Le leggende e le tradizioni di tutta Europa parlano della caduta dal cielo, nell’area della Valle di Susa, di un oggetto di origine divina, portatore di conoscenza sulla Terra, che avrebbe dato il via ad una tradizione iniziatica ancora esistente nel nostro tempo.
Queste leggende sembrano coincidere con il mito greco dei primi Dei che, come dice Platone, si divisero il nostro mondo in precise aree e le organizzarono per poter donare la loro conoscenza alle creature di allora. Mito che sembra riecheggiare quello aborigeno riguardante la venuta sulla Terra, in tempi antichi, dei Signori della fiamma che diedero vita al “Dreamtime”, la loro dimensione segreta di vita, modificando l’ambiente del pianeta per adattarlo ai bisogni degli esseri umani.
Mito che si può anche riallacciare alle leggende nordiche relative alle vicende degli Asi, gli antichi Dei del nord, progenitori dell’umanità.
Queste leggende parlano della sconfitta, da parte degli Asi, dei giganti che dominavano la Terra ai primordi della storia. Gli Asi furono aiutati da Loki, il figlio ardente del tuono e della tempesta caduti come un colpo di martello sulla terra. Insieme liberarono il pianeta dai ghiacci e consentirono in seguito ad Odino, il loro re, di creare un mondo che risultasse adatto per l’umanità a cui egli stesso aveva dato vita e che fu posta in una sorta di eden, protetto da una muraglia circolare fatta di pietre.
Le leggende europee, confermando la narrazione di Platone circa gli Dei che si spartirono la Terra per allevare gli uomini, raccontano che in questa vasta zona la caduta dell’oggetto diede vita ad un “recinto”, un’area protetta, in cui gli esseri viventi dell’epoca poterono accedere a conoscenze profonde della scienza e dello spirito. Qui nacquero le scuole iniziatiche dei grandi saggi che diedero vita alle tradizioni che si diffusero poi in tutta Europa e che continuerebbero ancora nel nostro tempo.
L’evento riguardante la caduta dell’oggetto di natura divina è riportato nella tradizione ellenica dalla leggenda di Fetonte, figlio del re Sole, il quale, non sapendo guidare il carro celeste del padre, sarebbe precipitato al suolo. Gli uomini, rinvenuti i resti del carro celeste, avrebbero tratto da essi la conoscenza divina che conteneva.
Nelle Metamorfosi di Ovidio, poeta latino di Sulmona vissuto intorno al 30 a.C., il testo cita l’avventura di Fetonte, figlio del dio Sole, che salì sul carro del padre per provare a guidarlo pur essendone incapace, e finì per perdere il controllo del mezzo celeste.
Così si avvicinò troppo alla Terra che cominciò ad incendiarsi. Zeus, il sommo dio dell’Olimpo, accortosi di ciò che stava accadendo, per salvare la Terra dalla distruzione provocata dal calore emanato dal carro solare lanciò un fulmine sul figlio. Fetonte fu così sbalzato dal carro celeste e cadde sulla Terra precipitando nel fiume Eridano, l’antico nome del Po.
La tradizione druidica vuole che il carro di Fetonte sia caduto in un luogo che si trovava all’incontro di due grandi fiumi, nella zona dove oggi si uniscono la Dora e il Po. Una zona identificabile nell’area che comprende l’attuale città di Torino e parte della Valle di Susa.
Fa eco al mito di Fetonte quello relativo alla discesa del Graal. Il mito narra in termini di allegoria antropomorfa la vicenda di una creatura semidivina che in tempi molto antichi precipitò dal cielo finendo per cadere sulla Terra. Nella caduta, lo smeraldo che adornava la sua fronte si staccò precipitando al suolo. Altre creature semidivine lo raccolsero modellandolo in forma di coppa e lo consegnarono ad Adamo nell’Eden, al fine che lo custodisse e se ne avvantaggiasse.
