al silenzio osservano mute lo scorrere del tempo; avvolte nel loro fascino leggendario, sono la memoria di antiche vicende che hanno arricchito la storia di Roma.
Egittologia proibita - Erdogan Ercivan - Come hanno fatto i faraoni 5000 anni fa a prevedere la tecnologia del 21° secolo? Da migliaia di anni i Sacerdoti Egizi conoscono i fondamenti della scienza moderna - dall’ingegneria genetica alla costruzione di reattori nucleari. In questo saggio il giornalista scientifico Erdogan Ercivan intende dimostrare non solo quanto è considerato come inammissibile, ma anche rendere il lettore consapevole della reiterata falsificazione della storia! In questo libro scoprirai: I messaggi segreti dell’archeologia egizia I segni degli Dei e i legami cosmici dell’Impero Egizio Che cos’è il disco di Atlantide E molto altro…
martedì 14 gennaio 2020
Il monte Olimpo
Il monte Olimpo è la cima più alta della catena di monti che divide la Macedonia dalla Tessaglia. La vetta dell'Olimpo è coperta d'inverno dalla neve; più sotto crescono cupe foreste di abeti, dopo le quali si estendono fitte macchie mediterranee. La cima è spesso nascosta dagli sguardi umani da un denso strato di nuvole, squarciate ogni tanto, dal bagliore dei lampi, seguiti dal rumore dei tuoni. Secondo i Greci, sopra queste nuvole vi erano le dimore degli Dèi, con porticati e splendidi giardini: profumi di fiori, nessun vento osava penetrare nel sacro recinto e sopra vi era un cielo sempre azzurro, luminoso e sereno. In questo bellissimo posto, Zeus aveva costruito il suo palazzo d'oro, dove viveva con la sua sposa Hèra; nella vasta sala del trono si radunava quasi ogni giorno il Concilio degli Dèi, per governare il mondo. Attorno al palazzo di Zeus si ergevano le dimore di altre divinità, che insieme a Zeus, formavano il Concilio degli Dèi Celesti, conosciute meglio come Divinità Olimpiche: Zeus, Hera, Afrodite, Pallade Atena, Demetra, Hestia, Artemide, Apollo, Hermes, Dioniso, Ares ed Hefèsto; sei divinità maschili e sei femminili. Ciascuna di queste divinità non abitava sola nel proprio palazzo ma come ogni re aveva a seguito dei cortigiani; così ogni divinità maggiore aveva una corte di divinità minori, di queste voglio ricordare:Le Muse, Le Càriti, Le Ore,Temi, Iris, Le Mòire, Ebe, Ganimede
Zeus aveva affidato il dominio assoluto del mare a suo fratello Poseidone, che abitava in uno splendido palazzo ornato d'oro e di perle, nei profondi abissi del mare, insieme alla sua sposa Anfitrite. Anche questa coppia divina aveva a suo seguito un numero di divinità minori che abitavano nel mare, le principali: Nereo, Proteo, I Tritoni, Le Sirene
Il dominio dell'oltretomba fu affidato da Zeus a suo fratello Hades che regnava insieme alla sua sposa Persefone, Proserpina o Core, sulle ombre dei morti; e la sua dimore è perciò nell'Erebo, un paese tenebroso che scende nelle profondità della Terra, verso l'estremo Occidente, al di là del fiume Oceano. Questa immensa caverna sotterranea ha, come suolo, un prato di asfodeli, circondato tutto attorno dalle acque di quattro fiumane spaventose: lo Stige, l'Acheronte, il Flegetonte e il Cocito, ai quali più tardi venne aggiunto dai poeti il fiume Lete che è il fiume dell'oblio della vita terrena. Per entrare nell'Erebo, occorre un barcaiolo, Caronte, in quanto è un'isola. A guardia della porte dell'Erebo c'è Cerbero, figlio di Tifone e Echidna, cane feroce con tre teste, che urla terribilmente: esso lascia entrare liberamente le anime dei morti, ma guai a chi volesse farle uscire. L'Erebo è diviso in due parti distinte: il Tartaro, che è il luogo dei tormenti per le anime colpevoli, e l'Eliso, che è il luogo dove riposano i beati. L'Eliso o Campi Elisi è una bella campagna dove, anche dopo la morte, si trascorre una tranquilla e felice vita. Le divinità minori dell'Erebo più importanti sono: Caronte,Minosse, Radamanto, Eaco e Trittolemo, Eeate, Le tre Erinni, Thanatos e Hypnos,Le Arpie
Molte altre divinità inferiori vivevano tra gli uomini, sulla Terra e risiedevano nei luoghi di cui erano protettori, come ad esempio: Pan, dio delle selve e dei pascoli; Gli Egipani e i Satiri; Le Ninfe, che rappresentavano la natura e vivevano nei luoghi dove esercitavano i loro potere.
