L’immagine
della povera vecchina dalle vesti lise, che attraversa i cieli
cosparsi di stelle e la bella e bianca luna nella gelida notte
d’inverno, per distribuire dolcetti e carbone, è dunque tutto ciò
che è sopravvissuto nella nostra tradizione delle splendenti Dee di
Luce e Fortuna. Eppure non è difficile, per chi desidera andare
oltre la superficie, scorgere oltre il suo laido viso sempre
sorridente e gentile, la sua appartenenza ai mondi antichi e le sue
lontane radici che ben vi attecchiscono. A volte pare addirittura che
ella voglia mostrare una porticina segreta che si nasconde oltre la
sua figura, la quale si apre su di un regno incantato che lei stessa
ancora incarna, sebbene quasi più nessuno se ne interessi o ne sia a
conoscenza.
Al
di là di quel piccolo varco magico, la Befana si riappropria
finalmente della sua vera sembianza, e bisogna quasi proteggere gli
occhi per non rimanere accecati dinnanzi alla visione abbagliante che
ella mostra di sé, come del resto poteva succedere a chi tentava di
vederla aggirarsi per le campagne, nei tempi in cui i suoi nomi erano
altri e diversi, e richiamavano sempre la sua essenza di luce. Ella,
infatti, altri non è che la stessa Holla, e Berchta e Frigg e Fulla,
ed infinite altre luminose divinità femminili della Natura
incontaminata, elargitrici di doni ed abbondanza, legate alla
vegetazione, agli animali, alla fertilità ed alla Fortuna. È la
luminosa Dea del ciclo eterno, che muta la sua forma e conduce le
stagioni. Portatrice di nuova vita e luce nel freddo e buio inverno,
può assumere un aspetto incantevole, giovane e vigoroso, ma anche
uno completamente opposto, orrendo, vecchio e spaventoso, “a
rappresentare un ciclo completo dalla nascita alla morte e alla
rinascita.” È l’antica Fata, Filatrice del Destino e Dea
del Karma, che trasmette la sua arte alle donne perché la impieghino
nelle loro vite; e la Coltivatrice delle profonde terre interiori,
che insegna a coltivare i Semi nascosti, perché possano diventare
ciò che sono nati per essere. Il suo culto, ricorda quelli dedicati
alle Matres o Matronae primordiali, Antenate genitrici di tutta la
Natura, premurose e amorevoli protettrici delle donne, delle
partorienti, dei neonati, e al contempo dei bimbi non nati e del
sotterraneo mondo dei morti; e fra di esse, in modo particolare,
richiama le Matres Domesticae, poiché come loro è custode del sacro
focolare domestico, della casa e dei lavori femminili. Per questo
forse non è una coincidenza che ella faccia uso proprio del camino,
dimora del fuoco, per introdursi nelle abitazioni e per farvi
ricadere magicamente tutte le cose buone di cui è portatrice. La sua
festa è molto preziosa perché è forse una delle uniche rimaste
quasi intatte, nel corso del tempo e nonostante l’alterazione
cristiana. E lo stesso la sua cara e tanto amata figura, eco delle
divinità femminili che a lei hanno affidato la loro memoria perché
non si spenga e continui a brillare, così che qualcuno possa
scorgerne la luce e magari decidere di seguirla. E chissà che, nel
farlo, non si intuisca il luccichio fugace di un magico filamento
dorato… od il lontano tintinnare di tanti, piccoli campanellini.
Holla,
signora dell’inverno.
La
buona Holla dagli occhi luminosi e dalle vesti candide come la neve
era la Signora dell’Inverno, custode del focolare, protettrice
della casa, degli animali domestici e dell’arte della filatura.
Aveva l’aspetto di una donna vecchia, con il volto rugoso, i
capelli canuti, che il forte vento scarmigliava, e lo sguardo gentile
e benevolo; ma le sue sembianze erano mutevoli, e molti i suoi volti.
