martedì 29 gennaio 2019

Il Ponte della Maddalena

Il Ponte della Maddalena (detto Ponte del Diavolo) attraversa il fiume Serchio nei pressi di Borgo a Mozzano, in provincia di Lucca.
Al seguito della sua forma, del suo arco più alto, ampio e particolare, quasi inumano, questa perla dell'ingegneria è oggetto di molti racconti.


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La costruzioneModifica

Il Ponte della Maddalena è comunemente identificato come "Ponte del Diavolo". Come molte altre imprese che ai coevi parevano impossibili, la leggenda popolare ne attribuisce la costruzione al diavolo, il quale vien poi truffato in vari modi. La leggenda narra del capo muratore impegnato nella costruzione del Ponte che era molto preoccupato del ritardo accumulato nella stessa opera, date le continue ed impetuose piene del fiume. Una sera preso dalla disperazione cominciò a pronunciare sacrilegi tali da evocare Satana. Allora il Diavolo disse al capomastro che avrebbe completato lui stesso l'opera in una sola notte in cambio della prima anima che avesse attraversato il Ponte. Il capo muratore accettò e la costruzione fu ultimata. Il capomastro, disperato per l'imminenza del pesante tributo al Diavolo, corse dal Parroco del paese, il quale, ascoltata la confessione, escogitò uno stratagemma: fece attraversare il Ponte ad un cane, il Diavolo infuriato per il gesto scaltro lo prese e si buttò nelle acque del fiume senza mai più farsi rivedere. Si racconta inoltre che il cane, un pastore maremmano del tutto bianco, ogni tanto si veda passeggiare sul ponte nelle ultime sere di ottobre che rappresenti il diavolo che ancora cerca l'anima del capocantiere. Si dice anche di poter osservare sul fondo del fiume il corpo pietrificato del povero animale.
Leggende simili si narrano per altri ponti come il Ponte Gobbo sul fiume Trebbia nella località di Bobbio o il Puente del Diablo a Martorell in Spagna.
Ci sono altre versioni che parlano di un maiale che rincorreva una mela in cui il maligno adirato dalla beffa subita, si gettò nel Serchio, aprendo così un varco con gli inferi scatenando un pandemonio tale da lasciare segni sul fondo del fiume e nella mente degli abitanti.

Lucida MansiModifica

Un altro fatto che porterebbe una giustificazione ulteriore al nome che porta è la storia di Lucida Mansi. La nobildonna lucchese era bella, prestante, potente, ricca e giovane con una tremenda paura per la vecchiaia. Ella faceva di tutto per evitare l'avanzare dell'età: alchimie, viaggi alla ricerca di saggi, fonti mistiche ed altro per non invecchiare. Una mattina, nella sua residenza di Monsagrati a Pescaglia, scoprì che sul suo viso era apparsa una lieve ruga. In preda alla disperazione cominciò a piangere ed urlare. La sera di quello stesso giorno Lucida (o Lucilla) mentre vagava nervosamente per le vie di Borgo a Mozzano, passò presso il Ponte della Maddalena (allora ancora così conosciuto) dove ebbe un incontro con un bellissimo ragazzo il quale le propose trenta anni di giovinezza in cambio della propria anima. La sciagurata accettò. Così Lucida venne portata dal giovane sul punto più alto del Ponte, a quel punto il ragazzo prese le sembianze di Lucifero e staccò l'anima della nobildonna dal suo corpo, gettandola nel Serchio.

wikipedia

lunedì 28 gennaio 2019

TAV Il risveglio del Drago


Il progetto del Treno ad Alta Velocità Torino-Lione, tra danni ambientali, rischi per la salute e energie sottili.
Il tracciato passa per le ley lines. Le possibili conseguenze magico-energetiche per la popolazione della Val Susa

di Enrica Perucchietti


La Storia narra che nel 313 d.C. una grande croce fiammeggiante con la scritta in caratteri latini In hoc signo vinces fosse apparsa all’imperatore romano Costantino durante la battaglia contro le truppe di Massenzio. Dopo aver apposto il simbolo della croce su scudi, armi e stendardi, Costantino riportò la nota vittoria contro le milizie nemiche. Ritornato a Mediolanum emise il noto Editto di Milano, noto come l’Editto di Costantino, con il quale si concedeva libertà di culto ai Cristiani.


La leggenda vuole che questo avvistamento sarebbe avvenuto ai piedi del monte Musinè (in dialetto asinello). Dalla forma triangolare, la montagna più misteriosa della zona è un vulcano che ha cessato la sua attività. Il mistero e la sacralità che avvolge questo monte si distende come un manto fino a Torino, definita non a caso città magica per eccellenza.


Impossibile riassumere in poche righe tutte le storie, leggende, avvistamenti che si sono tramandati nei secoli sul Musinè e sulla Valle. Basti sapere che sul monte la vegetazione attecchisce solo sulle pendici fino a una certa altezza per poi fermarsi lasciando il resto del monte come scoperto, il terreno ghiaioso dal colore rossiccio.


Qua si tramandano racconti di draghi, angeli, demoni, eroi, spiriti dannati, astronavi, alieni. Un menhir reca la raffigurazione di alcuni uomini che sembrano tributare un culto al Sole: tre omini con le braccia al cielo di cui uno di essi inginocchiato e un altro disteso per terra, segno di morte oppure di un sacrificio umano. Nel cielo sopra le loro teste sono raffigurati tre soli, o, almeno, un sole a forma di coppella e due dischi stilizzati. Il che, da Peter Kolosimo in poi, ha fatto ipotizzare che si trattasse di un primitivo incontro “ravvicinato”…


Dall’altra parte della Valle sorge la Sacra di San Michele che ispirò Umberto Eco per il romanzo Il nome della Rosa. Dall’alto di quel monte anche l’abbazia custodisce un segreto. Essa vigila sul Musinè affinché nessuno turbi il sonno del drago che si narra dorma nelle viscere della terra.


Ora, però, quel “drago” sta per essere risvegliato. Il tracciato del TAV corre proprio lungo la linea del Musinè e della Sacra di san Michele, sua custode…

Nel 1921 l’archeologo britannico Alfred Watkins individuò dei meridiani e nodi particolari della rete geografica che sprigionerebbero campi di torsione benefici per gli esseri viventi: sono le ley lines, anche conosciute con il nome di linee della prateria.


Prima di lui altri studi erano giunti a conclusioni simili. Nel 1870, presso la British Archeological Association, William Henry Black tenne una conferenza all’interno della quale spiegò che i principali monumenti, naturali e artificiali, sarebbero disposti sul territorio non in maniera casuale, ma in modo da formare un gigantesco reticolo che coprirebbe l’intera Europa. Dodici anni dopo G. H. Piper arrivò alla stessa conclusione. Watkins andò ben oltre, rendendosi conto che questo reticolo di linee lungo le quali vennero costruiti monumenti o edifici di culto nell’antichità, ricalcavano il percorso del sole o della luna durante i solstizi. Ciò lasciava dedurre che le linee avessero non solo una funzione di comunicazione tra luoghi sacri, ma che fossero intimamente legate all’ambito spirituale. Esse potevano costituire una sorta di percorso da compiersi durante delle specifiche cerimonie sacre.