Zeus aveva affidato il dominio assoluto del mare a suo fratello Poseidone, che abitava in uno splendido palazzo ornato d'oro e di perle, nei profondi abissi del mare, insieme alla sua sposa Anfitrite. Anche questa coppia divina aveva a suo seguito un numero di divinità minori che abitavano nel mare, le principali: Nereo, Proteo, I Tritoni, Le Sirene
Il dominio dell'oltretomba fu affidato da Zeus a suo fratello Hades che regnava insieme alla sua sposa Persefone, Proserpina o Core, sulle ombre dei morti; e la sua dimore è perciò nell'Erebo, un paese tenebroso che scende nelle profondità della Terra, verso l'estremo Occidente, al di là del fiume Oceano. Questa immensa caverna sotterranea ha, come suolo, un prato di asfodeli, circondato tutto attorno dalle acque di quattro fiumane spaventose: lo Stige, l'Acheronte, il Flegetonte e il Cocito, ai quali più tardi venne aggiunto dai poeti il fiume Lete che è il fiume dell'oblio della vita terrena. Per entrare nell'Erebo, occorre un barcaiolo, Caronte, in quanto è un'isola. A guardia della porte dell'Erebo c'è Cerbero, figlio di Tifone e Echidna, cane feroce con tre teste, che urla terribilmente: esso lascia entrare liberamente le anime dei morti, ma guai a chi volesse farle uscire. L'Erebo è diviso in due parti distinte: il Tartaro, che è il luogo dei tormenti per le anime colpevoli, e l'Eliso, che è il luogo dove riposano i beati. L'Eliso o Campi Elisi è una bella campagna dove, anche dopo la morte, si trascorre una tranquilla e felice vita. Le divinità minori dell'Erebo più importanti sono: Caronte,Minosse, Radamanto, Eaco e Trittolemo, Eeate, Le tre Erinni, Thanatos e Hypnos,Le Arpie
Molte altre divinità inferiori vivevano tra gli uomini, sulla Terra e risiedevano nei luoghi di cui erano protettori, come ad esempio: Pan, dio delle selve e dei pascoli; Gli Egipani e i Satiri; Le Ninfe, che rappresentavano la natura e vivevano nei luoghi dove esercitavano i loro potere.
lunedì 13 gennaio 2020
Terribilmente belle: l'eterno sorriso delle donne Ainu
Secondo la leggenda, il tatuaggio fu donato agli uomini dalla madre terra per allontanare gli spiriti malvagi ed evitare sfortuna e malattia.
Le donne Ainu sono tatuate al momento del matrimonio con un “baffo” ricurvo all’insu’ e altri vari disegni astratti-geometrici su braccia e gambe.
Per le donne Ainu il tatuaggio è simbolo di bellezza e indica il raggiungimento della maturità; inoltre, assicura la possibilità di riposare al fianco dei loro cari dopo la morte.
Altre teorie legano il tatuaggio al rapporto di subordinazione della moglie al marito: dopo il matrimonio, le sue braccia devono lavorare per il marito e la sua bocca parlare per lui.
I capelli sono un'estensione del sistema nervoso
Secondo i nativi americani i capelli lunghi permettono di acuire i sensi e di accedere ad informazioni extrasensoriali. Ecco perché li portavano e tutt’ora li portano lunghissimi.
Durante la guerra del Vietnam le forze speciali del dipartimento di guerra americano furono incaricate di trovare giovani forti e con ottime capacità di inseguimento e rilevamento delle tracce tra i nativi americani per convincerli ad arruolarsi nell’ esercito.
Una volta arruolati, però questi giovani sembravano perdere le capacità per le quali in precedenza si erano distinti.
Interrogate riguardo al loro scarso rendimento, le reclute risposero tutte allo stesso modo, ovvero che avendo tagliato i capelli come è d’obbligo nell’esercito, non erano più in grado di sentire il nemico. Non potevano più accedere a loro ‘sesto senso’, né fare riferimento alla loro intuizione, né leggere i segni sottili o accedere ad informazioni extrasensoriali.
Per questo motivo il governo americano decise di fare dei test e selezionò altri giovani indiani, che eccellevano per capacità di adattamento forza e destrezza.
Poi formarono coppie di due individui che avevano ricevuto lo punteggio simile in tutte le prove. Uno dei due avrebbe mantenuto i suoi lunghi capelli l’altro l’avrebbe tagliati come era d’uso fare nell’ esercito. L’uomo con i capelli lunghi ripetutamente mantenne un alto punteggio mentre l’altro fallì i test in cui precedentemente aveva ricevuto un punteggio alto.
Ecco alcuni esempi di test
La recluta sta dormendo nel bosco. Un armata ‘nemica’ si avvicina all’uomo addormentato. L’uomo dai capelli lunghi si sveglia dal sonno da un forte senso di pericolo e si allontana molto tempo prima che il nemico sia vicino, molto prima di sentire dei rumori provenienti dal nemico in arrivo.
In un’altra versione di questo test, l’uomo dai capelli lunghi sente l’avvicinamento e in qualche modo intuisce che il ‘nemico’ eseguirà un attacco fisico. Segue il suo ‘sesto senso’ e rimane immobile, fingendo di dormire, ma afferra subito il ‘nemico’ e lo ‘uccide’ appena questo si avvicina abbastanza.
