Nell'antico Egitto era uso consacrare i bambini a Bastet, facendo un piccolo taglio sul braccio e mescolando il sangue che gocciolava a quello di un felino.
Un uomo che uccidesse un gatto, anche per caso fortuito, era giustiziato a morte e quando un gatto moriva i proprietari usavano rasarsi le sopracciglia e il capo in segno di lutto.
Il gatto, la cui pupilla subisce delle variazioni che ricordavano le fasi della luna, veniva paragonato alla sfinge per la sua natura segreta e misteriosa e per la sensibilità alle manifestazioni magnetiche ed elettriche. Inoltre, la sua abituale posizione raggomitolata e la facoltà di dormire per giornate intere ne facevano, agli occhi degli ierofanti, l’immagine della meditazione, esibita come esempio ai candidati all’iniziazione rituale.
Il gatto, oltre ad essere un simbolo di grazia e benevolenza, era apprezzato dagli Egizi per la sua abilità di cacciatore: liberava campi e case dai roditori nocivi e poteva competere con i temibili cobra.
Si affermava, infine, che il gatto possedesse nove anime, e godesse di nove vite successive.
Pare infine che, mentre il gatto era sacro al Sole e a Osiride, la gatta era sacra alla Luna e a Iside
Una recente analisi del DNA delle specie moderne di felini ha stabilito che i primi gatti ad essere addomesticati, probabilmente in Mesopotamia, furono i gatti selvatici africani (Felis silvestris lybica), circa 10.000 anni fa.
Nell’antico Egitto erano prevalenti due specie di gatti: il gatto della giungla (Felis chaus) e il più comune gatto selvatico africano. Il gatto selvatico africano fu il primo a subire il processo di domesticazione all’inizio del Periodo predinastico (IV millennio a. C.).
La domesticazione del gatto selvatico nacque probabilmente dall’esigenza di avere un predatore domestico in grado di contenere il numero di ratti, serpenti e parassiti che affollavano i granai egizi, specialmente i depositi che appartenevano a nobili, sacerdoti e sovrani. Fu solo tra il XVI e l’XI secolo a.C. che i gatti iniziarono ad assumere un ruolo sempre meno legato alla caccia di parassiti e sempre più di compagnia.
L’arte figurativa egizia del XIV secolo a.C. ha lasciato diverse testimonianze del rapporto uomo-gatto: la Grande Sposa Reale Tiy (moglie di Amenofi III) e sua figlia Sitamon sono state raffigurate insieme a una gatta e un’oca domestiche. Sullo schienale del trono della principessa Sitamon, è stata raffigurata una gatta seduta sotto lo scranno dove siede la regina Tiy.
Il gatto nella religione egizia
Bastet e Sekhmet
Sekhmet, la dea-leonessa della guerra, della violenza, delle infezioni e delle guarigioni dalle malattie, era inizialmente una divinità strettamente legata a Bast, ma col passare del tempo le due figure iniziarono ad assumere connotati differenti fino a diventare antitetiche
Mafdet, invece, era una divinità dai connotati felini (a volte più simile ad una mangusta o uno zibetto) che proteggeva da serpenti e scorpioni e sovrintendeva la giustizia legale e la pena di morte.
La prima testimonianza archeologica di una divinità felina è una coppa di cristallo del 3.100 a.C., decorata con una rappresentazione della dea Mafdet con testa di leonessa. Inizialmente anche Bastet veniva raffigurata come una dea leonina, protettiva e guerriera come Sekhmet ma ben distinta in quanto a personalità.
Durante la XXII dinastia (945 a.C. – 715 a.C.), la figura di Bast subì una mutazione passando dall’essere una divinità guerriera e leonina all’essere una dea protettiva e rassicurante dalle sembianze di gatto.
Poiché i gatti domestici tendono ad avere un comportamento mite e protettivo nei confronti del padrone e della sua casa, gli Egizi cominciarono a vedere Bastet come una madre, raffigurandola di frequente in compagnia dei suoi cuccioli; tra le donne egizie che desideravano una gravidanza era comune indossare un amuleto di Bastet circondata da gattini.