I successori di Watkins, a partire dall’esoterista Dion Fortune, attribuirono alle linee della prateria un valore energetico-magico. Negli anni ’60 la teoria delle ley lines si fuse con la geomanzia, sostenendo la necessità di preservare l’armonia della natura e dei punti sacri lungo i quali sono sorti i luoghi di culto. L’energia di cui queste linee sono conduttrici possono essere positive per la psiche umana, la coltivazione, e la civilizzazione di una comunità, come, all’opposto, dispensatrici di energie altamente negative. In questo senso l’esempio che viene fatto più spesso è il Triangolo delle Bermuda.


Lungo queste linee le popolazioni preistoriche, le antiche civiltà e i costruttori del Medioevo erigevano osservatori, templi, abbazie, infine maestose cattedrali. I siti scelti per opere quali Stonehenge, Chartres, la Sacra di San Michele, il Tempio di Gerusalemme, Giza, etc. avvenivano proprio in base a questi meridiani o nodi di energia. Questi luoghi sono infatti definiti “sacri” ma soprattutto “sentiti” come magici dalle popolazioni che vi si sono avvicendate nel corso di millenni. Non bisogna essere uno sciamano per intuirne il motivo.


Ebbene, forse non tutti sanno che una delle ley lines più importanti e dedicata all’arcangelo Michele, collega la Cornovaglia a Gerusalemme. La cosiddetta “Linea di San Michele” coincide con la Via Langobardorum: parte da Saint Michael’s Mount in Cornovaglia, passa per Moint Saint Michel in Francia, congiunge la Sacra di San Michele in Val di Susa a San Michele di Coli nei pressi di Bobbio arrivando fino a Castel Sant’Angelo nel Gargano. Sembra un disegno incredibile: una linea retta di duemila chilometri che unisce i 5 principali luoghi di culto europeo dedicati all’arcangelo Michele che si prolunga per altri duemila chilometri arrivando fino a Gerusalemme.


Come spiegato dal ricercatore Stefano delle Rose, questa linea energetica, nell’antichità, sotto l’impulso delle apparizioni dell’arcangelo Michele, ha dato vita alla costruzione degli edifici sacri nei punti indicati, diventando via di pellegrinaggio e via di comunicazione storica. Questa linea di congiunzione, come abbiamo anticipato, passa anche per la Val di Susa, dove da anni si sta consumando una vera e propria battaglia – degenerata in guerriglia a causa della militarizzazione del luogo - per impedire la costruzione della linea ad alta capacità Torino-Lione.

Il ricercatore Fausto Carotenuto, già nel 2005, spiegava l’importanza della geografia sacra della Val Susa, definendola “un punto fondamentale degli equilibri energetici europei”, aggiungendo che “un chakra importantissimo è situato all’imbocco della Val Susa da cui si dipartono nodi o canali energetici che vanno a creare un asse importantissimo verso nord-ovest e verso sud-est”.


Carotenuto, quando ancora il vecchio tracciato del TAV sarebbe passato proprio in prossimità del monte Musinè, aveva messo in guardia la popolazione dal pericolo del “progetto mirante ad alterare antichi equilibri per renderli inutilizzabili a fini positivi: scavare una enorme galleria nelle viscere della montagna sacra, per sconvolgere il chakra[centro o vortice vitale] del Musinè, portando alla luce forze oscure e potenti dalle profondità della Terra”. Non solo, dunque, per la presenza di amianto e uranio nella Valle, ormai accertati da studi geologici che sono stati deliberatamente ignorati.


Attorno alla montagna del Musinè – considerata da alcuni una vera e propria “antenna” dimensionale - sono sorte, come abbiamo visto, numerose leggende che in tempi moderni hanno acquisito carattere “ufologico”, per i numerosi avvistamenti di globi luminosi e UFO nel luogo. La sua forma piramidale ha suscitato il dubbio che si possa trattare di una vera e propria antenna, un enorme pilastro che servirebbe a placare le energie “selvagge” sottostanti.


Una leggenda narra infatti che nelle viscere della montagna sia sepolto un drago. Il simbolismo del drago, come guardiano sovrannaturale delle potenti energie sotterranee o che dorme sepolto nelle profondità della terra, evoca le forze telluriche primigenie oscure che Michele Arcangelo o San Giorgio avrebbero annientato. L’allegoria è evidente: il drago che infesta o dorme nelle viscere della terra rappresenta una forza “interiore”, sotterranea, appunto, che se conquistata e diretta rende possibile la purificazione del luogo – nel processo alchemico allude alla catabasi e alla purificazione dell’adepto dai suoi istinti primigeni, animali – spingendo appunto indietro gli istinti selvaggi che ci legano alla materia. In questo senso il drago rappresenta l’avversario, un concetto collegabile nel cristianesimo al diavolo. Proprio per questo nell’iconografia degli edifici costruiti lungo la retta dedicata a San Michele ritroviamo innumerevoli raffigurazioni dell’Arcangelo che schiaccia il drago inteso come incarnazione del demonio. Per gli alchimisti uccidere il drago rappresentava l’operazione del Solve, della Soluzione della Grande Opera.


L’evidente simbolismo alchemico suggerisce che ci siano delle potenze oscure che non dovrebbero essere risvegliate. Per questo la Sacra dedicata a San Michele sorge come guardiana e custode delle forze infere di fronte al Musinè. Nell’antichità, infatti, le forze che si trovano lungo le ley lines venivano chiamate anche le forze del drago, intendendo che esse erano oscure, “selvagge”. Che, come il drago che secondo la leggenda dorme sotto il Musinè, non dovrebbero essere risvegliate. A questo servivano gli edifici costruiti lungo il tragitto delle ley lines: a tenere a bada queste forze, canalizzandole.

Il Musinè, secondo le leggende del luogo, come spiega Carotenuto, “è un luogo dalle energie fortissime, uno dei principali in Europa. Le forze spirituali del drago hanno conformato un sottosuolo pieno di energie enormi, selvagge, che si manifestano in conformazioni rocciose insolite e piene di materiali forti, nocivi se liberati”.


Da anni si parla, infatti, dell’amianto e dell’uranio contenuti nel sottosuolo e che verrebbero liberati in caso di trivellazioni. A distruggere queste linee di forze sarebbe inoltre l’amianto, elemento che ritroviamo nelle note strisce chimiche che vengono sparate nei nostri cieli…


Punto comune delle trivellazioni, bombardamenti chimici, guerre lungo queste linee di forza sembra essere l’intenzione deliberata di distruggere l’energia benefica che la terra sprigiona da questi punti nodali. Come se qualcuno, le “gerarchie nere”, stesse cercando di impedire il risveglio della popolazione, tenendo anzi sotto controllo l’attività spirituale delle comunità nelle zone interessate.


Per questo le guerre, distruzioni, terremoti – L’Aquila sorge proprio su una potentissima ley lines – aggressioni farmacologiche e alimentari, attività di terrorismo, scie chimiche avvengono lungo i cosiddetti luoghi sacri. Lungo questi canali sono sorti nell’antichità dolmen, menhir, cerchi di pietra, templi, cattedrali, piramidi, in modo da permettere un contatto tra l’uomo e le dimensioni spirituali.


