Di Laura Fezia
Tanto per cambiare, anche la Pasqua è una delle innumerevoli feste pagane che la Chiesa ha scippato ad altre tradizioni, nonostante su molti siti, articoli o pubblicazioni cattolici potrete leggere che questa è una bufala. Non lo è, anzi, è la realtà storica ed è facilmente dimostrabile. Ma come al solito, i fedeli sono disposti a cambiare la Storia piuttosto che ammettere di credere in quella che è solo una favola inventata da tale Paolo di Tarso.
I fedeli affermano che di Pasqua si parla nei Vangeli: questo è vero… ma si parla della PASQUA EBRAICA, durante la quale si sarebbero svolti i fatti narrati dal Nuovo Testamento.
E la Pasqua ebraica nulla ha a che vedere con ciò che poi la festa sarebbe stata fatta diventare nel cristianesimo.
La Pasqua ebraica – o Pesach – celebra un PASSAGGIO… e infatti il termine significa proprio questo: PASSAGGIO. Il passaggio di Dio che risparmia i figli degli israeliti e – di fronte al rifiuto del faraone di liberare gli ebrei – uccide quelli degli egiziani, consentendo al Popolo Eletto di liberarsi dalla schiavitù e di uscire dall’Egitto per raggiungere la Terra Promessa: ci impiegheranno una quarantina di anni… ma questa è un’altra storia! L’origine della Pasqua ebraica viene raccontata in Esodo 11, 4-5: «In questa notte io passerò attraverso l'Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame». Per facilitargli il compito (non si sa perché se Yahweh era onnipotente e soprattutto onnisciente, ma non importa…) gli israeliti vengono invitati a segnare gli stipiti delle loro porte con sangue d’agnello.
Questo è ciò che celebra la Pasqua ebraica, o almeno UNA PARTE, poiché infatti le celebrazioni durano una settimana, ricordando vari momenti. Nel vangelo di Luca, per esempio, al capitolo 22, versetto 1, si legge: «Si avvicinava la Festa degli Azzimi, detta anche Pasqua» e al versetto 7, poco prima dell’Ultima Cena: «Venne poi il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua», ossia sacrificare l’agnello a Yhaweh, che aveva sempre bisogno di essere tenuto buono con curiosi sistemi, quasi sempre crudeli. Gli «azzimi», invece, sono i pani senza lievito, in ricordo di quelli che gli ebrei mangiarono la sera prima dell’esodo dall’Egitto, mentre il loro Dio sterminava allegramente i primogeniti degli egiziani.
La Pasqua cristiana – lo sappiamo – celebra tutt’altro (ossia la passione, morte e risurrezione di Cristo): ha mantenuto di quella ebraica solo il nome con cui nei vangeli è stato tradotto il termine greco Πάσχα (Pasqa) e il fatto che è una festa mobile: cade, infatti, in giorni diversi ogni anno, ma sempre entro un determinato lasso di tempo, tra il 22 marzo e il 25 aprile, ossia la prima domenica dopo il plenilunio nel segno dell’Ariete e non, come si legge quasi ovunque, la prima dopo l’equinozio di primavera. L’equinozio della primavera 2020 – evento astronomico – infatti, è caduto il 20 marzo, mentre la Pasqua è il 12 aprile: ne sono trascorse di domeniche tra queste due date.
Ciò che comunque importa è che la Pasqua è l’unica festività cristiana che segue i cicli lunari, ossia non cade in un giorno fisso.
E questa ciclicità legata alla luna ha origini pagane, si rifà alla festa di ISTHAR, divinità mesopotamica, chiamata con nomi diversi in altre tradizioni: Inanna, Astarte, Eostre, Iside, Afrodite… insomma: LA DEA MADRE.
Nei paesi anglosassoni e teutonici, infatti, questo ricordo è rimasto: la Pasqua - ossia quella che nelle più antiche tradizioni, ma anche nella cultura romana era la festa della RINASCITA DELLA NATURA dopo il freddo dell’inverno – ancora oggi si chiama EASTER o OSTERN. Lo stesso uovo di Pasqua ha radici simili: è simbolo di fertilità e di vita; non dimentichiamo che l’UOVO COSMICO è, in molte tradizioni, l’origine dell’universo.