Dopo aver tagliato i capelli il soldato falliva i test
L’uomo con i capelli lunghi ha ripetuto i test dopo aver tagliato i capelli e in questo caso fallisce tutte le prove e molti altri test che in precedenza aveva superato portando i capelli lunghi.
Così, il documento raccomanda che tutti i nativi americani reclutati fossero esenti dal taglio di capelli militare.
Non si sa con certezza se questa sia una storia vera o solo una leggenda, tuttavia sottolinea quanto in alcune culture più che in altre i capelli e il loro benessere siano importanti; in qualche modo influenzano le relazioni con il mondo circostante.
Pensiamo per esempio al fatto che molto spesso le donne tagliano i capelli dopo la fine di una relazione, un modo per prendere le distanze, di tagliare i ponti con il passato, di iniziare una nuova vita partendo appunto dai capelli. Probabilmente la connessione tra capelli e l’ambiente esterno non è solo una credenza indiana ma ha una valenza anche nella società moderna.
I capelli sono un’estensione del sistema nervoso, e possono essere visti correttamente come nervi esteriorizzati, un tipo di sensori altamente evoluti, o “antenne” che trasmettono vaste quantità di informazioni importanti perché vengano processate dal cervello , dal sistema limbico e dalla neocorteccia.
Non solo: i capelli e la barba negli uomini, forniscono una informazione che raggiunge direttamente il cervello, ma i capelli emettono anche energia: l’energia elettromagnetica emessa dal cervello nel mondo circostante.
Questo è stato visto nella foto Kirlian, quando una persona viene fotografata con i capelli lunghi e poi rifotografata con i capelli corti . Quando vengono tagliati i capelli, le trasmissioni e l’invio di informazioni da e verso l’ambiente, viene grandemente ostacolato. Il risultato è che c’è un senso di “intorpidimento”.
Il taglio dei capelli è un fattore che contribuisce alla non consapevolezza dello stress ambientale negli ecosistemi locali, ma anche un fattore che contribuisce alle insensibilità nelle relazioni di ogni tipo e alla frustrazione sessuale..
CONCLUSIONE
I capelli sono un dono straordinario della natura. e forse per gli uomini tagliarseli cortissimi o a”zero”, magari solo per “migliorare l’estetica”, nascondendo diradamenti e peluria fine sulla testa non è una buona soluzione, cosi come tenere sempre la barba rasatissima sempre. Molto meglio lasciarli crescere cosi come sono senza neanche tingerli più. E da un punto di vista yogi, i capelli lunghi contribuiscono ad accrescere l’energia Kundalini che aumenta la tranquillità, la vitalità e l’intuizione.
Si dice anche che tagliare i capelli impedisca la trasmissione di luce dalle ossa della fronte alla ghiandola pineale, che colpisce l’attività del cervello, la tiroide, e gli ormoni sessuali.
I capelli dirigono anche l’energia solare per i lobi frontali, dove si svolge la meditazione. Questi agiscono come “recettori”, come condotti che permettono una maggiore quantità di energia cosmica
La storia di Dalila e Sansone nella Bibbia contiene molta verità in codice in serbo per noi. Quando Dalila taglia i capelli di Sansone, Sansone, un tempo invincibile- fu sconfitto.
Durante la guerra del Vietnam le forze speciali del dipartimento di guerra americano furono incaricate di trovare giovani forti e con ottime capacità di inseguimento e rilevamento delle tracce tra i nativi americani per convincerli ad arruolarsi nell’ esercito.
Una volta arruolati, però questi giovani sembravano perdere le capacità per le quali in precedenza si erano distinti.
Interrogate riguardo al loro scarso rendimento, le reclute risposero tutte allo stesso modo, ovvero che avendo tagliato i capelli come è d’obbligo nell’esercito, non erano più in grado di sentire il nemico. Non potevano più accedere a loro ‘sesto senso’, né fare riferimento alla loro intuizione, né leggere i segni sottili o accedere ad informazioni extrasensoriali.
Per questo motivo il governo americano decise di fare dei test e selezionò altri giovani indiani, che eccellevano per capacità di adattamento forza e destrezza.
Poi formarono coppie di due individui che avevano ricevuto lo punteggio simile in tutte le prove. Uno dei due avrebbe mantenuto i suoi lunghi capelli l’altro l’avrebbe tagliati come era d’uso fare nell’ esercito. L’uomo con i capelli lunghi ripetutamente mantenne un alto punteggio mentre l’altro fallì i test in cui precedentemente aveva ricevuto un punteggio alto.
Ecco alcuni esempi di test
La recluta sta dormendo nel bosco. Un armata ‘nemica’ si avvicina all’uomo addormentato. L’uomo dai capelli lunghi si sveglia dal sonno da un forte senso di pericolo e si allontana molto tempo prima che il nemico sia vicino, molto prima di sentire dei rumori provenienti dal nemico in arrivo.
