sabato 7 marzo 2020
Matriarcato vs patriarcato: una sfida ancora aperta
Negli ultimi anni, sono stati coniati diversi nuovi termini per definire i modelli sociali non patriarcali. Tuttavia, secondo la studiosa tedesca Heide Goettner-Abendroth, oggi è necessario più che mai insistere sulla definizione di “matriarcato”, “per cercare di navigare nel mare di malintesi che circonda questa parola”.
“Matriarcato” e “patriarcato” appaiono, a prima vista, come due termini dal significato parallelo: da qui, il corrente preconcetto che debbano essere simili anche i due modelli sociali che descrivono. L’interpretazione della parola “matriarcato” come mero “governo o dominio delle donne”, ossia un sistema sostanzialmente uguale a quello del patriarcato con a capo solo un genere diverso, può (e deve) essere contestato.
Innanzitutto, da un punto di vista linguistico: in greco, il significato più antico di arché non è “dominio”, ma bensì “inizio”. Se ci si basa su questo, “matriarcato” significa “all’inizio le madri”, in un’allusione sia al dato biologico (le donne generano l’inizio della vita tramite il parto) che al dato culturale (l’inizio della civiltà viene dalle madri).
Venere di Willendorf, 23.000 – 19.000 a.C. Fonte: Wikimedia Commons
Inoltre, chi crede nel mito del patriarcato universale tende a presentarlo come una forma sociale che è sempre esistita, in tutto il mondo, fin dall’inizio della storia umana. Invece, dal punto di vista storico, questa struttura di potere ha avuto uno sviluppo relativamente recente, facendo la sua comparsa in alcune parti del mondo intorno al 4000-3000 a.C.
Il dominio patriarcale è stato, all’inizio, solo una minoranza emersa dalle guerre di conquista che si è sostituita progressivamente a un’intera cultura. Purtroppo, i modelli sociali e mitologici delle culture pre-patriarcali europee, mediterranee e mediorientali sono stati distrutti da tempo, e ci sono arrivati solo frammenti distorti da strati di interpretazione recente.
Centinaia di falsità sono state propagate dai teorici dell’orientamento patriarcale, in grado di inquadrare il matriarcato solo attraverso le lenti del modello dominante. Quando non riescono a trovare testimonianza di una cultura conforme alla loro ipotesi di un “dominio delle donne”, asseriscono che i matriarcati non esistono e non sono mai esistiti.
Origine e sviluppo degli Studi Matriarcali moderni
La storia della ricerca sul matriarcato, dal XVIII secolo, è stata una serie di avvii e di arresti nella scienza occidentale. Ne è la prova il fatto che l’esistenza di circa 150 anni di studio e discussione sul tema è, ancora oggi, sostanzialmente sconosciuta. Prima del lavoro pionieristico di Johann Jacob Bachofen, nella seconda metà dell’Ottocento, l’idea del matriarcato come forma sociale indipendente dal patriarcato non esisteva – così come non esisteva nemmeno il termine “matriarcato” per definirla. Ciò che non può essere nominato, non può nemmeno essere riconosciuto.
Gli Studi Matriarcali moderni veri e propri hanno fatto la propria comparsa solo nel 1978, quando Goettner-Abendroth ha iniziato ad approntarne la metodologia per dare una definizione strutturale e scientifica del matriarcato. Gli Studi Matriarcali sono diventati, così, una forma di ricerca socio-culturale critica, un nuovo e preciso “campo minato che ruota intorno a un concetto screditato e incompreso”. Nel 1986, in Germania, Goettner-Abendroth ha anche fondato l’Accademia Internazionale HAGIA per gli Studi Matriarcali moderni, di cui è tuttora direttrice.
Il paradigma del matriarcato della studiosa tedesca vuole essere una prospettiva completamente differente della società e della storia. Sviluppatosi all’interno del recente movimento per i diritti delle donne, tuttavia, va oltre i vari femminismi e studi di genere dell’Occidente, spesso prigionieri del proprio modo di pensare. Esempi plateali di questo eurocentrismo sono alcuni gruppi femministi dell’Est Europa, come le Pussy Riot e le Femen, che hanno finito per calpestare le peculiarità dei Paesi dell’ex blocco sovietico.
Il paradigma matriarcale, invece, non è circoscritto alla condizione femminile e, in generale, non mira ad alimentare antagonismi tra donne e uomini. Anzi. Certo, gli Studi Matriarcali si intrecciano alle lotte del femminismo internazionale, occidentale e non – come quello della cosiddetta “Quarta Ondata” intersezionale. Ma ci sono anche delle significative intersezioni con gli intenti dei movimenti alternativi degli uomini, nella misura in cui essi riconoscono che la loro battaglia non è solo contro le strutture capitaliste o colonialiste, ma anche contro quelle patriarcali.
