Messina è nel Cinquecento una città fiorente, tra le più ricche della Sicilia. Suo fiore all’occhiello sono la produzione e il commercio della seta, cui sovrintende dal 1520 il “Consolato dell’arte della seta”. Di questa importante attività oggi rimane traccia solo nel nome di una strada, Via dei Setaioli.
In questo quadro si sviluppa la storia di Pellegrina Vitello, napoletana residente a Messina, sposata a un setaiolo, presto abbandonata per un’altra donna e incolpata da alcune anziane donne di “magarìa”. Fatture, sortilegi, stato di trance mentre guarda una caraffa piena d’acqua, nella quale galleggiano strane cose nere che paiono demoni: queste sono le accuse che vengono rivolte alla giovane donna. Il processo si svolge intorno al 1550. La Corte è presieduta da Monsignor Bartholomeo Sebastiàn, Vescovo di Patti, che dal 1546 al 1555 ricopre la carica d’Inquisitore Generale di Sicilia. Dopo 14 giorni di prigionia, durante i quali viene sottoposta alla terribile tortura della corda, la “domina nocturna” confessa in parte le sue “magarìe”. L’iniziale condanna al rogo viene commutata. Pellegrina verrà costretta ad essere fustigata mentre si muove in processione lungo le strade di Messina, con un cero in mano e una mitria in testa.
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