sabato 5 gennaio 2019

Origini e Storia della “Befana”




L’immagine della povera vecchina dalle vesti lise, che attraversa i cieli cosparsi di stelle e la bella e bianca luna nella gelida notte d’inverno, per distribuire dolcetti e carbone, è dunque tutto ciò che è sopravvissuto nella nostra tradizione delle splendenti Dee di Luce e Fortuna. Eppure non è difficile, per chi desidera andare oltre la superficie, scorgere oltre il suo laido viso sempre sorridente e gentile, la sua appartenenza ai mondi antichi e le sue lontane radici che ben vi attecchiscono. A volte pare addirittura che ella voglia mostrare una porticina segreta che si nasconde oltre la sua figura, la quale si apre su di un regno incantato che lei stessa ancora incarna, sebbene quasi più nessuno se ne interessi o ne sia a conoscenza.
Al di là di quel piccolo varco magico, la Befana si riappropria finalmente della sua vera sembianza, e bisogna quasi proteggere gli occhi per non rimanere accecati dinnanzi alla visione abbagliante che ella mostra di sé, come del resto poteva succedere a chi tentava di vederla aggirarsi per le campagne, nei tempi in cui i suoi nomi erano altri e diversi, e richiamavano sempre la sua essenza di luce. Ella, infatti, altri non è che la stessa Holla, e Berchta e Frigg e Fulla, ed infinite altre luminose divinità femminili della Natura incontaminata, elargitrici di doni ed abbondanza, legate alla vegetazione, agli animali, alla fertilità ed alla Fortuna. È la luminosa Dea del ciclo eterno, che muta la sua forma e conduce le stagioni. Portatrice di nuova vita e luce nel freddo e buio inverno, può assumere un aspetto incantevole, giovane e vigoroso, ma anche uno completamente opposto, orrendo, vecchio e spaventoso, “a rappresentare un ciclo completo dalla nascita alla morte e alla rinascita.” È l’antica Fata, Filatrice del Destino e Dea del Karma, che trasmette la sua arte alle donne perché la impieghino nelle loro vite; e la Coltivatrice delle profonde terre interiori, che insegna a coltivare i Semi nascosti, perché possano diventare ciò che sono nati per essere. Il suo culto, ricorda quelli dedicati alle Matres o Matronae primordiali, Antenate genitrici di tutta la Natura, premurose e amorevoli protettrici delle donne, delle partorienti, dei neonati, e al contempo dei bimbi non nati e del sotterraneo mondo dei morti; e fra di esse, in modo particolare, richiama le Matres Domesticae, poiché come loro è custode del sacro focolare domestico, della casa e dei lavori femminili. Per questo forse non è una coincidenza che ella faccia uso proprio del camino, dimora del fuoco, per introdursi nelle abitazioni e per farvi ricadere magicamente tutte le cose buone di cui è portatrice. La sua festa è molto preziosa perché è forse una delle uniche rimaste quasi intatte, nel corso del tempo e nonostante l’alterazione cristiana. E lo stesso la sua cara e tanto amata figura, eco delle divinità femminili che a lei hanno affidato la loro memoria perché non si spenga e continui a brillare, così che qualcuno possa scorgerne la luce e magari decidere di seguirla. E chissà che, nel farlo, non si intuisca il luccichio fugace di un magico filamento dorato… od il lontano tintinnare di tanti, piccoli campanellini.
Holla, signora dell’inverno.
La buona Holla dagli occhi luminosi e dalle vesti candide come la neve era la Signora dell’Inverno, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e dell’arte della filatura. Aveva l’aspetto di una donna vecchia, con il volto rugoso, i capelli canuti, che il forte vento scarmigliava, e lo sguardo gentile e benevolo; ma le sue sembianze erano mutevoli, e molti i suoi volti.
