Destino
Basta una parola per evocare l’epicità della vita umana. Chiudiamo gli occhi e lasciamoci inebriare dal suono di questo termine mentre lo pronunciamo lentamente, sottovoce: D-E-S-T-I-N-O. Tutte le nostre aspirazioni, le nostre speranze, il senso di tutta la nostra vita è racchiuso qui. E siamo consapevoli che si tratta di qualcosa che non ci appartiene totalmente, su cui non abbiamo potere; spesso infatti le cose non vanno come ci aspetteremmo o come le avevamo programmate.
È vero, viviamo in una società moderna ed evoluta, all’insegna del progresso che ci offrono la scienza e l’uso della ragione…eppure qualcosa ci sfugge sempre. Quante volte ci ritroviamo a pensare “che coincidenza!”? Ebbene, se ci pensiamo queste “coincidenze” nella nostra esistenza sono davvero tante e ognuna di esse avrebbe potuto cambiare il corso dei fatti. Credo che se da una parte possiamo influenzare il corso degli eventi con la nostra condotta, dall’altra dobbiamo fare i conti con un elemento che non possiamo imbrigliare.
Gli antichi, al contrario di noi uomini moderni, credevano profondamente nell’esistenza del fato, al quale nessuno poteva opporsi, nemmeno gli dèi. Nella tradizione classica e norrena erano tre donne che governavano la vita degli esseri umani, sia nel bene, che nel male. Vediamo ora come.
Le Moire greche
In origine, nell’antica Grecia, le Moire erano la personificazione del destino di ogni uomo; ognuno aveva la sua moîra, ovvero la propria “parte” di vita, felicità, sfortuna, ecc. Esisteva anche una Moira universale, che incarnava il fato, contro il quale nemmeno gli dèi dell’Olimpo avevano potere; per esempio, nessuna divinità poteva accorrere in soccorso di un eroe sul campo di battaglia, se la sua ora era giunta. Questo perche nessuno deve né può sovvertire l’ordine del mondo.
Tuttavia, le Moire che siamo abituati a considerare sono solo tre: Cloto, Lachesi e Atropo. La loro origine non è certa, poiché esistono due versioni a riguardo, entrambe presenti nella Teogonia di Esiodo. Secondo la prima, le Moire sarebbero figlie della Notte:
Notte poi partorì l’odioso Moros e Ker nera
e Thanatos, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;
non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;
e le Esperidi che, al di là dell’inclito Oceano, dei pomi
aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;
e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:
Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali
quando son nati danno da avere il bene e il male,
che di uomini e dei i delitti perseguono;
né mai le dee cessano dalla terribile ira
prima d’aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato.
[Teogonia di Esiodo, vv. 211-222]
La seconda, invece, le vuole figlie di Zeus e Temi, dea della giustizia, e quindi sorelle delle Ore:
Per seconda sposò la splendida Thémis, che generò le Ore (Eunomie, Dike ed Eirene fiorente) che vegliano sulle opere dei mortali; e le Moire, cui grande onore diede Zeús prudente: Cloto, Lachesi e Atropo, che concedono agli uomini il bene e il male.
Queste tre donne dimoravano nell’Ade, il regno dei morti della tradizione greca, e avevano l’aspetto di anziane. Il loro compito era quello di tessere i fili della vita di ogni essere umano sulla terra: più era lungo il filo, più l’uomo o la donna al quale corrispondeva sarebbe vissuto a lungo. In tale mansione ognuna delle tre donne aveva il proprio compito: Cloto, il cui nome significa in greco “io filo”, filava lo stame della vita; Lachesi, la cui traduzione è “destino”, avvolgeva il filo su un fuso e ne stabiliva la lunghezza; infine Atropo, l'”inflessibile” nonché la più anziana delle tre, recideva il filo di lino nel momento in cui sopraggiungeva la morte del malcapitato. A volte erano associate con Ilizia, divinità della nascita.
Altre tradizioni affermano che le Moire fossero giovani fanciulle dall’aspetto severo, vestite con pepli decorati con stelle e che abitassero sull’Olimpo, in un palazzo di bronzo sulle cui pareti incidevano i destini ineluttabili degli uomini.
Queste tre figure hanno fatto la loro comparsa anche nel film d’animazione Hercules, dove predicono il futuro al malvagio Ade attraverso un occhio che si scambiano vicendevolmente. In realtà, quest’ultima caratteristica è da attribuire alle Graie, le sorelle delle Gorgoni che Perseo incontra sul proprio cammino.
Le Parche romane
Come tutte le divinità romane, anche le Parche traggono i propri attributi dalle Moire greche. In origine sembra che esistesse una sola Parca, che rappresentava il nome tutelare della nascita. Ben presto, però, le furono affiancate Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi della gravidanza.
In seguito, assunsero progressivamente tutte le caratteristiche delle Moire. Come nel caso delle antenate greche, ognuna delle tre Parche controllava una fase della vita degli uomini: la prima filava, la seconda assegnava il destino della vita di ciascuno e l’ultima tagliava il filo. Nel Foro romano vi era una statua che le rappresentava chiamata Tria Fata, “i tre destini”; infatti, proprio per la loro connessione con le sorti del mondo e dell’umanità, le Parche erano conosciute nel mondo romano anche con il nome latino di Fatae, coloro che presiedono al Fato. Al loro operato Dante dedica questi tre versi della Divina Commedia:
Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli avea tratta ancora la conocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila…
[Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27]
Nonostante tali divinità siano quasi totalmente assimilabili alle Moire, in realtà si possono notare delle sfumature leggermente diverse. Benché analogamente alle divinità greche fossero tre sorelle filatrici dal carattere scorbutico e dall’aspetto alternativamente giovane o anziano, esse non si limitavano a impersonificare solo il destino dell’uomo, ma anche le sue età della vita: nascita, matrimonio e morte. Quindi le Parche erano custodi anche delle fasi di evoluzione di ogni individuo e accompagnavano i fanciulli nel passaggio dall’infanzia all’età adulta e nella scoperta della sfera sessuale.