Quando Adamo dovette abbandonare l’Eden, portò la coppa con sè. Attraverso la sua discendenza, la coppa del Graal giunse nelle mani di Osiride, dio tutelare dell’Egitto. Quando Osiride fu ucciso a sua volta per mano di Set e il suo corpo venne da questi smembrato e disperso per tutta la terra, la coppa andò perduta. Così gli uomini persero la loro preziosa fonte di conoscenza.
Molti secoli più tardi, nella città di Camelot in Armorica, re Artù, aiutato dal druido Merlino, radunò dodici cavalieri, riunendoli in cerchio attorno alla nota Tavola Rotonda, con lo scopo di ritrovare la preziosa coppa del Graal. Riportata la coppa a Camelot, re Artù cercò di utilizzarla per ricostruire un nuovo Eden, ma non tutti i cavalieri erano capaci di sostenere la conoscenza che essa conteneva, tanto che il Graal appariva e scompariva nel centro vuoto della Tavola Rotonda. La ricerca moderna del Graal ha coinvolto organizzazioni iniziatiche di ogni genere, dai Templari sino ai gruppi esoterici più disparati.
Gli alchimisti di ogni tempo, nel segreto dei loro “athanor”, i fornelli alchemici in cui trasmutavano le qualità dello spirito, cercarono di riprodurre la pietra filosofale che avrebbe consentito di accedere al segreto della “lapis exillis”, la “pietra di conoscenza caduta dal cielo”.
Platone, il filosofo ateniese del 400 a.C., in merito alla leggenda di Fetonte, che si riallaccia a quella del Graal, sostiene che essa, come tutte le leggende, non è altro che una favola per bambini che nasconde un vero significato, ovvero la narrazione della caduta di uno dei tanti oggetti (potremmo identificarli come asteroidi) che navigano attorno alla Terra e che ogni tanto, a caso, cadono su di essa provocando morti e distruzioni.
In effetti, se si osservano le foto satellitari eseguite sul nord Europa, si può scorgere sul suolo piemontese l’impronta livellata dal tempo di un antico impatto avvenuto presumibilmente milioni di anni fa. In un’epoca in cui probabilmente vivevano ancora i dinosauri, prima della loro inspiegabile scompasa.
Ma come valutare questo dato? Secondo la scienza a quel tempo non doveva ancora esistere la specie umana. Come ha fatto a sopravvivere il ricordo dell’accaduto?
Chi ha perpetuato la narrazione di quello straordinario evento? Esistevano forse altre forme di vita intelligente che poi trasmisero le loro conoscenze alla successiva umanità?
C’è anche da chiedersi per quale motivo, trattandosi solo della caduta di un asteroide, l’antica tradizione abbia attribuito a quell’oggetto un significato riferito ad una fonte di conoscenza. Non va dimenticato che la parola Graal, secondo gli alchimisti medievali, è in realtà l’acronimo di “Gnosis recepita ab antiqua luce”, ovvero “conoscenza ricevuta da una antica luce”.
– Il mito del Graal e la citta’ ciclopica di Rama
E’ indubbio che questa zona dell’Europa fu teatro di un evento di portata significativa per le creature viventi di quei tempi ed esercitò un richiamo di interesse mistico per molte altre culture di tutti i tempi e di ogni luogo del continente. Alcuni autori riportano ad esempio che, molti secoli più tardi, giunse in visita addirittura un principe egizio.
Racconto riportato anche in un testo del 1679, “Historia dell’Augusta Città di Torino”, ad opera del conte e cavaliere Emanuele Thesauro, dedicato al Reggente del Ducato sabaudo. In quest’opera si narra che un principe egizio, fratello di Osiride, detentore del segreto del Graal, venne in questi luoghi dall’Egitto con il suo esercito personale per impiantarvi una colonia.
Sempre secondo la leggenda fu proprio questo personaggio ad introdurre in zona il culto del dio Api, il toro divino dell’antico Egitto, da cui prese poi il nome la popolazione dei Taurini e la stessa città di Torino sorta secoli dopo. Sempre in quest’opera, al principe egizio, che morì annegato nel Po durante una corsa forsennata su una quadriga, fu dato il nome di Fetonte Eridano. Dopo la sua morte il suo nome venne dato al fiume dove era perito e che corrisponde all’attuale fiume Po.