In un’altra versione di questo test, l’uomo dai capelli lunghi sente l’avvicinamento e in qualche modo intuisce che il ‘nemico’ eseguirà un attacco fisico. Segue il suo ‘sesto senso’ e rimane immobile, fingendo di dormire, ma afferra subito il ‘nemico’ e lo ‘uccide’ appena questo si avvicina abbastanza.
Dopo aver tagliato i capelli il soldato falliva i test
L’uomo con i capelli lunghi ha ripetuto i test dopo aver tagliato i capelli e in questo caso fallisce tutte le prove e molti altri test che in precedenza aveva superato portando i capelli lunghi.
Così, il documento raccomanda che tutti i nativi americani reclutati fossero esenti dal taglio di capelli militare.
Non si sa con certezza se questa sia una storia vera o solo una leggenda, tuttavia sottolinea quanto in alcune culture più che in altre i capelli e il loro benessere siano importanti; in qualche modo influenzano le relazioni con il mondo circostante.
Pensiamo per esempio al fatto che molto spesso le donne tagliano i capelli dopo la fine di una relazione, un modo per prendere le distanze, di tagliare i ponti con il passato, di iniziare una nuova vita partendo appunto dai capelli. Probabilmente la connessione tra capelli e l’ambiente esterno non è solo una credenza indiana ma ha una valenza anche nella società moderna.
I capelli sono un’estensione del sistema nervoso, e possono essere visti correttamente come nervi esteriorizzati, un tipo di sensori altamente evoluti, o “antenne” che trasmettono vaste quantità di informazioni importanti perché vengano processate dal cervello , dal sistema limbico e dalla neocorteccia.
Non solo: i capelli e la barba negli uomini, forniscono una informazione che raggiunge direttamente il cervello, ma i capelli emettono anche energia: l’energia elettromagnetica emessa dal cervello nel mondo circostante.
Questo è stato visto nella foto Kirlian, quando una persona viene fotografata con i capelli lunghi e poi rifotografata con i capelli corti . Quando vengono tagliati i capelli, le trasmissioni e l’invio di informazioni da e verso l’ambiente, viene grandemente ostacolato. Il risultato è che c’è un senso di “intorpidimento”.
Il taglio dei capelli è un fattore che contribuisce alla non consapevolezza dello stress ambientale negli ecosistemi locali, ma anche un fattore che contribuisce alle insensibilità nelle relazioni di ogni tipo e alla frustrazione sessuale..
CONCLUSIONE
I capelli sono un dono straordinario della natura. e forse per gli uomini tagliarseli cortissimi o a”zero”, magari solo per “migliorare l’estetica”, nascondendo diradamenti e peluria fine sulla testa non è una buona soluzione, cosi come tenere sempre la barba rasatissima sempre. Molto meglio lasciarli crescere cosi come sono senza neanche tingerli più. E da un punto di vista yogi, i capelli lunghi contribuiscono ad accrescere l’energia Kundalini che aumenta la tranquillità, la vitalità e l’intuizione.
Si dice anche che tagliare i capelli impedisca la trasmissione di luce dalle ossa della fronte alla ghiandola pineale, che colpisce l’attività del cervello, la tiroide, e gli ormoni sessuali.
I capelli dirigono anche l’energia solare per i lobi frontali, dove si svolge la meditazione. Questi agiscono come “recettori”, come condotti che permettono una maggiore quantità di energia cosmica
La storia di Dalila e Sansone nella Bibbia contiene molta verità in codice in serbo per noi. Quando Dalila taglia i capelli di Sansone, Sansone, un tempo invincibile- fu sconfitto.
sabato 11 gennaio 2020
Freyja la signora, dea dell'amore E della bellezza
Nella mitologia nordica, si trova Freya, il cui nome significa semplicemente “la Signora”, dea dell’amore e della bellezza. Veniva invocata per incantesimi d’amore o di passione, ed era legata all’intuizione e alla divinazione. Ella era patrona anche della guerra e della morte: dopo ogni battaglia Freya e Odino si dedicavano alla raccolta delle anime dei morti e coloro che venivano scelti da Freya erano condotti alla sua dimora eterna, ove partecipano a feste rallegrate da musica, arti e dall’amore. Tra i suoi animali totemici troviamo, tra l’altro, i gatti: ella ha due gatti alati che tirano il suo carro Betulla, i quali si dice che dopo sette anni venissero liberati e trasformati in streghe (onde per cui si credeva presso le popolazioni nordiche che le maghe e le streghe avessero il dono di mutarsi in gatte).
I vikinghi donavano gattini alle spose, a corredo domestico
Nel 2016 una ricerca di archeologia biomolecolare di Oxford ha tracciato la storia dei gatti. Esaminando il DNA mitocondriale di alcuni scheletri di gatti di diverse zone ed epoche, è stato scoperto che questi felini, dall’antico Egitto, si sono diffusi un po’ ovunque.
I gatti venivano apprezzati fin dall’antichità come cacciatori di topi, e per questo venivano anche caricati sulle navi, soprattutto quelle mercantili.