Le Norne norrene
La concezione di un destino inevitabile, al di sopra degli dèi era comune anche in area germanica. Il fato è l’unico elemento eterno nell’austera mentalità norrena, secondo la quale ogni cosa, anche il mondo degli dèi, avrà una fine nel giorno del Ragnarök. Le divinità che incarnavano il fato ineluttabile erano chiamate Norne, dall’antico norreno norn, “[colei che] bisbiglia [un segreto]”.
Le origini di queste dee erano diverse: alcune appartenevano alla stirpe degli dèi Asi, altre dei Vani (cfr. “Asi e Vani” in questo blog), altre ancora facevano parte della razza degli elfi, mentre ulteriori fonti fanno risalire le Norne alla stirpe dei giganti del ghiaccio provenienti da Jötunheimr. In questo gruppo indistinto di divinità femminili, si potevano riconoscere Norne benevole, che accorrevano alla culla di un eroe per predisporgli un avvenire felice, ma molto più spesso la poesia eddica e scaldica fa riferimento a Norne ostili, latrici di una sorte sventurata o di morte. Sulle unghie di ognuna di queste erano incise le rune magiche, testimonianza del loro potere sul destino del mondo.
Tuttavia, come nel caso delle Moire e delle Parche, anche da questa folta schiera di dee ne emergono tre, come ci ricorda L’Edda poetica in questi versi:
Da quel luogo vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quelle acque
che sotto l’albero si stendono.
Ha nome Urðr la prima,
Verðandi l’altra
(sopra una tavola incidono rune),
Skuld quella ch’è terza.
Queste decidono la legge,
queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini.
[Edda poetica – Völuspá – Profezia della Veggente XX]
Le tre Norne principali, Urðr, Verðandi e Skuld, dimoravano presso una delle radici di Yggdrasill, l’albero cosmico che funge da asse del mondo nella tradizione germanica (cfr. “Alle radici dell’albero cosmico” in questo blog). Esse vivevano accanto a Urðarbrunnr, la “fonte del destino”, e avevano il compito di irrorare l’albero con acqua e argilla affinché non marcisse né seccasse. Non mancano però altre fonti che affermano che la sede delle tre Norne si trovasse sotto l’arco formato da Bifröst, il ponte arcobaleno, dove queste intessevano l’arazzo del destino di ogni uomo; proprio come nella mitologia classica, a ogni filo della tela corrispondeva una vita umana la cui durata era proporzionale alla lunghezza del filo.
Anche per quanto riguarda le funzioni delle tre Norne troviamo forti similitudini con le figure delle Moire e delle Parche, nonostante qualche aspetto inedito: Urðr, “destino”, era la più anziana e sbrogliava la matassa dei fili della vita; Verðandi (dal verbo verða, “divenire”), probabilmente una figura più tarda, aveva le sembianze di una donna ed era responsabile della lunghezza del filo e del destino a esso sotteso (il filo poteva scorrere liscio tra le sue mani, oppure essere soggetto a nodi e ingarbugliamenti, che simboleggiavano le difficoltà dell’esistenza); infine Skuld (“debito”, “colpa”), la più giovane, dall’aspetto di fanciulla, rappresentava il compito assegnato a ciascun essere umano durante la propria vita ed era inoltre colei che dava la morte recidendo il filo.
Possiamo notare che se le funzioni delle Norne sono identiche a quelle delle Moire e delle Parche, vi sono elementi peculiari apportati dalla tradizione norrena: l’aspetto delle tre divinità, che simboleggiano tre fasi diverse nella vita della donna, i loro nomi e le loro azioni le legano alle tre dimensioni temporali del passato (Urðr), del presente (Verðandi) e del futuro (Skuld). Per questo la leggenda vuole che alla nascita di ogni nuovo bambino le Norne si recassero presso la sua culla per stabilirne la sorte.
Infine, ricordiamo che le Norne hanno forti legami con altre divinità minori della mitologia norrena, come le Valchirie (tra le quali si annovera una dea di nome Skuld, che probabilmente corrisponde alla terza Norna) e le Dísir, divinità legate alla fecondità, che non approfondiamo in questa sede.
In quanto detto si può notare una spiccata componente fatalista da parte di tutte e tre le tradizioni culturali prese in esame. Un tempo l’uomo si sentiva più in balia di forze soprannaturali ignote e misteriose, che con il loro potere potevano decidere le sorti di ognuno.
Oggi non è più così, ci sentiamo molto più sicuri dei nostri mezzi e tante volte ci sentiamo padroni dell’universo…finché non succede qualcosa che ci ricorda che non è così. Esiste sempre qualcosa che non possiamo controllare, che va al di là delle nostre possibilità e dell’umana comprensione, che si chiami Dio, Fato, Caso o quello che più ci aggrada.
Personalmente ho una concezione positiva del destino, non lo vedo come una gabbia o un finale tragico inevitabile come i nostri predecessori. Come mi ripeteva spesso la mia professoressa di filosofia sono convinto che questo destino sia una missione, un compito, un qualcosa di grande che ognuno di noi è chiamato a realizzare nella propria esistenza. Tutte le coincidenze ci portano da qualche parte e con le nostre capacità possiamo davvero arrivare in alto. Ora non ci resta che…vivere.