lunedì 3 febbraio 2020

Monte 'E Mesu, Sardegna



Arrampicandosi su di un costone roccioso del Monte ‘E Mesu, a Thiesi, tra alberi secolari ed una rigogliosa vegetazione che ha sapore di antico, si raggiunge, non senza una certa fatica, la cima. La vista mozzafiato del bellissimo panorama che ci appare, una volta in vetta, ci fa dimenticare l’erta salita. La cima di Monte ‘E Mesu è formata da una piccola spianata di forma ovoidale. Su di una estremità è sito l’omonimo Nuraghe, costruito quasi a picco sulla roccia. In un piccolo terrazzamento naturale, sottostante al Nuraghe, tracce di capanne ed altre testimonianze del periodo nuragico come massi con foggia taurina, che giacciono in uno stato totale di abbandono e mi paiono, persino, stanchi della plurimillenaria vita che portano sulle spalle. Ma ciò che ci conduce a porci mille domande sul “perchè”, sul “come” e sul “quando” è il monumento preistorico originalissimo scavato su di un masso piatto di notevoli dimensioni. Esso è un qualcosa che supera ogni aspettativa.

C’è chi lo definisce come un altare preistorico o, più semplicemente, un luogo di culto nuragico e chi lo identifica con un palmento o con un altare romano; taluni, addirittura, ci vedrebbero dei sepolcri romani. La fantasia si sbizzarrisce in tutti i sensi. Studiosi e appassionati traggono le proprie conclusioni. Il bello è che, pur essendo un sito di una straordinaria fattura e bellezza, non è stato mai indagato ufficialmente; ovvero nessuno studioso del campo ha speso una porzione del suo prezioso tempo, per poter fare dei rilievi e studiarci su … quindi tutte le conclusioni possono esser prese per buone, tanto, formalmente, il sito non esiste o quasi. Ma veniamo alla parte più interessante dell’area archeologica in questione: il monolite finemente lavorato. Esso si compone di tre vasche, tant’è vero che a Thiesi il monumento viene chiamato “Sas Picas de Monte ‘E Mesu” (picas=vasche). Due di esse sono quadrate, non molto profonde; la terza è troncoconica ed è più profonda delle altre due. Tutti i “trogoli” sono collegati tra di loro con delle piccole incisioni, come se dovessero servire da valvola di sfogo per, magari, un qualche liquido (acqua, probabilmente) che scorreva da un vasca all’altra; dal momento che il masso in cui esse sono scavate risulta in pendio, possiamo ipotizzare che il liquido passasse da una vasca all’altra sino a giungere a quella dalla forma troncoconica, cioè l’ultima. Questa, una volta colma, faceva sgorgare il liquido, per il troppo pieno, all’esterno del monolite. Il liquido veniva raccolto in qualche recipiente, oppure precipitava verso il suolo, facendo un percorso a terra, che poteva essere predefinito o meno, ma di questo non rimane testimonianza alcuna. Accanto al macigno vi è un piccolo betilo di forma fallica; non è dato sapere se esso sia nel luogo dove era stato collocato originariamente. Io escluderei il fatto che possa trattarsi di un sito romano.

Troppo arcaico per poterlo attribuire a quel tipo di civiltà. Inoltre, che senso avrebbe che i romani si fossero spinti fin lassù, in cima, per fare tre scavi sulla roccia. Anche tutte le rovine che stanno intorno al grande blocco di pietra non paiono avere nessun collegamento con la civiltà romana, mentre potrebbero essere strettamente legati alla civiltà prenuragica o nuragica. A mio modesto avviso si tratta di un sito puramente preistorico. A Thiesi mi è stato detto che nella zona di Monte ‘E Mesu si conoscevano altre vasche dello stesso tipo di cui, purtroppo, ora, non esiste più traccia. Accanto alla vasche, sempre sulla superficie del monolite, c’è uno scavo a forma di ferro di cavallo. Nelle vicinanze delle vasche, ho trovato un concio, piatto, finemente lavorato, e, seppur spezzato, da un lato presenta ancora una sorta di corno e si riconosce, chiaramente, la testa di un bovide. Oltre alle vasche, sono presenti numerosi conci; taluni fanno pensare a rovine di una mega tomba dei giganti o a dei gradoni, spezzati in più punti, che potevano essere parte di una grande struttura utilizzata per delle riunioni cultuali. Di vasche quadrate ne abbiamo diverse in Sardegna, ma anche di coniche. Ne ho trovata una, recentemente, in un sito non lontano da Thiesi. Per quanto continui a frequentare Monte ‘E Mesu, le mie conclusioni su di esso rimangono sempre le stesse … forse le più manifeste ed evidenti. In un certo senso, mi ricorda tanto l’Altare di Santo Stefano di Oschiri, seppur questo di Thiesi sia molto più semplice e schematico. E se fosse stato il luogo dove, appunto, si partoriva? Quell’incisione a forma di ferro di cavallo, pare proprio un posto adatto per partorire. I gradoni, collocati tutto intorno come una specie di anfiteatro (si veda, come esempio, il bacino cerimoniale di Romanzesu a Bitti) servivano per chi doveva assistere al miracolo della vita nascente.

E le vasche? In esse veniva collocato il nascituro con tre passaggi consecutivi, in una sorta di “battesimo” catartico nella prima ed iniziatico-esoterico nella seconda, sino a giungere all’ultima tappa, la vasca conica, dove la creatura appena nata stava quasi in piedi, retta dal celebrante, con funzioni prettamente scaramantiche e propiziatorie. Chissà, pura fantasia, la mia, però mi piace pensarlo, ed io lo immagino, il piccolo, che vedeva la luce lassù, a due passi dal cielo, sotto stretto controllo degli dei e degli astri, purificato dal sole, se nato di giorno o dalla luna, se nato di notte … ed immerso nell’acqua, per levargli le impurità. In attesa che le autorità competenti, gli attribuiscano il giusto valore che gli compete, con studi e scavi ad hoc, e che ci “illuminino” sulle sue vere funzioni e sul suo significato reale, vi invito, se non lo avete ancora fatto, a visitarlo; non vi pentirete e rimarrete affascinati e pienamente avvolti e coinvolti dal suo mistero più che millenario, ancora “intatto”

Testo: Piera Farina-Sechi – All Rights Reserved © 2017

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