E’ possibile dunque che le forze oscure stiano manipolando il potere politico, economico, per distruggere questi luoghi energetici e per ostacolare l’evoluzione spirituale dell’uomo spegnendo luoghi di iniziazione e di culto?


In questo senso scavare una galleria nelle viscere della montagna lungo una delle linee energetiche più forti al mondo significherebbe alterare e sconvolgere gli equilibri energetici del luogo.


Un tentativo di sferrare un colpo al cuore della geografia sacra europea. Non solo. Il nodo della Val di Susa si trova proprio a metà del tracciato dedicato a san Michele, guardiano delle forze infere. Distruggere il Centro, ovvero costruire un’opera imponente in questo nodo, comporterebbe la rottura dell’intera linea sacra. Sarebbe come togliere il “tappo” che per millenni ha tenuto a bada le energie selvagge del luogo e dell’Europa intera. Il tracciato, inoltre, unisce Lione a Torino, prolungandosi fino a Kiev. In questo modo si annienterebbe il triangolo magico “bianco” che ha come vertici Lione, Torino, Praga. Anzi. Risvegliare le forze oscure darebbe maggiore impulso all’altro triangolo magico, quello nero, che unisce ancora una volta Torino ma con Londra e San Francisco.


Anche per questo i valligiani si oppongono. Inconsciamente, ma si oppongono. Sentono che la loro terra non può essere toccata. Non deve essere violata.


Non solo per l’inutilità dell’opera, i miliardi a nostro carico che verranno inutilmente spesi, il rischio per la salute pubblica. C’è una motivazione più antica e sacra a questa ribellione che chi abita queste terre conosce o almeno intuisce.


Ognuno è libero di ridere di ciò. Di opporvisi. Di non crederci.


Oppure di comprendere umilmente che le energie che stiamo per risvegliare potrebbero comportare un danno enorme per tutti noi. Per la terra, per le generazioni a venire. Forse, a breve, per il destino di tutti noi.





Enrica Perucchietti è giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva. Ha pubblicato recentemente il libro: "L'altra faccia di Obama".

domenica 20 gennaio 2019

Hypnos, il dio del sonno



Fratello di Thanatos, la Morte, era collocato alle porte degli Inferi sotto un olmo. Non è un caso che l’albero scelto per custodire i sogni sia proprio un olmo, dal momento che questa pianta era cara agli antichi per la meditazione e la divinazione.

La mancanza di sonno può portare ad effetti devastanti per la nostra salute; lo aveva capito – nel mito – anche il buon Zeus che, come racconta Frontone, dopo aver creato il giorno e la notte, il cielo stellato e il mare, decise che gli uomini non avrebbero potuto vivere a lungo senza concedere loro la capacità di addormentarsi. Così creò una nuova divinità: Hypnos (Sonno), figlio della Notte e fratello di Thanatos (ossia la Morte); di qui la famosa locuzione latina «consanguineus Leti Sopor» («il sonno è fratello della morte») come osservava Virgilio. Questa parentela era già evidenziata da Omero ed Esiodo che ritenevano Sonno e Morte addirittura ‘gemelli’. È Virgilio invece che colloca la dimora di Hypnos nel vestibolo dell’Ade, ossia gli Inferi per i latini; al punto che si è soliti dire che “il sonno è l’anticamera della morte”. Davanti la porta dell’Orco, difatti, il poeta latino, autore dell’Eneide, narra che vi fosse un olmo oscuro sotto le cui foglie abitano i “somnia vana” (ovvero i sogni fallaci). Non è un caso che l’albero scelto per custodire i sogni sia proprio un olmo, dal momento che questa pianta era cara agli antichi per la meditazione e la divinazione, motivo per cui possedeva un che di trascendentale, che poneva in comunicazione il mondo reale con quello mistico, e ciò avveniva proprio attraverso i sogni.

venerdì 18 gennaio 2019

I Vimana e le guerre degli Dei - Enrico Baccarini - Un viaggio all'interno delle fonti letterarie indiane per scoprire nuove verità sul nostro passato. Un mondo inesplorato, una viaggio oltre i confini della storia umana. Da oltre cinquemila anni India e Pakistan sembrano gelosamente custodire un passato dimenticato, un segreto racchiuso all’interno delle più antiche tradizioni che la storia umana conosca. Il viaggio ha inizio da una civiltà estremamente evoluta ma caduta nell’oblio, una cultura che lasciò ai posteri una imponente quantità di testi trasmessi in forma orale e confluiti successivamente nell’induismo. Tradizioni in cui si parla di civiltà perdute, guerre combattute tra uomini e dei con tecnologie estremamente avanzate e macchine in grado di volare nell’aria e nello spazio denominate Vimana. All’alba dei tempi, secondo gli antichi testi indiani, gli dei combatterono sulla Terra sanguinose guerre attraverso l’utilizzo di questi velivoli ed impiegando ‘armi divine’ capaci di distruggere interi popoli. Dietro i miti esiste sempre una realtà storica, questo libro penetra nella loro complessità per recuperarne elementi tangibili e concreti. Dopo anni di studi ed indagini compiuti in diversi paesi, l’autore presenta la più accurata analisi mai effettuata su questi enigmi storici, scoprendo e recuperando antichissime tradizioni e svelando incredibili parallelismi con le più moderne scoperte scientifiche. Ripercorrendo le tracce e gli studi condotti negli anni ’70 da David William Davenport, viene posta nuova luce sulle vicende che portarono alla distruzione della città di Mohenjo Daro (Pakistan) e alla scomparsa della civiltà Harappa legando la loro storia a rovine sommerse scoperte nell’Oceano Indiano e datate ad oltre 10.000 anni fa. Affrontare questa ricerca ha condotto ad un lungo viaggio alle radici della storia umana, della sua essenza, a ricercare il luogo dove ebbe origine e dove la sua grandezza vide la più eccelsa fioritura. Il volume ripercorre con taglio analitico e scientifico la riscoperta di remote tradizioni e dei loro contenuti estremamente avanzati presentando al lettore nuove evidenze che potrebbero condurre a riscrivere la storia stessa della nostra civiltà e a vedere con occhi diversi le origini della nostra specie. Gli elementi necessari per comprendere questo enigma storico sono già a nostra disposizione, seguendo le parole di Marcel Proust forse “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi” per riscoprirle e comprenderle.

I Vimana e le Guerre degli Dei
La riscoperta di una civiltà perduta, di una scienza dimenticata, di un antico sapere custodito tra India e Pakistan
Voto medio su 5 recensioni: Da non perdere
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giovedì 17 gennaio 2019

Quando Dio era una Donna - Merlin Stone - Il testo ormai classico che ha inaugurato un nuovo sguardo sul passato e ha spinto generazioni di donne a ripensare la propria spiritualità e il proprio ruolo nella società moderna. In questa rilettura dei miti religiosi a noi più vicini, l’autrice narra la storia della Dea che ha regnato sovrana tra il Mediterraneo e il Medio Oriente, venerata quale saggia creatrice e fonte di ordine cosmico, e non solo quale simbolo di fertilità e bellezza come la religione giudaico-cristiana vorrebbe far credere. Merlin Stone documenta la lunga fase del contrastato passaggio dai culti matriarcali a quelli patriarcali, culminati con il declassamento della Dea a creatura debole e depravata, come racconta una delle leggende più comuni, quella di Adamo ed Eva. Questo testo è il capolavoro di Merlin Stone che ha influenzato generazioni di donne, spingendole a ripensare la propria spiritualità e il proprio ruolo nella società moderna.