Probabilmente è così che si sono spostati fino in Germania del Nord, dove sono stati trovati resti di un gatto vichingo sepolto tra l’ottavo e l’undicesimo secolo.
In ogni caso i vichinghi tenevano i gatti in grande considerazione. Dei gattini venivano anche regalati alle nuove spose, come parte essenziale del corredo per la nuova casa.
Era particolarmente appropriato che le spose ricevessero gatti, dal momento che questi erano associati a Freyja, la dea del’amore.
Secondo la mitologia dei vichinghi, Freyja cavalcava un carro trainato da due gatti.
I gatti venivano apprezzati fin dall’antichità come cacciatori di topi, e per questo venivano anche caricati sulle navi, soprattutto quelle mercantili.
Probabilmente è così che si sono spostati fino in Germania del Nord, dove sono stati trovati resti di un gatto vichingo sepolto tra l’ottavo e l’undicesimo secolo.
In ogni caso i vichinghi tenevano i gatti in grande considerazione. Dei gattini venivano anche regalati alle nuove spose, come parte essenziale del corredo per la nuova casa.
Era particolarmente appropriato che le spose ricevessero gatti, dal momento che questi erano associati a Freyja, la dea del’amore.
Secondo la mitologia dei vichinghi, Freyja cavalcava un carro trainato da due gatti.
domenica 5 gennaio 2020
La Messaè finita Michele Giovagnoli
Il concilio Namnetense - La strage degli alberi secolari
Estratto dal libro "La Messa è Finita" di Michele Giovagnoli
In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In tutte, tranne che in quella cattolica.
Baobab immensi, Sequoie millenarie, foreste incontaminate latine e asiatiche non trovano il degno corrispettivo in un’Europa che, salvo casi sporadici, presenta alberi non più vecchi di qualche secolo. Dove sono finite le querce secolari che raggiungono dimensioni impressionanti come quelle narrate da Plinio Il Vecchio nella sua opera Naturalis Historia? Testualmente:
«Le querce per la loro smisurata invadenza nel crescere occupano addirittura il litorale e, a causa delle onde che scavano la terra sotto di esse o del vento che le sospinge, si staccano portando con sé grandi isole costituite dall’intreccio delle loro radici: restano così dritte, in equilibrio, e si spostano galleggiando. La struttura dei grossi rami, simile a un armamentario velico, ha spesso creato lo scompiglio nelle nostre flotte quando le onde sospingevano questi isolotti, quasi di proposito, contro la prua delle navi alla fonda di notte; ed esse, non riuscendo a trarsi d’impaccio, ingaggiavano uno scontro navale contro delle piante. Sempre nelle regioni settentrionali la selva Ercinia con le sue querce di enormi dimensioni (lasciate intatte dallo scorrere del tempo e originate insieme con il mondo) è di gran lunga, per questa condizione quasi immortale, il fenomeno più stupefacente. Per non stare a menzionare altri fatti che non suonerebbero credibili, risulta effettivamente che le radici, arrivando a fare forza l’una contro l’altra e spingendosi indietro, sollevano delle colline; oppure, se il terreno non le segue spostandosi, s’incurvano fino all’altezza dei rami e formano degli archi a contrasto come portali spalancati, tanto da lasciare il passaggio a squadroni di cavalleria».
L’azione della rivoluzione industriale ha inciso violentemente sugli aspetti ecologici dei territori. Su questo non vi è alcun dubbio. Personalmente però non ritengo sia la causa diretta alla quale imputare l’estinzione quasi totale dei Patriarchi verdi. Al limite una conseguenza o, al massimo, un agente parallelo. A mio avviso, il punto di propagazione è squisitamente culturale. Qualcosa di molto più sottile e profondo. Se ciò non fosse, in tutte le aree dove l’onda del progresso tecnologico è arrivata, osserveremmo ora le stesse condizioni. E non è così!
Non voglio esprimermi in termini assolutistici, perché qualcosa è sopravvissuto di certo da un passato dove il binomio uomo-albero era addirittura inevitabile, ma
è un dato inconfutabile che più ci si allontana geograficamente dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma, maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni straordinarie e popoli con tradizioni che riconoscono all’albero un potere super partes nel vissuto spirituale.
A conferma, è sufficiente pensare che in nessuna usanza cattolica ufficiale risulta esserci un albero al centro di un atto contemplativo, al massimo dei rami di ulivo nella Domenica delle Palme o un abete ricoperto di lucine colorate a ornare un presepe.
L’Italia, che è il Paese nel quale il Parassita cattolico si è aggrappato per aprire i suoi tentacoli all’esterno, si è dotata di una legge quadro sulla protezione delle aree verdi soltanto nel 1991 a fronte dell’istituzione della prima area protetta di carattere nazionale, ovviamente alpina, datata nel 1922. L’evidentissima reticenza politica nel concedere al verde la propria naturale importanza, attraverso una presa di posizione forte e complessiva, conferma a pieno la presenza di un atteggiamento ostile ben inculcato nei geni di una popolazione cresciuta sotto il suono dei campanili da sempre. L’educazione ambientale nelle scuole, per fare un altro esempio, è insegnata da appena un ventennio, a differenza di tanti altri Paesi, alcuni anche economicamente meno sviluppati.