Nelle notti del Solstizio d’Inverno, ella scendeva sui campi innevati, per benedirli ed accertarsi che fossero fertili e pronti per le prossime semine. Cavalcava uno splendido corsiero bianco, e stormi di cicogne e rondini la precedevano e ne annunciavano l’arrivo. Al suo seguito v’erano invece bellissime divinità femminili, che volavano in groppa ai gatti, e le anime dei bimbi non nati o morti nei primi anni d’età. In tal modo si recava a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del camino, e spargeva i suoi doni di Luce e Fortuna su quelle in cui trovava armonia, pulizia ed ordine, così come su coloro che vi abitavano e che nella loro vita coltivavano le stesse buone virtù. Se invece trovava sporcizia, disordine e disarmonia, poteva anche maledirle, ed in ogni caso preferiva allontanarsene, ritirando la sua benedizione, la Fortuna e tutte le cose belle di cui era portatrice. Per propiziare la sua benevolenza ed il suo ritorno, si usava così lasciare delle offerte di cibo sui tetti e nelle case, oppure, come forse accade ancora, le si lasciava una tazza di latte tiepido, la cui rimanenza veniva data da bere al bestiame la mattina seguente, perché ne avrebbe aumentato la fertilità. Talvolta, nel suo vagare notturno, invece che a cavallo la Dea preferiva viaggiare sul suo carro scintillante, sfidando bufere di neve e gelide tempeste, e poteva succedere che nella corsa selvaggia esso si danneggiasse. Ma se nei paraggi c’era qualche uomo che si offriva di ripararlo, allora ella gli avrebbe in cambio regalato delle schegge di legno fatato, che ben presto si trasformavano in oro puro. Un oro che forse potrebbe richiamare non tanto la ricchezza che viene dalla materia, quanto quella che viene dal profondo e che può essere nutrita solo con ciò che è armonioso e naturale, ovvero con ciò che è fatto della sua stessa brillante e invisibile sostanza. Come Signora della filatura, soprattutto del lino, Holla era protettrice delle filatrici, che si intrattenevano al fuso fino tarda sera. Quest’arte veniva infatti svolta solo dopo tutti gli altri lavori domestici, nel silenzio e nella quiete della notte. Nelle sue visite solstiziali, la Dea osservava scrupolosamente il filato che le donne producevano ed il modo in cui esse lavoravano, premiando quelle che filavano con cura e impegno con conocchie piene del migliore lino, oppure, in certi rari casi, riempite, di bellissimi fili dorati – forse il segno di una Fortuna molto particolare, ovvero un’offerta di seguire il magico filamento d’oro che proviene dai mondi fatati e che porta a riunirsi alle Antiche Armonie. A volte, al mattino, poteva anche accadere che le donne trovassero il proprio lavoro terminato, segno che la Dea aveva molto apprezzato ciò che aveva veduto. Capitava però che Holla trovasse filatrici negligenti, pigre e svogliate, che producevano un brutto filato e davano poca cura a tutto ciò che facevano, ed in questo caso ella aggrovigliava o rompeva il loro lavoro, gettando le conocchie a bruciare nel camino – un segno della sfortuna, delle avversità che impongono i nodi, ovvero gli ostacoli, e confondono la Via, facendo tornare al principio per ricominciare tutto daccapo. Era tradizione, comunque, finire tutti i lavori di filatura entro il Solstizio d’Inverno, per non lasciare nulla di incompiuto e perché altrimenti la Dea si sarebbe adirata. Nei dodici giorni dopo il Solstizio, infatti, il fuso non doveva essere toccato. In epoca cristiana, a proposito di questa credenza, era d’uso tra le giovani filatrici riempire le conocchie di lino la notte di Natale, lasciandole così fino al mattino, perché si credeva che Dama Holla, vedendole, avrebbe detto “tanti fili, tanti anni buoni”. Le fanciulle dovevano poi liberare subito le conocchie, perché se sulla via del ritorno, che avveniva l’ultima notte dell’anno oppure il sei di gennaio, la Signora avesse visto le conocchie ancora piene, avrebbe detto “tanti fili, tanti anni cattivi”. Holla amava molto i bambini piccoli, e se lasciavano la vita li accoglieva nel suo gioioso corteo. Nelle loro nanne, a volte, poteva anche succedere che ella li cullasse, facendo lentamente dondolare le culle quando la balia si era addormentata, e proprio come una dolce nonna li proteggeva amorevolmente e vegliava su di loro.