Quando Dio era una Donna Voto medio su 3 recensioni: Da non perdere
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Da Circe a Morgana - Anna De Nardis - Un'antologia di saggi, per ricordare la maggiore studiosa italiana di divinità, miti, riti e simboli del mondo mediterraneo prepatriarcale, dalle sue radici nella Colchide alla letteratura fantastica medievale. Studiosa tra le più sensibili e colte della koinè religiosa che si estendeva da Gibilterra all'India prima dei Greci e dei Romani, attraverso una serie di saggi che spaziano dalla Teogonia esiodea alle saghe celtiche della maga Morgana, l'autrice ci restituisce "il perenne fascino emanato dalla grande dea mediterranea, della potnia, che nutre tutti quanti gli esseri presenti sulla terra e delle sue infinite manifestazioni femminee, esperte di arti magiche e salutari, con cui danno morte e vita, infermità e salute nel vasto regno della natura...". Momolina Marconi (1912-2006) Allieva di U. Pestalozza, ha insegnato Storia delle Religioni presso l'Università degli Studi di Milano dal 1948 al 1982. Profonda conoscitrice della religione mediterranea e antesignana nello studio delle divinità femminili, ne ha scritto con eleganza e passione in una vasta serie di saggi apparsi su riviste del settore.

Da Circe a Morgana
Scritti di Momolina Marconi
€ 22,00

mercoledì 16 gennaio 2019

Medicina Sacra - Massimo Centini - Quanto noi oggi definiamo medicina popolare è soprattutto uno strumento capace di ricomporre simbolicamente, prima di tutto, l'equilibrio uomo-natura nel rispetto delle regole di una sorta di "biologia-mitica". In questo libro il lettore troverà una serie di esperienze della medicina popolare italiana, con commenti e riflessioni che ci auguriamo possano essere un'utile occasione per una visione razionale dei sistemi terapeutici e protettivi del popolo. Quindi non si tratta di un elenco di "ricette", ma di una modesta valutazione antropologica che può aiutarci a osservare tutta una serie di fenomeni con razionalità e magari suggerire angoli di lettura non ancora considerati.

Medicina Sacra
Viaggio nelle pratiche medico-magiche del Folklore Italiano
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I sabba di Benevento



Nel VI e VII secolo i Longobardi costituirono il Ducato di Benevento e portarono con loro la tradizioni di riunirsi fuori dalle città, intorno ad un albero sacro, albero di noce, da cui pendeva una pelle di caprone; qui si avevano corse e balli sfrenati. La cosa fu sempre considerata demoniaca dai Cristiani tanto da far abbattere l’albero. Più tardi ai guerrieri longobardi si sostituirono delle donne che venivano considerate malefiche.

Non sappiamo cosa avvenisse realmente durante questi incontri, ma è probabile che il Cristianesimo, per una ragione o per un’altra, vi abbia visto il diavolo in questi “riti”.

Quel che sappiamo è che a Benevento, ancora nel Medioevo, si celebravano riti risalenti al periodo dei Longobardi. Vicino all’albero di noci, che quell’antico popolo utilizzava per i lori riti pagani, le streghe medievali svolgevano i loro sabba. Esse affluivano qui da ogni regione, ognuna accompagnate dal proprio demone.

La Fossa delle Streghe di Cerreto Sannita, dove vennero cacciati i diavoli dopo essere stati sconfitti da San Michele, streghe e demoni si incontravano ogni venerdì; e ogni venerdì notte, le streghe si incontravano anche nel centro del rione Mercatello. Esse continuarono a riunirsi e a celebrare le loro feste attorno ad altri alberi, almeno fino al XVII secolo.

D’altronde, la città fu sempre legata in qualche modo alla magia tant’è che il suo nome in origine era Maleventum (forse da “malìa”, ovvero ,”magia”). Furono i Romani a ribattezzarla Beneventum, in seguito alla loro vittoria contro re Pirro, nel 275 a.C.

A Benevento le streghe inquisite furono centinaia, molte di queste vennero condannate a morte

Esodo 22,17 << Non lascerai vivere una strega >>


Esodo 22,17 << Non lascerai vivere una strega >>

in origine in realtà era: << Non lascerai vivere chi opera nell'oscurità e mormora cose >>

Basta questo a far comprendere l'accanimento che la Chiesa adottò verso le streghe che, pur essendo una loro ideazione per come oggi le conosciamo, dovevano esistere per tutta la popolazione, terrorizzandola, la "caccia alle streghe" era una vera politica del terrore! Andava non solo architettata la figura, ma anche le gesta che queste donne spregevoli compivano.

Come nasce il sabba delle streghe.

Nulla viene inventato, quelle che erano radicate tradizioni popolari vengono manipolate ed ecco che " Il Gioco di Diana ", festa che fino al Medioevo indentificava il gruppo di Sacerdotesse che si riuniva a cantare, ballare, propiziando abbondanza e protezione per la comunità e apprendendo l'Arte , assumerà nuovi ed inquietanti connotati.

Nel XII secolo tale festa, non più tollerata dalla Chiesa, venne bollata come demoniaca, nascerà il Sabba, nome formatosi dall'alterazione del termine ebraico Shabbat, tale espressione compare per la prima volta in un processo del 1446 in Francia.

Non è ancora chiaro agli storici moderni come il copione esatto del Sabba si sia man mano stabilito, nei processi vengono infatti registrate testimonianze identiche, o quasi, difficile resta stabilire se tali particolari venissero confessati spontaneamente dalle poverette convinte di averli vissuti, magari sotto allucinogeni, o se queste non confermassero sotto tortura semplicemente quello che loro veniva messo in bocca dalle domande incalzanti degli inquisitori.

Il Sabba si svolgeva prettamente nella notte tra il Sabato e la Domenica.

Le streghe vi giungerebbero nude volando a cavallo di scope o animali dopo essersi cosparse di unguento. Giunte sul luogo prestabilito, in Italia luoghi famosi di tali ritrovi sono Triora o il Noce di Benevento, ad attenderle troverebbero il Diavolo!

La sceneggiatura rigidamente stabilita prevedeva a questo punto che le streghe baciassero il sedere o i genitali di Satana che presiederà poi la riunione seduto su di un trono intagliato nel legno. Per prima cosa le adepte rinnegheranno la loro precedente religione, calpestando ostie consacrate e crocifissi, bestemmiando ed adorando Satana, in cambio queste riceverebbero il suo Marchio, simbolo che gli inquisitori cercano poi ossessivamente durante i processi.

Non mancava poi l'orgia, ricca di particolari in cui si arrivava persino a descrivere il seme di Satana freddo come il ghiaccio! Prima di concludere il tutto con un ballo sfrenato era previsto un banchetto.

Al canto del gallo il Diavolo distribuiva i poteri ai partecipanti così che, tornando a casa, potessero operare malefici tra le loro genti. Purtroppo ancora oggi questo si crede essere la realtà della stregoneria, le origini dell'Antico Culto sono state spazzate via da un buio Medioevo.