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto, anzi, l’ha sempre considerata un intralcio. Chi conosce la Natura selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria. Chi si confronta con le grandi leggi che muovono la manifestazione, attraverso un confronto diretto con lo strato più dinamico del Cosmo Terra, apprende conoscenze che lo evolvono nella semplicità. Chi si sofferma a contemplare la bellezza, anche di un semplice filo d’erba, assorbe un nutrimento preziosissimo che lo eleva verso piani esistenziali superiori. In definitiva: chi ritrova in sé gli stessi impulsi celesti che muovono un albero secolare o una farfalla difficilmente si genuflette a una croce con uno sconosciuto inchiodato sopra.
L’essere umano che dialoga con il bosco difficilmente accetta ordini che tradiscono la propria identità. Difficilmente spegne il desiderio di prendersi cura di chi gli permette di esistere. Chi segue la Natura è più libero, forte, autentico.
L’Eros scorre lecito e incontrastato nelle vene di un’anima selvatica, porta in superficie domande, curiosità, dubbi e reazioni. Il termine vita trova nella Natura una delle sue più alte espressioni, quasi fossero sinonimi con semplici variazioni cromatiche.
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto, anzi, l’ha sempre considerata un pericoloso nemico. Un nemico in quanto complice della sua preda preferita: l’uomo. L’uomo che vive e viveva a contatto con gli alberi dispone e disponeva di un grande mentore. Un saggio sempre pronto a elargire consigli e a ricordare costantemente l’ordine delle cose e la potenza dell’armonia. Un uomo che vive a contatto con gli alberi sa bene nell’intimo che è vivo grazie a loro. Sa bene che appena è uscito dalla pancia della propria madre loro sono “entrati” nei suoi polmoni adottandolo. Sa bene di avere un organo per respirare che è un albero capovolto, marchio di appartenenza energetica e biologica al bosco.
Non c’è una croce a congiungerci con l’esterno, c’è un albero.
E gli alberi verdi, con il tempo, diventano grandi, alti anche trenta volte l’uomo. E vivono a lungo, tanto a lungo. Sono lì quando nasci e tuo nonno ti parla di loro, e te ne vai anziano raccontando di loro ai tuoi nipoti. E questa catena procede quasi all’infinito facendo perdere le tracce della loro età e facendoli sentire, rispetto a te, immortali. Un albero che può vivere duemila anni è, rispetto agli altri esseri, letteralmente immortale. Tutto ciò al Grande Parassita non piace e non piaceva, in tutto il suo percorso il bosco è stato sempre temuto e respinto.
Temuto e respinto, fino a un giorno nel quale decise di dichiarargli apertamente guerra con un atto ignobile che va considerato a tutti gli effetti uno dei gesti più squallidi, vili e dannosi compiuti a discapito della vita stessa. Nell’anno 890 d.C., attraverso il concilio Namnetense, la Chiesa cattolica prende una posizione ufficiale e condanna a morte tutti gli alberi secolari presenti sul suo territorio, nonché tutti i boschi ritenuti sacri dalle popolazioni che ancora non si erano genuflesse alla croce. Le piante andavano eradicate, arse e al loro posto in molti casi veniva eretta una chiesa. Quest’ultimo passaggio denota benissimo l’identità del Parassita: “Non ‘spegniamo’ un luogo reso energeticamente forte da millenni di pratiche psichiche e di atti biologici, ma ne diventiamo noi i proprietari”.
“Arbores daemonibus consecratae”, alberi consacrati ai demoni. Riporto un passaggio del testo prodotto:
«Summo decertare debent studio Episcopi, et eorum ministri, ut arbores daemonibus consecratae, qua vulnus colit, et in tanta venerazione habet ut nec ramum nec surculum inde audeat amputare, radicitus excidantur, atque comburantur. Lapides quoque in ruinosis locis et silvestribus, daemonum ludificationibus decepti venerantur, ubi et vota vovent et deferunt, funditus effodiantur, atque in tali loci proiciantur, ubi numquam a cultoribus suis inveniri possint».
Ovvero:
«I vescovi e i loro ministri devono con estrema dedizione combattere perché siano estirpati dalle radici e bruciati gli alberi consacrati ai demoni che il popolo venera e considera talmente degni di venerazione e di rispetto da non osare amputarne né un ramo né un germoglio. Tratti in inganno dalle falsità dei demoni, venerano anche pietre in luoghi scoscesi e boscosi, dove promettono e concedono voti. Che siano distrutte dalle fondamenta e che siano gettate in luoghi dove non potranno mai più essere ritrovate!».