Un ulteriore punto di svolta, negli ultimi decenni, è stata l’appropriazione della ricerca sulle forme matriarcali da parte dei ricercatori indigeni stessi, come ad esempio ha fatto Lamu Gatusa con il proprio gruppo etnico dei Moso della Cina sudoccidentale. Le popolazioni indigene dotate di un’organizzazione matriarcale rappresentano un grande valore per il mondo patriarcale odierno: corrono il rischio di scomparire, quindi potrebbero trarre vantaggio dall’autoconsapevolezza e dalla connessione con altre culture simili del mondo. Le società matriarcali non sono da trattare come “esotici” casi isolati. Una volta, erano la regola generale.
Femministe, uomini “alternativi” delle società occidentali e popoli indigeni potrebbero vedersi fornire, grazie agli Studi Matriarcali moderni, gli strumenti di empowerment necessari per formare efficaci alleanze politiche contro il dominio locale e globale del patriarcato.
La definizione strutturale delle società matriarcali
Secondo Goettner-Abendroth, la struttura profonda del matriarcato si articola su quattro livelli:
A livello economico, è una società di mutualità economica basata sulla circolazione dei doni, dove le donne distribuiscono i beni;
A livello sociale, è una società orizzontale, non gerarchica, di discendenza matrilineare, in un contesto di uguaglianza di genere;
A livello politico, è una società egualitaria di consenso, in cui la casa del clan è il nodo di connessione del processo decisionale;
A livello religioso e culturale, è una società di culture sacre del divino femminile, con una profonda attitudine spirituale che permea ogni aspetto della vita.
È proprio la centralità del ruolo economico e spirituale delle donne che, nelle società matriarcali, dà loro grande potere locale e influenza sull’attività degli uomini. L’autorità femminile mette in atto dei modelli diversi rispetto alla leadership maschile, spesso non supportati da nessuna struttura di rinforzo (come guerrieri, polizia, o istituzioni di controllo). I matriarcati sono autentiche società egualitarie di genere, basate su un’equa collaborazione fra i due sessi: la centralità delle donne serve a regolare il funzionamento generale della società e la libertà dei due generi, senza le strutture gerarchiche del patriarcato.
Durga, la suprema dea madre della religione induista. Fonte: Wikimedia Commons
La matrilinearità struttura le relazioni di tutta la società, sia attraverso la trasmissione ereditaria per via femminile che attraverso il processo decisionale politico. Infatti, l’uguaglianza di genere – ottenuta tramite la politica rigorosa di ricerca del consenso fra uomini e donne del clan – impedisce che si formi una gerarchia, nonostante il ruolo di centralità delle donne. Anche la matrilocalità (ossia, la prole di discendenza diretta che continua ad abitare per tutta la vita presso la casa del clan della madre) può essere un indicatore di matriarcato.
Tuttavia, da sole, queste non sono condizioni sufficienti per definire una società come un matriarcato, se non sono accompagnate anche dalla distribuzione economica in mano alle donne. Secondo il filosofo marxista Friedrich Engels, infatti, è stato il controllo della proprietà privata che ha permesso agli uomini di invalidare il matriarcato e di imporre il proprio dominio: il passaggio al patriarcato è stato non solo la prima rivoluzione in senso cronologico, ma è stato anche il primo sconvolgimento fondamentale della storia umana. La stessa monogamia, “ignobile condizione di subalternità della donna” imposta con la forza, affonderebbe quindi le proprie radici nella vittoria patriarcale della proprietà privata del singolo sulla proprietà collettiva matriarcale.
Conclusioni
Sul finire degli anni ’70 del secolo scorso, l’etnologo Christian Sigrist si interrogava: è la proprietà privata che genera il dominio dei padroni, o è il dominio che sviluppa la proprietà privata per il proprio potere? La seconda opzione pare la più probabile, dal momento che nel mondo esistono ancora delle società tribali libere dal dominio, in Asia come in Africa, America e Oceania, che non hanno nulla di naif perché si fondano su dei principi sociali sviluppati in modo consapevole.
Popoli indigeni come i Khasi dell’India nordorientale e i Moso della Cina sudoccidentale – le cui culture presto andremo ad approfondire – concepiscono l’uguaglianza non come una condizione naturale fra membri della società, ma come una qualità necessaria che va mantenuta intenzionalmente attraverso delle tecniche sociali. Da qui, da questi modelli semi-sconosciuti, si potrebbero trarre nuove soluzioni per “vecchi” problemi sociali, oltre che l’ispirazione necessaria per trasformare la società patriarcale in una società che sia semplicemente umana.
Fonti e approfondimenti
Goettner-Abendroth, H., “Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo.”, Venexia, Roma, 2013
Capone F., “La civiltà delle donne”, Focus, 1 marzo 2017
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