Nel Malleus, che gli inquisitori consultavano, si trova scritto:

 << Tutta la stregoneria deriva dalla lussuria della carne, che nelle donne è insaziabile >>

 In tali affermazioni ed ossessioni per le donne si intravede oggi una proiezione della colpevolezza di una Chiesa allora all'apice della corruzione. Il clero fornicatore, dedito al peccato dell'incontinenza sessuale, moralmente debole ed ossessionato dal peccato, scagliava contro le streghe tutte le sue colpe e vergogne.

Matteuccia Di Francesco

Uno dei primissimi processi è quello svoltosi a Todi, nel 20 Marzo 1428 nei confronti di Matteuccia di Francesco, processata perché reputata per pubblica fama una maliarda, definita con il termine incantrix e accusata di ben 30 capi d’accusa. A lei si rivolgevano, secondo il dossier, cittadini provenienti da tutto il contado, da Todi, Orvieto, Spoleto, in particolare per ottenere elisir d’amore o per impedire o favorire una gravidanza.

“…una certa donna di nome Catarina del Castello della Pieve per averne un rimedio per non rimanere incinta, non essendo ancora sposata ed avendo coabitato varie volte con un certo presbitero…e temeva che poteva verificarsi il caso di rimanere incinta…la detta Matteuccia disse di prendere un’unghia di mula, di bruciarla e ridurla in polvere e di bere detta polvere mescolata al vino, dicendo queste parole, cioè: io te piglio nel nome del peccato, et del demonio maiure, che non possa mai appicciare più…” Negli incartamenti si narra di come la donna, attraverso l’uso di particolari unguenti, potesse trasformarsi in gatta, la “masipula conversa”, dal termine latino musio poi erroneamente tradotto dal Mammoli, che ne riscopre il documento, con il termine di mosca. La trasformazione in gatto non è casuale, l’animale è infatti il famiglio delle streghe per eccellenza.  Molti sono i racconti popolari che narrano di ferite inferte da contadini ai gatti notturni poi ritrovate, il giorno successivo, sul corpo di alcune donne del paese.
Ma soprattutto appare per la prima volta il tema del volo al noce di Benevento, una storia che tristemente diventerà un punto fisso delle confessioni da tortura, Matteuccia sarà la prima strega ad esser condannata per il volo stregonesco corporalier “unguento unguento, mandame ala noce de Benevento, supra acqua et supra vento, et supra omne maltempo”. Anche in questo caso tra gli scritti del processo traspare la voce della corda, e stranamente, dalle accuse di magie e fatture si passa a quello che diventerà lo stereotipo della strega, ecco che “…molte volte andò a Stregato devastando bambini, il sangue degli stessi lattanti succhiando in molti e diversi luoghi…” come quando si recò al castello di Montefalco ove “…sugò e percosse suo figlio [il bambino della castellana Andreuccia n.d.A.] per il qual fatto il bambino si ammolò e si consunse…” e lo stesso fece ai neonati del castello di Canale e di Andria di Perugina.

Il Noce di Benevento

"Unguento unguento, mandame alla noce di Benvento 
supra acqua et supra vento et supre ad omne maltempo...". 
(Formula magica che molte donne accusate di stregoneria avrebbero riferito durante i processi.) 

La città di Benevento è racchiusa tra due fiumi, il Calore ed il Sabato e pertanto, al pari di una piccola Mesopotamia fu abitata sin dai tempi più antichi. L'abitato fu, in origine, denominato Maloenton, nome di origine sannita. Il termine con l'uso fu tramutato in Maleventum e poi in Beneventum dai romani. Fu nel corso dei secoli, una città sannitica, poi romana e infine longobarda. 
Le origini antichissime della città l'hanno legata, indissolubilmente, alla cultura pagana ed ai riti mistici. 
Benevento è stata sempre avvolta in un alone di mistero ed è nota ovunque per la storia dei sabba e delle streghe che avrebbero animato le sue notti. 
Le streghe avrebbero prediletto un albero in particolare intorno al quale svolgere i loro riti. Quest'albero è il noce. 
Fin dall'antichità, all'albero di noce vengono attribuite proprietà benefiche ma anche molto pericolose. Plinio, nella sua Naturalis historia, ammonisce di non sdraiarsi all'ombra dell'albero perché potrebbe essere mortale. Lo stesso Plinio attribuisce all'albero delle proprietà magiche e soprannaturali. In Grecia, l'albero era protetto dalla dea Artemide che era la dea della natura ma anche la dea lunare, protettrice dei boschi e che sarebbe stata, secondo il mito, trasformata in un noce da Dioniso. I romani mutuarono per intero la mitologia greca e posero il noce sotto la protezione della dea Diana che era appunto l'equivalente di Artemide. L'associazione con una divinità magica che si narrava agisse la notte, per favorire lo scorrere della linfa vitale nelle piante infondendo in esse la vita, fece sì che il noce venisse avvolto in questo alone di mistero. Il mistero, il mistico, la ritualità erano tra i romani apprezzati poiché avvicinavano alla divinità, alla natura ed all'avvicendarsi tra vita e morte. Le janare erano le Dianare, appunto le seguaci di Diana, coloro che celebravano i riti legati alla fertilità ed alla madre terra, in poche parole, erano le streghe. Con l'avvento del cristianesimo, tutto ciò che era pagano divenne satanico, negativo, peccaminoso e da estirpare e debellare con ogni mezzo. E poiché molte erano le leggende che narravano dei sabba delle streghe attorno all'albero di noce, questa splendida pianta divenne il simbolo della stregoneria, di quella “peggiore” quella che faceva più paura e che più generava morbosi istinti di curiosità, da un lato e di giustizialismo bigotto, dall'altro. 
Nell'immaginario collettivo, Benevento era il covo delle streghe ed in più era il luogo ove cresceva, maestoso e terribile, un grande noce. E sempre secondo i racconti, il noce di Benevento era quello intorno al quale tutte le grandi e più potenti streghe, provenienti da tutta Europa, si incontravano per celebrare i loro riti demoniaci. 
Pietro Piperno, in un libello del 1640 “Della superstitiosa noce di Benevento”, ci racconta la leggenda di questo noce. La vicenda si svolge durante la dominazione longobarda sulla città. Nel 667, il ducato di Benevento fu cinto d'assedio dall'esercito bizantino guidato da Costante. Il sacerdote Barbato, accusò dell'assedio e della conseguente carestia, morte e distruzione, i cittadini che adoravano un serpente appeso ai rami di un grande noce che distava circa 2km dalla città. Il duca della città, Romualdo, promise che se Benevento avesse resistito all'assedio, avrebbe fatto sradicare l'albero e cessare la tradizione ma, quando l'esercito bizantino fu sconfitto, il duca Romualdo continuò di nascosto ad adorare il serpente in bronzo. 
In questa leggenda si incontrano molti simboli. Da un lato, il serpente che era legato al culto di Iside, un culto mediterraneo giunto fino alla città campane in secoli antichissimi, tanto che molti studiosi ritengono che nell'abitato vi fosse proprio un tempio dedicato alla dea su cui è state, poi, edificate una chiesa. 
Il secondo elemento allegorico è l'albero sacro, di cui abbiamo narrato la simbologia 
Ma c'è di più! Anche i i Longobardi veneravano gli alberi maestosi e, dunque, il noce. Si racconta che essi fossero soliti celebrare i riti in onore di Wotan, padre degli dèi, appendendo ad un albero sacro, la pelle di un caprone che poi i guerrieri strappavano a brandelli, girando a cavallo attorno all'albero in una sorta di sabba. Ed in quel periodo, Benevento era sotto la dominazione longobarda 
L'esistenza del noce non è mai stata dimostrata, anche se in molto lo hanno cercato e hanno ritenuto di averlo individuato in molte contrade. 
Col trascorrere dei secoli, la leggenda del noce si è sempre più arricchita e rafforzata, tanto che ancora nell'ottocento possiamo leggere: 
Vicino alla città di Benevento 
Vi sono due fiumi molto rinomati 
Uno Sabato , l'altro Calor del vento; 
Si dicono locali indemoniati, 
Un gran noce di grandezza immensa 
Germogliava d'estate e pur d'inverno; 
Sotto di questa si tenea gran mensa 
Da Streghe, Stregoni e diavoli d'inferno. 
Così suona l'inizio di un poemetto popolare ottocentesco edito a Napoli e intitolato “Storia della famosa noce di Benevento”, raccolto da Giuseppe Cocchiara , che al noce e alle streghe dedica un intero capitolo del suo Il paese di cuccagna. 
Quel che è certo, al di là dei sabba e delle leggende, è che al noce dobbiamo veramente tanto. Il suo frutto è sicuramente “divino”. Sotto la sua chioma l'erba cresce più rada. Le foglie fresche venivano usate per guarire le piaghe e le ulcere. L'olio di noce ed il mallo, hanno proprietà depurative intestinali. I decotti di foglie erano usati per depurare le mucose, e per guarire le afte delle tonsille. Col mallo acerbo, raccolto rigorosamente a San Giovanni, si prepara ancora oggi, il noto nocino o nocillo, dalle rinomante proprietà digestive. Numerose sono le applicazioni tramandateci dalle antiche guaritrici quali la capacità della pianta di assorbire i veleni. 
Mito o realtà, molti vecchi ancora raccontano, di vedere nelle fredde notti autunnali, quando il vento si solleva sul fiume Calore, le ombre delle janare che danzano sotto le foglie degli alberi di noce.