In pochi decenni gli effetti furono devastanti e l’azione si protrasse nei secoli successivi. Ancora oggi non mi risulta esserci stata una presa di posizione ufficiale e contraria della stessa portata e con la stessa forza. Non vedo Vescovi impegnati all’altare nel profondere positive considerazioni sugli alberi e sulla loro importanza nel percorso evolutivo delle persone. Non ne vedo nemmeno a prendere posizioni in merito a questioni relative al degrado ambientale, all’inquinamento o alle politiche per le economie ecosostenibili, se non con atti decisamente ipocriti. Li vedo impegnati su altro, ben altro! Per dirla tutta, non mi risulta nemmeno ci sia stato un mea culpa ufficiale per tutti i danni che questa azione ha causato e causa. Evidentemente per loro va ancora bene così.
Da educatore ambientale che sono stato e da Alchimista che sono, reputo gli effetti degli atti del concilio Namnetense la più grande catastrofe naturale causata dall’uomo ai danni della Natura selvatica. Niente può essere paragonato a essa, né in termini ecologici, culturale o economici, né soprattutto evolutivi.
Abbattere un albero secolare significa togliere a tutta la comunità biologica del bosco un punto di riferimento che negli anni ha orchestrato gli atteggiamenti volti alla riproduzione, alla protezione e alla predazione. Un albero secolare è l’unico che può ospitare la nidificazione di alcune specie di grandi uccelli e offrire il rifugio a quei mammiferi predatori che occupano posizioni alte della catena alimentare. La sua assenza stronca di netto tutta una serie di relazioni dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto.
Un albero secolare intreccia le sue radici con una quantità inimmaginabile di alberi ed essendo “vecchio” conserva un’esperienza ampia, ha una memoria ampia! È una sorta di grande saggio per tutte le forme vegetali del bosco, ma anche per quelle animali. Ogni volta che ha la possibilità di codificare uno stimolo ricevuto, lo elabora facendovi fronte con la sua antica conoscenza ed emette dei segnali destinati a tutti gli esemplari che sono in contatto con le sue radici per adottare atteggiamenti ottimali e condivisi. I segnali di carattere elettromagnetico vengono fatti passare da albero ad albero e coprono velocemente l’intero bosco. Un vero e proprio Wi-Fi vivente.
Un albero secolare è quindi un guardiano ecologico preziosissimo che mette a disposizione la sapienza conservata per il mantenimento della vita dell’intero bosco. Un albero di mille anni ha mille inverni nel legno e mille estati. Ha conosciuto la siccità e la tempesta, ha appreso la danza morbida del cosmo e spontaneamente la condivide.
Tagliare un albero secolare significa togliere la possibilità all’uomo di confrontarsi con se stesso, di conoscersi e di comprendere meglio la propria portata. Fermarsi di fronte a un essere immensamente più grande di te, più resistente e più longevo ti dona il premio dell’umiltà. Sprofondare nel reticolo armonico dei suoi rami, nel suo propagare e nelle curve dense del suo tronco, ti nutre di una sostanza sottile che attiva delle memorie lontanissime dandoti consapevolezza. I suoi codici esistenziali sono gli stessi dell’osservatore, ma molto più antichi e questa azione vivifica e spinge oltre. Un uomo cresciuto a ridosso di un albero secolare sa qualcosa di più di chi non ne ha mai visto uno. È innegabile, il primo contatto visivo con un patriarca verde è sempre un impatto violento, qualcosa che segna un termine e un inizio. Averli eradicati tutti, aver rimosso per intero aree che per millenni sono state il luogo di contatto con la Natura selvatica ha letteralmente ucciso una componente intima dell’umanità intera, ci ha reso tutti più poveri e limitati, ci ha segnati tutti irrevocabilmente. Un albero secolare o lo erediti o non lo conoscerai mai. E puoi solo, nel secondo caso, assistere e accompagnare con rispetto l’evoluzione di un bosco per consegnare a generazioni future e inconcepibili qualcosa che tu ora puoi solo immaginare.
Senza alberi adulti siamo tutti più deboli. Era questo l’obiettivo ed è stato raggiunto!
In parallelo alla distruzione dei boschi antichi, venne portata avanti già dal 1184, con il Concilio di Verona, la spietata caccia a tutte quelle persone che conservavano e vivevano la Conoscenza ricevuta attraverso l’interazione con le energie selvatiche. Migliaia di roghi e torture, rivolte soprattutto al popolo femminile, allontanarono quasi definitivamente l’uomo dal suo intimo alleato, nonché genitore superiore. Solo poche anime, nel segreto più assoluto e nell’obbligo di vivere una vita disumana e lontana dalle più comuni forme sociali, ha continuato a parlare con le foglie, con il buio, con il silenzio dei tronchi e a raccogliere nei propri geni gli insegnamenti provenienti dalle antichità del mondo. Solo poche anime hanno mantenuto accesa la fiamma e se la sono passata. A loro dobbiamo la grande pulsione umanistica del Rinascimento, pochi secoli più tardi. A loro dobbiamo la conservazione dell’Arte alchemica, a loro l’impulso che mi fa scrivere queste pagine oggi. Tutto attorno, in quella che viene descritta con il termine “normalità”, il vuoto.