Nelle
notti del Solstizio d’Inverno, ella scendeva sui campi innevati,
per benedirli ed accertarsi che fossero fertili e pronti per le
prossime semine. Cavalcava uno splendido corsiero bianco, e stormi di
cicogne e rondini la precedevano e ne annunciavano l’arrivo. Al suo
seguito v’erano invece bellissime divinità femminili, che volavano
in groppa ai gatti, e le anime dei bimbi non nati o morti nei primi
anni d’età. In tal modo si recava a visitare ogni casa, entrando
dalla cappa del camino, e spargeva i suoi doni di Luce e Fortuna su
quelle in cui trovava armonia, pulizia ed ordine, così come su
coloro che vi abitavano e che nella loro vita coltivavano le stesse
buone virtù. Se invece trovava sporcizia, disordine e disarmonia,
poteva anche maledirle, ed in ogni caso preferiva allontanarsene,
ritirando la sua benedizione, la Fortuna e tutte le cose belle di cui
era portatrice. Per propiziare la sua benevolenza ed il suo ritorno,
si usava così lasciare delle offerte di cibo sui tetti e nelle case,
oppure, come forse accade ancora, le si lasciava una tazza di latte
tiepido, la cui rimanenza veniva data da bere al bestiame la mattina
seguente, perché ne avrebbe aumentato la fertilità. Talvolta, nel
suo vagare notturno, invece che a cavallo la Dea preferiva viaggiare
sul suo carro scintillante, sfidando bufere di neve e gelide
tempeste, e poteva succedere che nella corsa selvaggia esso si
danneggiasse. Ma se nei paraggi c’era qualche uomo che si offriva
di ripararlo, allora ella gli avrebbe in cambio regalato delle
schegge di legno fatato, che ben presto si trasformavano in oro puro.
Un oro che forse potrebbe richiamare non tanto la ricchezza che viene
dalla materia, quanto quella che viene dal profondo e che può essere
nutrita solo con ciò che è armonioso e naturale, ovvero con ciò
che è fatto della sua stessa brillante e invisibile sostanza. Come
Signora della filatura, soprattutto del lino, Holla era protettrice
delle filatrici, che si intrattenevano al fuso fino tarda sera.
Quest’arte veniva infatti svolta solo dopo tutti gli altri lavori
domestici, nel silenzio e nella quiete della notte. Nelle sue visite
solstiziali, la Dea osservava scrupolosamente il filato che le donne
producevano ed il modo in cui esse lavoravano, premiando quelle che
filavano con cura e impegno con conocchie piene del migliore lino,
oppure, in certi rari casi, riempite, di bellissimi fili dorati –
forse il segno di una Fortuna molto particolare, ovvero un’offerta
di seguire il magico filamento d’oro che proviene dai mondi fatati
e che porta a riunirsi alle Antiche Armonie. A volte, al mattino,
poteva anche accadere che le donne trovassero il proprio lavoro
terminato, segno che la Dea aveva molto apprezzato ciò che aveva
veduto. Capitava però che Holla trovasse filatrici negligenti, pigre
e svogliate, che producevano un brutto filato e davano poca cura a
tutto ciò che facevano, ed in questo caso ella aggrovigliava o
rompeva il loro lavoro, gettando le conocchie a bruciare nel camino –
un segno della sfortuna, delle avversità che impongono i nodi,
ovvero gli ostacoli, e confondono la Via, facendo tornare al
principio per ricominciare tutto daccapo. Era tradizione, comunque,
finire tutti i lavori di filatura entro il Solstizio d’Inverno, per
non lasciare nulla di incompiuto e perché altrimenti la Dea si
sarebbe adirata. Nei dodici giorni dopo il Solstizio, infatti, il
fuso non doveva essere toccato. In epoca cristiana, a proposito di
questa credenza, era d’uso tra le giovani filatrici riempire le
conocchie di lino la notte di Natale, lasciandole così fino al
mattino, perché si credeva che Dama Holla, vedendole, avrebbe detto
“tanti fili, tanti anni buoni”. Le fanciulle dovevano poi
liberare subito le conocchie, perché se sulla via del ritorno, che
avveniva l’ultima notte dell’anno oppure il sei di gennaio, la
Signora avesse visto le conocchie ancora piene, avrebbe detto “tanti
fili, tanti anni cattivi”. Holla amava molto i bambini piccoli, e
se lasciavano la vita li accoglieva nel suo gioioso corteo. Nelle
loro nanne, a volte, poteva anche succedere che ella li cullasse,
facendo lentamente dondolare le culle quando la balia si era
addormentata, e proprio come una dolce nonna li proteggeva
amorevolmente e vegliava su di loro.
