“Contorti, nodosi, tormentati, corrosi dal tempo, svuotati all’interno, piegati dal vento e tesi in un supremo sforzo.
Con le loro radici aggrappate tenacemente più alla roccia che al sottile strato di terra, simboleggiano le difficoltà
del vissuto quotidiano e, nello stesso tempo, la forza della vita, vittoriosa su ogni avversità”. Così descrive gli ulivi Carmelo Formica.
E poi ancora Francesco Barberi che scrive:
“Dove l'ulivo prevale non hai nemmeno il senso della stagione. Le stagioni non mutano l'aspetto dell'ulivo; la sua età appare decrepita.
E come nei vecchi uomini le particolarità fisionomiche si accentuano deformate, così che gli ulivi rappresentano un campionario infinito d'individualità.
Rari sono i tronchi "regolari" che posano sul terreno tranquilli, equilibrati: brevi colonne muscose, come faggi nani.
I più a furia di produrre hanno perduto polpa e volume: sono ridotti alla corteccia, che ha fuori una scabrosità petrigna e dentro pare raschiata e bruciata,
sono ridotti a un solo lato della corteccia in piedi per miracolo, a una cinghia spirale.
Divaricati fin dalla base, o ruderi privi di rami con in cima un ciuffo di foglioline; spaccati in due da una fenditura ovvero multipli;
con basamenti enormi di radici sproporzionate; contorti e sformati; pieni di tumori e di buchi; cascanti; scoppiati;
vuoti come camini: eppure la loro vitalità permane intatta, la fecondità inesausta.
S'abbarbicano tenaci alla roccia; si chinano verso terra, da mille volti traspare un simbolo unico:
muscolature aggroppate, nervi tirati, contorcimenti, labbri di scorza intorno a ferite, scavature di ceppaie,
scarnimenti supremi: esprimono tutti più che in ogni altra specie vegetale la fatica e la consumazione del generare, il sacrificio dell'offerta.
L'ulivo appare il più disperato degli alberi, pertanto il più umano.
I rami dell'ulivo non si irraggiano dal tronco armonicamente, non si sovrappongono in palchi paralleli, non nascono l'uno dall'altro secondo uno schema naturale;
ma guizzano in lunghezze e in direzioni impreviste con pentimenti, rigiri e capricciosità, opera sapiente della potatura,
la quale sfoltisce la chioma cresputa per esporre ogni ramicello al beneficio del sole.
Come il tronco, neanche il fogliame dell'ulivo ha volume né corpo: lo schizzano in alto a ciuffi i virgulti pasquali dritti e lisci;
i serpentelli esterni lo lasciano cadere misuratamente diradato.
In confronto all'ulivo poco interessano le olive preziose,
che di autunno incupiscono il fogliame - finchè il contadino, infrascato sulla scala tra i rami,
col gesto del pastore che munge le schizza sul telo spiegato. Il colore dell'ulivo è senza stagione.
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