Se provate a digitare sul più potente motore di ricerca il nome del vostro vicino di casa vi usciranno migliaia di risultati. Se digitate “Concilio Namnetense Arbores daemonibus consecratae”, ovvero l’atto che ha segnato l’umanità in maniera indelebile, ne riceverete soltanto otto (anno 2017).
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto e, se ha arruolato nelle proprie fila un mistico amante del bosco attorno al XIII secolo come Francesco d’Assisi, lo ha fatto soltanto per infiltrarsi fra quelle popolazioni più resistenti al verbo cattolico e indebolirle da dentro. L’arte di infiltrarsi è anch’essa specifica del Parassita. Chi s’infiltra non è notato e una volta raggiunta la preda la “gestisce” di nascosto da dentro. Il Parassita non combatte l’avversario per distruggerlo, ma per impadronirsi della sua volontà. Non estingue il bisogno di dialogare con l’albero, che è aperto a tutti, ma lo sostituisce con qualcosa che è di sua proprietà. Partendo dal punto più alto possibile, s’inventa un Dio privato e sostituisce l’albero con qualcosa di molto simile, casualmente fatta dello stesso materiale: la croce.
La croce è l’albero cattolico. È di fronte a Lei che ti devi fermare, a Lei devi chiedere e da Lei farti ispirare. È Lei che si ergerà sulla cima di ogni montagna. È Lei che verrà frapposta fra l’uomo e il suo nuovo Dio. Diabolico!
Gran parte degli esemplari secolari che hanno raggiunto i nostri tempi sono sopravvissuti e sono stati “graziati” solo perché strumentalizzati dal clero: il grande cipresso secolare di San Francesco a Villa Verucchio, il bagolaro di San Francesco a San Leo, il leccio di San Francesco sul Monte Amiata in Toscana, il faggio di San Francesco a Rieti, il castagno di San Francesco a Narni in Umbria. Qui la strategia è ancora più sottile: il potere dell’albero secolare è assorbito dal nome di un uomo e la parola “Santo” lo riversa nello stomaco della Chiesa cattolica. L’essenza selvatica viene così vestita forzatamente con la casacca del suo carnefice!
Concludiamo.
L’errore più grave che si possa commettere è ritenere l’avversione del clero ai danni degli alberi come storicamente superata.
Nulla di più sbagliato! Il contatto empatico con una creatura vegetale e la sua contemplazione possono procurare nell’essere umano una conoscenza incommensurabile.
Lo è sempre stato e lo sarà per sempre. Nulla di più pericoloso per chi possiede un impero fondato sull’ignoranza dei propri servi! Ciò che è in atto è una gestione abilissima e impercettibile. Non più editti e aperte dichiarazioni di guerra, ma velatissime ingerenze con strumenti subliminali. Il Parassita si fa sempre più invisibile, sempre più spesso veste gli abiti del protettore dell’esistenza, mentre ne profana l’intimo richiamando a una condotta contro natura. L’ovvietà dei messaggi papali è un suolo di gomma morbida che rende impossibile ogni scatto dell’Eros creativo. Come cresce la possibilità di informarsi, così aumenta la scaltrezza di intorbidire le acque. E tutto volge ancora ad accreditare santi e misteri della fede, per non ammettere che senza alberi non si respira, senza Donne non c’è vita, e senza Sole tutto si spegne.
Mi prendo infine il piacere di ricordare come il dominio sulla creatura vegetale venga celebrato in occasione di ogni Santo Natale. Tenete sempre ferma nella vostra mente questa premessa: la Chiesa cattolica non fa mai nulla a caso. Nulla! Nella piazza più potente a disposizione, piazza San Pietro, viene immolato alle alte volontà un esemplare di sempreverde dall’immane statura, proveniente dalle zone alpine. Tutto simbolico: un’autentica messa in scena con alta facoltà di condizionamento inconscio.
Le Alpi: un luogo lontano e fortemente selvatico, il simbolo del regno autoctono e originale, pilastro della Natura insuperabile e ingestibile. Con un’azione altamente spettacolare, l’albero viene scelto tra i più belli, tagliato, legato e trasportato da un elicottero come un prigioniero fino al centro della piazza dove viene infine ancorato al suolo. L’albero è morto ma deve apparire vivo, anzi viene addobbato quasi a dare l’idea che sia felice di strare lì, che abbia accettato di farlo e si sia arreso serenamente. È solo, accerchiato, impotente. E lentamente si asciuga e si spegne.
Mi ricordano tanto, questi alberi, gli eretici arsi nelle piazze, strappati al loro vivere, privati della facoltà di esprimere se stessi, legati e messi in mostra alle masse, affinché la loro drammatica posizione apparisse come esclusiva debolezza di fronte alla potenza del dominatore. Abbassare l’avversario per figurare più alti. I corpi arsi cadevano a pezzi e si facevano cenere. Terminata la festa, all’albero spetta lo stesso destino.
Iscriviti a:
Post (Atom)