Con
il finire dell’inverno, il lento sciogliersi della neve, lo
scioglimento dei ghiacci e il rinverdire della terra, anche la Dea
Holla mutava il suo aspetto, riprendendo tutte le sfumature del sacro
Ciclo della Natura. Il suo volto di vecchia e la pelle raggrinzita si
stendevano e ritornavano lisci e giovani, ed ella diveniva una
fanciulla bellissima e radiosa come gli alti raggi del sole. Il suo
corpo tornava florido, la pelle morbida e lattea, avvolta in veli
trasparenti e sottili come la brezza profumata, ed una bianca luce si
irradiava da lei, in un alone di magia luminosa che toccava tutto ciò
che le giaceva attorno. La si poteva scorgere mentre, nuda, faceva il
bagno in una fonte fresca, in un fiume o in un lago, ma la visione
non durava che il tempo di un battito di ciglia. Amava moltissimo
trascorrere il tempo nelle belle montagne, nelle grotte umide, nei
misteriosi sotterranei naturali pieni di tesori e pietre preziose. Ed
amava anche dimorare nei laghi e nelle sorgenti, che le erano sacri e
che donavano a coloro che vi si bagnavano la guarigione del corpo e
dello spirito, oppure dei bambini alle donne che desideravano
diventare madri. Ma non è tutto. Le fonti tanto care alla Dea si
diceva fossero dei luoghi di confine e di passaggio fra i due mondi,
quello degli uomini e quello incantato delle entità di luce, la
dimora eterna dello Spirito. Tramite questi magici specchi d’acqua
si racconta che le anime dei bimbi entrassero nel mondo e,
trasportati da maggiolini fatati o dalla maestosa cicogna, andassero
ad abitare nelle pance delle loro mamme, sotto gli auspici di Holla,
che vegliava su di loro sempre. Secondo le fiabe e le leggende, era
sempre la lucente Dea a creare sulla terra i fenomeni atmosferici,
dalla sua dimora segreta fra le soffici e candide nuvole. Quando
sprimacciava il gonfio piumone del suo letto, i nugoli di bianche
piume che ne volavano via scendevano come dolci fiocchi di neve sulla
Terra. La nebbia che ammantava le vallate nasceva dal fumo del suo
fuoco. La pioggia benefica cadeva quando ella stava usando l’acqua
per lavare, mentre quando lavorava il lino, si vedevano i lampi e si
sentivano i tuoni del temporale. Era lei che faceva sorgere il Sole,
ogni mattino, ed in primavera rendeva fertili i campi e risvegliava i
graziosi meli, che al suo tocco delicato fiorivano. Le erano
particolarmente sacre due piante, ovvero il lino ed il misterioso e
vecchissimo albero chiamato Holler o Hollunder; ma anche la piccola
alchemilla, che stilla rugiada celeste, e la bellissima veronica
alpina, dai fiorellini turchini. Il lino dagli splendidi petali
azzurri è la gemma della luce, il fiore della candida purezza, come
il delicato filo che se ne ottiene lavorandolo e che si può filare
solo se inumidito. Esiste una bellissima storia, a proposito del
legame della Signora con il lino, che racconta di un povero
coltivatore, che si ritrovò sulla cima di un monte in una grotta
piena di oro e cristalli preziosi. Qui gli apparve Holla, nelle
sembianze di una regina bellissima attorniata dalle sue vergini
ancelle, e gli disse che poteva chiederle tutto ciò che desiderava.