lunedì 14 gennaio 2019

Il Monte Olimpo

Il monte Olimpo è la cima più alta della catena di monti che divide la Macedonia dalla Tessaglia. La vetta dell'Olimpo è coperta d'inverno dalla neve; più sotto crescono cupe foreste di abeti, dopo le quali si estendono fitte macchie mediterranee. La cima è spesso nascosta dagli sguardi umani da un denso strato di nuvole, squarciate ogni tanto, dal bagliore dei lampi, seguiti dal rumore dei tuoni. Secondo i Greci, sopra queste nuvole vi erano le dimore degli Dèi, con porticati e splendidi giardini: profumi di fiori, nessun vento osava penetrare nel sacro recinto e sopra vi era un cielo sempre azzurro, luminoso e sereno. In questo bellissimo posto, Zeus aveva costruito il suo palazzo d'oro, dove viveva con la sua sposa Hèra; nella vasta sala del trono si radunava quasi ogni giorno il Concilio degli Dèi, per governare il mondo. Attorno al palazzo di Zeus si ergevano le dimore di altre divinità, che insieme a Zeus, formavano il Concilio degli Dèi Celesti, conosciute meglio come Divinità Olimpiche: Zeus, Hera, Afrodite, Pallade Atena, Demetra, Hestia, Artemide, Apollo, Hermes, Dioniso, Ares ed Hefèsto; sei divinità maschili e sei femminili. Ciascuna di queste divinità non abitava sola nel proprio palazzo ma come ogni re aveva a seguito dei cortigiani; così ogni divinità maggiore aveva una corte di divinità minori, di queste voglio ricordare:Le Muse, Le Càriti, Le Ore,Temi, Iris, Le Mòire, Ebe, Ganimede

Zeus aveva affidato il dominio assoluto del mare a suo fratello Poseidone, che abitava in uno splendido palazzo ornato d'oro e di perle, nei profondi abissi del mare, insieme alla sua sposa Anfitrite. Anche questa coppia divina aveva a suo seguito un numero di divinità minori che abitavano nel mare, le principali: Nereo, Proteo, I Tritoni, Le Sirene

Il dominio dell'oltretomba fu affidato da Zeus a suo fratello Hades che regnava insieme alla sua sposa Persefone, Proserpina o Core, sulle ombre dei morti; e la sua dimore è perciò nell'Erebo, un paese tenebroso che scende nelle profondità della Terra, verso l'estremo Occidente, al di là del fiume Oceano. Questa immensa caverna sotterranea ha, come suolo, un prato di asfodeli, circondato tutto attorno dalle acque di quattro fiumane spaventose: lo Stige, l'Acheronte, il Flegetonte e il Cocito, ai quali più tardi venne aggiunto dai poeti il fiume Lete che è il fiume dell'oblio della vita terrena. Per entrare nell'Erebo, occorre un barcaiolo, Caronte, in quanto è un'isola. A guardia della porte dell'Erebo c'è Cerbero, figlio di Tifone e Echidna, cane feroce con tre teste, che urla terribilmente: esso lascia entrare liberamente le anime dei morti, ma guai a chi volesse farle uscire. L'Erebo è diviso in due parti distinte: il Tartaro, che è il luogo dei tormenti per le anime colpevoli, e l'Eliso, che è il luogo dove riposano i beati. L'Eliso o Campi Elisi è una bella campagna dove, anche dopo la morte, si trascorre una tranquilla e felice vita. Le divinità minori dell'Erebo più importanti sono: Caronte,Minosse, Radamanto, Eaco e Trittolemo, Eeate, Le tre Erinni, Thanatos e Hypnos,Le Arpie

Molte altre divinità inferiori vivevano tra gli uomini, sulla Terra e risiedevano nei luoghi di cui erano protettori, come ad esempio: Pan, dio delle selve e dei pascoli; Gli Egipani e i Satiri; Le Ninfe, che rappresentavano la natura e vivevano nei luoghi dove esercitavano i loro potere.

domenica 13 gennaio 2019

La Terra cava il regno di Agarthi e la sua capitale Shambhala

Nel primo dopoguerra l’ammiraglio Richard Byrd della Marina degli Stati Uniti compì delle esplorazioni ai poli che riaccesero il dibattito sull’ipotesi della Terra cava e sull’esistenza del mitico regno di Agarthi e della sua capitale Shambhala. L’esistenza di un mondo sotterraneo abitato da una civiltà evoluta è presente in numerose antiche tradizioni.