Non si deve dimenticare che proprio nella Valle di Susa, subito dopo il diluvio ricordato in tutte le tradizioni del pianeta, e presumibilmente dopo la scomparsa della grande civiltà del bacino del Mar Nero, venne edificata la misteriosa città ciclopica di Rama.
Le antiche cronache della Valle di Susa, nel nord Italia, riportano l’esistenza, in epoche remote, di una città ciclopica chiamata Rama. La città, dalle descrizioni, potrebbe assomigliare alle fortezze megalitiche peruviane e dell’Oceania. Le leggende dei secoli successivi aggiungono che questa mitica città fu uno dei luoghi dove venne conservato per un certo periodo il Graal.
Il mito della città sopravvisse ai secoli a mezzo delle tradizioni orali del druidismo locale e grazie ai ricercatori di inizio secolo che raccolsero dati di prima mano e conferme documentate della sua esistenza.
Secondo queste testimonianze, la città megalitica di Rama si ergeva sulle falde della montagna del Roc Maol, l’antico nome del Monte Rocciamelone, la cui vetta era stata sede di culti antichi tra cui per ultimo il culto di Giove.
La città era stata costruita con l’uso di grandi blocchi di pietra. Le sue mura ciclopiche si snodavano per circa 27 chilometri e i suoi immensi portici in pietra si sviluppavano, per tutta la lunghezza della valle, sulla direttrice delle cittadine di Bruzolo, Chianocco e Foresto, sulle rive del fiume Dora.
Rama non era l’unica grande costruzione in pietra, ma faceva parte di un immenso agglomerato urbano di costruzioni minori che si estendeva dalla città di Susa alle porte dell’attuale città di Torino. Rama era la vera e sola città esistente allora, la sede pacifica e intellettuale di un popolo misterioso. Sulla sommità del Roc Maol, la montagna su cui si appoggiavano le mura della città, era posto l’osservatorio da cui i sacerdoti esploravano il cielo.
– Se di Rama si conosce ben poco, ancor meno si sa dei suoi edificatori
Le leggende locali raccontano che anticamente, presumibilmente intorno al 3000 aC, un popolo di uomini di pelle scura, forse i Picti della Scozia, era giunto nella valle e vi si era stabilito. Dopo che questo popolo si unì con la gente del posto, venne edificata la città ciclopica. Secondo la leggenda, queste genti, provenienti da una terra scomparsa a seguito di una grande inondazione, si era fermate in quelle zone perchè vi avevano trovato un raro minerale che serviva a loro per motivi misteriosi.
Un’altra leggenda narra invece che gli edificatori di Rama provenivano dall’India, condotti lì da una guida spirituale di nome Ram, da cui la città prese il nome.
I racconti del folklore locale riportano che gli edificatori di Rama veneravano il sole e il fuoco come simboli spirituali. Erano abili metallurgici, forgiavano oggetti in metallo ed estraevano un particolare minerale dalle miniere del Bosco Nero, nella zona di Mompantero.
Dagli studi dei ricercatori del secolo scorso risulterebbe che in seguito i romani, suggestionati dalle leggende su Rama, ne cercarono i pozzi minerari e li esplorarono per poter capire che cosa vi si estraesse. Sempre secondo questi racconti, gli abitanti di Rama erano considerati dei grandi maghi e degli alchimisti versatissimi nelle scienze esatte quanto in quelle occulte e possedevano macchine che facevano cose meravigliose.
Ai piedi del Bosco Nero c’era un immenso giardino che gli autori del secolo scorso definirono come il Giardino delle Esperidi, detto anche il Paradiso, dove si riunivano i grandi maghi di Rama e dove, molti secoli più tardi, si ritrovavano le streghe dell’antica religione. Le narrazioni locali raccolte dai ricercatori riportano che la città venne distrutta da un grande e improvviso diluvio.