Ma il coltivatore, per nulla attratto dalle ricchezze di cui era
colma la grotta, vide fra le mani della Dea un mazzetto di fiori e la
pregò di donargli quelli, poiché a lui sarebbero stati più che
sufficienti. Questi fiori, che sulla Terra erano ancora sconosciuti,
erano quelli della pianta del lino. Holla offrì quindi al
coltivatore una borsa piena di semi e gli disse di spargerli sul
suolo, e quando le piantine fiorirono e furono pronte per il
raccolto, ella visitò i campi azzurri dell’uomo ed insegnò a sua
moglie a filare e a tessere il lino, in una stoffa leggera e di
nobile bellezza. Per quanto riguarda il misterioso Hollunder, sotto
al quale si diceva che dimorassero i morti, non vi è certezza di
quale albero fosse realmente, ma è probabile che si trattasse di
Holantar (che significa “albero di Holla” in antico tedesco),
nome con cui si indicava il sambuco tra i germani. Ed il sambuco si
diceva che fosse l’albero delle Fate, la sorgente delle visioni
magiche ed una delle porte della morte, ma anche della rigenerazione,
della guarigione e del nutrimento. Il suo nome germanico “richiamava
la leggenda nordica secondo cui una magnifica fanciulla dai capelli
color dell’oro abitasse l’albero di sambuco. Ella amava questo
albero soprattutto se cresceva vicino a sorgenti e fiumi, cascatelle
e ruscelletti, in cui poteva bagnarsi come una ninfa dei boschi. La
misteriosa fanciulla non era altri che Holle (Holda/Frau Holle), la
Regina delle Fate.”
La
luce benevola e gentile di Holla, però, non permeava tutta la sua
essenza, poiché questa era fatta anche di ombre inquiete. Ella “era
sì la splendente e luminosa Madre, ma era anche Signora del regno
sotterraneo ed infero, ed era quindi legata al potere ctonico e alla
Morte”, forse assimilabile sotto questa luce alla spaventosa Hell,
terribile Dea degli Inferi. Holla poteva diventare spietata ed
era la Dea che conduceva i morti nell’Altromondo, attraverso i
pozzi, gli oscuri recessi dei monti, le grotte buie ed i profondi
crepacci. Per questo veniva considerata anche una Dama della tomba,
del trapasso e del rinnovamento, personificazione delle potenze della
vita che si rigenera. Con il sopraggiungere del Cristianesimo, la
magnifica Dea venne in certi casi tramutata in un demone notturno,
che si diceva si aggirasse nelle fredde notti invernali guidando un
corteo di anime, penose e piangenti, di bambini morti senza aver
ricevuto il battesimo. La bellezza ed armonia originarie furono
sostituite, anche questa volta, con visioni lugubri e sofferenti,
cupe, pregne di quell’atmosfera angosciante e tormentosa tanto cara
alla religione dominante. In altri casi, però, la cristianità non
riuscì a trasfigurare la divina Signora, ed ella sopravvisse nelle
fiabe e nella tradizione popolare, che ancora oggi la preserva
nella memoria, la onora e le fa dolci offerte nei dodici giorni dopo
il Natale, come buona e dolce Befana che elargisce i giusti doni per
ognuno, e che dispensa la sua Luce e la sua Fortuna.
Frigg
e Fulla
Tutte
le qualità e le funzioni magiche delle lucifere Holla e Berchta,
così tanto simili fra loro, convergono e coincidono con quelle della
amorevole Dea Frigg, la Grande Madre divina che aveva generato tutte
le divinità e tutti gli spiriti e le creature naturali, e che per
questo veniva chiamata “Colei che viene prima di tutti gli altri”.