Il Gatto di Eliopoli
Il gatto maschio assunse un ruolo differente e fu associato alla divinità solare Ra: il suo compito era quello di difendere il Sole dagli attacchi del demone Apopi e di sorvegliare l’Albero della Vita Eterna (Ished), sulle cui foglie il dio Thot scriveva i nomi dei sovrani egizi.
Il Grande Gatto di Eliopoli, incarnazione di Ra, fu spesso raffigurato nelle pitture parietali funebri relative ad alcuni passi del Libro dei morti: appare sulle pareti delle tombe di Deir el-Medina (vicino a Tebe), e nello stesso Libro dei morti l’entità stessa fornisce una definizione del suo ruolo nel pantheon egizio nel XVII capitolo:
Io sono questo Grande Gatto che si trovava al lago dell’albero “ished” in Eliopoli, quella notte della battaglia in cui fu compiuta la sconfitta dei sebiu, e quel giorno dello sterminio degli avversari del Signore dell’Universo.
La venerazione dei gatti
Erodoto di Alicarnasso, nelle sue Storie, cita il rispetto e gli onori funebri riservati ai gatti deceduti:
«Quando, poi, scoppia un incendio, i gatti sono presi da fenomeni strani. Gli Egiziani, infatti, disponendosi a regolare distanza, fanno loro la guardia, trascurando, perfino, di spegnere il fuoco; ma i gatti sgusciando tra uomo e uomo, o, magari, saltandoli via, si gettano nel fuoco. Quando ciò avviene, è grande il dispiacere che prende gli Egiziani. Se in una casa un gatto viene a morire di morte naturale, tutti quelli che vi abitano si radono le sopracciglia. […] I gatti vengono portati nella città di Bubasti in locali sacri e ivi vengono sepolti, dopo essere stati imbalsamati.»
Diodoro Siculo narra di un particolare episodio che vede coinvolto un cittadino romano e un gatto, un episodio che dimostra la venerazione che gli Egizi avevano per i loro amici a quattro zampe: intorno al 60 a.C., l’uomo fu sorpreso a uccidere un gatto, scatenando l’ira della folla che lo catturò e lo uccise senza alcun processo e ignorando il volere del faraone, che propose l’idea di graziare l’assassino di felini.
Bubasti, la città dei gatti
Durante il X secolo a.C. Bubasti (in origine Par Bastet, letteralmente “Città di Bastet”), città nei pressi del delta del Nilo, divenne ufficialmente la sede del culto del gatto. Il culto di Bastet si era ormai esteso in modo virale per tutto il regno e la divinità era diventata la guardiana della fertilità e della maternità.
Il culto dei gatti faceva affluire ogni anno a Bubasti migliaia di adoratori. Nel centro della città si trovava il santuario di Bastet, un tempio che secondo Erodoto aveva dimensioni enormi: circa 180 metri di lunghezza; a poca distanza dal tempio si trovava una delle più grandi necropoli feline dell’intero Egitto, dove migliaia di mummie di gatto venivano sepolte all’inizio del loro viaggio verso l’aldilà.
Secondo la leggenda, una leonessa caduta nel lago del tempio ne era uscita tramutata in una docile gatta, accolta poi nel santuario come incarnazione di Bastet.
A Bubasti si svolgevano, sempre secondo Erodoto, i festeggiamenti periodici della dea Bastet, rituali che prevedevano una lunga processione di barche sacre accompagnata da musica durante la quale centinaia di artigiani avevano la possibilità di vendere statuette e amuleti di gatti; una volta giunti al tempio, i fedeli partecipavano ad un banchetto in cui il vino scorreva a fiumi.
I gatti delle famiglie più ricche potevano aspirare ad una mummificazione a regola d’arte e alla sepoltura nei pressi del tempio di Bastet a Bubasti o in altre necropoli solitamente destinate a sepolture umane, come Saqqara e Beni Hasan, anche se molti gatti appartenuti alla gente comune venivano ugualmente mummificati e sepolti in cimiteri dedicati ai felini.
La gatta Myt del principe Thutmose, figlio di Amenofi III, fu sepolta nella necropoli di Menfi all’interno di un piccolo sarcofago di pietra decorato da incisioni propiziatorie per il suo futuro incontro nell’aldilà con la dea Iside.
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