giovedì 30 aprile 2020

Il mito di Pele, dea hawaiana del fuoco


Ribollente, vulcanica, traboccante, devastante - è sorprendente come il linguaggio del fuoco somigli agli aggettivi che utilizziamo per descrivere la rabbia. Come la lava di un vulcano o l'incendio che scoppia all'interno di un bosco, la rabbia, se incontrollata, è altamente distruttiva. 
Nondimeno Pele, dea hawaiana del fuoco, ci svela in che modo possiamo utilizzare la rabbia per creare il cambiamento.

Il mito
Pele governa ogni sorta di focolaio, in particolare la lava dei vulcani. Secondo la leggenda, essa vive nei silenziosi meandri del monte Kilauea, uno dei vulcani più attivi del mondo. Le minuscole formazioni laviche scoperte intorno al vulcano sono note con l'appellativo di «lacrime di Pele»; la leggenda locale vuole che la disgrazia si abbatterà sugli sciagurati che sottrarranno uno solo di questi ciottoli al suo regno.

Celebre per i suoi idilli appassionati non meno che per il suo temperamento focoso, Pele si manifesta sovente ai suoi seguaci nelle sembianze di una donna seducente, bellissima come la Luna. Alcuni sostengono che somigli a una terribile megera, con la pelle brunita e raggrinzita come ruvida lava. Quale che sia l'aspetto che la dea scelga per palesarsi, nessuno dissente sul suo carattere fiero - oltre che sulla sua capacità di distruggere e di creare.
Una bellissima storia della dea Pele è raccontata nel lunghissimo romanzo “Hawaii” di James A. Michener (Bompiani).
Al tempo della storia ai tranquilli abitanti dell’arcipelago di Tahiti venne imposto dalla casta sacerdotale il sanguinoso culto del nuovo dio Oro. Non tutti riuscivano però ad accettare questa divinità crudele che richiedeva sempre più numerosi e cruenti sacrifici umani. Fu così che un manipolo di una sessantina tra uomini e donne fedeli alle antiche divinità, capeggiati da Tamatoa, re di Bora Bora e dal suo intrepido fratello minore Teroro, abbandonarono l’arcipelago su una grandissima canoa doppia per cercare una nuova terra dove vivere in pace, lontano da quella follia di sterminio.
Un’avventura del tutto incerta: intorno solo migliaia di miglia di oceano sconfinato e tempestoso e, come guida, soltanto le parole di un antico canto marinaro trasmesso oralmente dagli antenati. Con loro gli esuli portarono gli antichi dèi Tane e Ta’aroa, (rispettivamente dio del vento e dio dell’oceano) rappresentati da due sacre antichissime pietre. Partirono con provviste, animali e piante da far crescere nella nuova terra che speravano di trovare al nord e dove avevano intenzione di vivere pacifici, senza più guerre di religione né sacrifici umani. Prima di partire interpretarono numerosi auspici, decifrarono sogni, controllarono e ricontrollarono il loro carico per essere sicuri di non aver dimenticato nulla. A lungo navigarono guidati dalla costellazione dei “Sette Piccoli Occhi”, ripetendosi le strofe della canzone per rincuorarsi quando pensavano di essere perduti fra le onde, patendo la fame e l’incertezza del viaggio, ma dopo cinquemila miglia di oceano, quasi al limite della disperazione, riuscirono a trovare la loro nuova terra, l’isola vulcanica deserta che battezzarono Havaiki (Hawai’i).
L’isola era di una bellezza mozzafiato, con il suo mare cristallino e un alto monte che si specchiava nelle acque. Fu solo quando il monte si rivelò per quello che era, un vulcano, che questi eroici navigatori ed esploratori si resero conto di aver dimenticato una cosa importantissima a Bora Bora: la pietra rossa, effige della dea più antica, Pele, dea del fuoco, protettrice degli uomini appassionati.
La dea già si stava facendo notare nell’isola deserta, apparendo in forma di donna, lanciando muti sguardi di allarme agli esterrefatti pionieri.
Un giorno il vulcano iniziò ad eruttare lava e i polinesiani, avvertiti per tempo da un ciuffo di “capelli” della dea, proiettato dal cratere, riuscirono a salvarsi per un soffio, rifugiandosi in alto mare sulla canoa, con i loro animali e le loro preziose sementi.
Fu così, che sfidando nuovamente l’oceano, Teroro decide di ripetere il viaggio (al confronto del quale le imprese di Colombo con le caravelle non sono che una gita fuori porta) e tornare a Bora Bora solo per prendere lo spirito di Pele (la pietra) e portarla ad Hawaiki, dove verrà venerata per secoli ed ancora ai giorni nostri. 
La passione della rabbia ha una pulsione tale da aiutarci a migliorare la nostra vita. La capacità di Pele di presentarsi ora come una vecchia grinzosa ora come una donna ammaliatrice ci rivela lo sconvolgimento che la rabbia può suscitare nell'animo femminile. Esso evidenzia il disagio e il raccapriccio che proviamo quando siamo in preda all'ira - disagio e raccapriccio che dobbiamo affrontare.

Troppo spesso la nostra società giudica la donna che dà voce alla rabbia. Fra i due sessi esiste un duplice parametro di valutazione quanto mai atroce: se un uomo alza la voce o perde le staffe è «autoritario», mentre una donna è «emotiva» - o peggio. La vicenda di Pele fornisce un antidoto a siffatte credenze Essa ci spiega che la nostra rabbia non è solo degna di essere manifestata, bensì è anche divina. Essa ci spiega che la nostra rabbia ci sta comunicando qualcosa, qualcosa che dobbiamo ascoltare.

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