Con il finire dell’inverno, il lento sciogliersi della neve, lo scioglimento dei ghiacci e il rinverdire della terra, anche la Dea Holla mutava il suo aspetto, riprendendo tutte le sfumature del sacro Ciclo della Natura. Il suo volto di vecchia e la pelle raggrinzita si stendevano e ritornavano lisci e giovani, ed ella diveniva una fanciulla bellissima e radiosa come gli alti raggi del sole. Il suo corpo tornava florido, la pelle morbida e lattea, avvolta in veli trasparenti e sottili come la brezza profumata, ed una bianca luce si irradiava da lei, in un alone di magia luminosa che toccava tutto ciò che le giaceva attorno. La si poteva scorgere mentre, nuda, faceva il bagno in una fonte fresca, in un fiume o in un lago, ma la visione non durava che il tempo di un battito di ciglia. Amava moltissimo trascorrere il tempo nelle belle montagne, nelle grotte umide, nei misteriosi sotterranei naturali pieni di tesori e pietre preziose. Ed amava anche dimorare nei laghi e nelle sorgenti, che le erano sacri e che donavano a coloro che vi si bagnavano la guarigione del corpo e dello spirito, oppure dei bambini alle donne che desideravano diventare madri. Ma non è tutto. Le fonti tanto care alla Dea si diceva fossero dei luoghi di confine e di passaggio fra i due mondi, quello degli uomini e quello incantato delle entità di luce, la dimora eterna dello Spirito. Tramite questi magici specchi d’acqua si racconta che le anime dei bimbi entrassero nel mondo e, trasportati da maggiolini fatati o dalla maestosa cicogna, andassero ad abitare nelle pance delle loro mamme, sotto gli auspici di Holla, che vegliava su di loro sempre. Secondo le fiabe e le leggende, era sempre la lucente Dea a creare sulla terra i fenomeni atmosferici, dalla sua dimora segreta fra le soffici e candide nuvole. Quando sprimacciava il gonfio piumone del suo letto, i nugoli di bianche piume che ne volavano via scendevano come dolci fiocchi di neve sulla Terra. La nebbia che ammantava le vallate nasceva dal fumo del suo fuoco. La pioggia benefica cadeva quando ella stava usando l’acqua per lavare, mentre quando lavorava il lino, si vedevano i lampi e si sentivano i tuoni del temporale. Era lei che faceva sorgere il Sole, ogni mattino, ed in primavera rendeva fertili i campi e risvegliava i graziosi meli, che al suo tocco delicato fiorivano. Le erano particolarmente sacre due piante, ovvero il lino ed il misterioso e vecchissimo albero chiamato Holler o Hollunder; ma anche la piccola alchemilla, che stilla rugiada celeste, e la bellissima veronica alpina, dai fiorellini turchini. Il lino dagli splendidi petali azzurri è la gemma della luce, il fiore della candida purezza, come il delicato filo che se ne ottiene lavorandolo e che si può filare solo se inumidito. Esiste una bellissima storia, a proposito del legame della Signora con il lino, che racconta di un povero coltivatore, che si ritrovò sulla cima di un monte in una grotta piena di oro e cristalli preziosi. Qui gli apparve Holla, nelle sembianze di una regina bellissima attorniata dalle sue