Altre ancora raccontano che la sua scomparsa fu dovuta ad una gigantesca slavina di ghiaccio e pietre che la spazzò via, seppellendola per sempre sotto i suoi detriti. Se quest’ultimo racconto si riferisce all’azione morenica dei ghiacci che slittavano lungo la valle c’è da pensare che la fine di Rama sia avvenuta in epoche molto remote.
Altre narrazioni ancora ricordano un assalto alla città per depredarla, da parte delle popolazioni locali guidate da Ram, la guida spirituale dal simbolo dell’Ariete giunta dall’Asia. Forse la città in principio aveva un altro nome che fu cambiato dopo la conquista di Ram, prima di scomparire. Altri autori riportano la cronaca di un improvviso terremoto distruttore nella valle, che rase al suolo la città e questa non venne più riedificata.
Oggi della ciclopica città di Rama rimangono le tradizioni che hanno alimentato la cultura druidica dell’area piemontese. Dopo la sua scomparsa, i druidi del luogo proseguirono la loro opera iniziatica continuandola in segreto nei secoli seguenti sino al nostro presente.
Le tracce di questa città rimangono vive nelle molteplici leggende locali e nei nomi di vari luoghi dell’area su cui sorgeva Rama, come il “bosco di Rama” o il borgo di “Ramat”, e in molti cognomi di persone.
Ancora oggi nell’area di Mompantero esistono leggende locali che narrano in maniera molto esplicita eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa. Secondo le leggende, non tutti i suoi abitanti scomparvero a causa della catastrofe che distrusse l’antica città, ma una parte di loro si salvò e costruì una città segreta nelle viscere rocciose del Roc Maol, dove i sopravvissuti si rifugiarono mantenendo nascosta la loro esistenza.
Altre leggende asseriscono che all’interno del Roc Maol vi sarebbe un mago benevolo che veglia su un immenso tesoro fatto di monili preziosi e di strumenti magici. Altre leggende ancora affermano che in posti segreti, conosciuti solo a pochi valligiani, sono rimasti strumenti di scavo e varie strane macchine che furono usate dagli abitanti di Rama con le quali è possibile fare ancora oggi delle cose straordinarie.
Alla fine del secolo scorso, nel campo di un contadino del luogo, fu ritrovato un sarcofago in pietra di 3 metri della cui origine nessuno ha saputo dare una spiegazione e che potrebbe essere collegato alla mitica civiltà di Rama.
– Il mito del Graal nelle leggende del Piemonte
Le antiche leggende della Valle di Susa collegano la città di Rama al mito del Graal e sostengono che il mitico oggetto veniva custodito e protetto dai suoi misteriosi abitanti. Nello stesso modo in cui sopravvivono ancora oggi le leggende e i reperti storici legati al mito di Rama, in Piemonte sono ancora vive le testimonianze culturali e storiche della presenza locale del Graal.
Possiamo citare la leggenda di San Eldrado in cui si può intravvedere un evidente legame con la figura di Merlino e con il ciclo arturiano del Graal.
La leggenda si riferisce alle vicende di un nobile e ricco signore provenzale, divenuto monaco e responsabile dell’Abbazia di Novalesa, che si conquistò una fama di gran santità per le sue opere e per i suoi miracoli. Questa figura ricorda quella di alcuni santi bretoni, come Saint Cornely di Carnac, vescovo a tutti gli effetti, ma raffigurato in una statua con il falcetto d’oro dei druidi in una mano e il vischio nell’altra.
San Eldrado era noto per i suoi miracoli. Guariva con l’imposizione delle mani, specificità terapeutica dei druidi, ed era legato ad una particolare fontana che le successive tradizioni cristiane riportano come dispensatrice di olio benedetto. Nei suoi ritiri spirituali San Eldrado meditava con la musica che, si dice, avesse appreso dagli usignoli delle foreste.
Come Merlino, il santo venne intrappolato in una foresta da un sonno che durò per 300 anni. La stessa leggenda racconta anche che fece addirittura un viaggio nel tempo con un salto di 100 anni nel futuro.