Ella era “la Donatrice”, nel cui ventre brillava il sacro germe
che dà vita a tutta la Natura, ed era la custode e la
personificazione stessa dell’antica Saggezza senza tempo e della
profonda sapienza femminile. Il suo bel viso, incorniciato dai lunghi
e folti capelli biondi, era coperto da un velo che ricadeva soffice
sino ai piedi, ed ella portava appeso al fianco un grande mazzo di
chiavi – forse un simbolo della possibilità di schiudere le porte
segrete che conducono al di là del visibile, di accedere a qualcosa
di nascosto e di conoscere i Misteri che la Dea stessa rappresentava
e conservava con cura. Frigg era Signora delle acque che scorrono
nelle morbide venature terrestri, e così delle fonti, dei fiumi, dei
laghi, delle infinite distese blu dei mari, ed anche delle nuvole e
della pioggia, che ella faceva discendere dal cielo perché
allietasse la vegetazione assetata. La sua protezione si stendeva
sull’agricoltura e sul bestiame, che doveva essere sempre trattato
con amore e premura; ed anche sul caldo focolare di ogni casa, sui
bambini e sulle loro madri. Si raccontava che tutte le arti e le
abilità delle donne fossero segretamente ispirate da lei, e che
fossero il regalo che lei aveva fatto al mondo. Più di ogni altra,
però, le era cara la Filatura, e secondo le leggende era lei che, al
principio dei tempi, aveva mostrato alle donne il suo sacro fuso ed
aveva insegnato loro a filare. La Dea era, infatti, la prima
Filatrice e possedeva una conocchia d’oro sulla quale filava un
filo tanto sottile da sembrare seta. Le filatrici che lavoravano
bene, con amore e attenzione, erano da lei ricompensate, mentre
quelle che lavoravano in malo modo venivano severamente punite. Allo
stesso modo, le case ben tenute e spolverate o quelle trascurate,
ricevevano una buona o cattiva sorte, a seconda dei casi. A Frigg
erano sacri i gatti, che trainavano il suo magnifico carro nelle
notti in cui ella correva per il cielo; e poi le rondini, il cucù
dallo spirito profetico e la cicogna, che volava in aiuto dei bambini
che cadevano nelle paludi o nei corsi d’acqua, salvandoli dalla
morte e restituendoli alle loro mamme. Le era sacro anche il periodo
invernale e i dodici giorni e le dodici notti che seguivano il
solstizio d’inverno, durante i quali le giovani non dovevano filare
per alcun motivo, poiché Frigg si sarebbe offesa se in tali giorni
il fuso non fosse stato lasciato a riposare. In queste dodici notti –
oppure in quelle che intercorrono fra Natale e la Befana – la Dea
faceva visita a tutte le case per portare le proprie luminose
benedizioni, ed al suo fianco l’accompagnava sempre la sua amata e
fedele ancella, Fulla. Questa fanciulla, vergine nel senso antico del
termine, aveva capelli d’oro lunghi e lucenti come il sole ed era
la personificazione della terra verdeggiante, rigogliosa, traboccante
di vita e ricca di frutti. Era la Dea dell’abbondanza e del
nutrimento che proviene dalla Natura e la Custode dei calzari e dello
scrigno dei gioielli di Frigg – forse un emblema del suo grembo
divino – dal quale traeva e distribuiva doni preziosi. Nelle notti
in cui, con la sua Signora, si recava a visitare le abitazioni, Fulla
controllava tutte le cantine e le rimesse dove venivano raccolte le
provviste per l’inverno. Se trovava i cibi ed il vino ben ordinati
e a sua disposizione, li assaggiava, ed in tal modo concedeva le sue
benedizioni; se invece trovava tutto sparso in modo disordinato,
oppure chiuso a chiave, non assaggiava nulla e di conseguenza non
dispensava la sua buona Fortuna. Dopo le cantine, ella andava a
vedere le stalle, per accertarsi che gli animali fossero sistemati
bene e al caldo, e spesso si intratteneva a pettinare dolcemente le
lunghe criniere dei cavalli. Per farsi luce, teneva sempre accesa una
candela, e piccole gocce di cera sul pavimento, sul legno o tra la
paglia potevano essere un segno del suo passaggio.
Gli
aspetti ed i sacri compiti della Madre Frigg e della sua devota
Fulla, così come quelli di Holla e Berchta, si somigliano e
coincidono fra loro in modo sorprendente, tanto che non è difficile
intravedere in queste luminose divinità dai diversi nomi la stessa
ed unica essenza. Vi è però una particolarità comune a tutte che
merita d’essere ancora approfondita, perchè potrebbe alludere ad
un piccolo insegnamento che le Dee vogliono forse far intendere.
Questa caratteristica si trova nel legame, chiaro e indissolubile,
che esse hanno con il fuso, la filatura e le filatrici.
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