vergini ancelle, e gli disse che poteva chiederle tutto ciò che desiderava. Ma il coltivatore, per nulla attratto dalle ricchezze di cui era colma la grotta, vide fra le mani della Dea un mazzetto di fiori e la pregò di donargli quelli, poiché a lui sarebbero stati più che sufficienti. Questi fiori, che sulla Terra erano ancora sconosciuti, erano quelli della pianta del lino. Holla offrì quindi al coltivatore una borsa piena di semi e gli disse di spargerli sul suolo, e quando le piantine fiorirono e furono pronte per il raccolto, ella visitò i campi azzurri dell’uomo ed insegnò a sua moglie a filare e a tessere il lino, in una stoffa leggera e di nobile bellezza. Per quanto riguarda il misterioso Hollunder, sotto al quale si diceva che dimorassero i morti, non vi è certezza di quale albero fosse realmente, ma è probabile che si trattasse di Holantar (che significa “albero di Holla” in antico tedesco), nome con cui si indicava il sambuco tra i germani. Ed il sambuco si diceva che fosse l’albero delle Fate, la sorgente delle visioni magiche ed una delle porte della morte, ma anche della rigenerazione, della guarigione e del nutrimento. Il suo nome germanico “richiamava la leggenda nordica secondo cui una magnifica fanciulla dai capelli color dell’oro abitasse l’albero di sambuco. Ella amava questo albero soprattutto se cresceva vicino a sorgenti e fiumi, cascatelle e ruscelletti, in cui poteva bagnarsi come una ninfa dei boschi. La misteriosa fanciulla non era altri che Holle (Holda/Frau Holle), la Regina delle Fate.” 
La luce benevola e gentile di Holla, però, non permeava tutta la sua essenza, poiché questa era fatta anche di ombre inquiete. Ella “era sì la splendente e luminosa Madre, ma era anche Signora del regno sotterraneo ed infero, ed era quindi legata al potere ctonico e alla Morte”, forse assimilabile sotto questa luce alla spaventosa Hell, terribile Dea degli Inferi. Holla poteva diventare spietata ed era la Dea che conduceva i morti nell’Altromondo, attraverso i pozzi, gli oscuri recessi dei monti, le grotte buie ed i profondi crepacci. Per questo veniva considerata anche una Dama della tomba, del trapasso e del rinnovamento, personificazione delle potenze della vita che si rigenera. Con il sopraggiungere del Cristianesimo, la magnifica Dea venne in certi casi tramutata in un demone notturno, che si diceva si aggirasse nelle fredde notti invernali guidando un corteo di anime, penose e piangenti, di bambini morti senza aver ricevuto il battesimo. La bellezza ed armonia originarie furono sostituite, anche questa volta, con visioni lugubri e sofferenti, cupe, pregne di quell’atmosfera angosciante e tormentosa tanto cara alla religione dominante. In altri casi, però, la cristianità non riuscì a trasfigurare la divina Signora, ed ella sopravvisse nelle fiabe e nella tradizione popolare, che ancora oggi la preserva nella memoria, la onora e le fa dolci offerte nei dodici giorni dopo il Natale, come buona e dolce Befana che elargisce i giusti doni per ognuno, e che dispensa la sua Luce e la sua Fortuna.