Possiamo ancora citare la leggenda della caverna del Mago, situata nel Musiné, una montagna ad ovest di Torino da cui si apre l’accesso alla valle di Susa, colma di simbolismi legati al mito del Graal.
Le tradizioni valligiane narrano che in una grotta posta nel cuore del Musiné vivrebbe un mago che si era nascosto per compiere indisturbato i suoi esperimenti con gli strumenti rimasti della scomparsa città di Rama.
A difesa del luogo ci sarebbe un enorme dragone tutto d’oro pronto a distruggere con il suo fiato infuocato ogni intruso che tentasse di avventurarsi all’interno delle grande caverna.
In una piccola cripta esisterebbe uno smeraldo di immenso valore mistico, grande quanto un pugno di una mano d’adulto, da cui si diffonderebbe una intensa e limpidissima luce verde che illumina tutto intorno.
La leggenda riporta che un signorotto del luogo, un certo Gualtiero, cercò di penetrarvi con degli uomini armati per appropriarsi dei tesori che sarebbero stati nascosti in questa caverna.
Entrarono in una sala illuminata dove sembrava che la luce venisse emanata dalle pareti stesse. Trovarono il mago seduto davanti ad una fontana d’acqua che sgorgava dalla roccia.
Il mago invitò gli intrusi a guardare nell’acqua del laghetto che all’improvviso divenne lattea e mostrò delle immagini che andavano formandosi.
Gualtiero e i suoi armati videro cosiì apparire in sequenza soldati con armature che si combattevano, soldati vestiti solo con abiti blu e cappelli a tricorno che sciamavano con archibugi in pugno, quindi grandi uccelli di metallo che lasciavano cadere oggetti che distruggevano una grande città e infine bruchi metallici che si muovevano tra le rovine della stessa città.
Gli intrusi, terrorizzati per quello che avevano visto, fuggirono dalla grotta. Ebbero modo di vedere dietro di loro il mago che saliva verso il cielo scortato da due grifoni tra un rumore assordante. Poi dei massi caddero dall’alto della montagna e chiusero l’ingresso della grotta che non verrà mai più ritrovata.
Nella Valle di Susa, della mitica città di Rama rimangono ancora molte testimonianze megalitiche tuttora visibili. Esistono dappertutto, dolmen e menhir di ogni dimensione, in valle e sulle pendici del Monte Musinè. A Villafocchiardo si può osservare una grande pietra coricata su cui sono state raffigurate le tre fasi della Luna. Nella stessa zona, a San Didero, esiste il complesso megalitico delle ruote solari. Sulle pendici del Musiné è stata trovata una stele di cospicue dimensioni raffigurante una dea madre.
Negli anni ’70, sul pianoro denominato Pian Focero, o anche “il piano dei fuochi”, è stato rinvenuto un tempio solare, dove i druidi andavano a osservare le stelle. Era un antico luogo di culto che comprendeva una collinetta e un pianoro, un’ampia area dove si riunivano i fedeli del culto.
La collinetta che domina il luogo ricorda molto il fronte di una piramide Maya. Vi si può trovare anche una scala intagliata nella pietra che sale sino alla cima, dove sono stati rinvenuti tre “mascheroni” di fattura tolteca. Sul fronte della collinetta sono stati rinvenuti numerosi bassorilievi intagliati nella pietra, raffiguranti il sole fiammeggiante.
Possiamo ricordare la sopravvivenza, per millenni e fino ai giorni nostri, della cultura druidica che aveva come fulcro il culto solare e quello del fuoco e che ancora viene celebrata da alcune comunità contadine della valle con riti segreti che riuniscono centinaia di persone di ogni villaggio della valle.
Sino al secolo scorso erano noti i riti eseguiti dai “calderai”, le corporazioni metallurgiche della valle, che in certi periodi dell’anno si riunivano a danzare freneticamente intorno a grandi fuochi accesi in onore delle energie del fuoco e in ricordo del potere del sole. La divinità solare era celebrata per aver donato il carro celeste da cui era stato ricavato il grande disco d’oro forato, fulcro della cultura spirituale della zona.