Quando il cristianesimo iniziò a fare piazza pulita di tutto ciò che era pagano, comprese che non poteva solo distruggere, ma che era opportuno sostituire imprimendo il proprio marchio su qualcosa di già esistente, qualcosa cui il popolo era già abituato.
Fu il concilio di Nicea del 325 a stabilire la data della Pasqua cristiana, che precedentemente veniva festeggiata un po’ a casaccio dalle varie comunità nel vastissimo territorio dell’impero romano. C’erano comunità che la celebravano la domenica dopo quella ebraica, poiché – secondo la tradizione evangelica – Cristo era risorto di domenica, altre, invece, il 14 del mese di Nissan, che nel calendario ebraico della Bibbia corrispondeva a marzo, altre ancora che vietavano di farla cadere in concomitanza con la Pasqua ebraica. Insomma: ce n’era per tutti i gusti.
I padri conciliaristi di Nicea, allora, tagliarono la testa al toro, presero le distanze dall’ebraismo che aveva “disonorato” la Pasqua con la crocefissione del Signore e scelsero di sovrapporre la «fabula Christi» alle feste primaverili pagane che celebravano il risveglio – ossia la RESURREZIONE – DELLA NATURA, che divenne la RESURREZIONE DI CRISTO.
Ciò nonostante, continuò a esserci un po’ di confusione sulla data della Pasqua tra le ecclesie occidentali e quelle orientali, così nel 525, ben tre secoli dopo Nicea, un tale Bonifacio, capo dei notai pontifici del vescovo di Roma Giovanni I – impropriamente chiamato “papa” – diede incarico al monaco Dionigi il Piccolo di fare un po’ di ordine nella questione. Il buon Dionigi, in realtà, fece a sua volta una gran confusione, ma almeno partorì un calendario pasquale che avrebbe dovuto mettere tutti d’accordo. Perdendosi tra complicati calcoli, quest’uomo, di cui nulla o quasi si sa, riuscì, sì, a stabilire date univoche per la celebrazione della Pasqua cristiana e diede l’input per fissare quella del Natale (impropriamente) al 25 dicembre, ma soprattutto introdusse una novità della quale – da quel momento – la Storia avrebbe portato le conseguenze: grazie a lui, infatti, iniziò la numerazione degli anni in “avanti Cristo” e “dopo Cristo”.
La differenza di date della celebrazione pasquale, tuttavia, non finì con Dionigi, ma entrò a fare parte – insieme ad altre questioni liturgiche – delle diatribe intorno alle quali si svolse il braccio di ferro tra la Chiesa cristiana d’Oriente e quella d’Occidente, divise da un’eterna rivalità a proposito della supremazia “spirituale” dell’una o dell’altra (anche se in realtà la faccenda di “spirituale” aveva proprio niente). Nel 1054, anzi, fu UNO degli elementi sui quali il patriarca di Costantinopoli Michele I Cerulario e “papa” Leone IX iniziarono a farsi a vicenda quei dispetti che portarono al Grande Scisma dal quale scaturì la Chiesa cattolica apostolica romana.
C’è ancora un particolare da evidenziare: mentre le feste pagane alle quali la Chiesa sostituì la Pasqua erano celebrazioni della vita, della gioia, della fecondità, dell’amore, del risveglio dei sensi, quella cristiana celebra, con lugubre spiegamento di simboli macabri, la passione e la morte in croce di un uomo, è, insomma, l’apoteosi della sofferenza, che i cristiani sono invitati ad amare se – come fece Cristo – desiderano risorgere… ma non alle gioie terrene, che continuano a essere considerate – nella migliore delle ipotesi – di serie B, bensì alla Gloria dei Cieli, in un aldilà “spirituale” che – ma i credenti lo ignorano – è completamente assente dalla – eventuale – predicazione di quell’uomo crocifisso sul Golgota come semplice “malfattore”.
Nonostante il periodo difficile che stiamo vivendo, auguro a tutti voi una radiosa festa di primavera in onore della Dea Madre!
Nessun commento:
Posta un commento