Frigg e Fulla
Tutte le qualità e le funzioni magiche delle lucifere Holla e Berchta, così tanto simili fra loro, convergono e coincidono con quelle della amorevole Dea Frigg, la Grande Madre divina che aveva generato tutte le divinità e tutti gli spiriti e le creature naturali, e che per questo veniva chiamata “Colei che viene prima di tutti gli altri”. Ella era “la Donatrice”, nel cui ventre brillava il sacro germe che dà vita a tutta la Natura, ed era la custode e la personificazione stessa dell’antica Saggezza senza tempo e della profonda sapienza femminile. Il suo bel viso, incorniciato dai lunghi e folti capelli biondi, era coperto da un velo che ricadeva soffice sino ai piedi, ed ella portava appeso al fianco un grande mazzo di chiavi – forse un simbolo della possibilità di schiudere le porte segrete che conducono al di là del visibile, di accedere a qualcosa di nascosto e di conoscere i Misteri che la Dea stessa rappresentava e conservava con cura. Frigg era Signora delle acque che scorrono nelle morbide venature terrestri, e così delle fonti, dei fiumi, dei laghi, delle infinite distese blu dei mari, ed anche delle nuvole e della pioggia, che ella faceva discendere dal cielo perché allietasse la vegetazione assetata. La sua protezione si stendeva sull’agricoltura e sul bestiame, che doveva essere sempre trattato con amore e premura; ed anche sul caldo focolare di ogni casa, sui bambini e sulle loro madri. Si raccontava che tutte le arti e le abilità delle donne fossero segretamente ispirate da lei, e che fossero il regalo che lei aveva fatto al mondo. Più di ogni altra, però, le era cara la Filatura, e secondo le leggende era lei che, al principio dei tempi, aveva mostrato alle donne il suo sacro fuso ed aveva insegnato loro a filare. La Dea era, infatti, la prima Filatrice e possedeva una conocchia d’oro sulla quale filava un filo tanto sottile da sembrare seta. Le filatrici che lavoravano bene, con amore e attenzione, erano da lei ricompensate, mentre quelle che lavoravano in malo modo venivano severamente punite. Allo stesso modo, le case ben tenute e spolverate o quelle trascurate, ricevevano una buona o cattiva sorte, a seconda dei casi. A Frigg erano sacri i gatti, che trainavano il suo magnifico carro nelle notti in cui ella correva per il cielo; e poi le rondini, il cucù dallo spirito profetico e la cicogna, che volava in aiuto dei bambini che cadevano nelle paludi o nei corsi d’acqua, salvandoli dalla morte e restituendoli alle loro mamme. Le era sacro anche il periodo invernale e i dodici giorni e le dodici notti che seguivano il solstizio d’inverno, durante i quali le giovani non dovevano filare per alcun motivo, poiché Frigg si sarebbe offesa se in tali giorni il fuso non fosse stato lasciato a riposare. In queste dodici notti – oppure in quelle che intercorrono fra Natale e la Befana – la Dea faceva visita a tutte le case per portare le proprie luminose benedizioni, ed al suo fianco l’accompagnava sempre la sua amata e fedele ancella, Fulla. Questa fanciulla, vergine nel senso antico del termine, aveva capelli d’oro lunghi e lucenti come il sole ed era la personificazione della terra verdeggiante, rigogliosa, traboccante di vita e ricca di frutti. Era la Dea dell’abbondanza e del nutrimento che proviene dalla Natura e la Custode dei calzari e dello scrigno dei gioielli di Frigg – forse un emblema del suo grembo divino – dal quale traeva e distribuiva doni preziosi. Nelle notti in cui, con la sua Signora, si recava a visitare le abitazioni, Fulla controllava tutte le cantine e le rimesse dove venivano raccolte le provviste per l’inverno. Se trovava i cibi ed il vino ben ordinati e a sua disposizione, li assaggiava, ed in tal modo concedeva le sue benedizioni; se invece trovava tutto sparso in modo disordinato, oppure chiuso a chiave, non assaggiava nulla e di conseguenza non dispensava la sua buona Fortuna. Dopo le cantine, ella andava a vedere le stalle, per accertarsi che gli animali fossero sistemati bene e al caldo, e spesso si intratteneva a pettinare dolcemente le lunghe criniere dei cavalli. Per farsi luce, teneva sempre accesa una candela, e piccole gocce di cera sul pavimento, sul legno o tra la paglia potevano essere un segno del suo passaggio.
Gli aspetti ed i sacri compiti della Madre Frigg e della sua devota Fulla, così come quelli di Holla e Berchta, si somigliano e coincidono fra loro in modo sorprendente, tanto che non è difficile intravedere in queste luminose divinità dai diversi nomi la stessa ed unica essenza. Vi è però una particolarità comune a tutte che merita d’essere ancora approfondita, perchè potrebbe alludere ad un piccolo insegnamento che le Dee vogliono forse far intendere. Questa caratteristica si trova nel legame, chiaro e indissolubile, che esse hanno con il fuso, la filatura e le filatrici.


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