– Il mito del Graal e la citta’ di Torino
Le antiche tradizioni riportano infatti che in tempi immemorabili, dopo la caduta dell’oggetto celeste, fondendo il metallo di cui era fatto venne ricavata una grande ruota forata di due metri di diametro che costituì un riferimento di culto e di cultura iniziatica per le popolazioni di tutta l’area dove si era verificato il prodigioso evento.
Queste stesse popolazioni costruirono quindi un grande tempio sotterraneo strutturato sulla pianta di in immenso labirinto, simile al tempio che costruirono nell’antico Egitto sul Lago Moeris, costituito da migliaia di stanze collegate tra loro. Al centro di questo labirinto, in una enorme sala sotterranea, vi posero la ruota d’oro che divenne il centro delle attività iniziatiche.
Quando, nei secoli successivi, l’Impero romano estese la sua influenza militare sul Piemonte, sconfiggendo e sottomettendo le popolazioni locali dei celti-taurini, il culto antico legato alla ruota d’oro si trasferì decisamente nel labirinto del tempio sotterraneo le cui grotte si estendevano dall’ingresso della Valle di Susa fino a raggiungere il fiume Po. Secondo la leggenda, il culto druidico avrebbe quindi continuato ad esistere in queste grotte e sarebbe ancora presente ai giorni nostri.
L’ingresso principale del grande tempio sotterraneo venne nascosto seppellendolo, come già fecero i Pitti di Scozia per le loro pietre runiche, sotto una massa di terra e di pietre che cancellavano la sua ubicazione.
Al di sopra dell’area dove si trovava il tempio sotterraneo venne quindi edificato il primo villaggio celtico che si sarebbe poi trasformato in un castro romano adibito al ristoro e all’intrattenimento delle truppe imperiali che erano in transito verso le zone nord europee. Della ruota d’oro non si seppe più nulla e oggi, secondo le credenze popolari, sarebbe ancora nascosta nel suo luogo originario, nel complesso di caverne che ancora esisterebbero al di sotto degli edifici della città di Torino, edificata in tempi successivi agli antichi avvenimenti.
Nel valutare la narrazione del mito del Graal, del racconto della leggenda di Fetonte e dell’esistenza della città megalitica di Rama, si comprendono i motivi della sacralità che era attribuita dagli antichi druidi alla Valle di Susa. Evidentemente qualcosa di molto particolare segnò la storia delle antiche popolazioni che abitavano il Piemonte, un evento tanto importante da creare miti e leggende in grado di perpetuarne il ricordo e il significato che gli fu da allora attribuito.
Forse è proprio da tutti questi eventi straordinari del lontano passato che ha radici il mito che vuole Torino come una città particolare posta al centro di un grande segreto di natura storica e mistica e che apparentemente, di riflesso, ospita da secoli una fucina di libera cultura e di ricerca posta tra passato e futuro.
Molto probabilmente, dietro a questi miti arcaici relativi al Vara, “il grande recinto dello spirito”, vi sono anche le ragioni storiche e culturali che hanno contribuito alla nascita della convinzione che vede Torino come la città del Graal. Non c’è quindi da stupirsi che le credenze medievali indichino proprio il sottosuolo torinese come nascondiglio del Graal.
Esistono in proposito cronache del settecento che riportano le testimonianze dirette dell’esistenza di una rete di gallerie segrete esistenti sotto la città. Questi stessi racconti citano anche l’esistenza di accessi segreti che sarebbero situati nelle cantine dei palazzi più antichi di Torino, accessi che conducono ai sotterranei dove sarebbe nascosto il Graal.
Esiste anche una credenza popolare secondo cui nelle statue che adornano la chiesa della Gran Madre di Torino, sul Po, sono celati elementi simbolici segreti la cui interpretazione consentirebbe di avere le indicazioni che rivelano il luogo esatto della città dove è nascosto il Graal.
Estratto da “La tradizione della Città di Rama e il mito del Graal”
di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero
Les Cahiers du Graal, Luglio 2005
di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero
Les Cahiers du Graal, Luglio 2005
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