Nel 1947 l’ammiraglio della Marina militare americana Richard Byrd compì un volo esplorativo al Polo Nord che ancora oggi non manca di suscitare una serie di domande a cui la scienza ufficiale fatica a rispondere. Spintosi 1.700 miglia “oltre” il Polo Nord cominciò a notare una trasformazione radicale dell’ambiente sorvolato che lo lasciò stupefatto. L’ammiraglio Byrd raccontò di essersi addentrato nei cieli di un territorio verdeggiante, un ambiente totalmente diverso da quello artico che ci si sarebbe aspettati. A terra era possibile osservare una vegetazione lussureggiante e rigogliosa, tipica di territori con temperature medie molto superiori a quelle che caratterizzano il rigido clima polare. Le osservazioni dell’ammiraglio non si limitarono alla sola flora: nel diario di bordo annotò di aver osservato un animale dalla stazza notevole, simile ai mammut dell’età preistorica, che si muoveva nella vegetazione sottostante.

L’emozione e lo stupore provati dall’ammiraglio Byrd furono tali da indurlo a compiere, dopo nove anni, un secondo volo. Questa volta l’ammiraglio decise di sorvolare il Circolo Polare Antartico. Nel 1956, in maniera analoga a quanto fece al Polo Nord, si spinse di circa 2.300 miglia “oltre” il Polo Sud. A testimonianza della sua impresa esiste la registrazione della comunicazione radiofonica che l’esploratore ebbe con la torre di controllo: “Oggi, 13 gennaio, membri della spedizione degli Stati Uniti sono penetrati per 2.300 miglia in una terra “oltre” il polo. Il volo è stato effettuato dall’ammiraglio Gorge Dufek della Marina militare degli Stati Uniti“. Byrd puntò la rotta sul polo magnetico terrestre senza variare mai direzione lungo il viaggio. Esattamente come avvenne nove anni prima, l’ammiraglio constatò un repentino cambiamento delle condizioni climatiche e la conseguente mutazione della flora e della fauna locale.
Diversi anni dopo la sua scomparsa, il diario di volo dell’ammiraglio Byrd venne reso pubblico permettendo a numerosi ricercatori di trovare risposte alle loro domande. Nel diario di bordo, Byrd scrisse che il suo aereo fu affiancato da mezzi volanti sconosciuti che lo “costrinsero” ad un atterraggio forzato presso una base aerea non presente sulle mappe ufficiali. Sceso dal suo velivolo, l’ammiraglio venne accolto con rispetto e premura da un personaggio autorevole che gli rivelò i motivi di quella “convocazione”.
L’uomo, descritto con tratti delicati e capelli biondi, rivelò a Byrd l’esistenza di una progredita civiltà negli ignoti territori del mondo sotterraneo, oltre all’esistenza di due aperture nei poli che permettevano l’entrata a tale regno. Il misterioso interlocutore profetizzò a Byrd l’approssimarsi di nubi oscure sul futuro dell’umanità e chiese all’ammiraglio di farsi portavoce di tali rivelazioni. Disse di essere molto preoccupato dei destini dell’umanità, soprattutto in seguito alla scoperta e all’utilizzo delle armi nucleari durante la II° Guerra Mondiale. Nonostante il compito di diffondere tali avvertimenti, l’ammiraglio Byrd non poté assolvere la missione assegnatagli in quanto fu obbligato al silenzio da parte dei suoi superiori.
I racconti dell’ammiraglio Byrd sono una pietra miliare per chiunque si interessi al tema della “Terra Cava”. Molti ricercatori moderni pensano che l’esploratore americano abbia verificato la realtà di un mito che appartiene a svariate tradizioni culturali e spirituali: l’esistenza di un luogo paradisiaco situato all’interno del nostro pianeta. Un regno governato da un leggendario sovrano mediatore tra Dio e gli uomini. A tal proposito, in letteratura non mancano diversi richiami (seppure in chiave fantastica ed allegorica) a tale tradizione. Basti pensare al noto romanzo Viaggio al centro della terra di Jules Vern, al mondo sotterraneo nel quale è ambientato Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll oltre al viaggio nel sottosuolo per eccellenza intrapreso da Dante Alighieri nella sua “Commedia“.
Tale mito è presente nei testi sacri delle più antiche culture orientali e medio-orientali dove non sono rari i racconti di contatti tra gli uomini e gli abitanti del regno presente nelle viscere della Terra. La tradizione buddhista tibetana descrive il regno di Agarthi e la sua mitica capitale Shambhala. Secondo tale credenza a capo del regno sotterraneo vi è il Re del Mondo, che risiede nel Tempio della Scienza Sacra e al cui comando vi sono gerarchie di esseri celesti provenienti dalle stelle. Essi governano ed influenzano l’andamento delle vicende umane che avvengono in superficie presiedendo all’evoluzione della nostra specie.
Negli antichissimi testi Uphanishad, appartenenti alla tradizione indiana, si narra del regno di Agarthi e del suo divino sovrano, chiamato Sanat Kumara, anch’esso al comando di una legione di esseri divini discesi in un’isola del mare di Gobi (oggi deserto di Gobi) a bordo di un’astronave fiammeggiante proveniente dalla stella bianca di Sirio. L’ultima apparizione in superficie del sovrano del regno di Agharti risalirebbe al 1923 in India, quando si manifestò agli occhi degli increduli spettatori assiso su di un meraviglioso trono trainato da elefanti bianchi. Nel suo tragitto benediceva la folla recando in mano il simbolo di una mela d’oro sormontata da un anello sul quale era inciso un simbolo ben conosciuto da tutti: la svastica.
Il Re del Mondo appare anche nella tradizione biblica giudaico-cristiana con il nome di Melki Tsedeq, re di Salem. La sua identità è rivelata nella Genesi (XIV, 19-20) per poi essere ripresa in un commento di San Paolo (Epistola agli Ebrei, VII, 1-3): “Questo Melki Tsedeq, re di Salem, sacerdote dell’Altissimo, che andò incontro ad Abramo donò la decima di tutto il bottino; che è innanzitutto, secondo il significato del suo nome, re di giustizia poi re di Salem, cioè re di pace; che è senza padre, senza madre, senza genealogia, la cui vita non ha né principio né fine, ma che in tal modo è reso simile al Figlio di Dio, questo Melki Tsedeq rimane sacerdote in perpetuo“.
Il leggendario regno sotterraneo di Agarthi si configurerebbe dunque come la dimora terrena di popoli che visitarono i nostri cieli, con i loro prodigiosi mezzi volanti, nella notte dei tempi. Si tratterebbe della centrale di coordinamento della loro presenza sulla Terra, il centro logistico della loro missione sul nostro pianeta. Sebbene possa apparire una semplice credenza mitologica, confutata dalle attuali conoscenze scientifiche, la teoria della Terra Cava rimane un’idea affascinante che non ha mancato di interessare, nel corso della storia, personalità di spicco che vi hanno dedicato anni di ricerca e di studi.

Un'antica leggenda sulla diffusione dello Sciamanesimo



Una volta viveva nel lontano Nord sui monti dell'Altaj, la Dea Umai e suo marito Altading Aezi.
Essi vivevano in quel tempo in un luogo mite, un paradiso terrestre di immane bellezza dove persisteva la saggezza universale e la pace, si viveva in armonia con gli Spiriti e da lì gli Spiriti organizzavano e ordinavano il mondo.
Questa terra mitica, da molti associata a Shambala o a Atzlan, ancora oggi viene riconosciuta da molte tradizioni spirituali e da almeno otto religioni come il vero centro del pianeta, fulcro della spiritualità.

Un giorno Kur Depa, un enorme essere marino, capovolse il mondo sottosopra e sui monti dell'Altaj divenne freddo.
Altading Aezi allora viaggiò fino in cielo per chiedere aiuto agli Spiriti più potenti. Consultò tutti gli Spiriti nel tentativo di trovare Ulgen, il più alto di tutti loro, l'unico capace di girare il mondo.
Passò molto tempo e sull'Altaj era sempre più freddo, per salvare i suoi figli dal congelamento la Dea Umai trasformò le loro anime in rocce e strapiombi. Iniziò con i suoi due figli maschi e con quattro delle sue figlie femmine.
sciamanesimo mongoliaUmai e le sue ultime due figlie ancora non trasformate scesero a Sud di Altaj alla ricerca di un luogo più caldo ma anche lì era ugualmente freddo e lei e le sue figlie congelarono diventando una montagna con tre vette.
La vetta centrale è la testa di Umai e le due cime più piccole sono le teste delle due figlie, questa montagna esiste ancora oggi ed è chiamata Belucha.
Altading che nel frattempo aveva fallito la sua ricerca non fece più ritorno e gli uomini di Altaj rimasero senza divinità e l'armonia con la natura e con gli Spiriti fu spezzata.
I cambiamenti climatici e i cataclismi continuarono e gli abitati dell'Altaj, uomini dal sapere sacro, migrarono verso altre terre. Scesero nelle terre Siberiane e Lapponi mescolandosi e dando vita alle popolazioni Mongole, Samoiede, ecc; altri scesero in Tibet, Nepal e India; altri si spinsero fino a raggiungere Cina, Giappone ed Indonesia.
Un gruppo di loro, determinato a ritrovare la terra calda delle acque bianche, si spinse sulla strada del Nord. Alcuni si fermarono nell'America del Nord, altri giunsero più a Sud fino al centro e al Sud America.
Da loro discendono tra gli altri le popolazioni del Messico: Toltechi, Olmechi, Aztechi e infine Mexica e le popolazioni amazzoniche dell'Equador e del Perù.
Dovunque essi arrivarono portarono la conoscenza che avevano acquisito quando vivevano in armonia con gli spiriti, ovunque essi insegnarono lo sciamanesimo.

Edgar Cayce

”Edgar Cayce (1877-1945), possedeva la straordinaria capacita’ di sedere su una sedia, chiudere gli occhi, piegare le mani sullo stomaco, e porsi in uno stato di trance in cui praticamente qualsiasi tipo di informazione gli era accessibile. Quando gli e’ stato chiesto circa la fonte delle sue informazioni, Cayce rispose che ne aveva essenzialmente due: “Il primo e’ la mente inconscia della persona a cui ho letto, e la seconda e’ il Registro Akashico”. Parlando del Registro Akashico/Libro della Vita, ha detto e’ il registro di Dio, di Te, della Tua anima e la conoscenza di Te stessa. 

venerdì 11 gennaio 2019

Ofiuco: la tredicesima costellazione

Attualmente, l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) divide il cielo in 88 costellazioni ufficiali. Tra queste, vi sono quelle dello Zodiaco e anche quella di Ofiuco, la cui particolarità è quella di essere l’unica a non aver dato il nome ad un segno astrologico.

Costellazione di Ofiuco
La tredicesima costellazione: Ofiuco

Le costellazioni zodiacali sono quelle che intersecano l’eclittica, ovvero il percorso apparente del Sole nel suo moto annuo; sono quelle cioè che vengono percorse dal Sole durante il suo “tragitto” annuale nel cielo. Durante questo percorso lungo la volta celeste, il Sole attraversa la costellazione di Ofiuco dal 30 novembre al 17 dicembre, dopo aver percorso un piccolo tratto all’interno della costellazione dello Scorpione. Quindi, lo zodiaco astronomico comprende anche una tredicesima costellazione: Ofiuco, o Serpentario, poiché l’eclittica “attraversa” 13 costellazioni, e non 12.
Durante il suo moto annuo, il Sole permane per più tempo nella tredicesima costellazione, l’Ofiuco, rispetto alla costellazione dello Scorpione. Gli astrologi ignorarono la costellazione di Ofiuco, senza inserirla nello Zodiaco, probabilmente perché, considerando soltanto 12 costellazioni zodiacali, si poteva abbinare comodamente ognuna di queste ad uno dei 12 mesi dell’anno. Quindi nel corso dell’anno, il Sole attraversa i 12 segni astrologici convenzionali, ma percorre 13 costellazioni.

Costellazioni zodiacali
Nel corso dell’anno, il Sole attraversa i 12 segni astrologici convenzionali, ma anche la costellazione di Ofiuco

Ofiuco nella mitologia

Il termine Ofiuco deriva dal latino Ophiūchus, ovvero “colui che porta il serpente, serpentario”. La costellazione di Ofiuco rappresenta un uomo con un serpente avvolto attorno al corpo; in una mano tiene la testa del serpente, nell’altra la coda. Conosciuta fin dall’antichità, è una delle 48 costellazioni descritte da Tolomeo.
Ofiuco rappresenta il dio della medicina Asclepio (Esculapio per i Latini), figlio di Apollo. Secondo la mitologia greca, dopo aver scoperto un’erba portata da un serpente, Esculapio acquistò sorprendenti doti di guaritore, diventando così il più grande medico dell’antichità. Per questo motivo viene ricordato dalla leggenda come il primo medico della storia.

Ofiuco nella mitologia
Rappresentazione di Ofiuco: un uomo con un serpente avvolto attorno al corpo; in una mano tiene la testa del serpente, nell’altra la coda

Caratteristiche della costellazione di Ofiuco

La posizione nel cielo della costellazione di Ofiuco è tra lo Scorpione ed il Sagittario; il periodo di migliore visibilità nel cielo dell’emisfero boreale è da maggio, basso sull’orizzonte ad est, ad ottobre, basso sull’orizzonte ad ovest. Raggiunge il suo culmine, ad un’altezza di oltre 40° sull’orizzonte a sud, i primi giorni di agosto.
Le stelle principali della costellazione sono: α Ophiuchi, o Ras Alhague, stella bianca distante da noi 47 anni luce; η Ophiuchi, o Sabik, stella bianca distante 84 anni luce; ζ Ophiuchi, o Han, stella blu distante 458 anni luce; δ Ophiuchi, o Yed Prior, gigante rossa distante 170 anni luce; β Ophiuchi, o Cebalrai, stella arancione distante 82 anni luce.
La parte meridionale della costellazione di Ofiuco ricade sulla Via Lattea, in direzione del centro galattico. Per questo motivo la costellazione presenta numerosi ammassi stellari e diverse nebulose: gli ammassi aperti IC 4665 e NGC 6633, gli ammassi globulari M9, M10, M12, M14, M19, M62 ed M107, le nebulose planetarie NGC 6572, NGC 6309, NGC 6369 e la Nebulosa Pipa. Visibile anche la galassia doppia NGC 6240. La costellazione di Ofiuco contiene inoltre diversi sistemi planetari, ovvero diversi oggetti di natura non stellare che orbitano intorno ad una stella.